guerra ucraina

  • Come la televisione russa mostra la guerra in Ucraina

    Fabio De Leonardis

    01Fig. 1 - Dmitrij KiselëvNotizie della settimana. Una trasmissione molto popolare

    Per condurre questa breve panoramica, si è scelto di concentrarsi in particolare su una trasmissione estremamente popolare del canale statale Rossija-1, ossia Vesti nedeli (“Notizie della settimana”), condotta dal noto giornalista e documentarista Dmitrij Kiselëv, già direttore del gruppo mediatico Rossija Segodnja (Russia oggi) e considerata uno dei pilastri mediatici del putinismo, tanto da essere accusata dal noto oppositore Aleksej Naval’nyj di essere “fatta di sole bugie”. La trasmissione va in onda ogni domenica sera alle 20 da settembre all’inizio di luglio e dura tra le due ore e mezza e le tre ore. Secondo la fondazione russa “Opinione Pubblica” (FOM), il 61% dei russi guarda la televisione ogni giorno, e il 24% considera questa trasmissione “il miglior programma di approfondimento”. In base ai dati del sito Mediascope.net, nella prima settimana di aprile la trasmissione Vesti nedeli è stata la terza più vista nella regione di Mosca, con il 19,4% dello share. Si tratta quindi di una trasmissione assai rappresentativa dei media di stato russi, sia in termini di contenuti che di ricezione. Si è scelto di concentrarsi sulla puntata del 3 aprile 2022; in quella data non era ancora stata scoperta la portata delle uccisioni avvenute a Buča, quindi si trattava di una giornata senza eventi troppo eclatanti, suscettibili di rendere la trasmissione “eccessiva”.

    02Fig. 2 - “La nostra causa è giusta”La Grande guerra patriottica

    La puntata si apre con il titolo di apertura “La nostra causa è giusta”, citazione dal discorso di guerra di Stalin del 6 novembre 1941. Poiché la “Grande guerra patriottica”, come viene chiamata in Russia la guerra contro gli invasori nazifascisti del 1941-45, ha rimpiazzato la Rivoluzione d’Ottobre come mito fondativo dello stato (al punto che la narrazione di quell’evento è intoccabile, e l’“offesa all’onore e ai veterani” costituisce un reato penale), e considerata la notorietà di quel discorso, il pubblico è immediatamente portato ad associare l’attuale conflitto come una sorta di proseguimento di quell’evento; nell’introduzione si prosegue mostrando immagini di atrocità verso la popolazione civile sovietica da parte degli occupanti, mantenendo in primo piano la scritta “Gli eredi”, che suggerisce una filiazione diretta dei combattenti ucraini di oggi dagli invasori e dai collaborazionisti di ieri.

    03Fig. 3 - I sondaggi sul gradimento dell’operato di PutinIl soldato russo, ‘eroe normale’

    Il presentatore Dmitrij Kiselëv appare presentando dei sondaggi dell’istituto VCIOM che riportano una sostanziale crescita dell’approvazione del pubblico nei confronti dell’operato del presidente Putin da quando è iniziata l’“operazione speciale” in Ucraina (com’è noto, il termine “guerra” non è utilizzato, anche perché sanzionabile). Non vi sono, né vi saranno ospiti in trasmissione: il flusso narrativo è unificato e procede in maniera unidirezionale dal conduttore al pubblico. Si comincia con un reportage dalla regione di Lugansk (Luhans’k) in cui vengono mostrate immagini di combattimenti a distanza tra i miliziani della LNR (la Repubblica Popolare di Lugansk) e “i neonazisti di oggi, compresi alcuni mercenari”; si vedono immagini di distruzioni apportate dall’esercito ucraino, ma la maggior parte del video si concentra sull’attività dei miliziani e dei militari russi, mostrata come se fosse una sorta di lavoro, una quotidianità della guerra in cui tuttavia non si vedono vittime né distruzioni: l’impressione è quella di un “lavoro eroico” apparentemente privo di retorica, ma che proprio per questo permette una maggiore identificazione con il pubblico.

    “I russi non abbandonano la loro gente”

