patrimonio

  • A scuola di futuri paesaggi

    Ci sono gli effetti speciali, per chiudere il ciclo delle Summer School sul Paesaggio Storico, che si tengono a Gattatico, presso Reggio Emilia, ormai da cinque anni. Siamo partiti con la preistoria e, quest’anno, giungiamo agli ultimi decenni. Di qui ci proietteremo verso il futuro. Gli effetti speciali? Eccoli: l’ultimo giorno di questa Summer, Bibo Cecchini (dell’Università di Alghero), con il suo staff e la collaborazione di colleghi della Bicocca, prepara un programma di simulazione. I partecipanti al seminario immagineranno i cambiamenti che, secondo loro, sono idonei ad affrontare i nostri problemi e magari a superarli. Il programma ce ne farà vedere gli effetti nel futuro.

     

    Sotto elezioni, uno direbbe, ne avremmo proprio bisogno di un “laboratorio creativo” di questo genere. Ma per il momento, ne potrà godere solo chi verrà alla Summer. Per chi ne avesse già voglia, il programma, in sintesi, è questo. Si inizia con una ripresa del passato. Una rapida scorsa dalla preistoria a oggi, giusto per fissare le basi del discorso più approfondito (organizzato da Rossano Pazzagli) sulla realtà del paesaggio agrario di oggi: le nuove tecniche, i nuovi mercati, l’abbandono delle campagne e la distruzione dei suoli, la loro rigenerazione. Una giornata di lavoro, al termine della quale ci si comincerà a orientarsi verso il domani. Lo faremo in modo non del tutto convenzionale. Ci penserà, infatti, Luigi Cajani a introdurci all’immaginazione del futuro, parlandoci della “terra formazione”, quella branca di romanzi di fantascienza nella quale si ipotizza che gli uomini colonizzano un esopianeta e lo trasformano in modo che assomigli alla Terra. Un viaggio nella fantasia – ma non troppo: siamo sempre storici  e insegnanti – rafforzato dalla visione di Avatar. Quindi ci sarà un’escursione sul territorio: una località di montagna, per chiedersi che ne è dei nostri boschi; e una di pianura, in visita in una realtà agricola d’avanguardia. Il sabato, in chiusura, gli effetti speciali di cui sopra.

     

    Questo ricco programma è inaugurato  e chiuso da due presenze eccezionali. In apertura, Simone Neri Serneri, dell’Università di Siena, disegnerà il quadro complessivo, entro il quale si articoleranno le relazioni e i lavori della Summer. In chiusura Sergio Rizzo, autore con Gian Antonio Stella di Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia, ci permetterà di collegare i temi scientifici e didattici, affrontati nella scuola con quelli necessari della cittadinanza e della politica.

     

    La Summer School “Emilio Sereni”, si svolgerà fra il 28 e il 31 agosto. La Biblioteca “Emilio Sereni” si trova presso l’istituto Cervi. E’ un luogo straordinario, per il richiamo ideale, per il paesaggio, le capacità organizzative dei suoi dirigenti e degli operatori, per l’incredibile biblioteca di Emilio Sereni e – non ultimo – per la bravura della sua cuoca calabro-emiliana. Quindi: non appena esce il bando sul sito, andate a vedere il programma in dettaglio e arrivederci a Gattatico!

  • Il paesaggio, palestra per una cittadinanza attiva.

    Suggerimenti e esperienze per un’escursione efficace nel territorio.[1]

    Autori: Marco Cecalupo e Giuseppe Febbraro (insegnanti di Scuola Secondaria di Primo e Secondo Grado, Reggio Emilia)

     

    Introduzione:
    Si può fare scuola fuori dall'aula. Gli insegnanti lo sanno, ma spesso lasciano al mercato dell'educational anche la gestione didattica delle uscite, con risultati mediamente piuttosto deludenti.

    Come suscitare, invece, l'interesse di tutti (docenti e studenti) nei confronti di un'escursione nel paesaggio? Innanzitutto trasformando quest'ultimo in un oggetto vivo, problematico, stratificato, denso di significati spesso discordanti, patrimonio di tutti, nessuno escluso. Se l'uscita è dotata di determinate qualità, la sua efficacia è indiscussa: mobilita tutte le intelligenze e coinvolge tutte le discipline, “educazioni” incluse.

    Dalla nostra modesta esperienza sul campo, abbiamo ricavato una “panoplia” di idee e pratiche che ci sembrano al passo coi tempi, per passeggiare insieme agli studenti per boschi, tratturi, musei e vie antiche e recenti.
     

    Abstract:
    Le disposizioni normative che hanno modificato i programmi di ogni ordine di scuola negli ultimi anni fanno tutte riferimento al rapporto con il territorio, l'ambiente, il paesaggio. Ma nelle scuole la pratica delle escursioni - le “uscite didattiche” - appare decisamente in crisi, per varie ragioni.

    Tuttavia, persistono buoni motivi per sperimentare e rinnovare le forme di apprendimento en plain air: le potenzialità didattiche insite nella simulazione e nella modellizzazione dello spazio, la possibilità di praticare la democrazia e la cittadinanza attiva, la diffusione di una visione non essenzialista del paesaggio e del patrimonio.

    La  progettazione di un'escursione nel paesaggio che voglia perseguire tali obiettivi deve dotarsi di caratteristiche precise e riconoscibili: l'interdisciplinarità, la mobilitazione di diverse intelligenze, la stratificazione storica, la dialettica locale/globale, la costruzione di reti, ecc.

    Infine, l'articolo propone un rapido sguardo, parziale e suscettibile di integrazioni, su esperienze e modelli di escursione nel paesaggio praticati in Italia, dedicati agli studenti.

     

    Non è strano quanto cambi questo castello non appena uno pensa che Amleto è vissuto qui?[2]

     

    A. La scuola en plein air

     

    Che cosa dicono le Indicazioni

     

    Territorio, ambiente, paesaggio: non c’è legge, programma, modulo didattico – tra quanto prodotto negli ultimi venti anni dalla scuola italiana – che non faccia prima o poi riferimento a questi argomenti e a metodologie per il loro apprendimento. Essi afferiscono infatti a temi radicati nelle agende politiche e nel dibattito pubblico dei nostri tempi; l’approccio scolastico, tuttavia, resta prevalentemente centrato su una conoscenza statica dell’oggetto rispetto a un più auspicabile criterio dinamico. Lo strumento dell’escursione, dell’uscita, della lezione en plein air e l’obiettivo cognitivo del paesaggio possono essere – ad esempio – ripensati in tal senso. Vediamo come.

