Dante

  • Dante e la Germania. Molto rumore per nulla

    di Domenico Mugnolo

    01Fig.1: Arno Widmann, “giornalista radical chic” tedesco, e Dante, nell’accostamento del “Il Giornale”. Fonte La polemica su Dante

    È vero che, se proprio abbiamo bisogno di nemici, ci tocca cercarceli fuori. E a chi mai, più che ai tedeschi, calza il ruolo di nemico? Ed eccoti servito il nemico tedesco, tanto più che egli pare essere appartenente anche alla orribile categoria del “radical-chic” (da qualche parte nella tempesta che si è scatenata nei tre giorni scorsi devo averlo letto, ma non riesco a ritrovare chi ha tirato fuori la parola che si presta a mille usi, restando sempre priva di senso).

     

    La polemica sui giornali italiani

    Nella giornata dedicata a Dante, il 25 marzo 2021, un quotidiano tedesco, la “Frankfurter Rundschau” pubblica un articolo di Arno Widmann (Dante: die Guten ins Töpfchen, die Schlechten ins Tröpfchen, tradotto, suonerebbe più o meno: Dante: I buoni da una parte, i cattivi dell’altra). Nelle intenzioni dell’autore, è un omaggio a un poeta che è patrimonio dell’umanità intera, ma il quotidiano italiano “La Repubblica” (Dante, l’incredibile attacco dalla Germania: «Arrivista e plagiatore» di Rita Monaldi e Francesco Sorti) legge nelle parole dello “scrittore e giornalista” niente meno che un insulto a Dante e persino al nostro paese che lo celebra annualmente.

    Sulla scia di “Repubblica”, altri quotidiani italiani criticano aspramente Widmann. E, come spesso avviene quando in Italia si parla di Germania, l’attacco, che secondo me è tutt’altro che un attacco, viene presentato come l’opera non di un giornalista, di una singola persona, ma dell’intero paese: “dalla Germania”: uniti nella difesa dell’onore nazionale, giornali schierati di solito su fronti opporti: “La Repubblica”, “La Stampa” (“L’attacco che arriva dalla Germania: «Dante vale meno di Shakespeare, copiò tutto da un arabo», di Letizia Tortello), “Il Giornale” che attacca Roberto Saviano che osa prendere le difese di Widmann. Quel che è peggio è che nella polemica, a parte il ministro Franceschini (richiesto di un parere, egli ha, sì, citato correttamente: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, ma più giustamente avrebbe dovuto dire “Non ragioniam di voi…”), si sono lasciati trascinare oltre al direttore degli Uffizi Eike Schmidt, i professori Luca Serianni, Enrico Malato e Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca.

    Di Schmidt, Serianni, Malato e Marazzini mi permetto di dubitare che abbiano letto l’articolo su cui hanno tuttavia espresso un parere, fidandosi probabilmente di ciò che è stato loro riferito. Time is money e leggere costa tempo. Massima comprensione se non trovano il tempo, ma allora bisognerebbe astenersi dal commentare senza prima sapere: un’abitudine che nelle università un tempo si insegnava. Non avrei mai immaginato di ritrovarmi a dover difendere Roberto Saviano, che mi sembra sia uno dei pochi a essere intervenuto con cognizione di causa, attirandosi addosso le ire del “Giornale”.

     

    Arno Widman

    Avendolo letto, premetto senza tanti giri di parole che l’articolo mi è parso non certo il lavoro di uno studioso, di un dantista, ma di persona colta e lettore attento della Divina Commedia, sì. Senz’altro. I punti di vista dell’autore possono non essere condivisi, ma non sono mai offensivi e non ridimensionano in alcun caso l’importanza di Dante. Tutt’altro. Widmann legge l’opera di Dante nella sua epoca, fa delle ipotesi suggestive su alcune delle ambizioni e delle intenzioni che animarono l’autore e ne definisce infine alcune caratteristiche. Non essendo io un dantista, ma semplicemente un lettore di Dante (che però per mestiere si occupa di letteratura e di filologia), non posso, né voglio impegnarmi a discutere l’articolo su di un piano scientifico, ma mi limiterò a riferirne correttamente il contenuto, ampiamente travisato negli articoli apparsi sulla stampa italiana. Non capisco se per via di una – diciamo così - imperfetta traduzione o per una lettura frettolosa. In qualche caso, come ho già detto, mi permetto di dubitare che alcuni di coloro che sono intervenuti nella discussione abbiano letto di persona l’articolo.