    Specularmente rispetto a quanto viene mostrato sulla tv italiana, vengono poi mostrate immagini di civili nei territori “liberati”, dalle cui testimonianze emergono svariate atrocità attribuite al battaglione Aidar: stupri, torture, violenze e assassinii. Vengono inoltre mandate in onda immagini ad alto tasso emotivo di distruzione di centri abitati e di profughi in fuga, e alcuni abitanti di queste località, intervistati, ringraziano i militari russi di averli “salvati”. Sono mostrate, alla fine del reportage, le immagini di contadini che arano i loro campi con dei trattori, a simboleggiare il ritorno alla normalità reso possibile dall’arrivo dei “salvatori”; viene anche sottolineato come prima dell’aratura i militari della LNR abbiano “ripulito” i campi dalle mine e dai proiettili inesplosi con l’aiuto dei soldati russi (si vedono i mezzi militari con le Z in bella mostra, mentre svolgono questo lavoro); un ufficiale della LNR commenta che “i russi non abbandonano la loro gente” (anche questa è una citazione facilmente riconoscibile dal film sovietico La tenda rossa del 1969, ripresa più di recente dal popolarissimo noir russo Il fratello grande 2 del 2000). Si passa poi a Mariupol’, dove un’ex guardia carceraria mostra una camera delle torture, e si mostrano immagini di estese distruzioni attribuite al reggimento Azov, con alcuni abitanti intervistati che spiegano di essere stati usati come “scudi umani”. Sono mostrati poi gli ex uffici dei servizi segreti ucraini, dove la telecamera indulge a lungo sulla bandiera dell’organizzazione neofascista Pravyj Sektor appesa al muro, a dimostrare la collusione dell’estrema destra con le istituzioni dello Stato ucraino. Scorrono poi le immagini del presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov mentre visita un ospedale con dei feriti e ispeziona le sue truppe al fronte e le immagini del bombardamento del deposito di idrocarburi di Belgorod effettuato (si presume) dall’aviazione ucraina, a seguito del bombardamento di analoghe strutture a Kremenščuk, presentato come una risposta diretta al primo. Segue una dettagliata lista di obiettivi militari distrutti da parte del portavoce del Ministero della Difesa Kanašenkov.

    Kiselëv parla poi dei negoziati, presentandoli come frutto del successo dell’operazione speciale, e indugia sul fatto che l’Ucraina sia stata costretta a fare concessioni, mentre la Russia rimane ferma sulle suo posizioni. Il riassunto delle trattative è affidato al capo negoziatore Vladimir Medinskij, il quale è inquadrato in modo che accanto al suo volto figuri la foto del presidente Putin da un lato e della bandiera russa dall’altro. Viene poi dato spazio alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Lavrov, il quale spiega come a muovere la Russia siano state necessità di sicurezza vitali per il paese.

    I paralleli con la Grande Guerra Patriottica, l’enfasi sul “lavoro quotidiano” dei soldati, sull’eroismo di ogni giorno e sul ritorno al lavoro sembrano suggerire l’intenzione autoriale di far risuonare corde ben note nel pubblico più anziano (assai numeroso in Russia), ridestando la memoria dell’URSS e stabilendo una continuità narrativa rispetto a quel passato mirante a rassicurare il pubblico.

    Nelle immagini del reportage successivo, relativo al conflitto nel resto del paese, vengono mostrate immagini del lancio di razzi che colpiscono obiettivi visti attraverso il mirino, a sottolineare il carattere “chirurgico” degli attacchi; laddove vengono mostrate immagini di distruzione, mancano però dalla immagini le vittime umane di queste operazioni, mostrate sempre a debita distanza (il che ricorda le modalità di rappresentazione della Guerra del Golfo del 1991).

    “L’Occidente è imprevedibile”

    Kiselëv passa poi ad elencare tutte le misure prese dagli “ex-partner” occidentali contro la Russia, e di come “in spregio ad ogni decenza” questi si apprestino a metterne in campo altre, dando la parola direttamente alle dichiarazioni ufficiali di Putin, il quale presenta le sanzioni come qualcosa che sarebbe stato imposto indipendentemente dalle azioni della Russia, e miranti a colpire il loro “diritto ad essere indipendenti, il diritto ad essere la Russia”. “L’Occidente è imprevedibile”, sottolinea il conduttore, che spiega quindi la scelta di imporre l’uso del rublo per i pagamenti come una misura di difesa della sovranità e degli interessi nazionali. Sul fatto che le sanzioni danneggino anche i paesi UE viene ridata la parola a Putin, il quale accusa i governi europei di non tener conto degli interessi dei loro stessi cittadini, preferendo servire “il loro padrone oltreoceano” e costringendo la popolazione a “patire il freddo e mangiare meno, in nome della solidarietà atlantica”. Il conduttore aggiunge che tali scelte da parte dei paesi NATO porteranno alla crescita dell’inflazione e a una crisi economica internazionale, lasciando alla fame le popolazioni dei paesi più poveri e accrescendo le diseguaglianze. Fa da contrappeso la rassicurazione sul fatto che il valore del rublo sarà ristabilito e i prezzi caleranno, perché “il paese funziona”.

