grammatica della storia

  • Lezione 4b. Il manuale e l'alfabetizzazione storica

    di Antonio Brusa

    Negli anni ’80, il concetto di alfabetizzazione, proveniente dalle discipline linguistiche, comincia ad essere applicato anche alla storia. Apparentemente intuitivo (“saper leggere e scrivere”), il concetto di alfabetizzazione storica è oggetto di una serrata discussione, perché – per definirlo correttamente - occorre tenere conto di “che cosa uno legge” e “con quale abilità e profondità uno legge e scrive”. Di conseguenza, abbiamo vari tipi di alfabetizzazione (digitale, artistica, visiva, meccanica ecc.). Qui riporto la sintesi delle proposte che riguardano la storia, adattando lo schema elaborato da Marshall Maposa e Johan Wasserman nella loro rassegna: Conceptualising historical literacy: a review of the literature, in “Yesterday and Today”, dic. 2008.

     

     

    Dimensioni dell'alfabetizzazione storica Conoscenze fattuali, concetti e abilità relative all'alfabetizzazione storica In sintesi
    Conoscenze

    Eventi

    Narrazioni/Racconti/Visioni della storia

    La conoscenza degli eventi è la capacità degli studenti di ricordare eventi del passato. Per conoscenza delle narrazioni si intende il fatto se lo studente segua una grande narrazioni o più narrazioni. Questo concetto è sostenuto da Diane Ravitch e altri storici, difensori della necessità di possedere le “conoscenze indispensabili”.
    Comprensione dei concetti

    Tempo

    Cause e conseguenze

    Rilevanza

    Giudizio morale

    Cambiamento e continuità

    Empatia

    Il secondo punto di riferimento dell'alfabetizzazione storica è la comprensione concettuale storica. Questo punto è in gran parte basato sul lavoro di T. Haydn e T. Taylor. Questi concetti vengono chiamati “di secondo livello”, mentre di primo livello sono i concetti come Rivoluzione, Economia, Città, ecc. L’idea che si debba tenere conto anche dei giudizi morali è fortemente contestata da molti studiosi.
    Lavoro sulle fonti (metodo storico)

    Cercare notizie nelle fonti

    Corroborare

    Contestualizzare

    Analizzare

    Valutare

    Spiegare

    L'applicazione del metodo storico è il terzo parametro di riferimento dell'alfabetizzazione storica. Implica la capacità di lavorare con fonti storiche. In questo elenco si comprende il metodo euristico di Sam Wineburg, articolato in: ricerca delle notizie, confronto tra fonti diverse e la loro contestualizzazione. Gli altri tre sotto-obiettivi - analisi, valutazione e spiegazione - si basano sull'indice di alfabetizzazione storica di Taylor.
    Coscienza storica   La coscienza storica è la manifestazione di una piena alfabetizzazione storica. Se un allievo sa connettere ragionevolmente passato, presente e futuro, si può affermare che ha raggiunto questo obiettivo. Si basa sulla definizione di storia, elaborata da Jörn Rüsen come “intreccio complesso di passato interpretato, presente percepito e futuro atteso”.
    Linguaggio storico   La componente finale dell'alfabetizzazione storica è la comprensione e l'uso del linguaggio storico. La storia ha un linguaggio complesso. Questo, a sua volta, è fondato su tecnicismi e può essere correlato ad altre discipline come la matematica. (Wasserman e Maposa)

    Tab. 1. Dimensioni dell'alfabetizzazione storica

     

    L'alfabetizzazione storica e il manuale

    La complessità e la varietà delle dimensioni dell’alfabetizzazione storica mettono in evidenza le scarse possibilità didattiche del manuale, quando viene impiegato nel ruolo tradizionale di mediatore di oralità. Anche a considerare l’interrogazione orale come verifica delle conoscenze acquisite (piattaforma ineludibile dell’alfabetizzazione storica, secondo Diane Ravitch), questa non regge il confronto con molte altre forme di accertamento, di gran lunga più efficaci, come dimostrano decenni di ricerche docimologiche. Se poi riflettiamo sulle altre operazioni, come quella di connettere passato, presente e futuro, o di formare adeguatamente il concetto di causa, è difficile immaginare un racconto manualistico che abbia tale potere. Non basta, infatti, che si scriva qualcosa a proposito del rapporto fra passato e presente o che si elenchino le cause, ad esempio, della Rivoluzione francese, e che l’allievo le riferisca al professore perché si possa dire che “sa mettere in connessione i tempi della storia o sa individuare cause ed effetti degli avvenimenti”, per quanto si sia espresso a parole sue e con originalità. Per raggiungere questi livelli di alfabetizzazione occorrono altri strumenti e, per restare nel campo della scrittura, testi ed esercitazioni molto diversi da quelli solitamente offerti da un manuale. Allo stesso modo, se prendiamo in considerazione il pacchetto operativo prospettato da Sam Wineburg sui documenti, è evidente che i documenti riportati nei manuali, generalmente usati a illustrazione di un testo, non servono allo scopo e che bisognerebbe disporre di dossier adeguati che comprimono di molto la parte narrativa, oppure presuppongono modelli più simili a un’antologia documentaria (di questo si parlerà nella Lezione 7 del 19 marzo e in altre lezioni dedicate all’uso dei documenti).