     

    Che cosa scrive Widmann?

    I punti centrali del suo intervento sono i seguenti:

    • Implicitamente sfiora la questione dello sviluppo della nostra lingua, ricordando che per leggere la Commedia oggi abbiamo bisogno di un ricco apparato di note, per comprenderne e apprezzarne scelte lessicali e sintassi; di note abbiamo però bisogno, aggiunge Widmann, anche per via dell’altissimo livello filosofico-teologico del suo discorso. Ma la cosa straordinaria di Dante, sottolinea Widmann, è che per la Commedia si serva del volgare, dal momento che, per secoli ancora, sarebbe stato il latino la lingua obbligata per affrontare questioni filosofiche e teologiche.

    • La poesia d’amore italiana si sviluppa a partire da quella dei trovatori provenzali, i quali cantavano le lodi di una donna reale o immaginaria riuscendo, grazie anche alla musica con cui accompagnavano i loro versi, a risvegliare emozioni e sentimenti. Nella Commedia Dante canta Beatrice, di cui per inciso non sappiamo se sia davvero esistita, come già i trovatori avevano cantato una donna; lo fa però senza la stampella della musica, andando dunque oltre i trovatori e riuscendo, grazie al calore con cui servendosi delle sole parole descrive e rappresenta le emozioni, ad avvincere e commuovere i propri lettori.

    • Widmann ricorda la difesa a spada tratta, da parte di dantisti italiani, della originalità di Dante che l’arabista spagnolo Miguel Asin Palacios avrebbe messo in dubbio, ipotizzando una possibile conoscenza e utilizzazione da parte del poeta italiano del racconto del viaggio di Maometto dalla Mecca alla Moschea della Roccia di Gerusalemme e quindi al Cielo; da parte sua si chiede se in tal modo i dantisti non abbiano sottovalutato l’ambizione del poeta che, conoscendo quel testo, nella Commedia avrebbe probabilmente voluto, con il racconto del proprio viaggio, andare ben oltre il modello di Maometto. Riuscendoci, precisa Widmann.

    • Paolo e Francesca: data l’imperscrutabilità del giudizio divino, Dante, si legge nell’articolo, non sa, non può sapere come Dio abbia giudicato i due amanti, se li abbia perdonati o condannati alle pene dell’inferno; vuole però mostrarsi certo della condanna, per poter mettere in scena un sentimento umanissimo, anche se inaudito per il cristianesimo: la compassione per i dannati;

    • Nel poema dantesco si parla di Beatrice, ma non si fa alcun accenno alla moglie dell’autore e ai figli; la vita matrimoniale, osserva Widmann, non pare ancora avere dignità di presenza nella letteratura e occorrerà arrivare alla Riforma luterana per incominciare a vederne una rappresentazione letteraria; allo stesso modo Widmann sottolinea l’esclusiva presenza umana nel poema dantesco: flora e fauna ne sono assenti (se non, aggiungerei, come allegorie o simboli), così come sono assenti gli spazi interni: stanze, ecc. Non mi sembra che si possa leggere in tali osservazioni una critica.

    • Widmann tributa un omaggio alla immensa curiosità di Dante, il quale – scrive - la proietta su uno dei suoi personaggi, Ulisse, che vuole soddisfarla anche a costo di incontrare la morte (qui mi sia permesso aggiungere che una cinquantina di anni fa, con parole apparentemente irriverenti, ma icastiche, il poeta tedesco Karl Mickel tributava in un sonetto un omaggio alla curiosità, alla brama di conoscere di Dante: “Noch im Arsch des Teufels /
    Will Dante, was er wahrnimmt, wissen.”, traduzione: “Anche nel culo del diavolo / Vuol conoscere Dante quello che scorge”).

    • Widmann sottolinea che la relazione di viaggio di Marco Polo e la Commedia sono coevi. E mettendo in evidenza che l’una è interamente concentrata sulla vita e la realtà terrena, l’altra sull’al di là, invita a considerare e tenere nel dovuto conto questa contemporaneità, per evitare di attribuire all’epoca ciò che invece è del poeta: la sua ossessione religiosa;

    • Widmann fa scivolare l’osservazione che ha evitato di parlare dei conflitti fra Ghibellini e Guelfi, sulla condanna all’esilio, ecc. – questioni che considera probabilmente eventi certamente importanti nella biografia di Dante Alighieri, ma non decisivi per la concezione e la lettura della Commedia. In effetti Widmann è concentrato sugli aspetti compositivi della “Commedia”, non sui dati biografici del poeta.

