Piccolo sussidio contro i luoghi comuni sull’insegnamento della storia

Diario di bordo
Passatempo 12 dicembre


Sam Wineburg, studioso assai poco noto in Italia, è un punto di riferimento mondiale per chi si occupa di insegnamento storico. Come succede ai grandi, soprattutto se sono anglosassoni, è dotato anche di uno strepitoso senso dell’ironia. Lo capite subito dal titolo della sua opera più nota: Historical Thinking and Other Unnatural Act: Charting the Future of Teaching the Past (Philadelphia 2001). Ne avevo una fotocopia tutta ciancicata. Luigi me ne ha regalato una copia, e rileggendone la prefazione, mi sono ricordato che la cito sempre, quando mi imbarco nell’ennesima discussione sulla scuola di oggi che “non funziona e i ragazzi che non studiano e sono dei somari, un tempo invece”. La uso sempre, dunque, ma mi era passato di mente che era lui, la fonte dei miei argomenti.
Così, ho pensato di ricopiare la prima pagina. Così non me la scordo e – insieme – fornisco anche a voi qualche solido argomento contro i sempre più numerosi laudatores temporis acti e le loro intelligenti deduzioni. Poche righe e pochi fatti bastano per svelare la loro natura di luoghi comuni. Fastidiosi, come tutte le misconoscenze, ma estremamente pericolosi, perché deviano la discussione, anche quella dei cosiddetti decisori, verso vicoli ciechi, e non pongono al centro la questione fondamentale: per insegnare storia occorre conoscere la didattica della storia e formare adeguatamente i professori. Ma per questo, rinvio alla lettura di Wineburg, e alla sua ironia. (HL)
 

Scopri la fonte di questa affermazione:
Sicuramente un voto di 33 su 100, ottenuto nei più semplici e più ovvi fatti della storia americana, non è un dato di cui nessuna scuola superiore potrebbe andare fiera
Questo giudizio sulle conoscenze storiche possedute dai ragazzi delle superiori viene da:
a.    Il rapporto Ravitch-Finn, al convegno sul National Progress del 1987, nel quale si affermò che i punteggi ottenuti dagli studenti li ponevano “a rischio di essere fortemente penalizzati, nel momento in cui facevano il loro ingresso nel mondo degli adulti e diventavano cittadini e genitori”
b.    Il test al quale il N.Y. Times sottopose i giovani americani nel 1976, pubblicato col titolo Il test del Times mostra la pochezza della conoscenza della storia americana.
c.    Il rapporto sugli esami di storia, sempre del N.Y.T., del 1942, che spinse Alan Nevin a scrivere che gli studenti delle superiori erano “del tutto ignoranti in storia americana”
d.    Nessuna delle tre
La risposta corretta è proprio la d. Nessuna delle tre. Questa citazione non viene né dal convegno del 1987, né dagli articoli precedenti. Per trovare la sua fonte, dovete andare indietro fino al 1917, molto tempo prima che esistesse  la televisione, le lobbies degli Studi Sociali, l’insegnamento delle “abilità”, il crollo della famiglia, la crescita di Internet o qualsivoglia altra causa che solitamente invochiamo per spiegare questi risultati penosi.
Peraltro, le conclusioni di J. Carleton Bell e David McCollum, che nel 1917 testarono 668 studenti delle scuole superiori texane e pubblicarono i risultati nel Journal of Educational Psichology, differiscono poco da quelle dei commentatori successivi. Se consideriamo l’enorme differenza  fra i ragazzi che andavano a scuola nel 1917 e la frequenza quasi totale  di oggi, la stabilità dell’ignoranza studentesca è stupefacente. Il mondo intero si è completamente rivoltato, ma una cosa è rimasta ben ferma: i ragazzi non conoscono la storia.

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