Peste

  • Epidemie e pandemie dal passato al presente. Una raccolta di articoli in rete

    di Daniele Boschi

    Di fronte alla crisi provocata dalla diffusione del Coronavirus, gli organi di informazione e i social media si sono spesso affidati alle analisi e alle previsioni di medici ed epidemiologi, economisti, psicologi e scrittori; anche gli storici, tuttavia, sono scesi in campo. La Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna ha realizzato nel suo sito web una raccolta di articoli, interviste e risorse online intitolata “la storia al tempo del Covid-19”. JSTOR Daily ha pubblicato decine di saggi ed articoli che oltre ad offrire approfondimenti sulla situazione attuale, ripercorrono la storia delle malattie infettive, della loro diffusione e delle misure adottate per prevenire o contrastare il contagio.

    Naturalmente il tema ricorrente negli interventi a sfondo storico è il confronto tra la crisi attuale e le epidemie del passato: dalla cosiddetta Peste Nera del XIV secolo alle terribili epidemie di peste del Seicento, dalla pandemia di colera del XIX secolo alla “spagnola” degli anni 1918-19. Quali sono le analogie e le differenze rispetto alla pandemia attuale? Possiamo trarre delle lezioni dal passato?

    Gli abitanti di Tournai seppelliscono le vittime della peste (miniatura del XIV secolo)1. Gli abitanti di Tournai seppelliscono le vittime della peste (miniatura del XIV secolo)

    La rassegna che segue si basa principalmente sui testi raccolti dalla Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna, ma anche su altri articoli che ho trovato girovagando sulla rete a partire dalle indicazioni dei vari motori di ricerca.

    Ogni epoca storica ha le malattie che si merita

    Può essere utile partire dall’attenta e articolata analisi di Kyle Harper, che si ispira agli studi di William McNeill, autore oltre quarant’anni fa di una celebre monografia sulla storia delle malattie infettive. In un articolo pubblicato sull’edizione online della rivista «Foreign Policy», Harper ha sottolineato il fatto che le grandi epidemie sono sempre il risultato dell’azione congiunta di fattori casuali e di caratteristiche strutturali delle società umane. Sono casuali, infatti, il passaggio degli agenti patogeni da una specie all’altra, le mutazioni genetiche che rendono alcuni microrganismi più aggressivi, i contatti tra i diversi gruppi umani. Tuttavia, se si adotta una scala temporale più lunga, risultano evidenti i nessi tra la diffusione delle malattie infettive e i diversi livelli di sviluppo della società umana. In un certo senso, ogni epoca storica ha le malattie infettive che si merita – non dal punto vista morale, ma sul piano ecologico.

    Questo vale anche per noi. La modernizzazione della società ha portato con sé la creazione di ambienti assolutamente artificiali, progettati per tenere sotto stretto controllo gli agenti patogeni. Tuttavia, l’imponente aumento della popolazione umana, la globalizzazione e il crescente sfruttamento delle risorse naturali hanno enormemente aumentato l’interfaccia tra la nostra specie e i suoi potenziali parassiti. Paradossalmente, nell’Antropocene l’emergere di malattie infettive ha avuto un’accelerazione. È vero che sono molto migliorati i mezzi a nostra disposizione per combattere virus e batteri, ma alcuni dei nostri nuovi nemici come l’HIV e i coronavirus hanno messo o stanno mettendo a dura prova anche i più sofisticati strumenti della scienza e della medicina di oggi.

    La reazione alle epidemie: analogie e differenze tra presente e passato

    Molti storici hanno sottolineato le analogie, ma anche le differenze, che si riscontrano nel modo in cui la politica e la società reagiscono alle epidemie, osservando che le strategie adottate per arginare il Covid-19 hanno le loro radici nel passato.