    L'attenzione al paesaggio nei contenuti geo/storici è richiamata, più o meno esplicitamente, da tutte le leggi, decreti e circolari con le quali negli ultimi anni il ministero dell’Istruzione ha riformato i programmi scolastici. Ad esempio, nelle Indicazioni per il Curricolo emanate nel 2007, relative alla scuola primaria (la cui riscrittura è di questi giorni), se ne rinviene traccia soprattutto nei passaggi relativi al secondo biennio della Primaria (ex classi quarta e quinta elementare), in cui si parla di “influenze dell’ambiente fisico sulla vita dell'uomo e trasformazioni del territorio determinate dalle attività umane” o di “elementi fisici di ciascun paesaggio geografico italiano” tra le conoscenze acquisibili in campo geografico, e di “esplicitare il nesso tra l’ambiente e le sue risorse e le condizioni di vita dell’uomo” nonché di “proteggere, conservare e valorizzare il patrimonio ambientale e culturale” tra gli obiettivi didattici dello studente-cittadino in formazione[3]. Ma già nell'introduzione di quel documento, riferendosi non certo al solo patrimonio architettonico-paesaggistico ma all'insieme delle conoscenze, si avverte che “consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato perché non vada disperso e possa essere messo a frutto” è una delle funzioni essenziali dell'educare e si pone il problema della responsabilità del cittadino nella sua cura, con il richiamo dovuto alla Costituzione.

     

    Questo della cittadinanza come profilo-traguardo è del resto tutt’altro che un particolare: si tratta invece della direzione privilegiata del dibattito più recente sulla scuola e sulle sue stesse motivazioni “postmoderne”; così che i medesimi principi relativi ad ambiente, territorio e paesaggio - ormai considerati terreno di alfabetizzazione del cittadino, non solo dal punto di vista della “tutela” -  vengono ribaditi anche nella Scuola Secondaria di II grado, ove afferiscono ai principi della convivenza civile o, più direttamente, alla materia denominata Cittadinanza e Costituzione.

    Poiché si tratta, in definitiva, di osservare, conoscere, analizzare, comprendere l’impronta dell’uomo sul territorio, e dunque la storicità di questo, lo strumento dell’escursione – opportunamente aggiornato – si presterebbe bene all’obiettivo; essa, invece, rappresenta uno dei molti strumenti in crisi nella scuola odierna, per una pluralità di motivi (eccessiva burocrazia, problema di orari e sostituzioni, demotivazione e scarsa incentivazione dei docenti, poca conoscenza delle molteplici opportunità offerte dalla metodologia, e da ultimo la sospensione della retribuzione economica).

     

    Va sottolineato che esistono differenze significative tra i diversi approcci: da un lato, i governi di centro-destra hanno puntato sull'aspetto identitario del territorio e del paesaggio, volto alla ricerca di segni che confermino la dibattuta identità giudaico-cristiana[4]; dall'altro lato, le riforme promosse dal centro-sinistra (come il già citato documento sulla Scuola del Primo Ciclo e le nuove indicazioni per la Primaria) hanno posto l'accento sul patrimonio come banco di prova della responsabilità civile (di cittadinanza) degli italiani; nella secondaria superiore, resta un mero oggetto di studio.

     

    Alcuni buoni motivi per realizzare un’escursione

     

    All’interno di questo quadro normativo, riteniamo che l'escursione sia un'idea da difendere e rilanciare. Accanto alle motivazioni pedagogiche consolidate, nuove potenzialità, connesse con le trasformazioni della società e delle culture che la attraversano, ci spingono a sostenere la tesi secondo cui le escursioni vanno considerate nel novero delle buone pratiche a scuola.

    Nelle escursioni ci sono parecchie buone idee. C'è l'idea di scuola come “palestra di democrazia”: frequentare luoghi pubblici o aperti al pubblico e usarli, cioè dotarli di una funzione conoscitiva collettiva, educa alla partecipazione democratica, e allena alla democrazia partecipativa[5]. L'esperienza dell'uscita didattica facilita inoltre l’approccio alla fumosa “educazione alla cittadinanza” cui si accennava, destinata altrimenti a rimanere spesso mera enunciazione di diritti/doveri astratti.

    C'è l'idea di “curiosità intellettuale”, l'attitudine ad avvicinarsi a qualcosa di ignoto ponendosi domande all’inizio elementari, poi via via sempre più complesse. Misurarsi con domande potenti, cioè storicamente rilevanti e soggettivamente interessanti, accresce la componente motivazionale, si configura per gli studenti come una sfida alla propria intelligenza difficile da rifiutare[6].

    C'è l'idea di “simulazione”: la modellizzazione dello spazio è uno degli ambiti cognitivi di apprendimento connessi ad una visita/escursione, nel senso più ampio che il termine ha assunto nelle scienze geografiche. Non si tratta solo della rappresentazione cartografica, ma soprattutto dell'individuazione di attori e luoghi soggetti a regole, che producono reti di relazioni complesse, processi di trasformazione e conflitti[7].

    C'è l'idea concreta di “patrimonio culturale” come bene comune dell'umanità[8] nel lasciare che milioni di studenti calpestino strade romane, scorrazzino in siti neolitici, invadano piazze e vicoli medievali, disturbino la quiete di riserve naturali o musei e mausolei ai deportati. E' un rischio accettabile solo se attraverso quei luoghi gli studenti costruiscono percorsi conoscitivi, affettivi, partecipativi.

    C'è infine l'idea del “camminare”, un'esperienza multisensoriale che sta al cuore della nostra appartenenza alla specie Homo Sapiens[9], e che permette di osservare e riflettere con una velocità propria.

     

    Alla luce delle nuove tendenze del mercato dell'educational, va tenuta in seria considerazione l'ambiguità del richiamo all'esperienza come metodo d'apprendimento intuitivo, empatico o addirittura naturale, alternativo allo studio[10]. Sul piano didattico, l'apprendimento esperienziale ha senso solo se presuppone e rinforza l'astrazione, la padronanza di tecnologie linguistiche, la concettualizzazione, la rappresentazione e la trasmissione delle conoscenze, ponendosi come un territorio aperto alla negoziazione di significato tra insegnanti e studenti, una vera e propria zona di sviluppo prossimale. I professionisti delle visite d'istruzione sempre più frequentemente propongono alle scuole pacchetti in cui abbinano alla visita guidata un laboratorio pratico, come se tale semplice accostamento, spesso privo di coerenza[11], potesse di per sé risolvere la questione.