    04Fig. 4 - Il cancelliere Scholz contestato a un comizio “Prendi questa, Putin”. La russofobia europea

    Per illustrare quanto affermato, si mostrano immagini di un comizio di Olaf Scholz in cui il cancelliere tedesco viene contestato dal pubblico, accompagnate dal commento che “in Germania sono stati chiusi tutti i media di opposizione e quest’ultima è stata schiacciata: questa è la democrazia”; seguono le immagini del premier polacco Morawiecki, uno di coloro che “premono sul cancelliere tedesco” e che ora è “raggiante perché la russofobia polacca è finalmente diventata mainstream”. Il conduttore suggerisce che la Germania sia vittima delle macchinazioni del nazionalismo polacco, desideroso di vendicare i torti subiti nel passato. Seguono le dichiarazioni del presidente della Lituania Gitanas Nauseda, accompagnate dalla spiegazione del fatto che, nonostante le promesse di Biden di sostituire le importazioni di gas russo con quelle americane, la mancanza di un numero sufficiente di rigassificatori condanna altri paesi che invece non possono permettersi di restare senza carburante, come l’Austria, la Slovacchia e l’Ungheria. Ampio spazio è dato a un discorso di Viktor Orbán in cui quest’ultimo spiega come tale scenario rappresenti la fine dell’economia ungherese, mostrando così le divisioni interne alla UE e quelle in seno al gruppo dei paesi di Višegrad. Partono poi immagini dalla Gran Bretagna, commentando che la riduzione delle importazioni di gas provocherà un impoverimento di massa tra la popolazione di quel paese. Fra le dichiarazioni di vari politici, viene dato ampio risalto a quello della commissaria UE alla concorrenza Margareth Werstager, la quale consiglia di usare meno acqua calda e afferma che ogni volta che si spegne l’acqua quando si fa la doccia bisognerebbe dire “Prendi questa, Putin!”. Il corrispondente ironizza sul fatto che si possa fare lo stesso con la benzina e con gli alimenti, ma ciò non salverà la grande produzione industriale energivora: a sostegno di questa affermazione, vengono riportate le testimonianze di diverse personalità tedesche del settore.

    05Fig. 5 - La preoccupazione degli industriali tedeschiKiselëv poi si sofferma sulla “battaglia delle lettere”, ossia sul fatto che in Occidente la lettera Z e la V state fatte oggetto di ostracismo per la loro associazione con l’intervento russo in Ucraina, e dopo aver riportato le battute su Twitter di un diplomatico cinese, ironizza sul fatto che esse siano anche le iniziali del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, che così dovrebbe ribattezzarsi Ladimir Elenskij (viene usata la trascrizione del nome dal russo, anziché dall’ucraino). “La realtà – spiega Kiselëv – è un’altra cosa”, lanciando un altro reportage dal teatro di guerra.

     

     

    06Fig. 6 - Le distruzioni non vengono occultate, ma non si vedono mai cadaveriMariupol’

    Compaiono qui le immagini spettrali di una Mariupol’ semidistrutta nella quale si aggirano i due corrispondenti. Questi incontrano alcuni militari russi con delle armi “trofeo di guerra”, tra le quali il grosso è costituito da materiale di produzione statunitense, su cui la telecamera indugia a lungo. La distruzione è attribuita ai combattenti ucraini, identificati come “il reggimento nazista Azov” i quali pur di non arrendersi avrebbero costretto la città a patirne le conseguenze. Un soldato testimonia che questi miliziani spesso si travestono da civili, e che i militari russi quindi sono costretti a “filtrare” tutte le persone che incontrano. Sono mostrate inoltre le immagini dall’alto del complesso industriale Azovstal’, dove il reggimento Azov si è asserragliato, contrapposte a quelle dell’ex mercato di Mariupol’ in cui si aggirano civili in cerca di cibo. Alla domanda su come mai li lascino girare indisturbati, uno dei soldati commenta: “al posto loro noi cosa faremmo? Sono civili pacifici”. Sono inoltre mostrate le immagini di un’officina “per la preparazione rapida di bare”, sottolineando che le perdite sono elevate. Sono poi mostrati dei carri armati, “forza principale per la liberazione di Mariupol’”. Il racconto prosegue spiegando che nelle prime settimane del conflitto sono stati fatti prigionieri molti ufficiali ucraini, mentre ora è il turno dei soldati semplici. Ne viene brevemente intervistato uno, che si riferisce ai russi come “i nostri/vostri”, e il quale racconta che i miliziani del reggimento Azov li avevano arruolati con la forza costringendoli a combattere nelle proprie fila, e di come lui si sia arreso dopo la morte di alcuni dei suoi commilitoni. L’inviato spiega come molti prigionieri diventino un sostegno per le truppe della Repubblica Popolare di Doneck/Donec’k (DNR), per le quali svolgono lavori ausiliari, e ne intervista un gruppo, chiedendo loro come li trattino i militari russi: “non vi picchiano?” “no, ci trattano bene”, rispondono tutti. Di uno di loro riferisce un militare che “non lo scambieremo con i nostri prigionieri, perché vuole combattere insieme a noi, è uno dei nostri”. In generale, a differenza da quanto vediamo sui media occidentali, non vengono mai mostrati cadaveri, mentre tutto il reportage suggerisce l’umanità dei militari russi e la benevolenza, ricambiata, verso i civili. Le distruzioni non sono negate, ma la responsabilità è attribuita alla controparte.