    • L’ultimo è il punto più delicato perché è stato letto come segno della volontà di Widmann di stabilire un ordine gerarchico che vedrebbe al primo posto Shakespeare e al secondo Dante. Se fosse così, Widmann sarebbe uno stupido, più o meno quanto coloro che auspicherebbero un capovolgimento dell’ordine gerarchico, riservando così il primo posto a Dante, il secondo a Shakespeare. Tentare di stabilire, in questo come in altri casi, un ordine gerarchico in ambito letterario e artistico a me pare lo stigma della superficialità, della puerilità e dello sciovinismo. In verità, richiamando quel saggio dantesco (1929) nel quale Th. S. Eliot scrive che Dante si legge facilmente, Widmann osserva che la facilità postulata dal cattolico Eliot si basa su di un elemento: l’evidenza con cui nella Commedia i buoni vengono distinti dai malvagi. Tale evidenza, continua, manca di necessità nell’ “amorale” Shakespeare, nel cui pensiero e dunque nella cui opera tutto diventa molto più tortuoso e relativo.

    Ecco, sono queste le cose che ha scritto realmente Widmann. Anche il “Fatto quotidiano” (“Dante «arrivista e plagiatore»? Ecco cosa c’è scritto davvero sul giornale tedesco a cui ha risposto il ministro Franceschini”), che ha denunciato l’errore di “Repubblica”, “Stampa”, “Giornale”, non precisa quali siano gli errori di quei quotidiani, non espone la posizione di Widmann, ma si limita a contrapporre le prese di posizione di molti italiani che vivono in Germania e protestano contro i superficiali articoli apparsi sulla stampa italiana.
    Ora mi chiedo, dove sia il motivo dello scandalo. Forse soltanto nella incapacità di tanti giornalisti di leggere attentamente il testo di un loro collega straniero e nella pretesa di giudicare senza aver prima letto ciò di cui si parla.

  • Dante in camicia nera. Un caso esemplare di medievalismo politico.

    di Marco Brando

    Screenshot 2023 01 19 alle 12.37.05 Prima affermazione: «Ritengo che il fondatore del pensiero di destra in Italia sia Dante Alighieri, perché quella visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali che troviamo in lui, ma anche la sua costruzione politica in saggi diversi dalla Divina Commedia, è profondamente di destra».

    Seconda affermazione: «Il massimo poeta può dirsi a ragione l’antesignano dei grandi ideali che ora sono messi in essere dal Governo nazionale».

    Sono concetti espressi nell’ambito dello stesso discorso? In apparenza, sì. Invece non è così. La prima affermazione risale al 2023. La seconda al 1927. Insomma, le separano 96 anni. Eppure entrambe sono casi esemplari di medievalismo politico, basati sull’uso (e soprattutto sull’abuso) dell’eredità dantesca (per medievalismo si intende lo studio del processo continuo di creazione del Medioevo nella società post-medievale, in particolare quella dei nostri giorni). 

    Il ministro Gennaro Sangiuliano

    Non resta che svelare il mistero sulla paternità delle due affermazioni. La prima - che attribuisce all’Alighieri la responsabilità di avere fondato quasi 8 secoli fa, evidentemente a sua insaputa, «il pensiero di destra» - è stata fatta il 15 gennaio 2023 da Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura nel Governo Meloni, durante la kermesse milanese di FdI, partito erede del Msi post-fascista. Al di là delle polemiche scaturite giustamente a proposito dell'oggettivo strafalcione (da parecchi punti di vista: storico, cronologico, letterario, politico e via elencando), è utile ricordare che il ministro non è il primo, nell'ambito della destra italiana contemporanea, ad attribuire al Sommo poeta medievale, vissuto tra XIII e XIV secolo, responsabilità per scelte politiche fatte nei secoli XX e XXI. 