     


    B. Otto consigli per una efficace escursione nel paesaggio

     

    Un modello di escursione nel paesaggio che possa essere considerato una buona pratica educativa, a nostro avviso deve essere caratterizzato dal maggior numero possibile di questi aspetti:

     

    1. Interdisciplinarità; Questa parola, magica e tuttavia ancora poco praticata nelle scuole, va intesa non come semplice accumulo di informazioni connesse all'escursione (che può correre il rischio di diventare ridondante), ma come lavoro preparatorio e successiva realizzazione dell’esperienza da parte del team di insegnanti che ne ha individuato la finalità didattica. Tutte le scienze e gli studi, come avviene nella realtà dei fenomeni complessi, collaborano alla risoluzione di un problema.
    2. Attenzione alla stratificazione storica del luogo visitato; per evitare il noto fenomeno dello schiacciamento sul presente del tempo storico[12] esistono due possibilità: centrare l’escursione, il suo oggetto o la sua dinamica, proprio sulla lettura dei cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli o dei millenni, oppure isolare un ambito cronologico – laddove le condizioni lo ritengono possibile, e con i limiti che ciò comporta – e mettere gli studenti in condizione di leggere soltanto una porzione della stratificazione[13].
    3. La coesistenza dei metodi induttivo e deduttivo; in altre parole, a partire dalla padronanza di alcune informazioni e delle tecnologie per elaborarle, è l’esperienza che deve condurre alla conoscenza del luogo, e non il contrario, come più spesso avviene. Per esempio, è auspicabile che si parta da una carta in qualche modo muta, parziale, che diventerà parlante[14] solo al termine, e il cui completamento è vissuto come scoperta da parte degli studenti. L'escursione deve porsi come obiettivo l'acquisizione di conoscenze complesse e di relazioni che altrimenti non si sarebbe potuto apprendere.
    4. Tutti noi siamo dotati, come sostiene Howard Gardner, di diversi tipi di intelligenza. A parte quella linguistica e quella logica, fondamentali nel processo di alfabetizzazione, se ne possono contare in totale otto, tra le quali possiamo distinguerne anche una spaziale, che consiste nell’abilità di valutare sia gli ampi spazi che quelli locali attraverso processi di lettura, comprensione, tattica di intervento sui luoghi.[15] In tal senso, se il soggetto in questione è l’alunno, nell’ambito di una iniziativa di conoscenza del territorio (e del paesaggio che ne è struttura), egli dovrà mobilitare tutte le forme di interazione con la realtà per una sua più completa intelligibilità.
    5. Interazione con i soggetti pubblici e privati sia a livello locale che globale e costruzione di reti (tra scuole e musei, aree archeologiche, parchi ambientali, associazioni culturali, enti locali, sovrintendenze, istituti storici, ecc.) per la progettazione e la realizzazione dell'escursione. In Italia, paese fortemente identitario sul piano locale, da anni sono attive moltissime realtà di questo tipo, al punto che non esiste contesto territoriale-amministrativo che se ne possa dire privo; più impegnativo ma necessario è stabilire un rapporto critico fra tali realtà e la scuola, che non deve trasformarsi in una sorta di appendice delle pro loco o, viceversa, di clientela sicura per alberghi ed enti turismo, ma deve invece sfruttare queste risorse per costruire nuove reti di saperi.
    6. Mantenere sempre un'attenzione viva alla dialettica locale/globale: un territorio è sempre o l’esempio di un modello generale su scala più ampia o quello di una sua eccezione in controtendenza. Dunque non bisogna mai dare per scontato che l’escursione che si va ad effettuare sia volta a confermare un  dato generale o generalizzabile: essa può esserne invece la smentita e questo va, di volta in volta, fatto verificare in itinere agli studenti nel corso dell’esperienza.
    7. L’escursione come parte strutturale della programmazione, delle singole discipline e della classe, va quindi inserita in modo funzionale in moduli didattici e collegata a contenuti e competenze specifiche; troppo spesso diventa invece un diversivo al programma, che gli studenti meritano in premio o, al contrario, non meritano (in tal caso rappresenterebbe uno strano tipo di punizione, come se si dicesse loro: quest'anno la prima guerra mondiale non ve la faccio studiare!).
    8. Le Indicazioni Moratti-Bertagna, del cui impianto generale identitario si è già parlato, contenevano tuttavia un aspetto decisivo della questione territoriale laddove richiamavano, tra gli obiettivi didattici al termine del primo ciclo di istruzione (ossia per uno studente di quattordici anni), la “capacità di trasformare la realtà prossima nel banco di prova quotidiano su cui esercitare le proprie modalità di rappresentanza, di delega, di rispetto degli impegni assunti”[16]. Formula invero un poco ridondante per dire, comunque, che la coscienza di un territorio ha senso solo se si accompagna all’idea di cambiamento che vi si può operare. Ovvero, se si è consapevoli che esso è un work in progress, il risultato di forze ambientali e sociali, economiche, culturali che compiono scelte in base a obiettivi divergenti, cioè agiscono in un contesto dinamico e soggetto a mutamenti. In tal senso, l’esperienza dell’escursione può essere (anche in modo virtuale) finalizzata all’idea dell’intervento attivo sul paesaggio che si sta visitando, attraverso un'attività di simulazione ludica o di laboratorio.

     

     

    C. Buone esperienze consolidate

     

    Riportiamo un elenco parziale di soggetti o metodologie che nel corso degli ultimi anni hanno innovato il panorama nel campo delle visite/escursioni rivolte alle scuole, pur mantenendo un serio e costruttivo rapporto con la ricerca scientifica. Teniamo a sottolineare che si tratta di un elenco non basato su uno studio sistematico, bensì esclusivamente sull'esperienza diretta degli autori.

     

    • L’ecomuseo[17] è una modalità di conservazione del patrimonio ambientale e storico-culturale praticata in Italia fin dai primi anni Settanta, attraverso la quale una porzione più o meno vasta del territorio (anche discontinua), che contiene elementi naturali e antropici, è destinata a rappresentarne la realtà e la storia. Non esistendo ancora una formulazione istituzionale uniforme, si tratta di un insieme non del tutto codificato di luoghi, riconosciuti o meno da leggi regionali. Sono musei in senso lato, istituzioni pensate soprattutto come strumento di recupero dell’identità locale all’interno della dialettica comunità globale/comunità locale; si configurano insomma come territori “dinamici”, nei quali una comunità condivide obiettivi di fruizione, conservazione, recupero ma anche trasformazione attiva e gestione partecipata del territorio e delle sue strutture (tra cui il paesaggio). Esistono Reti regionali o provinciali degli ecomusei, come in Piemonte, in Friuli, in Alto Adige – tra le prime realtà locali ad avere intrapreso questa strada – e ancora in Puglia ed Emilia Romagna[18], che propongono attività di escursione ricche e significative.