    07Fig. 7 - Prigionieri di guerra ucraini. “Non vi picchiano?” “No, ci trattano bene”.L’‘Ucraina nazista’

    Terminato il reportage dalla DNR, Kiselëv spiega che per gli uomini ucraini dai 18 ai 60 anni su ordine del presidente è stato vietato lasciare il paese, ma molti cercano comunque di scappare, e che già fiorisce un business in cui la fuga in Occidente costa dai due ai diecimila dollari. Segue un altro reportage dall’Ucraina in cui si mostrano dei bambini che, messisi in riga, ripetono il saluto dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera, ora saluto ufficiale delle forze armate ucraine, “Gloria all’Ucraina / Gloria agli eroi”; si specifica inoltre che i bambini stanno imparando a riconoscere “i loro” chiedendo ai passanti di pronunciare uno shibboleth, la parola ucraina poljanica. Vengono poi mostrati roghi di libri russi “una tradizione nazionalista”, e la cacciata di un pope ortodosso del patriarcato di Mosca da una chiesa; si parla di come a un consolato sloveno sia stato imposto di ammainare la propria bandiera, perché il tricolore ricordava quello russo; vengono poi mostrate le immagini della “tournée” di Zelens’kyj in diversi parlamenti, in cui il presidente ucraino “senza vergogna bolla sempre più paesi come nemici” e “prende a calci chi rifiuta di applicare sanzioni alla Russia e di fornirgli armi”, arrivando ad accusare persino gli USA. Mentre scorrono le immagini dell’incontro tra la neopresidente del Parlamento Europeo Metsola e Zelens’kyj, l’inviato fa notare come non vi siano riprese all’esterno, insinuando che in realtà tali incontri non avvengano a Kiev. Vengono poi mostrate le immagini di un “colonnello” ucraino arrestato dai suoi durante “un’orgia con un travestito” e quelle di un supermercato, dove una voce fuori campo afferma che un prodotto lì in vendita è probabilmente arrivato lì in origine come aiuto umanitario. Seguono le immagini di militari ucraini che escono da un’ambulanza, a suggerire come le ambulanze vengano utilizzate in maniera impropria.

    La ‘guerra gentile’ dei russi

    08.jpgFig. 8 - Soldato russo chiede alla padrona di casa di poter entrare per cercare eventuali militari ucraini nascosti

    Parte poi un’ulteriore reportage dal “settore meridionale” in cui viene mostrata un’operazione speciale dei militari russi per verificare la presenza o meno di militari ucraini in una casa. Viene qui sottolineato come i militari entrino in un edificio “con estrema gentilezza”, chiedendo il permesso alla padrona di casa, ma poi trovandovi nascosti tre militari travestiti da civili che “preparavano un attentato”: le successive immagini di interrogatorio e di uomini armati impegnati nella ricerca di armi ricordano quelle di un film d’azione, genere assai popolare in Russia, e il corrispondente chiude spiegando che è “in questo che consiste la smilitarizzazione”.  l servizio successivo viene mostrata una folla di civili a cui i militari russi distribuiscono generi alimentari, commentando che “molti civili si rivolgono alle nostre truppe chiedendo aiuto: i negozi ci sono, ma non ci sono soldi”, perché “le autorità di Kiev non pagano pensioni e stipendi, come da tempo fanno con il Donbass”. Commenta un soldato sul finale, che “occorre sempre restare umani”.