    Il tema dell’alfabetizzazione storica sembra mettere fuori gioco l’uso tradizionale del manuale e richiede un profondo mutamento nella cultura didattica del docente, che gli permetta di individuarne altri usi.

     

    Alfabetizzazione storica: per molti o per pochi?

    Inoltre, se osserviamo la lista delle capacità operative da raggiungere, siamo obbligati a un altro genere di riflessioni. È evidente, infatti, che esse partono da un livello medio-alto di alfabetizzazione linguistica. Ad esempio, per la fase della “corroborazione” (ricavata dallo schema di Wineburg), occorre che l’allievo capisca a fondo il contenuto di due o più documenti, li sappia confrontare per individuare eventuali contraddizioni e valutarle. Se prendiamo per buona la metafora di Maposa e Wasserman, che l’alfabetizzazione storica è una casa a più piani, queste abilità si situano ai piani superiori, mentre una buona parte degli allievi razzola, a volte con fatica, a piano terra.

    Secondo Roger W. Bybee, uno studioso che si è occupato particolarmente dei problemi della comprensione dei testi scientifici, dobbiamo distinguere cinque livelli di alfabetizzazione. Ripropongo il suo schema in un mio adattamento alla storia (Bybee, R. W., Toward an Understanding of Scientific Literacy, in Comfort, K. (ed.), Advancing Standards for Science and Mathematics Education: Views From the Field, American Association for the Advancement of Science, Washington, DC 1999).

     

     

    Analfabetismo Non sa individuare cos’è importante e cosa secondario in un testo
    Alfabetizzazione nominale Conosce i termini ma non sa collegarli in un discorso scientifico
    Alfabetizzazione funzionale Usa il linguaggio scientifico, ma non si rende conto del suo significato; ha problemi di comprensione nei confronti di un testo complesso
    Alfabetizzazione concettuale e procedurale Pratica un uso dei testi e un lavoro sui documenti che richiedono una comprensione approfondita dei testi.
    Alfabetizzazione multidimensionale Sa connettere passato, presente e futuro, di conseguenza sa connettere il suo sapere storico con eventi, fatti e problemi che appartengono ad altri contesti, anche extrascolastici.

    Tab. 2. Livelli dell'alfabetizzazione storica

     

    Come si vede, ciò che la ricerca internazionale considera “alfabetizzazione storica” si situa nei due livelli più alti dell’alfabetizzazione (quelli concettuale e multidimensionale). Per contro, andrebbero considerati “analfabeti storici” allievi che, non sapendo distinguere ciò che è importante da ciò che è secondario, sottolineano tutte le parole di un testo (caso non infrequente anche fra studenti universitari). Infine, allievi che conoscono il significato dei singoli concetti, sanno i nomi di personaggi o date, ma hanno problemi nel connetterli in un discorso compiuto, andrebbero considerati “alfabeti nominali”, costretti come i loro colleghi più infelici a far ricorso alla memorizzazione per riferire quanto hanno studiato.

    È centrale, in questa tassonomia, il livello dell’alfabetizzazione funzionale, che descrive un soggetto in grado di capire testi complessi e di saper interagire con gli altri sulla base di questi. Questo è senz’altro il livello di un allievo che legge correntemente il manuale e ne sa discutere con gli altri, dentro e fuori la scuola. Non è, tuttavia, un livello facilmente raggiunto nelle nostre scuole. Lo denuncia, fin dagli anni ’60, il grande linguista Tullio De Mauro, il quale – in tempi più vicini a noi – rileva i rischi di questo deficit per una società democratica e moderna. Scrive che “pur con un titolo di studio e a distanza di anni dal suo conseguimento, l’analfabeta funzionale non comprende il senso di un testo, non si districa nel mondo digitale e dunque non sa orientarsi nel lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni sociali, nella gestione dei risparmi o nella tutela della salute. Non partecipa con sufficiente consapevolezza alla vita democratica” (Francesco Erbani, La lotta all’analfabetismo che l’Italia non deve dimenticare, in “Internazionale”, 10 febbraio 2020).