     

     

    • La Rete di Coordinamento dei Paesaggi di Memoria è un'istituzione giovane (2010), nata dalla volontà di mettere in relazione tra loro quelle realtà museali che tengono insieme storia, territorio, paesaggio, costruzione della memoria; il perno è quello dei luoghi storici della seconda guerra mondiale e la finalità principale quella dell’educazione alla cittadinanza attiva, nella costruzione di una “geografia della memoria”.[19] Lo scambio di esperienze e la creazione di standard qualitativi minimi di gestione e delle attività didattiche, alle quali viene attribuita particolare attenzione, sta producendo un dibattito vivace e diverse interessanti prospettive di innovazione, anche rispetto allo strumento specifico dell’escursione.
    • L'Associazione Culturale Historia Ludens, promossa dal prof. Antonio Brusa nel 1995 come costola operativa del Laboratorio di Didattica della Storia dell'Univ. di Bari, ha ideato e sviluppato un modello di gioco di simulazione/escursione basato sullo svolgimento di storie parallele - ma intrecciate tra loro - da parte di giocatori/personaggi, che adottano diversi punti di vista per compiere scelte e operare strategie di risoluzione di problemi[20]. L'esperienza svela ai visitatori sorprese inattese e incide sulla decostruzione di stereotipi e luoghi comuni. Il modello è stato impiegato per giocare/visitare i siti di Egnathia, Veleia, Bari medievale (città vecchia), Monte Saturo, Monte Sannace, Castel del Monte, i tratturi del molisano, Palermo punica.
    • L'eco-orienteering, ideato da Gianmario Missaglia[21], che fu presidente della UISP, è una rielaborazione dell'orienteering che mette in relazione sport, scuola, beni culturali e ambientali. Non è concepito come una corsa nell'ambiente, ma come un viaggio, che aggiunge al gioco di orientamento e esplorazione la conoscenza di tipo naturalistico, ecologico e storico. Dotato di regole semplici (una carta muta, una bussola, indizi ed enigmi da risolvere) e di una forte adattabilità del modello a qualunque contesto geografico, il gioco è stato realizzato in alcuni centri storici di grandi e piccole città (Palermo, Gradara, Rimini[22], Udine[23]), ma offre enormi potenzialità anche per la fruizione di riserve naturali, boschi, parchi, siti archeologici.

     

     

    • L'archeologia sperimentale, che indaga la storia materiale dell'uomo attraverso il metodo scientifico[24], gode di un relativo successo nel mercato dell'educational, poiché propone laboratori e attività suggestive (industria litica, metallurgia, tessitura, ecc.) e ha allestito archeopark di forte impatto emotivo.
      La disciplina non va confusa con semplici “ricostruzioni storiche” che tendono a mostrare il “com'era” di un oggetto o di un luogo, ma non dicono nulla sul “com'è stato realizzato” o su “quale posto occupava nel mondo mentale”. Nei casi migliori[25], l'archeologia sperimentale non è una mera “esperienza pratica”, ma il tentativo di ricostruire conoscenze, tecnologie, processi mentali di enorme complessità, non privo di dubbi, ipotesi, interpretazioni ed errori.

     

     

     

     

     

     

    • Nata in Inghilterra negli anni '50 e approdata in Italia più di recente, l'archeologia industriale e proto-industriale adotta un approccio multidisciplinare e si occupa tra l'altro della valorizzazione, anche didattica, dei luoghi di produzione del passato.
      I siti musealizzati (come il Lingotto di Torino, l'ex zuccherificio di Cecina, la Centrale Montemartini a Roma), o quelli dove gli impianti sono stati rimessi in funzione o riqualificati (come spesso accade per le centrali idro-elettriche, idro-meccaniche o per altri sistemi idraulici anche di vaste dimensioni), se presentano le caratteristiche sopra esposte, possono essere un'esperienza didattica significativa sotto molti aspetti. Si tratta a volte di interi villaggi operai con opifici annessi (come a Crespi d'Adda), o più spesso di singoli stabilimenti che, se studiati con intelligenza nel proprio contesto territoriale, sono testimoni privilegiati per la storia dei principali distretti industriali italiani (come i lanifici a Schio e Biella, e le acciaierie a Terni[26]).

     

     


    Marco Cecalupo:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
    Giuseppe Febbraro:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

     

    Note:

    1. Il seguente articolo rappresenta una riedizione del saggio già pubblicato dagli autori con il titolo Escursioni nel paesaggio in BONINI G., BRUSA A., CERVI R. (a c. di), La costruzione del paesaggio agrario nell'età moderna, Quaderno 8 (agosto 2012), atti della Summer School Emilio Sereni, III Edizione, 23-28 agosto 2011. L'indice del volume è alla pagina www.fratellicervi.it/images/stories/cervi/Download/2012/indice.pdf; il saggio introduttivo di Antonio Brusa  si può leggere alla pagina www.fratellicervi.it/images/stories/cervi/Download/2012/a.%20brusa_saggio%20introduttivo.pdf.
    2. Nella primavera del 1924, il giovane fisico tedesco Werner Heisenberg era in Danimarca ospite del grande Niels Bohr. Quelle riportate sono le parole pronunciate da Bohr quando giunsero nei pressi del castello di Kronberg. Egli commenta poi come la finzione letteraria di Shakespeare abbia pesato sulla percezione del paesaggio. L'episodio è citato in Jerome Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari 2003.
    3. Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, Gazzetta Ufficiale n. 228, 1 ottobre 2007, disponibili all'indirizzo www.edscuola.it/archivio/norme/programmi/indicazioni_nazionali.pdf.
    4. Nella riforma Moratti (Legge 28 marzo 2003 n.53, art.2), si legge:“Sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea;”. Nel successivo Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni), allegato D, disponibile all'indirizzo archivio.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicati/2004/allegati/all_d.pdf, si afferma che uno degli obiettivi è avere “consapevolezza, sia pure in modo introduttivo, delle radici storico-giuridiche, linguistico-letterarie e artistiche che ci legano al mondo classico e giudaico-cristiano, e dell’identità spirituale e materiale dell’Italia e dell’Europa”.
    5. Sulla democrazia partecipativa come esperienza didattica: Paola Rizzi, Giochi di città. Manuale per imparare a vivere in una comunità equa e solidale, edizioni lameridiana, Molfetta (Bari) 2004; Antonella Alagia, Elena Musci (a c. di), Geppo. I futuri possibili della comunità di Gradara, Comune di Gradara 2004. Una partecipazione simulata, Lo Zen e l'arte della manutenzione della città. Gioco sul passato e sul futuro del quartiere San Filippo Neri, è stata realizzata dall'Istituto Comprensivo Leonardo Sciascia di Palermo nel 2006 con la collaborazione di Historia Ludens. Anche le esperienze sul territorio dei CCR (Consigli circoscrizionali dei Ragazzi) vanno spesso in questa direzione.
    6. Antonio Brusa, Rossella Andreassi, Marco Cecalupo, Come evitare le visite guidate e godersi un bene storico, in La valenza dei beni culturali, atti del convegno 21 maggio 1999, Associazione Ingegneri e Architetti Provincia di Ravenna.
    7. Marshall McLuhan et al., La città come aula. Per capire il linguaggio e i media, Armando Editore, Roma 1984; Arnaldo Cecchini et al., I giochi di simulazione nella scuola, Zanichelli, Bologna 1987; Richard D. Duke, Gaming: il linguaggio per il futuro, edizioni lameridiana, Molfetta (Bari) 2007; Cristiano Giorda, Giochi e geografia. Il territorio come gioco di ruolo, in Antonio Brusa, Alessandra Ferraresi (a c. di), Clio si diverte. Il gioco come apprendimento, edizioni lameridiana, Molfetta (Bari) 2010.
    8. Antonio Brusa, Paesaggio e patrimonio fra ricerca, formazione e cittadinanza, in Il paesaggio agrario italiano proptostorico e antico, atti della I SummerSchool “Emilio Sereni”, Edizioni Istituto Alcide Cervi, Gattatico (Reggio Emilia) 2010; Antonio Brusa, Dalla città come aula alla città-archivio. Note per un possibile curricolo verticale sulla città, disponibile in data 6 aprile 2012 all'indirizzo www.comune.pv.it/museicivici/pdf/annali28/49 Brusa Didattica.pdf.
    9. Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano 2002.
    10. Scipione Guarracino, Dario Ragazzini, Storia e insegnamento della storia, Feltrinelli, Milano 1980.
    11. A titolo di esempio, al castello di Soncino (Cremona), una classe di ragazzi di scuola secondaria di primo grado è stata invitata, al termine della visita tradizionale, a realizzare armature “medievali” ritagliando con le forbici sagome di cartone preconfezionate e ghirlande di fil di ferro e carta; al termine del “laboratorio”, la sala era invasa dai ritagli di cartone, gettati per terra come inutile scarto. Ci chiediamo: quale informazione ha comunicato l'esperienza in merito al valore dei metalli in epoca medievale?
    12. Scipione Guarracino, Dario Ragazzini, Storia e insegnamento della storia, cit.
    13. Una valido strumento metodologico è rappresentato da Carlo Tosco, Il paesaggio storico. Le fonti e i metodi di ricerca tra medioevo ed età moderna, Laterza, Roma-Bari 2009.  Cfr. anche la sezione didattica Escursioni in Il paesaggio agrario italiano medievale. Storia e didattica, atti della II edizione della Summer School “Emilio Sereni”, Edizioni Istituto Alcide Cervi, Gattatico (Reggio Emilia) 2011, pagg. 369-393.
    14. Cristiano Giorda, Giochi e  geografia. Il territorio come gioco di ruolo, cit.
    15. Howard Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità della intelligenza, Feltrinelli, Milano 2002.
    16. Profilo educativo, culturale e professionale dello studente..., cit.
    17. Cfr. Debora Del Basso, Il paesaggio antico oggi. Gli ecomusei, in Il paesaggio agrario italiano protostorico e antico, cit., pagg. 189-192 e Giorgio Chelidonio, Gli ecomusei: orientare le scelte del turismo culturale, in AA.VV, L'ambiente e i segni della memoria, Carocci, Roma 2005.
    18. Nell’ottobre del 2007, in occasione delle giornate di studio ad essi dedicate presso l’Università di Catania, è stata firmata la “Carta degli Ecomusei”. Vedi www.bda.unict.it/Pagina/It/Notizie_1/0/2008/03/07/1532_.aspx
    19. Vedi Mirco ZanoniDa Casa Cervi alla Risiera di San Sabba nasce un collegamento di siti in cui si è svolta la Storia. Per viaggiare dal vivo dentro il ‘900, in “L’Unità”, 9 giugno 2010, anche disponibile all'indirizzo web www.metaforum.it/showthread.php/15891-Paesaggi-della-Memoria. Vedi anche Marzia Gigli, Maria Laura Marescalchi, Il laboratorio nei luoghi di memoria, in Paolo Bernardi, Francesco Monducci, Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, Utet, Torino 2012.
    20. www.historialudens.it; su questo modello di simulazione/escursione, si veda: Antonio Brusa, Rossella Andreassi, Marco Cecalupo, Come evitare le visite guidate e godersi un bene storico, cit.; Angela Ciancio, Clelia Iacobone (a c. di), Nella città senza nome. Come esplorare l'area archeologica di Monte Sannace, Laterza, Roma-Bari 2000; AA.VV., A Ludic Approach to Culturals Resources. The “Castel del Monte” Case, in Elena Musci (a c. di), On the Edge of Millennium: a New Foundation for Gaming Simulation, atti del convegno ISAGA 24-28 settembre 2001, BA Graphics, Bari 2001; Antonio Brusa et al., Sul buon uso del cellulare: giocare nel sito archeologico di Egnazia, Mundus, n. 1, gennaio-giugno 2008; Annalita Fregni, Paola Montorsi, Giulia Ricci, Cecilia Scalabrini, Dalle carte alla Storia: la mappa di Veleia e la Charta di Gotescalco, in Antonio Brusa (a c. di), L'astronave e la mondina. Giochi e laboratori nel curricolo di storia della scuola di base, Memo/Comune di Modena, Modena 2009.
    21. Gianmario Missaglia, Greensport. Un altro sport è possibile, edizioni lameridiana, Molfetta (Bari) 2002.
    22. www.altarimini.it/News46769-orienteering-citta-di-rimini-sport-e-cultura-nel-centro-della-citta.php
    23. www.udinetoday.it/eventi/cultura/ecorientering-sport-tutti-uisp-comune-udine-studenti-6-ottobre.html
    24. Studio e analisi di reperti, habitat, aspetti economici e culturali delle società studiate (osservazione del fenomeno); ricostruzione di manufatti adottando le tecniche del passato, esecuzione di prove di utilizzazione condotte nel modo e per gli scopi per cui fu realizzato il manufatto (riproduzione del fenomeno); rilevazione, analisi ed elaborazione dei dati oggettivi e soggettivi emersi durante l'intero processo di ricostruzione e di utilizzazione (studio delle leggi che governano il fenomeno). Vedi John Coles, Archeologia sperimentale, Longanesi, Milano1973.
    25. Paolo Bellintani, Luisa Moser (a c. di), Archeologie sperimentali. Metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione, Atti del convegno 13-15 settembre 2001 Comano Terme-Fiavè (Trento), Provincia autonoma di Trento 2003; la didattica della preistoria attraverso l'archeologia sperimentale è ben descritta in Antonio Brusa (a c. di), Moduli facili di archeologia sperimentale per le scuole elementari, medie e superiori, in Vivere la preistoria,  I viaggi di Erodoto, Quaderno n° 10, ed. Scol. Bruno Mondadori, Milano 1995; i laboratori sull'argilla, sul colore e sull'industria litica descritti continuano ad essere praticati con successo nelle scuole. Tra le altre esperienze accurate, segnaliamo: il Parco Archeologico della Terramara di Montale (Modena), i siti della Provincia di Trento, L'Archeopercorso del Bostel di Rotzo (Vicenza), la Scuola Estiva di Archeologia di Arcevia (Ancona).
    26. Il dossier I luoghi dell'industrializzazione italiana, in Mundus, n. 2, luglio-dicembre 2008, contiene approfondimenti su: Crespi d'Adda www.villaggiocrespi.it; la Centrale Montemartini di Roma, che oggi è anche uno spazio espositivo dei Musei Capitolini; i distretti industriali di Bolzano e della Valle Trompia (Brescia). Sul distretto vicentino vedi www.schioindustrialheritage.it; il sito www.archeologiaindustriale.org, con sede a Terni, è anche un portale informativo di archeologia industriale.
  • La città ideale e i beni comuni