    09Fig. 9 - Civili ucraini in attesa degli aiuti alimentari forniti dai russi

    Bandera, eroe nazionale ucraino

    Nella parte successiva, Kiselëv la mette sul piano storico: mostra alcune immagini di documenti ricavati da archivi aperti di recente da cui emergerebbero nuovi dettagli sulle stragi, gli stupri e le ruberie compiute dai nazionalisti ucraini negli anni della Grande Guerra Patriottica, e su cui il presentatore indugia aggiungendo che gli eredi di Bandera (che combatté coi nazisti e contro i sovietici) abbiano ereditato dai loro predecessori tutto il peggio e si comportino allo stesso modo: “gente così va annientata o processata. È in questo che consiste la denazificazione”. Segue un servizio del caporedattore del canale Istorija Denisov, il quale racconta le origini e l’evoluzione ideologica del nazionalismo ucraino. Denisov mostra un libro per bambini riccamente illustrato dedicato all’attività dell’UPA, l’organizzazione paramilitare nazionalista ucraina attiva fra il 1942 e il 1949, di cui faceva parte anche l’organizzazione di Bandera, che ne costituiva l’elemento principale, denunciando come nelle scuole ucraine venga portato avanti un vero e proprio lavaggio del cervello; un altro storico, Bogdan Bezpal’ko, nota come il nazionalismo ucraino banderista abbia un carattere “quasi religioso”, e che esso produce “un esercito di zombi”; si fa poi riferimento al film polacco Wolyn, in cui viene dato molto spazio alle atrocità commesse dall’UPA in Polonia, paese che pure – sottolinea il conduttore - ha sostenuto e sostiene l’Ucraina post-Majdan, e di come questa pellicola sia stata messa al bando in Ucraina. Viene inoltre citata l’opera di uno storico polacco, Aleksander Korman, il quale accusa l’UPA di genocidio, documentandone le atrocità con diverse prove fotografiche. Dopo aver descritto nel dettaglio le atrocità inflitte dall’UPA alle sue vittime, la voce fuori campo ricorda come il fondatore dell’UPA Roman Šuchevič, ucciso nel 1950 dai servizi sovietici, sia stato riabilitato e decorato post-mortem col titolo di “Eroe dell’Ucraina” nel 2007. Viene poi riportata la vicenda della collaborazione tra l’UPA e il regime hitleriano nel corso dell’invasione dell’URSS, in particolare i pogrom da questi attuati a Leopoli nel luglio del 1941; si ricorda successivamente il caso dell’eccidio di Chatyn’, e si sottolinea come la responsabilità di quest’ultimo, che l’URSS aveva attribuito ai soli tedeschi, fosse in realtà condivisa con le SS locali, una delle quali, Hrihoriy Vasiura, riuscì a lungo a nascondere il proprio passato prima di essere scoperto, processato e fucilato nel 1986. Viene sottolineato che i dettagli del processo non furono resi pubblici per intervento dell’ex segretario del PC ucraino Ščerbic’kyj, il quale chiese di non far trapelare informazioni sulla partecipazione dei nazionalisti ucraini ai massacri onde evitare di esacerbare i rapporti interetnici.

    10Fig- 10 - Un libro illustrato per bambini sull’UPAUna guerra senza cadaveri

    In generale, nella rappresentazione mediatica del conflitto si nota come lo Stato ucraino e i suoi rappresentanti, ad eccezione della breve parte in cui viene mostrata quella che viene sprezzantemente definita “la tournée” di Zelens’kyj, sia assente: il “nemico” viene individuato a più riprese nei reggimenti di neonazisti Azov e Aidar; i soldati russi sono mostrati come “eroi del quotidiano” dotati di umanità e comprensione, mentre i civili sono vittime innocenti che accettano di buon grado l’aiuto dei russi. Sono totalmente assenti le immagini truculente dei cadaveri a cui ci hanno abituati i nostri media, e laddove vengono mostrate immagini di repertorio della Seconda guerra mondiale, i dettagli più scabrosi sono offuscati. La narrazione è univoca e onnicomprensiva, non c’è spazio per alcun dubbio o dibattito: dopo che i vari servizi dal fronte hanno stabilito che le cose stanno come descritto, e dopo aver spiegato che le sanzioni sono inefficaci e sono solo il frutto dell’inimicizia americana nei confronti della Russia, il lungo excursus storico sottrae alla controparte ucraina ogni legittimità, riducendola esclusivamente al (certamente deprecabile) nazionalismo di stampo banderista. Non vi è spazio per una narrazione che renda conto di altre forme di nazionalismo ucraino di diverso orientamento politico pure esistenti (ancorché oggi marginalizzate), né vi è spazio per un excursus storico sul formarsi dell’Ucraina come comunità immaginata politico-culturale. In sostanza, tutta la trasmissione sembra orientata a sostanziare le affermazioni fatte da Putin nel discorso di cui vengono riportati alcuni passaggi. L’effetto emotivo sul pubblico è quello da un lato di spaventarlo, mostrando un’Ucraina ridotta a un covo di banderisti e una UE inaffidabile totalmente alla mercé di un America guerrafondaia, dall’altro quello di rassicurarlo sul fatto che il presidente e l’esercito se ne stanno occupando e stanno risolvendo il problema. Se sui media italiani e occidentali in generale prevalgono le immagini di distruzione e di brutalità, finalizzate a smuovere e indignare il pubblico per spingerlo a schierarsi attivamente con la NATO e la UE a sostegno dell’Ucraina aggredita, il modo in cui Vesti nedeli racconta la guerra tende invece a ‘acquietare’ il pubblico, producendo un effetto di adesione passiva in cui l’agentività è lasciata al presidente e alle forze armate.

  • Il laboratorio del tempo presente. Ucraina.

    di Antonio Brusa

    1395136612Fig.1 Il cosacco ucraino e il mugiko russo si confrontano in questo disegno umoristico FonteNe abbiamo parlato spesso. Ora è il momento. La guerra entra nelle nostre case, i ragazzi non fanno che parlarne. Hanno i loro strumenti di informazione. Tik Tok li tiene al corrente dei fatti e diffonde interpretazioni incontrollate. Noi adulti siamo con gli occhi fissi sui programmi di approfondimento delle varie reti.