    Il lazzaretto di Milano2. Il lazzaretto di Milano, che servì come luogo di ricovero per i malati durante le epidemie del XVI e XVII secolo.
    La struttura fu poi adibita ad altri usi ed infine smantellata alla fine dell’800 (la foto è del 1880 o 1882)

    Ad esempio, Eugenia Tognotti ha ricordato che fin dal tardo Medioevo, di fronte al dilagare della peste, le città italiane misero in atto un sistema difensivo basato su quarantene, cordoni sanitari, lazzaretti e controllo sociale della popolazione a rischio. Queste misure furono poi imitate in altri paesi europei. E questo accadeva nonostante il fatto che erano allora sconosciute le reali modalità di contagio delle malattie infettive.

    Un altro parallelo, secondo Tognotti, si può rintracciare tra la crisi attuale e quella provocata in Italia nel 1918 dalla diffusione della influenza spagnola:
    «… le scuole furono chiuse, e anche cinema, teatri e luoghi di ritrovo. Gli orari di apertura dei ristoranti furono ridotti. Furono proibite le riunioni pubbliche e anche i funerali e le cerimonie religiose. … Le descrizioni delle città italiane nell’autunno-inverno del 1918, con le strade buie e deserte, illuminate soltanto dalle luci delle farmacie, sono simili alle immagini che la televisione ci trasmette oggi, con le porte delle chiese serrate e le strade e le piazze deserte»1.

    I confronti vanno fatti però con cautela. Come mette in rilievo un articolo del geografo Freddy Vinet, autore di una monografia sulla pandemia di spagnola, il contesto di quella crisi, che scoppiò quando era ancora in corso il primo conflitto mondiale, era completamente diverso da quello attuale. L’epidemia giunse inaspettata in un momento in cui gli sforzi della popolazione e dei governi erano ancora concentrati sulla guerra e anche per questo le iniziative messe in campo per contrastare la diffusione della malattia furono deboli e poco efficaci:

    «Le risorse mediche erano riservate allo sforzo bellico. Le autorità politiche si rifiutavano di dare istruzioni generali per chiudere le frontiere o confinare la popolazione. L’economia di Paesi già duramente colpiti dalla guerra non doveva essere gravata ulteriormente. Le autorità rimandarono ai prefetti o ai Comuni il compito di chiudere teatri, cinema, negozi o sospendere eventi sportivi, qualora necessario. In realtà, le economie dei Paesi colpiti si fermarono per mancanza di personale. Il numero dei malati era tale che le scuole non potevano più funzionare, le fabbriche giravano a rilento e i raccolti erano lasciati in stato di abbandono».

    Quella terribile pandemia provocò nel mondo un numero di decessi stimato tra 50 e 100 milioni, in confronto ai quali la mortalità prodotta dal Covid-19, in termini puramente statistici, appare al momento molto bassa. Il fallimento delle autorità mediche e politiche nel contrastare la ‘spagnola’ fu totale e per questo esse si sforzarono poi di attutire il ricordo di quella tragedia nella memoria collettiva.

    Un padiglione di un ospedale di Washington D.C.3. Un padiglione di un ospedale di Washington D.C.
    riservato ai malati di influenza spagnola durante la pandemia del 1918-19

    Lo storico Richard J. Evans, intervistato sul «New Yorker», ha rievocato i principali risultati delle sue ricerche sulle epidemie di colera che colpirono Amburgo nel XIX secolo, e in particolare su quella devastante del 1892. Amburgo era allora la seconda città dell’Impero tedesco: era una città autonoma, governata da una élite di mercanti che cercò di imporre il silenzio sulla diffusione della malattia, per il timore dei danni che le misure di contenimento dell’epidemia avrebbero prodotto per i loro affari. Impossibile non vedere qualche somiglianza con gli analoghi tentativi fatti in un primo momento dalle autorità cinesi di fronte all’epidemia del Covid-19.