     

    Il manuale e l'alfabetizzazione funzionale

    I gradi dell’alfabetizzazione storica andrebbero, dunque, divisi in due categorie. I più alti potremmo chiamarli “sintattici”, perché richiedono nell’allievo capacità di connessione di conoscenze complesse e l’uso sofisticato dei “concetti di secondo livello” (tempo, spazio, causa ecc.). Per converso, i livelli bassi sarebbero quelli grammaticali, tesi a individuare e a lavorare con gli elementi basilari del discorso storico: i concetti di primo livello, come ambiente, città, economia, rivoluzione (ecc.), fatti, attori e problemi del racconto storico e le capacità più elementari relative ai concetti di secondo livello. Il manuale potrebbe svolgere il ruolo di cerniera fra questi due gradi. Il suo compito, in un procedimento complesso quale quello della formazione storica, potrebbe essere quello di avviare gli allievi ad una buona alfabetizzazione funzionale storica, che qui intenderò come “possesso di una grammatica della storia”. Questa permetterebbe il raggiungimento di un livello soddisfacente di alfabetizzazione funzionale, nel quale l’allievo capisca testi complessi e cominci a metterli in relazione fra di loro.

    Il ruolo del manuale sarebbe dunque limitato, ma necessario. Limitato, perché è lo strumento per mettere a punto solo una parte dell’alfabetizzazione storica: la conoscenza dei quadri storici generali (Ravitch) e la capacità di gestire sempre più autonomamente le questioni connesse con l’uso del linguaggio storico (Maposa e Wasserman). Necessario, perché, senza questa dotazione intellettuale, è difficile pensare che un soggetto possa districarsi nelle dimensioni alte dell’alfabetizzazione storica (Taylor, Seixas e Wineburg). Queste sarebbero praticabili con altri strumenti della cassetta degli attrezzi del docente, come i giochi, i laboratori, le escursioni di studio, i dibattiti, come si vedrà nelle lezioni successive, nelle quali si vedrà in che modo queste “abilità alte” possono essere praticate anche nei primi gradi dell’istruzione scolastica. (Su questo punto si consulti A. Brusa, La cassetta degli attrezzi dell’insegnante di storia, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1, 2021, dal quale è ricavato anche il paragrafo seguente).

     

    Il manuale/archivio e la grammatica della storia. Le 4R

    Lo scoglio dell’alfabetizzazione funzionale pone all’insegnante un dilemma difficile: prima comprendere il testo e dopo formare il pensiero storico? oppure cercare quelle operazioni che siano, al tempo stesso, utili per l’educazione linguistica e specifiche della formazione storica?

    La prima scelta si traduce in un modello di lavoro nel quale il docente si affanna a spiegare il testo, a volte parola per parola. Ma, poiché questa attività assorbe tempo ed energie, trascura di fatto la formazione storica. Oppure, nei casi più virtuosi, nell’applicare al manuale sistemi aggiornati di addestramento alla comprensione dei testi. Sistemi efficaci dal punto di vista linguistico, che però lasciano scoperta la questione specifica della storia.

    Un modo per praticare la seconda opzione (fare educazione linguistica e storica insieme) è di adottare una concezione diversa del manuale: quella del “manuale archivio”. In pratica, si considera il manuale al grado zero della comunicazione, cioè come un mero contenitore di conoscenze sul passato (almeno nelle fasi iniziali della formazione). In un archivio si ricerca: dunque, il manuale diventerà un luogo dove l’allievo sperimenta le sue prime ricerche e, contemporaneamente, impara a impratichirsi nelle questioni testuali. Questo approccio consente una grande duttilità didattica. Si può partire con ricerche che non presuppongano la comprensione del testo (per esempio: cercare in un brano determinato “le parole” che si riferiscono agli strumenti, o ai mestieri) e, man mano, incrementare la difficoltà della consegna. Se si chiede all’allievo di cercare ciò che si riferisce all’ambiente, alla città, al potere o all’economia (parole o intere frasi) sarà probabilmente necessario elaborare una griglia di ricerca, dal momento che l’allievo non ha una visione analitica di questi concetti. La condizione di queste attività è che l’allievo sia in grado di espletarle da solo.