    Proviamo a imbastire il laboratorio.

    a. Le fonti. Nel corso della guerra sono il problema reale. Le informazioni, soprattutto quelle rilasciate dai soggetti implicati nel conflitto, fanno parte della guerra. Lo siamo anche noi, in Italia, per quanto non direttamente, per fortuna. Quindi occorre fare attenzione: chi rilascia l’informazione? qual è il suo scopo? È possibile incrociare le informazioni? Difficile trovare un soggetto perfettamente neutrale. Anche un sito pacifista, dichiaratamente neutrale nel conflitto, non lo sarà nelle informazioni, dal momento che ha uno scopo politico, nobilissimo certo, ma potenzialmente in grado di orientare il suo punto di vista.
    b. La chiacchiera televisiva. Tendenzialmente ne farei a meno. Userei solo le dichiarazioni degli attori della crisi. Farei eccezione per interventi di studiosi riconosciuti (ai quali venga lasciato il tempo giusto di esprimere un’opinione compiuta).
    c. Le fonti privilegiate dei ragazzi. Tik Tok, i social? Riproducono le altre fonti? Hanno qualcosa di particolare?
    d. Un sito di riferimento? Come abbiamo visto nel caso del Bataclan qui su HL, non esiste in Italia un sito della P.I destinato a soccorrere i docenti in frangenti di questo tipo. Tuttavia, il sito dell’Ispi è ben informato. Soprattutto segue la questione da tempo (non si è improvvisato esperto dell’Ucraina). Ovviamente si deve tenere conto che è un sito italiano, vicino tradizionalmente al nostro ministero degli esteri.
    e. Bibliografia e sitografia: da valutare con cura (spero che HL possa reclutare qualche esperto che ci aiuti).

    fd777ee126b8b6ce2b6f7e266737 1587349Fig.2 FonteCosa fare in un laboratorio del tempo presente?

    a. Si parte da un punto fermo, ineludibile: la Russia ha invaso l’Ucraina e sta bombardando (anche) obiettivi civili. Per quante attenuanti e motivi a favore possa avere, si tratta di una violazione del diritto internazionale indiscutibile.
    b. Produrre una timeline. Potrà essere di diversi tipi. Quella recente (dal 1991) e quella di lungo periodo, dall’Ottocento ad oggi: la politica zarista, la prima guerra mondiale e la prima proclamazione di indipendenza dell’Ucraina, il periodo sovietico e l’holodomor, la guerra mondiale e le stragi etniche relative (ebrei, polacchi residenti in ucraina, ucraini residenti in Polonia, ecc.), il dopoguerra, Chernobyl, il 1991 e la proclamazione dell’indipendenza, la politica culturale ucraina e russa (tese entrambe ad esasperare i rispettivi nazionalismi). Su questo, probabilmente potranno essere utili i miei due articoli sull’Ucraina, pubblicati su “Historia Magistra” (2017). Potrà essere di aiuto anche un buon manuale.
    c. Analizzare i soggetti implicati direttamente. Si può preparare una scheda economico/militare, e una nella quale si registrino le cause (soggettive) del conflitto, gli obiettivi politici, alleanze, le prospettive
    d. Analizzare i soggetti implicati indirettamente (Cina, Europa, Turchia, altri paesi)
    e. Analizzare l’attività delle organizzazioni internazionali (a partire dall’ONU)
    f. Analizzare per quanto possibile le fonti. È ovvio che la critica delle fonti è condotta a livello professionale dagli storici. Ma è importante che ci si abitui a considerare i soggetti produttori della fonte, i loro scopi e gli effetti che quella certa notizia ha sul pubblico. Ma è altrettanto importante “accorgersi” della differenza delle fonti. Non spaventiamoci se le fonti sono in lingua: il traduttore dà una buona mano, e con un po’ di discernimento ci permette di capire. Non occorre dar conto di tutte le fonti. Basta anche un lavoro esemplare su alcune.
    g. Ricostruire uno scenario, indicando il grado di certezza degli elementi presi in considerazione (le modalità didattiche saranno a scelta: collettivamente, o divisi in gruppi)
    h. Gli allievi esprimono il loro parere. Quali sono le ragioni degli uni e degli altri. Se ne discute. Lo scopo del laboratorio non è individuare “da che parte sta la scuola, o la storia”, ma mettere in grado gli allievi di esprimere un giudizio motivato.

    È una proposta. Mi piacerebbe che HL riuscisse a fare due cose: dar conto di laboratori realizzati e, in tempi brevi, dare notizie più dettagliare su bibliografie e sitografie affidabili (che per parte nostra cercheremo di preparare).

    Per incominciare, ecco i contributi di Marcello Flores e altri, sul Mulino.

  • La forza dell’Europa.