    Alessandro Pastore ha ricordato i “bollettini di sanità” che in Antico Regime consentivano agli uomini di spostarsi durante un’epidemia, apparentemente molto simili alle certificazioni oggi necessarie per poter giustificare i nostri movimenti a fronte di eventuali controlli di polizia. E tuttavia i bollettini di sanità erano rilasciati ad personam da un’autorità civile o ecclesiastica, mentre le nostre autocertificazioni sono sottoscritte da chi le ha compilate e riportano i dati di carte di identità o di altri documenti simili, dei quali non vi era l’equivalente in Antico Regime.

    La ricerca di capri espiatori e di responsabili umani

    La ricerca di capri espiatori, di complotti e di responsabili umani all’origine del contagio è un altro elemento che sembra accomunare la crisi attuale alle epidemie dei secoli passati. Come ha ricordato, tra gli altri, Simon Shama, al tempo della Peste Nera gli ebrei furono accusati di aver avvelenato i pozzi e di aver diffuso intenzionalmente il morbo; e alla fine dell’Ottocento non era raro che la diffusione del colera, arrivato in Europa dal Bengala, fosse spiegata come il risultato di una vendetta asiatica contro l’imperialismo europeo. Ai nostri giorni il Presidente statunitense Donald Trump ha accusato la Cina di aver diffuso nel mondo il Coronavirus; e aggiungiamo che altri hanno ipotizzato che siano stati i militari americani a portare il morbo a Wuhan.

    Un manifesto usato a New York durante un’epidemia di colera (1865)4. Un manifesto usato a New York durante un’epidemia di colera (1865)

    Silvana D’Alessio ha raccontato che a Napoli, durante l’epidemia di peste del 1656, si sparse la voce che il morbo fosse stato deliberatamente introdotto da nemici della corona spagnola, Francesi o Portoghesi, che l’avrebbero portato con polveri o unguenti; e alcuni presunti untori furono torturati e uccisi (come era già accaduto a Milano nel 1630).

    Al rapporto tra epidemie, immaginario collettivo e violenza sono dedicate alcune delle recenti ricerche di Samuel Cohn, che ora ha riproposto brevemente le sue tesi. Lo storico statunitense ha rilevato che, nella storia delle epidemie dall’antichità a oggi, la tendenza a sfogare paure e tensioni contro outsiders, o contro gruppi e individui marginali, rappresenta un’eccezione piuttosto che la regola. E mentre sono ben note le violenze contro gli ebrei al tempo della Peste Nera, meno conosciute sono le violente rivolte che scoppiarono nel XIX secolo e agli inizi del XX in occasione delle epidemie di colera, quando ad essere presi di mira furono il personale medico e sanitario e i rappresentanti delle autorità governative, accusati di avere inventato un pericolo inesistente e di segregare e far morire i presunti malati negli ospedali.

    Anacronismi e uso strumentale della storia

    Se gli storici sono in genere abbastanza cauti nel proporre il confronto tra il presente e il passato, non sempre si coglie un’analoga prudenza negli interventi e nelle analisi che appaiono sui media. E di fronte all’abbondanza dei riferimenti alle epidemie del passato, Maria Conforti si è chiesta «se la storia sia, come sembra in questi giorni, solo una trita ripetizione di eventi … o se non sia invece un ‘paese straniero’, come è stato definito da David Lowenthal: un luogo da visitare sapendo quanto è diverso dal nostro». E ha suggerito la lettura delle memorie del chirurgo Giuseppe Balestra, che fu a capo del lazzaretto dell’Isola Tiberina a Roma durante l’epidemia di peste del 1656, come «antidoto salutare alla tentazione di attualizzare senza le dovute cautele ed esperienze, pratiche e tragedie che per molti versi sono lontanissime dalla nostra».

