Autore: Michele Maria Rabà

Non se l’era fatta sfuggire, “Repubblica”, l’occasione di commemorare la battaglia di Marignano. Scomparsa dall’orizzonte delle medie e periclitante in quello delle superiori, un tempo primeggiava fra le battaglie cinquecentesche, quelle che ebbero come teatro principale l’Italia. Perché, allora la commemorazione? Il motivo è che, secondo una vulgata, diffusissima in Svizzera, ma conosciuta anche in Italia, gli Svizzeri persero, e fu allora che cominciarono a prendere in considerazione l’idea di fare i neutrali. Una battaglia mitica, che i nostri vicini aggiungono alla leggenda di Guglielmo Tell e al giuramento dei Tre Cantoni, che, secondo la tradizione, smentita dalla storia quanto riconfermata ad ogni pié sospinto dai gestori pubblici della memoria storica, ha costituito il fondamento della Confederazione. Michele Maria Rabà ci aiuta a capire che cosa successe veramente in quei primi decenni del XVI secolo. (HL)

La battaglia di Marignano, dettaglio. Attribuito a Maître à la Ratière


Per gli storici non ci sono battaglie decisive

Lunghi secoli di storiografia cosiddetta evenemenziale – fondata cioè sul ricordo di eventi, più che sulla ricostruzione di fenomeni – non potevano non lasciare la loro traccia nel tipo oggi più comune di approccio al passato, che consiste nell’interpretarlo, appunto, come una catena di fatti, alcuni irrilevanti, altri determinanti. Ecco perché tutte le guerre che non hanno partorito almeno una ‘grande battaglia’ – l’evento per antonomasia, capace più di ogni altro di condizionare l’immaginario, coinvolgendo il lettore di storia nel senso più emozionale e favorendone l’immedesimazione con i combattenti – sono rimaste anche senza memoria. Ecco perché, ancora oggi, pur avendo la letteratura scientifica in larga parte superato tali orientamenti, l’idea che l’esito di una sola battaglia possa condizionare in modo assoluto il corso della storia è quanto mai dura a morire.


La battaglia di Marignano

La battaglia di Marignano (combattuta ferocemente tra il 13 ed il 14 settembre 1515 da 20.000 svizzeri, 31.000 fanti e cavalieri del re di Francia, Francesco I di Valois, e da 12.000 veneziani al comando di Bartolomeo d’Alviano) fu indubbiamente uno scontro di dimensioni rilevanti per il periodo, sia per le cifre dei feriti e dei caduti che per l’accanimento degli eserciti in campo. Nella storia della Penisola e della Lombardia, tuttavia, quei due giorni di scontri sanguinosi significarono ben poco: per la seconda volta un re di Francia strappò ad uno Sforza – Massimiliano, protetto dall’imperatore di Germania, dal papa e dai Cantoni Svizzeri – il Ducato di Milano (il primo a riuscirci era stato il suo predecessore, re Luigi XII di Valois, che nel 1500 aveva sconfitto a Novara e fatto prigioniero il padre di Massimiliano, Ludovico il Moro), il cui possesso gli venne confermato l’anno dopo, con il trattato di Noyon, ma che perdette in meno di sei anni, quando a scendere in campo contro di lui fu il nuovo imperatore e re di Spagna, Carlo V (battaglie della Bicocca, 1522, e di Pavia, 1525).

Ritratto giovanile di Massimiliano Sforza, Giovanni Ambrogio de Predis (1455 circa-dopo il 1508)


