Carlo Rovelli

  • Quando ti batti per la verità e vai in tribunale

    di Antonio Brusa

    ImmagineFonte La coincidenza è del tutto casuale, ma non per questo è meno significativa. “L’indice dei libri del mese” di aprile pubblica in primo piano un paginone sui falsi storici, curato da Giuseppe Sergi, mentre Carlo Rovelli ci informa che Sylvie Coyaud è stata citata in giudizio per aver osato denunciare la falsità di un prodotto miracoloso contro non so quale malattia. Sergi, nella sua presentazione - La serietà in tutte le storie - richiama il dovere dello storico di combattere per la verità, una parola che anni di decostruzionismo hanno reso difficile da pronunciare, ma che converrebbe inalberare sui nostri dipartimenti.

    Infatti, sta accadendo che la battaglia tende a precipitare dallo scontro delle idee (sale da sempre del progresso scientifico) allo shitstorm, come quello al quale è stato sottoposto Raoul Pupo, reo di aver fornito una ricostruzione scientifica della tragedia delle foibe. Sta accadendo che, a sostegno delle folle di insultatori da tastiera, vediamo schierarsi giunte regionali, e Pupo oggi rischierebbe un’accusa di negazionismo o di riduzionismo da parte delle giunte friulana e veneta. Scendono in campo anche i giudici, come rivela il caso di Sylvie Coyaud (ma noi, a Bari, abbiamo conosciuto un precedente, quando Raffaele Licinio venne citato in giudizio per aver manifestato la sua disapprovazione per un progetto fantastorico su Federico II).

    Certo, puoi uscirne indenne, come accadde a Licinio e come auguriamo a Coyaud. Ma intanto devi sottoporti al giudizio, agli avvocati, alle montagne di carte, alle udienze in tribunale. Un formidabile deterrente nelle mani dei ciarlatani, avverte Rovelli. Meglio tacere e non mettersi nei guai, dicono in molti, lasciando il campo libero ai mestatori di ogni disciplina.

    Affermare una verità scientifica, smantellare uno stereotipo è un dovere che comincia a costare. Scrive Rovelli che ci ha pensato due volte, prima di scrivere il suo articolo di denuncia. Siamo tutti, strenuamente, per la libertà di pensiero e di parola. Ma qui sta accadendo che qualcuno è più libero di altri, e chi lavora nel campo scientifico è molto meno protetto nel suo diritto di fare il proprio mestiere, di quanto non lo sia un ciarlatano.

    Così, avendo fatto parte del gruppo che Marina Gazzini ha raccolto per pubblicare Il falso e la storia, non so se esserne orgoglioso o se chiedere a chi mi legge di prepararsi a mandarmi le arance rituali.

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