    Numana, 2 agosto

     


    Forse per pudore, la scritta “città ideale” si è scolorita, al punto che si legge appena, in questo striscione che annuncia il sorgere del complesso turistico “ex santa Cristiana”, sul litorale che da Numana va verso sud. Questa città ideale (nel museo di Urbino poi correrete a rifarvi gli occhi con quella vera) è un alveare di villette, addossate le une alle altre. Archi, balconcini, lesene e merli non riescono a nascondere il senso di affollamento e di affogamento. La grande gigantografia, posta sull’ufficio vendite, ci prova, perché mostra solo la piazza avveniristica, con le palme e, sullo sfondo, solo  la prima schiera di caseggiati. Ma se si alza lo sguardo al di sopra dell’alta siepe, che nasconde il complesso alla vista del passante, la realtà appare angosciante.

     

     

     

    Ho appena terminato la Summer School sulla Didattica del Paesaggio e mi risuona ancora in testa una discussione di Paolo Pileri e Bibo Cecchini, sulla democrazia e l’ambiente. Hanno sostenuto, i due colleghi, che su questi temi “i locali” non debbono decidere. Un certo scandalo fra i partecipanti, tutti democratici e, magari, anche di sinistra. Non è, questo, un bene comune? E sul bene comune non si deve attuare il massimo della democrazia? Se no, che bene comune è?

    Non ho preso queste foto per fare una denuncia, una delle tante ormai che non ci fa caso più nessuno, ma per discutere concretamente, su un esempio. Peraltro, non sapendone nulla, non voglio dubitare che abbiano fatto le cose in regola seguendo alla lettera i sempre più minuziosi e cervellotici regolamenti che, localmente, ci si dà per costruire e ricostruire. Diamolo per scontato. Hanno discusso, guardato le leggi, andava tutto bene, e hanno costruito. E hanno distrutto, per sempre, una cosa bella. Questo era proprio il bene comune: “la cosa bella”. Una cosa bella (un paesaggio, un tramonto, una montagna alberata e continuate come vi aggrada questo elenco) non può che essere di tutti quelli che, passando di lì, la ammirano e si sentono meglio. Ora gli abitanti di quel luogo hanno democraticamente deciso di toglierla dal novero dei beni comuni. Non hanno questo diritto. Si sono semplicemente impadroniti di ciò che non era loro.

    Democrazia. Giusto. Ma fra gli aventi diritto. E questi, per quanto riguarda i beni ambientali e culturali, sono “tutti”. Non i pochi che si trovano ad amministrare quel bene comune, e lo trattano come un bene privato.

    La storia, poi, ha anche qualcosa da dire a questo proposito, perché con la scusa dei “beni comuni” si stanno diffondendo favole sul Medioevo, sulle comunità di villaggio e la loro saggezza antica, che non solo sono degli stereotipi (ennesimi: andatevi a leggere su questo punto il dossier che Sergi ha preparato per “Mundus”, ultimo numero uscito), ma quel che è peggio, stereotipi che vengono usati per ottenere cose malvage. I beni comuni del Medioevo erano proprio il contrario di quelli che pensiamo noi. I contadini li difendevano perché li consideravano propri e ne volevano fare quello che gli pareva. Certo, in alcuni casi decidevano per il meglio e con saggezza. In altri decidevano di bruciare tutto e lo facevano senza alcuno scrupolo, perché pressati dalla necessità di dissodare, di coltivare e di mangiare.

    Noi moderni, gli scrupoli ce li abbiamo invece. Perciò, i nostri beni comuni sono diversi, e vanno difesi da tutti, non solo da chi ci siede sopra.

  • Sulle tracce di un monaco in visita a Lucca

    Autore: Marco Cecalupo

     

    Un gioco di orienteering per conoscere il paesaggio urbano medievale. Con testi facilitati e per una classe interculturale.

     

    Marco Cecalupo è stato uno dei primi studenti di didattica della storia, a Bari. A lungo ha collaborato con questo insegnamento. Ora insegna a Reggio Emilia, e fa parte del Comitato scientifico di Historia Ludens. Questo è il racconto della costruzione e dello svolgimento di un gioco-escursione, giocato negli ultimi due anni (2012 e 2013) da cinque classi di prima media di Reggio Emilia nella città di Lucca, corredato dai materiali di gioco e da commenti e foto prodotte dai giocatori. Sul modello didattico impostato presso la Summer School “Emilio Sereni” di Gattatico (RE), questa attività coniuga lo studio del paesaggio urbano con l’intercultura e l’educazione civile. (HL)

     

    Indice

    1. Perché facciamo le visite di istruzione
    2. La progettazione della visita a Lucca
    3. Il gioco: la lettera di Anselmo a Lucca
    4. Un gioco per tutti
    5. I commenti dei giocatori
    6. Conclusioni

     

    1. Perché facciamo le visite d'istruzione

    Secondo alcuni colleghi, noi della Scuola Secondaria di Primo GradoLeonardo da Vinci di Reggio Emilia siamo semplicemente pazzi. Secondo altri, più maliziosamente, svalutiamo la professionalità della categoria. Motivo? Nella nostra scuola organizziamo ancora le visite d'istruzione, senza ricevere finanziamenti specifici né per gli studenti né tanto meno per i docenti. Perché lo facciamo? Perché pensiamo che non siano unextra o un premio, ma semplicemente uno strumento del nostro fare scuola - come la lezione, il laboratorio, il film o la verifica – a cui non vogliamo rinunciare. In questa ostinata abitudine siamo sostenuti da famiglie e studenti, che ogni anno escogitano iniziative per tirar su qualche euro, e permettere così una partecipazione il più larga possibile.