Alcune domande

Quale significato dobbiamo attribuire dunque alla battaglia nell’economia della storia svizzera? Fu davvero, come sovente si è argomentato, lo spartiacque tra un’età ‘eroica’, segnata dall’aggressivo protagonismo elvetico negli equilibri europei, e l’inizio del ripiegamento dei Cantoni e della loro vocazione alla neutralità, se non l’origine di tale ripiegamento? Di certo la periodizzazione tradizionale ha individuato nello scontro del 14-15 settembre 1515 il momento conclusivo di una fase di prorompente espansionismo, da collocarsi nel quarantennio compreso tra le Guerre burgundiche (1474-1477) e la sconfitta subita in Lombardia, al termine della quale la Confederazione originaria di otto cantoni (Achtörtige Eidgenossenschaft) arrivò a ricomprenderne 13 (Dreizehnörtige Eidgenossenschaft). Com’è noto, l’istituzione di raccordo centrale tra gli associati, la Dieta, venne sovente rallentata e persino ostacolata nell’esercizio delle proprie funzioni dai dissidi interni tra i singoli Cantoni e dall’attitudine dei più ricchi e dinamici (soprattutto Berna e Zurigo) a perseguire obiettivi politici autonomi e, talora, antitetici. Ma è altrettanto noto che, se l’indipendenza della regione dai poteri forti che la circondavano (gli Asburgo, a nord e ad est, la Francia ed il Ducato di Borgogna ad ovest, Milano a sud) venne garantita dalla natura montagnosa del suolo – che ne faceva una preda poco appetibile sul piano economico e costosissima da conquistare e controllare sotto il profilo militare –, l’aggressività degli elvetici verso l’esterno fu l’espressione di una fortissima volontà politica comune, alimentata dal dato, ancora una volta prettamente economico e demografico, del rapporto sfavorevole tra una terra avara ed una popolazione in continuo aumento. La diffusa consapevolezza di questo dato di fatto sta all’origine della creazione di uno strumento di guerra particolarmente originale e temuto, il quadrato di picchieri, massa mastodontica e organizzata di uomini estesa per chilometri, che si muoveva senza un capo, capace di respingere gli attacchi ripetuti della cavalleria pesante e persino le piogge di frecce lanciate dagli arcieri, grazie alla siepe di picche lunghe tra i quattro ed i cinque metri e lo spirito comunitario dei fanti.

 

Geopolitica europea e mercenariato nel XV secolo

Nello scenario geopolitico europeo della seconda metà del XV secolo, fortemente polarizzato dall’espansionismo su larga scala del Regno di Francia, vittorioso nella Guerra dei Cento anni, la spettacolare forza d’urto del quadrato trovò alcuni lungimiranti imitatori – che addestrarono alla nuova tattica i propri sudditi –, tra cui Massimiliano d’Asburgo, ‘inventore’ dei Lanzichenecchi, e, più tardi, i capitani spagnoli impegnati nelle Guerre d’Italia (che organizzarono i propri uomini nella formazione più tardi detta tercio). Ma soprattutto trovò dei facoltosi arruolatori, disposti a pagare forti somme per ottenere i servigi dei fanti elvetici: il mercenariato, in un certo senso, risolveva il problema della scarsità delle risorse grazie al flusso costante di denaro dall’estero –infatti, tra i mercenari del tempo, gli svizzeri erano i più temibili quando le paghe tardavano –, soprattutto dal re di Francia, che non disponeva ancora di una buona fanteria e che pertanto, in questo settore, dipendeva in toto dai mercenari della Confederazione.

La battaglia di Marignano, acquaforte di Urs Graf, mercenario svizzero, 1521


Le Guerre d’Italia

Furono soprattutto le Guerre d’Italia, a partire dall’attacco mosso da Carlo VIII di Valois contro il Regno di Napoli (1494), ad alimentare la domanda di braccia per la guerra, con incommensurabili profitti per la Confederazione, cui tuttavia corrisposero anche non pochi inconvenienti. In primo luogo il reclutamento dei militari da parte degli emissari del re di Francia seguiva due binari. Il primo, legale, passava attraverso l’autorizzazione della Dieta e delle autorità cantonali, che fissavano il numero delle reclute, l’ammontare delle paghe, la durata e le condizioni del servizio. A prosperare era tuttavia soprattutto un diffuso arruolamento clandestino, grazie alla cooperazione tra gli agenti del Valois, coordinati dallo stesso ambasciatore francese presso la Dieta, ed una sterminata lista di notabili locali, cui la Francia versava cospicue pensioni perché chiudessero entrambi gli occhi sulla partenza ed il passaggio degli arruolati. Alla preoccupazione di ampi settori dell’opinione pubblica per la corruzione dilagante e per la delegittimazione di un’istituzione, la Dieta, che nel bene e nel male aveva garantito l’indipendenza dei Cantoni tanto dagli Asburgo quanto dai duchi di Borgogna, si unirono ben presto considerazioni di carattere etico e patriottico, dal momento che l’intensificarsi della competizione politico-militare nella Penisola italiana sottraeva alle comunità elvetiche i maschi più robusti ed intraprendenti per porli al servizio di potenze straniere, sulla cui amicizia dubitavano in molti. Quando poi i Valois, con la battaglia di Agnadello (1509), acquisirono le province, allora venete, di Bergamo e Brescia, il timore di venire circondati da una potenza già egemone in Italia settentrionale aprì la strada all’azione politica dell’emissario papale Matteo Schiner, vescovo di Sion e più tardi cardinale, che coinvolse i Cantoni nell’offensiva anti-francese orchestrata da papa Giulio II (la cosiddetta Lega Santa, 1 ottobre 1511), offrendo, quale ricompensa, la ghiotta preda di Milano e della sua cospicua produzione agricola.