    Un medico che indossa vari dispositivi di protezione dal contagio5. Un medico che indossa vari dispositivi di protezione dal contagio2
    durante l’epidemia di peste del 1656 a Roma
    (l’immagine serve da illustrazione a un testo satirico)

    Anche per Alessandro Pastore «anacronismi palesi e confronti ingannevoli sono facilmente in agguato e vanno smontati» rifacendosi alla lezione di Lucien Febvre, che definiva l’anacronismo come «il peccato dei peccati», e di Marc Bloch, che metteva in guardia dalle false somiglianze e invitava a cogliere la «sensazione della differenza» per arrivare a una vera conoscenza del passato.

    D’altro canto i riferimenti al passato non sono sempre ingenui, ma possono essere funzionali a forme di strumentalizzazione politica. In particolare, Maria Pia Donato, dopo aver ricordato che, ieri come oggi, le epidemie colpiscono più duramente i poveri, i deboli e i marginali, ha sottolineato il fatto che «con buona pace delle persistenze di lungo periodo, nelle società di antico regime l’accesso ineguale alle cure era un’evidenza … Oggi, invece, almeno nell’Europa occidentale, è un dato di fatto contrario al diritto, il frutto di scelte precise di politici eletti democraticamente – o almeno dell’assenza di scelte e di politiche». Per questo è necessario «oggi più che mai, insistere sulle differenze, denunciare l’uso strumentale di analogie e persistenze storiche, svolgere un’opera, per così dire, di igiene concettuale». Solo in questo modo gli storici potranno intervenire più autorevolmente al di fuori del dibattito accademico “per individuare le responsabilità, proporre soluzioni, immaginare un futuro di liberazione”.

    Dal passato al futuro

    Sulle prospettive che si aprono di fronte a noi, è ricorrente la constatazione che l’attuale crisi potrebbe segnare un passaggio epocale. Per Yuval Noah Harari questa crisi è forse la più grande della nostra generazione. «Le decisioni che le persone e i governi prenderanno nelle prossime settimane probabilmente incideranno in profondità sul mondo per anni. Influiranno non solo sui nostri sistemi sanitari ma anche sull’economia, la politica e la cultura». Siamo chiamati a scegliere tra la sorveglianza totalitaria e la responsabilizzazione dei cittadini, tra l’isolamento nazionalista e la solidarietà globale. Purtroppo una paralisi collettiva sembra aver bloccato la comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno abdicato al ruolo di guida che hanno svolto nelle precedenti crisi globali, come quella finanziaria del 2008 e quella di Ebola nel 2014. Soltanto se il vuoto lasciato dalla superpotenza americana sarà riempito da altri paesi, riusciremo a trasformare questa crisi in una opportunità per costruire un mondo più solidale.

    Sulle pagine di «Le Monde» Thomas Piketty si è chiesto se la crisi del Covid-19 porterà al declino dell’ideologia neo-liberista e all’emergere di un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile. E ha risposto che ciò è possibile, ma non è affatto scontato. Egli ha sottolineato che «questa crisi può anche essere un’opportunità per riflettere su una distribuzione di risorse sanitarie ed educative minime per tutti gli abitanti del pianeta», risorse finanziate grazie a modalità di prelievo fiscale più efficaci sui redditi più elevati e sui grandi patrimoni. È difficile però immaginare che Trump o Macron possano aderire a una prospettiva di questo tipo e molto dipenderà anche dalla mobilitazione delle forze che si oppongono a quei leader e ai loro governi. «Possiamo essere certi di una cosa: i grandi sconvolgimenti politico-ideologici sono solo all’inizio».

    Tornando a Kyle Harper, col quale avevo aperto questa rassegna, egli ha concluso il suo intervento affermando che il Covid-19 avrà probabilmente un impatto molto minore rispetto alle maggiori pandemie del passato in termini di mortalità, ma molto forte sul piano sociale, economico e forse anche geopolitico:

    «A volte le pandemie si limitano ad accelerare il corso degli eventi storici o a rivelare la direzione nella quale si stava già andando, altre volte modificano in modo determinante lo sviluppo delle società umane … Avremo bisogno di tempo e di una prospettiva temporale più lunga per comprendere i modi in cui questa pandemia cambierà il nostro mondo (gli storici, naturalmente, prediligono la distanza e lo sguardo da lontano). Ma la sensazione che abbiamo di assistere alla rottura di alcune delle giunture della nostra società non è sbagliata e il nostro passato ci ricorda che gli shock biologici spesso coincidono con momenti di trasformazione e di mutamento – e qualche volta persino di progresso».