    Noi pensiamo che le visite d'istruzione siano utili per molti motivi: si frequentano luoghi pubblici, dotati di regole specifiche da rispettare; si riscontra una forte motivazione da parte degli studenti; si aumenta la consapevolezza di cosa sia il patrimonio culturale e di come goderne; si allenano i cinque sensi; e infine, ci si stanca a camminare, ma si resta soddisfatti di aver compiuto uno sforzo, un lavoro giocoso o appassionante.

     

    Oltre alle uscite in orario curricolare (cinema, teatro, museo, ecc.), tutte le classi della scuola fanno in un anno due visite didattiche lunghe, anche di più giorni. La prima è una uscita d'accoglienza, serve soprattutto a creare il gruppo-classe, ad allenarsi a contesti diversi dall'aula; ha un programma soft, di solito in località distanti pochi chilometri, o già conosciute negli studi di storia, di arte o geografia; l'altra è percepita da tutti come “la vera gita”, inserita nelle programmazioni di classe e di disciplina. E' quella attesa, costruita, preparata con maggior cura da docenti e alunni.

     

    2. La progettazione della visita a Lucca

    Anche in queste occasioni, gli insegnanti devono dimostrare di essere ottimibricoleurs dell'educazione. Non si inventa nulla, si prendono le idee e i modelli qua e là, e il contesto (cioè il luogo da visitare, la propria classe, ciò che si studia) orienta l'attività che ci si pone di realizzare.

    Il mio obiettivo, dunque, era visitare la città di Lucca con delle classi di prima media. In questo caso, mi sono ispirato a tre precedenti: un gioco che altri docenti della nostra scuola hanno creato qualche anno fa per visitare il centro storico di Firenze, e che ancora rappresenta la visita d'accoglienza delle classi seconde; il modello di gioco-escursione proposto da Historia Ludens, di cui si può leggere in questo sito l'articolo che ne illustra la dinamica fondamentale; un laboratorio pomeridiano sul paesaggio urbano medievale di Reggio Emilia, svolto durante l'anno dagli educatori del Gruppo Educativo Territoriale del Comune a stretto contatto con i docenti, di cui si racconterà una prossima volta.

     

    E' stato necessario recarsi in avanscoperta a Lucca prima della visita, per diverse ragioni: prendere contatti con l'URP e l'Ufficio turistico del Comune; visitare le piazze, le strade e le chiese; calcolare le distanze e i tempi di percorrenza per spostarsi da un luogo all'altro; verificare l'accessibilità dei siti (orari, giorni di chiusura, barriere architettoniche, ecc.); incontrare persone che potessero collaborare con noi (in particolare, presso il Palazzo Mansi, ho preso contatto con le Antiche Tessiture Lucchesi, una associazione locale di donne che fanno, per mestiere e per diletto, l'archeologia sperimentale della seta); sapere se fossero previsti eventi speciali come mostre, feste, fiere, che avrebbero potuto essere integrati nella visita o, al contrario, rappresentare un impedimento (limitazioni del traffico, parcheggi consentiti, chiusure programmate di strade o siti).

    Senza questa fase, la visita sarebbe stata sicuramente più povera. Vediamo perché.

     

    3. Il gioco: la lettera di Anselmo a Lucca

    Arrivati sotto le mura del centro storico di Lucca, gli studenti si dividono in gruppi e ricevono il materiale del gioco: una lettera, una mappa, dei quesiti.
        
    La lettera, scritta in una lingua strana, una sorta di italiano volgare, sembrerebbe prodotta nel XIV secolo da un monaco che, durante il suo pellegrinaggio lungo la via francigena, faceva sosta in città e ne informava i confratelli di un monastero in Campania. Nella lettera, il monaco Anselmo racconta del percorso che egli compie nel borgo, delle chiese e delle piazze che visita, delle persone che incontra e con cui dialoga, delle sensazioni che prova.
        
    La mappa riproduce invece la città com'è oggi, e individua gli stessi luoghi visitati dal monaco, numerati secondo il percorso che egli sembra aver fatto.
        
    I quesiti hanno uno scopo preciso, che è poi l'obiettivo finale del gioco: risolvendoli, si è in grado di affermare se la lettera di Anselmo sia autentica o se, invece, sia un documento falso, prodotto per chissà quale ragione nei secoli successivi.

    Per risolvere il mistero della lettera, quindi, è necessario compiere operazioni che richiedono competenze diverse. Bisogna cercare le strade, ripercorrerle, localizzarle sulla mappa; si devono considerare i cambiamenti del paesaggio urbano negli ultimi 700 anni, che mostrano elementi assenti agli occhi di Anselmo; bisogna immaginare le mura romane, medievali e moderne della città come tre anelli concentrici; si devono formulare delle ipotesi, laddove la situazione non permette di chiarire con certezza alcune questioni; è necessario parlare coi cittadini di Lucca o entrare nei negozi; si devono trovare prove contenute oggi nei musei, nei cartelli stradali, o nei dolci in vendita nei forni...
        
    Un solo quesito valga come esempio: a Lucca si lavorava la seta? Oggi non esistono più gli antichi laboratori serici, e il quartiere che vi era dedicato ha cancellato qualsiasi segno esteriore (se non tracce nella toponomastica) di questa produzione artigianale che, vanto della città, esportava tessuti di lusso presso le maggiori corti europee. Come risolvere il quesito? Ci si reca nel palazzo indicato, che oggi è un museo nazionale. Si interroga il personale del museo sulla presenza al suo interno di reperti o manufatti che possano aiutare a rispondere. E quando si arriva nelle sale che contengono gli antichi telai e tutti gli altri attrezzi, si incontrano alcune donne che, assoldati alcuni studenti come garzoni di bottega, ci mostrano come funzionano i telai e le altre fasi della produzione.