 

La battaglia di Marignano: svolta o episodio?

Dunque l’ingresso della Confederazione nelle Guerre d’Italia come potenza belligerante rispose ad esigenze economiche e di sicurezza, che non mutarono dopo la battaglia di Marignano, ma che trovarono semplicemente una diversa risposta, anche in questo caso, militare e politica. L’atteggiamento di Francesco I verso la Dieta risultò, a partire dal 1515, molto più rispettoso di quello del predecessore Luigi XII, mentre il ritorno degli Sforza alla guida del Ducato di Milano (1522) e la sua successiva acquisizione da parte degli Asburgo (1535) riequilibrarono l’assetto dei poteri nell’arco alpino, spingendo gli svizzeri verso una neutralità orientata all’amicizia con la Francia. D’altra parte tutti i nuovi signori di Milano, a partire da Francesco I, furono molto scrupolosi nel mantenere intatti i privilegi di esportazione dei prodotti agricoli dalla Lombardia alla Svizzera, che garantirono un costante e abbondante afflusso di derrate senza pagamento di alcuna tassa o dazio (e nella quantità richiesta) e, con esso, la neutralità della Dieta.

Il che non impedì agli svizzeri, nonostante i dissidi interni per ragioni religiose che tuttavia non incrinarono mai la comune intesa verso l’esterno, di acquistare significative posizioni a spese dei vicini anche dopo Marignano – soprattutto a danno del Duca di Savoia che dovette cedere il Vaud al cantone di Berna e mollare la presa sull’evangelica Ginevra (marzo-aprile 1536) – e di preparare, protetti dall’alleanza con la Francia, spedizioni contro la Borgogna di Carlo V, che l’establishment asburgico evitò al prezzo di nuove concessioni di franchigie sui commerci di materie prime. In altre parole, anche dopo Marignano gli svizzeri realizzarono gli obiettivi condivisi a breve e lungo termine, ora attraverso la guerra, ora attraverso la neutralità, ad un costo molto inferiore di quello economico ed organizzativo necessario a mantenere una presenza stabile nel Ducato di Milano.

Francesco I durante la battaglia di Marignano Ignoto - André Castelot, François Ier, Perrin 1999

 

La fama dopo il “declino”

Certamente la battaglia di Marignano sancì il declino della supremazia militare del quadrato di picchieri, sempre più evidente a mano a mano che l’innovazione tecnologica perfezionava le artiglierie pesanti da campo, ma va pure detto che gli svizzeri combatterono in inferiorità numerica (rapporto 1:2) ed a restare impresse nella memoria dei testimoni dell’evento (e nel re avversario per primo) furono più che altro la straordinaria tenacia e disciplina di una truppa che aveva deciso autonomamente di attaccare, aveva resistito agli assalti della cavalleria ed ai vuoti aperti dal fuoco dei cannoni nemici, aveva dormito una notte all’addiaccio, per poi riattaccare il giorno dopo, sempre senza ricevere alcun ordine. Già a Cerignola, nel 1503, Consalvo di Cordoba aveva dimostrato che una palizzata ben difesa con armi da fuoco poteva frenare l’impeto dei giganteschi quadrati. Nella battaglia della Bicocca (1522) il copione si sarebbe ripetuto. A Ceresole d’Alba (1544) gli svizzeri e francesi di Re Francesco I sconfissero i quadrati di spagnoli e lanzichenecchi grazie all’uso combinato di archibugieri, picchieri e cavalieri pesanti, mentre nella famosa battaglia di San Quintino (1557) Emanuele Filiberto di Savoia avrebbe fatto ricorso alla sola cavalleria coordinata con l’artiglieria per annientare la fanteria in quadrato. La fama dei picchieri svizzeri, ed il prezzo del loro arruolamento, restarono nondimeno immutati.

Il cardinale Matteo Schiner di Sion, legato papale in Lombardia,
percorre a cavallo il campo di battaglia di Marignano incitando le truppe al combattimento

 

Riferimenti:


John McCormack, One Million Mercenaries. Swiss Soldiers in the Armies of the World, London, Leo Cooper 1993
Marco Pellegrini, Le guerre d’Italia 1491-1530, Bologna, il Mulino, 2009

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