     

    Note

    1. Il testo originale di Eugenia Tognotti è in inglese. La traduzione è dell’autore di questo articolo. Questa avvertenza vale anche per gli articoli in lingua inglese citati in seguito.

    2. Il mistero della macabra maschera a forma di becco dei medici della peste.

    Fonti delle immagini

    Immagine1  | Immagine2  | Immagine3  | Immagine4  | Immagine5  

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  • La risposta di una Comunità di valle di fronte alla peste.

    Autore: Francesco Antonio Bernardi

    Un laboratorio didattico sulla pestilenza del 1571 in Val di Fassa

    Una piccola premessa

    Si tratta di un piccolo percorso interdisciplinare della durata complessiva di tre tempi-scuola da 50 minuti ciascuno, che è stato proposto agli alunni delle classi 2aC e 2aD della Scuola secondaria di primo grado di Pozza di Fassa, facente parte della Scola Ladina de Fascia°.

    Il materiale e gli spazi utilizzati

    Per realizzare il progetto sono stati utilizzati i seguenti materiali:

    •    la copia di una carta geografica storica della Val di Fassa, realizzata nel 17521 ;
    •    una presentazione realizzata con il programma PowerPoint sulla storia istituzionale della Val di Fassa e della sua Comunità (alla quale si accennerà più avanti);
    •   la trascrizione di un documento relativo alla pestilenza del 1571, in versione semplificata per poter essere compresa meglio dagli alunni. Il documento originale è conservato a Trento; la sua trascrizione integrale, invece, è consultabile in un volume curato dallo storico locale Padre Frumenzio Ghetta2 (1920-2014) . Questo documento offre un esempio perfetto di come si affrontassero a quei tempi le epidemie che flagellavano periodicamente gli uomini o il bestiame, ed evidenzia come le misure preventive e i provvedimenti sanitari si accompagnassero sempre alle pratiche religiose, in un’epoca nella quale la scienza moderna muoveva i primi passi.

    Per quel che concerne gli spazi, invece, tutte le attività sono state svolte in aula, essendo sufficiente il semplice supporto di un pc e di una LIM.

    I prerequisiti

    In primo luogo gli alunni devono conoscere il concetto di fonte, le sue tipologie e i suoi possibili usi;devono quindi essere capaci di ricavare informazioni valide dal libro di testo, dalle carte storico-geografiche e dalle diverse tipologie di fontiche gli vengono proposte, utilizzando il metodo storico; devono poi saper produrre rappresentazioni sintetiche degli argomenti studiati; infine, ultimo ma non meno importante, devono essere in grado di esporre correttamente le conoscenze acquisite, in forma sia orale che scritta.

    I traguardi per lo sviluppo delle competenze

    Il progetto è stato ideato tenendo conto di alcune delle competenze che gli studenti do-vrebbero possedere al termine del primo ciclo d’istruzione, secondo quanto stabilito dalle Linee guida provinciali entrate in vigore nel 2012. In primo luogo, utilizzare i procedimenti tipici del metodo storiografico e il lavoro sulle fonti per compiere semplici operazioni di ricerca storica, con particolare attenzione all’ambito locale. Quindi, riconoscere le componenti che costituiscono le società organizzate (economia, società, politica, istituzioni e cultura), e comprendere che esse sono interdipendenti; in terzo luogo, comprendere e saper contestualizzare fenomeni relativi al passato e al presente, nello spazio e nel tempo, cogliendone le relazioni di causa e le interrelazioni. E ancora, effettuare confronti tra le varie modalità con cui gli uomini, nel corso del tempo, hanno dato una risposta ai loro bisogni e problemi, comprendendo in che modo essi abbiano costituito organizzazioni socio-politiche diverse tra loro e rilevando permanenze e mutamenti nel processo storico. Infine, saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite per orientarsi nel mondo contemporaneo, comprendendone i problemi fondamentali e sviluppando un atteggiamento critico e consapevole3 .