    Screenshot 2023 01 19 alle 12.26.05 Domenico Venturini, scrittore fascista

    È giunto, così, il momento per rivelare chi è stato l'artefice della seconda affermazione, quella in cui Dante è indicato come ispiratore, sempre a sua insaputa, del fascismo. Si chiamava Domenico Venturini; nel 1927 - in pieno Ventennio - firmò, nella collana Pubblicazioni d'opere per l'incremento della letteratura fascista, un libro intitolato Dante Alighieri e Benito Mussolini: 124 pagine edite da Nuova Italia. I titoli di alcuni capitoli si commentano da soli: Il Veltro esattissima figura allegorica del Duce Magnifico, L’esilio del Duce e l’esilio di Dante, La istituzione delle Corporazioni esistente ai tempi danteschi, II Duce riparatore, annunciato da Dante, individuato nel nostro Duce Magnifico. Il volumetto, accompagnato dalla prefazione di Amilcare Rossi, medaglia d’oro al Valor militare e presidente dell’Associazione nazionale combattenti, fu riproposto in una versione aggiornata, ampliata (ben 322 pagine) e rilegata nel 1932. Era un testo molto caro al regime, tanto che ebbe una diffusione vastissima e garantì al suo autore la nomina ad accademico d’Italia. 

    Il dantismo fascista

    Sicuramente Sangiuliano, quando ha evocato la paternità dantesca della cultura della destra attuale, ha espresso un giudizio che non è stato ispirato dalla lettura assidua del libro appena citato. Tuttavia, la curiosa coincidenza di vedute porta a supporre che il pensiero destrorso caro al ministro sia fondato, più o meno consapevolmente, sull’eredità di Venturini piuttosto che su quella di Alighieri. Vale dunque la pena di soffermarsi su altri passaggi del volumetto, per capire quali siano altri punti di vista espressi quasi un secolo fa e magari per essere pronti ad altre simili e ridondanti esternazioni nel 2023.

    Nell’introduzione dell’edizione del 1927 Venturini scrive che «tutte le manifestazioni, le idealità̀, le concezioni di grandezza patria, le nobili aspirazioni al ritorno della romanità̀, che integrano il vasto programma della nostra rinascita civile e morale, e che formano quel complesso di memorabili atti del Governo nazionale, atti che lasceranno una impronta indelebile del secolo di Mussolini, hanno il meraviglioso riscontro col pensiero del grande filosofo e poeta italiano, che con la poderosa produzione del suo privilegiatissimo ingegno, fu considerato il restauratore della nuova civiltà̀ europea». Nel concludere l’edizione del 1932, l’autore sentenzia: «Noi fascisti dobbiamo aver presente che Dante ha vagheggiato gli stessi ideali politici, morali, religiosi messi in essere dell'Era Fascista. [...] Il Massimo Poeta può̀ dirsi a ragione l’antesignano dei grandi ideali del Fascismo. [...] Non poteva certamente concepire e scrivere opere il cui contenuto etico e politico sarebbesi potuto riscontrare non consentaneo (conforme, ndr) ai grandi ideali del Fascismo. È doveroso quindi riguardare Dante, il profeta della Patria, l’anticipatore del Fascismo. La rinascita politica e morale voluta dal Duce è quella desiderata da Dante. [...] Ad majora, adunque, e sempre nel nome di Dante e nel nome del Duce Magnifico della nuova Italia». 

    FmdpIT0X0AY3Sqy Dante, profeta di Mussolini

    Non solo. Fra le altre esibizioni di certezze sul “fascismo dantesco”, in prima edizione - nel paragrafo Il Duce riparatore, annunciato da Dante, individuato nel Duce Magnifico - Venturini assicura che il titolo caro al dittatore «fu vaticinato dal sommo poeta, il quale appunto nel Dux voleva le virtù e le qualità che si ammirano in Benito Mussolini. [...] Nel canto XXXIII del Purgatorio, Beatrice enimmaticamente (sic!, ndr) dice a Dante che verrà̀ un Duce a vendicare gli oltraggi fatti alla profanata chiesa ed all’impero. Ecco le parole di Beatrice: “Io veggio certamente, e però il narro, / addurne (nella Divina Commedia in realtà si legge “a darne”, ndr) tempo già stelle propinque, / ….. nel quale un Cinquecento Dieci e Cinque, messo da Dio, anciderà la fuia, / e (“con” nella Commedia, ndr) quel gigante che con lei delinque”. È da sapersi che il numero romano DXV si è ge­neralmente interpretato DVX parola fatidica al nostro tempo. [...] Ora questo Messo da Dio ai tempi del poeta non venne mai, e perciò il vaticinio dantesco restò senza applicazione. Solo ai nostri tempi [...] la Provvidenza fece sorgere l’uomo che compì in breve spazio di tempo la gran­diosa riformagione delle cose d’Italia abbattendo ben altra fuja (Dante in realtà scrive “fuia”, intesa come meretrice, con riferimento alla curia papale corrotta, ndr) ed altro gigante che nel nostro caso (nel caso di Alighieri è la monarchia di Francia, ndr) possono essere figure del bolscevismo e della sua insana e perniciosa dottrina. [...] Il nuovo ordine di cose che si è svolto in Italia e l’avvento del Fascismo, sembrano sciogliere l’enimma (sic!, ndr) di Dante. Il DUX viene personificato in Mussolini, che appunto per inesplicabile combinazione fu denominato Dux». 