    Al manuale si rivolgono domande sempre più complesse e ci si spinge, contemporaneamente, verso un’autonomia sempre più pronunciata. Al principio si indicano i brani (e a volte è necessario le righe) da leggere, poi si passa ai paragrafi, ai capitoli. Al principio non si richiede la comprensione preventiva del testo. Questa, invece, sarà necessaria quando le domande di ricerca diventano più serie, legate a problemi (“vogliamo capire la natura dell’annessione all’Italia del Regno delle due Sicilie”, “i motivi della sconfitta di Hitler”, “come funzionava l’economia di un villaggio medievale” ecc.). Da una parte, quindi, abbiamo un allievo che tratta porzioni sempre più vaste del manuale; dall’altra, un insegnante che conosce il manuale talmente bene, da lanciare il proprio allievo in ricerche realizzabili al suo interno. E, conseguentemente, preferisce manuali che gli consentano una grande varietà di ricerche.

    Fin dai primi passi, si invitano gli allievi a rielaborare: cioè a lavorare sul risultato della ricerca. Anche se questa ha prodotto soltanto una breve lista di parole (per esempio, gli strumenti usati in una determinata società), ci si può comunque lavorare: classificarle, metterle in relazione, in ordine di importanza, chiedersi in che modo quegli strumenti siano stati fabbricati o a che cosa servissero. Ogni operazione genera domande che potrebbero aver bisogno di conferme o di approfondimenti. L’insegnante coglie l’occasione per far rileggere. Invita gli allievi a tornare sul libro e li guida a cercare nuove informazioni (“in questo brano c’è la risposta alla nostra domanda: prova a cercarla”). Il manuale-archivio, quindi, diventa una risorsa che si consulta a più riprese. Alla fine di una unità di lavoro, si guidano gli allievi a ricostruire in modo sensato ciò che si è trovato: scrivere un testo o produrre uno schema che sintetizzi il lavoro svolto. Si tratterà di brevi testi, al principio del tutto inadeguati in confronto alla complessità e alla completezza del testo manualistico: ma questa rinuncia è la condizione perché l’allievo compia da solo le operazioni richieste, se ne impadronisca e giunga gradatamente alla lettura e alla costruzione autonome di testi di senso, che diano conto di questa complessità.

    Potremmo chiamare questa la strategia – di smontaggio e rimontaggio del manuale – le 4R

    Ricercare, Rielaborare e Rileggere, Ricostruire.

    Il suo obiettivo è quello dell’uso autonomo del manuale. Leggere e studiare quello che l’insegnante ha spiegato, e solo quello, è un modo certo per far regredire i propri allievi, privandoli della capacità di camminare senza dipendere da un aiuto esterno. Questo, dunque, potrebbe diventare il manuale: il luogo dove l’allievo impara a muoversi in un contesto storiografico per così dire “recintato”; e, a questa condizione, questo strumento potrebbe riprendere quella sua indispensabilità della quale Jörn Rüsen parlava negli anni ’80 (la descrizione dettagliata di questa procedura didattica si trova nel mio Guida al manuale di storia, Editori Riuniti, Roma 1986).

     

    Grammatica e sintassi nel curricolo verticale

    Questa “grammatica della storia” è preliminare ad una conoscenza sintattica adulta e quindi all’alfabetizzazione storica. In un ideale curricolo verticale – dalla primaria fino alla secondaria di secondo grado - “grammatica” e “sintassi” si dovrebbero assegnare a precisi gradi di scolarità. Nella situazione reale, invece, nella quale non esistono connessioni efficaci fra un insegnante e il suo successore, sia che si tratti del passaggio da un anno all’altro, sia che da un grado di scolarità si passi al successivo, ogni insegnante si troverà costretto a partire dal grado zero grammaticale, quando accoglie per la prima volta una determinata classe. Questa opzione è possibile fino al termine della secondaria di primo grado. Dopo è molto più complicata. Allievi adolescenti accettano con difficoltà (comprensibilmente) di lavorare su aspetti così elementari della formazione storica e linguistica e, con ogni probabilità, sarebbero più attratti dalle operazioni sintattiche. Converrà agire su diversi livelli, sia proponendo loro testi che non presentino grandi difficoltà di comprensione, sia proponendo loro temi e problemi che accettano come importanti. Catturati dalla storia, è possibile che decidano autonomamente di “fare un passo indietro” e si convincano che è vitale impratichirsi in questa sorta di grammatica della storia. Con gli allievi adulti (fine della secondaria superiore e università) sarebbe possibile, invece, proporre il discorso formale della comprensione e dell’uso del manuale, e invitare gli studenti a metterlo in pratica autonomamente.

     

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