    Il gioco viene condotto in autonomia dal gruppo di studenti, il docente che li accompagna ha solo la funzione di sorvegliare; le decisioni relative al percorso, alle soste necessarie, alle risposte ai quesiti, competono in modo esclusivo agli studenti, che hanno solo l'obbligo di giungere al punto di raccolta finale entro una certa ora, per riposarsi e discutere un po' tutti insieme.

     

    4. Un gioco per tutti

    Per favorire la partecipazione al gioco da parte di nuovi cittadini, cioè gli studenti che parlano lingue madre diverse dall'italiano e che lo apprendono come seconda (o terza) lingua, e degli studenti che per varie ragioni presentano difficoltà nella lettura e nella comprensione del testo, ho preparato una versione facilitata della lettera, riscritta con lessico e sintassi ad alta leggibilità (e nella lingua italiana attuale). Non è stata eliminata alcuna indicazione spaziale, ma ho modificato il font simil-medievale, che sembrava un elemento di disturbo alla comprensione, non indispensabile. Tutte le altre parti del gioco (regole, quesiti e mappa) sono state utilizzate senza modifiche.

    Il costante e consistente arrivo nelle nostre classi di studenti provenienti dalla Cina, ha richiesto l'ulteriore preparazione di una versione in lingua cinese1 della missiva di Anselmo.

     

    5. I commenti dei giocatori

    Dopo l'estate, ho chiesto agli studenti che hanno giocato a Lucca cosa ne pensassero. In primo luogo, ho domandato se le regole del gioco fossero chiare. Poi li ho invitati a riportare cosa ricordassero e ad elencare aspetti positivi e negativi. Ecco un sunto di cosa mi hanno raccontato.

     

    Giacomo: L'aspetto positivo è che ho girato una città che non avevo mai visto, l'aspetto negativo è che è volata la giornata.

     

    Laura: E' una città molto bella ed interessante, con molti monumenti antichi, è anche strana perché circondata dalle mura. Si mangiava bene. Aspetti negativi: è piuttosto isolata e non ci sono molte vie di comunicazione, riguardo ai miei compagni non c'erano aspetti negativi.

     

    Rahel: Ho capito presto il gioco e le sue regole. E' un gioco che si basa sull'orientamento e sulla capacità di essere bravi in storia. Mi ha sempre colpito l'intelligenza che avevano i romani quando hanno cominciato a costruire le mura e la città. L'aspetto positivo è imparare qualcosa di più e imparare ad orientarsi in una città che non conosciamo. L'aspetto negativo è che in squadra ci sono persone di carattere diverso.

     

    Anna: Io mi ricordo delle case attaccate fatte a forma di cerchio, con una grande porta dove si entra, poi dentro c'erano dei negozi e ristoranti.

     

    Alessia Yuan: Mi ricordo del buccellato (tipico dolce di Lucca), delle mura, delle chiese, dei negozi, le strade, il fossato. Ora i quesiti non me li ricordo, ma so che le domande erano facili, ma trovare i posti era il difficile. L'aspetto positivo era che la città era piena di culture, quello negativo che si camminava tanto, si girava in tondo, e io non ho un buon senso dell'orientamento, e faceva caldo.

     

    Francesco: La città vista da fuori mi sembrava molto grande e si vedeva chiaramente che aveva all'epoca una bella tecnica di difesa.

     

    Luigi: Si, ho capito le regole del gioco, bastava solo esplorare Lucca, che è bellissima. L'aspetto negativo è che si doveva camminare tanto.

     

    Lea: Mi ricordo benissimo della fatica che abbiamo fatto per cercare il punto d'incontro, il buonissimo sapore dolce del buccellato e quelle bellissime chiese.

     

    Come si può notare, le risposte non sono univoche, ma contraddittorie. Alcune in particolare mi inducono a pensare dei cambiamenti per gli anni a venire:
        
    Tiffany: Mi è piaciuto visitare le chiese, invece negativo è il tempo, il mio gruppo non ha avuto il tempo per finire l'ultimo quesito.

     

    Ting Ting: Quando ho visto le mura, molto grandi, mi sono piaciute. La cosa positiva è aver camminato e aver conosciuto una città nuova, non mi è piaciuto non poterla visitare tutta, la città.

     

    Luca: Era molto semplice, infatti io e la squadra in cui ero siamo subito partiti in velocità. Mi ricordo che all'interno sembra un labirinto squadrato, perché la città è di origine romana. Il quesito più difficile era quello sugli ingredienti del buccellato. L'aspetto negativo era che in alcuni punti le squadre si incontravano, però quello più bello è stato che era molto divertente.

     

    Simone: Di positivo c'è che giravano poche macchine e di negativo c'è che non capivo mai dove ero.

     

    Giovanni: Ricordo molto poco, cioè qualche chiesa, le mura e il pane con l'uvetta.

     

    6. Conclusioni

    Evidentemente, il gioco-escursione non è una panacea, una bacchetta magica, ma solo (e vi pare poco?) un irrinunciabile tassello del percorso di formazione dei nostri cittadini-studenti. Lascio le conclusioni a due ottimi allievi, che lo stato italiano si ostina a considerare non-cittadini:
        
    Salimata: Ho avuto l'impressione che la città innanzitutto fosse antica, perché aveva delle mura molto vecchie. Mi è sembrata anche molto grande, perché avevamo già visto una parte di città all'esterno e vi era una parte molto grande all'interno. Mi è piaciuta fin da subito. Mi sono, in seguito, domandata come la vegetazione facesse a crescere sulle mura, ma questo pensiero è scomparso immediatamente (n.d.A.: al rientro in classe abbiamo visto una sezione delle mura per chiarire questo apparente mistero). Ho capito subito le regole del gioco, perché ero super eccitata e non vedevo l'ora di cominciare! Infatti erano anche molto semplici! Si doveva girare nella città seguendo il percorso della carta e in ogni luogo segnato dovevamo scrivere di esserci stati e rispondere ad alcune domande. Non ricordo tante cose perché è passato un po' di tempo. Comunque ricordo delle chiese, dei negozi, ma anche persone accoglienti e generose. […] Credo che sia stata molto produttiva questa uscita e anche molto divertente. Mi è piaciuto anche il fatto di conoscere persone di altre classi. Non credo che ci siano stati aspetti negativi, almeno per me! E' un'esperienza che mi piacerebbe ripetere con altre città.

     

    Artsiom: Ho capito presto, dovevamo cercare i posti visitati da fra Anselmo. Il gioco era molto bello ma mi è dispiaciuto che fra Anselmo non esisteva, in realtà era il prof Cecalupo.

     

     

     

    Note

    1. traduzione a cura di Zhang Meng Jia

     

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