    Dante in camicia nera

    Di certo, l’accostamento tra Dante e Mussolini non è stato, durante il regime littorio, soltanto una fissazione di questo autore. Come scrive Stefano Jossa, docente di Letteratura italiana all’Università di Palermo, sul magazine online Doppiozero, la battuta del ministro Sangiuliano «ha una lunga storia, che si radica almeno in quel “Dante fascista” che nel corso del Ventennio si affermò progressivamente nell’immaginario di regime». Jossa cita, insieme al libro di Venturini, anche Dante, l’Impero e noi. Dalla Nuova Antologia di Emilio Bodrero (1931) e Dante e Mussolini di Tommaso Vitti (1934). Mentre Stefano Albertini, docente di Italiano alla New York University, nell’articolo Dante in camicia nera: uso e abuso del divino poeta nell'Italia fascista ha scritto nel 1996: «Durante il ventennio fascista non c'era discorso ufficiale, dal Duce all'ultimo direttore didattico, che al punto di ricordare le glorie patrie di questa stirpe di poeti, santi, eroi e navigatori non includesse in pole position il poeta fiorentino. Anche i libri di testo per le scuole elementari e persino i manuali di cultura fascista per le organizzazioni giovanili del regime includevano sempre un ritratto di un Dante pensoso e meditabondo accompagnato da didascalie celebrative e da brevi estratti da passi strategici della Commedia». 

    wefefwefwewewe Medievalismo politico

    È opportuno essere consapevoli del fatto che la strumentalizzazione politica di Dante durante il Ventennio è solo un aspetto dello sfruttamento del Medioevo, più o meno inventato, da parte di quel regime; un (ab)uso d’altra parte già diffuso nel XIX secolo in chiave risorgimentale e nell’Italia repubblicana del XX, a partire dagli anni Ottanta: l’esempio più lampante è l’evocazione della Lega lombarda e del mitico e mai esistito Alberto da Giussano, diventati pilastri identitari della Lega Nord di Umberto Bossi e, in parte, della Lega (senza Nord) di Matteo Salvini. Quindi Gennaro Sangiuliano, evocatore di Dante simpatizzante di Fratelli d’Italia (con quasi 8 secoli di anticipo), non dovrebbe sentirsi solo. Tuttavia, visto il ruolo di ministro della Cultura, ci saremmo aspettati un’analisi un po’ più originale. A Milano, prima di proporla, aveva premesso: «So di fare un’affermazione molto forte». In realtà, visti i numerosi precedenti in salsa mussoliniana, è stata soprattutto un’affermazione che appare prevedibile, disinformata e scontata.

     


     

    BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

    Stefano Albertini, Dante in camicia nera: uso e abuso del divino poeta nell'Italia fascista, in The Italianist, University of Reading, Reading (Regno Unito) 1996.

    AskaNews, Per il ministro sangiuliano il fondatore del pensiero di destra in Italia è Dante, in AskaNews.it, Milano 14 gennaio 2023.

    Emilio Bodrero, Dante, l’Impero e noi. Dalla Nuova Antologia - 16 maggio 1931, Società Nuova Antologia e Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, Roma-Milano 1931.

    Marco Brando, Il medievalismo, cioè il Medioevo (dopo il Medioevo) studiato dagli storici, in Treccani.it, Roma 11 luglio 2022.

    Stefano Jossa, Per Dante, svoltare a destra, in Doppiozero.com, Milano 16 gennaio 2023.

    Benito Mussolini, Messaggio dantesco (27 giugno 1932) - Discorsi, Scritti e Articoli, in Adamoli.org.

    Domenico Venturini, Dante Alighieri e Benito Mussolini, prima edizione, Nuova Italia, Firenze 1927.

    Domenico Venturini, Dante Alighieri e Benito Mussolini, seconda edizione, Nuova Italia, Firenze 1932.

    Tommaso Vitti, Dante e Mussolini, Tipografia Sociale Jacelli & Saccone, Caserta 1934.

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