    Riflessioni sull'invasione dell'Ucraina.

    di Giovanni Gozzini

     

    L'Europa e la guerra

    01Fig.1: Nel 1957 vengono firmati i Trattati di Roma, che danno il via alla prima comunità europea, che diventò UE col trattato di Maastricht del 1992. La promozione della pace e della sicurezza e il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali sono tra i valori fondanti dell’Unione EuropeaNoi nasciamo come Unione Europea contro la guerra. Siamo la parte del pianeta che ha combattuto più guerre negli ultimi cento anni, se non vogliamo scomodare i secoli sanguinosi dell’età moderna. Nasciamo sull’idea che la guerra è inutile, e che i problemi si possono risolvere con la diplomazia e i negoziati. Questo lo dobbiamo dire ai Catalani, così come agli Ucraini. Noi dobbiamo rappresentare questo modo di essere al mondo anche per i cittadini russi. Siamo quelli che propongono un’alternativa alla risoluzione violenta dei conflitti.

    Dobbiamo tenere i nervi saldi. Non cedere alle provocazioni muscolari che Putin farà, per coinvolgerci sul terreno della guerra. Questo accadde dopo l’attentato delle Torri gemelle. Oggi, invece, dobbiamo essere capaci di esercitare una capacità egemonica che si fonda su quello che siamo, sul nostro stile di vita, sulle nostre idee, sulla difesa dei diritti.

    Se c’è questo, nel medio-lungo periodo vinceremo. Perché questa nostra posizione solleciterà la formazione delle opposizioni, come accadde in Sud Africa. Putin credo che lo sappia. Le sue scelte tendono ad allontanare indefinitamente una resa dei conti che mostrerà quanto debole sia un sistema autoritario.

    Ma saremo capaci di essere attendisti?

    Non ci piace la guerra, non andiamo in guerra anche perché abbiamo abbandonato l’idea che uno stile di vita vada difeso con le armi. Ci siamo adagiati. Siamo diventati un po’ pigri. Questo è il lato oscuro della faccenda. Il lato positivo è proprio nel modello di risoluzione dei conflitti che proponiamo. Le sanzioni. Cioè: l’isolamento completo del colpevole. La sua riduzione a “paria dell’umanità”, come ha detto Biden, perché si è macchiato del delitto più grave, l’uccisione degli innocenti.

    Se si riesce a stare saldi – come ci hanno insegnato Gandhi e Martin Luther King – e si riesce a stare uniti, si vince. Certo, pagheremo di più, ma è questo che ci garantirà che non ci succeda quello che sta accadendo agli ucraini.

    Non è facile. Ci vuole molta politica. Molta Europa. Molta capacità di leadership. Dobbiamo saper guardare oltre il nostro naso, perché stiamo difendendo qualcosa di molto più importante del costo del gas: la nostra storia e la nostra identità europea. Non è facile, soprattutto per un paese, come il nostro, nel quale i politici si orientano con i like dei social. Ma le emergenze cambiano la politica. E l’Italia ha dimostrato che, nelle situazioni difficili, riesce a dare il meglio di sé.

    La civiltà occidentale è contagiosa

    Dalla nostra parte c’è il fatto che questo nostro modo di essere al mondo è contagioso. Sono tanti i motivi che hanno spinto Putin a fare la guerra. Ma non è sbagliato pensare che uno dei più importanti sia stata la scelta filooccidentale della maggioranza del popolo ucraino. Non solo per l’Ucraina, ma anche per la Russia: Putin teme che il contagio si diffonda anche in Russia.

    A molti è sfuggito il dettaglio di gran lunga più inquietante di questa guerra in Ucraina. Qualche giorno fa Putin ha lanciato un appello ai militari ucraini, invitandoli a ribellarsi al loro governo di "drogati e nazisti". Nei decenni passati quando l'Unione Sovietica invadeva un paese straniero (la lista è lunga: Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, Polonia 1981 - anche se allora il generale polacco Jaruzelski fa un'auto-colpo di stato per evitare l'invasione - Afghanistan 1979) aveva sempre pronta la soluzione alternativa: cittadini dei paesi invasi pronti a collaborare con le forze di invasione.

    Questi si facevano avanti, dicevano che i governi in carica nei loro paesi erano illegittimi e che i russi-sovietici avevano ragione. L'Armata Rossa dava loro in mano il governo. Stavolta no. Putin non ha in mano l'alternativa. O se l'aveva, qualcuno gliel'ha tolta (il presidente ucraino Zelenski ha fatto qualche velato accenno in proposito, parlando di arresti di spie). Dal punto di vista di Putin ciò complica molto le cose e forse contribuisce a spiegare il rallentamento di operazioni militari che i russi avevano pensato più rapide. Se non c'è un governo civile alternativo, l'esercito russo sarà costretto a presidiare un paese molto grande per lungo tempo. Si profila uno scenario simile a quello che la Russia ha sperimentato in Afghanistan e Cecenia: stillicidio di attentati terroristici in tutto il paese, morti tra i soldati russi, malcontento crescente nel paese. Un cocktail che rischia di diventare micidiale.

    Ma l'Europa e l'Occidente hanno perso un'occasione

    02Fig.2 e Fig.3: Fondata nel 1949, con il Patto atlantico, la Nato riunisce attualmente 30 paesi, dei quali 14 appartenevano al mondo comunista (Russa e Balcani). Fondato nel 1946, come risposta al piano Marshall, il Comecon riuniva i paesi dell’area sovietica in un patto di mutuo soccorso. Sciolto nel 1991. Nel 1955 venne siglato il patto di Varsavia, che stabiliva una cooperazione militare parallela alla Nato. Nel 2004, tutti i paesi del patto di Varsavia, esclusa la Russia, erano entrati nella Nato. Anastasia Buscicchio, Cosa resta del Patto di Varsavia

    Qualche volta il senno di poi può servire a evitare errori in futuro. O almeno in teoria questo dovrebbe essere lo scopo della storia. La guerra di oggi forse poteva essere evitata e il cammino di Putin verso la guerra non sarebbe stato così scontato.

    Tra 1989 e 1991 abbiamo commesso un errore capitale. Persa la guerra fredda, la Russia, sorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica, finisce nelle mani di un governante abbastanza incapace come El'cin. L'economia diventa preda di una privatizzazione selvaggia che apre la strada ai famosi oligarchi. Chi sono questi oligarchi di cui si parla tanto? Un buon esempio è Roman Abramovic, (ex) padrone della squadra di calcio londinese del Chelsea. Negli anni Novanta fa soldi a palate acquistando azioni delle compagnie petrolifere di stato a prezzi bassissimi con denaro prestato dalle banche occidentali (El’cin ha un disperato bisogno di soldi freschi). Poi rivende a peso d’oro quelle stesse azioni alla Gazprom, la nuova società per l’energia nazionalizzata da Putin, e scappa all’estero. In quel momento potevamo e dovevamo fare qualcosa di più.

    03 2Fig. 4 e Fig. 5: Helmut Schmidt, Cancelliere della Repubblica Federale tedesca, Erich Honecker, primo segretario del Partito Socialista Unificato della Germania Orientale, Gerald Ford, Presidente degli Usa, Bruno Kreisky, cancelliere austriaco, firmano il trattato di Helsinki, 1 Agosto 1975. (Bundesarchiv/Horst Sturm) Nata nei primi anni della distensione fra Usa e Urss, all’inizio degli anni ’70, la Csce divenne OSCE nel 1994. Con 57 Stati partecipanti del Nord America, dell’Europa e dell’Asia, l’OSCE è la più grande organizzazione regionale per la sicurezza al mondo impegnata a garantire la pace, la democrazia e la stabilità a oltre un miliardo di persone.

    Invece di allargare egoisticamente la NATO verso est, potevamo ritenere chiusa quella alleanza (insieme alla guerra fredda che l'aveva originata) e aprire una nuova alleanza aperta anche all'ex nemico sovietico. C'era già un vecchio formato disponibile: la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa definita dagli accordi di Helsinki (1975) che includeva URSS, USA e tutti i paesi europei. Uno degli articoli di base era l'inviolabilità delle frontiere del tempo: cooperazione economica nella sicurezza reciproca, senza guerre. Si poteva applicare questo format alle nuove frontiere uscite dalla dissoluzione dell'URSS. El'cin avrebbe accettato. Noi siamo stati egoisti e abbiamo voluto stravincere.

    L'Occidente deve imparare come si fanno le paci

    Non è un vizio nuovo di noi europei, purtroppo. Siamo un po' specializzati nel fare paci che preparano nuove guerre per l'egoismo dei vincitori.

    Nel 1919 a Versailles facemmo una pace per chiudere la Grande Guerra che dava tutte le colpe alla Germania e le imponeva di pagare 230 miliardi marchi in riparazioni. La Germania, piegata dalla guerra e dalla sconfitta, cominciò a stampare cartamoneta e in breve il marco (la moneta tedesca) non ebbe più valore: un francobollo costava un miliardo di marchi. Così un omino coi baffi chiamato Hitler cominciò la sua propaganda per la rinascita di una grande Germania, dando la colpa della sconfitta e dell’aumento dei prezzi agli ebrei.

    Nel 1945 – uguale - anche se gli egoisti allora furono soprattutto gli USA, con la bomba atomica in mano (mentre l'URSS ancora non l'aveva). E via con la guerra fredda, invece di coinvolgere e includere l'URSS in un nuovo governo mondiale paritetico delle due superpotenze.

    Oggi come allora, riconoscere i confini reciproci è la prima condizione per fare accordi e trattati di pace. Ed è proprio quello che oggi Putin nega all'Ucraina. Ma se nel 1991 l'avessimo fatto noi, oggi la storia sarebbe diversa. E anche la Russia, probabilmente.

Questo sito utilizza cookies tecnici e di terze parti per funzionalità quali la condivisione sui social network e/o la visualizzazione di media. Chiudendo questo banner, cliccando in un'area sottostante o accedendo ad un'altra pagina del sito, acconsenti all’uso dei cookie. Se non acconsenti all'utilizzo dei cookie di terze parti, alcune di queste funzionalità potrebbero essere non disponibili.