    Gli obiettivi di apprendimento

    Innanzitutto, conoscere le procedure e le tecniche di lavoro in uso nelle biblioteche e negli archivi storici; quindi, usare fonti di tipo diverso (documentarie, iconografiche, materiali, narrative, orali ecc.) per produrre conoscenze sul tema prescelto; in terzo luogo, collocare la storia locale nel contesto della storia italiana ed europea nel periodo considerato; quindi, formulare e verificare ipotesi sulla base di informazioni raccolte e conoscenze elaborate. E ancora: utilizzare le conoscenze apprese per comprendere problemi ecologici, interculturali e di convivenza civile;selezionare e organizzare le informazioni con mappe concettuali, schemi e tabelle; produrre un testo utilizzando le conoscenze selezionate da fonti d’informazione diverse, manualistiche e non, cartacee e digitali; infine, argomentare sulle conoscenze e sui concetti appresi usando il linguaggio specifico della disciplina4 .

    La declinazione in indicatori di competenza5

    I collegamenti interdisciplinari   
    Per quanto riguarda l’Italiano, si è lavorato sulla necessità di esprimere correttamente i contenuti appresi durante il laboratorio, in modo tale da poter produrre e organizzare informazioni utilizzando il lessico specifico. Quest’abilità è stata verificata tramite la produzione di un testo scritto (come si spiegherà tra poco), ma può essere rafforzata dall’analisi di ulteriori fonti documentarie relative al periodo storico esaminato, come anche dalla lettura di brani tratti da opere letterarie. A questo proposito si evidenzia che il Prof. Parzian, nei giorni in cui si è svolto il progetto, stava introducendo e spiegando le caratteristiche del dialogo. Si è pensato perciò d’individuare uno stralcio tratto daI ll re di Girgenti, romanzo storico di Andrea Camilleri: più precisamente si tratta del dialogo tra Zosimo, il protagonista (che, in disaccordo con la medicina ufficiale del tempo, ha intuito che il morbo si diffonde tramite contagio) e il vescovo di Girgenti, sulle cause della peste e sulle possibili contromisure6. Il brano non è stato analizzato in classe per mancanza di tempo, ma può essere tranquillamente utilizzato in un secondo momento per approfondire le conoscenze degli alunni. Per quel che concerne la Geografia, invece, la localizzazione dell’area geografica interessata - facilitata e incentivata dall’uso della carta storica della valle - ha permesso ai ragazzi di far fruttare la loro conoscenza delle caratteristiche fisiche, politiche ed economiche della Val di Fassa nei secoli scorsi. In questo modo, tra l’altro, gli alunni hanno potuto arricchire e/o riorganizzare in modo significativo le proprie “carte mentali”.

    Le competenze chiave di cittadinanza

    Le competenze individuate durante la stesura del progetto, ben note, sono le seguenti:

    •    Imparare ad imparare;
    •    Individuare collegamenti e relazioni;
    •    Acquisire ed interpretare l’informazione;
    •    Comunicare;
    •    Collaborare e partecipare.

     

    L’articolazione del laboratorio didattico
    Le attività del laboratorio sono state articolate nel modo che segue:

    Primo tempo-studio

    •    Prima fase (35 minuti):sono state fornite ai ragazzi alcune brevi notizie sull’organizzazione politica e amministrativa della Val di Fassa nel XVI secolo, nonché sulle caratteristiche dei centri abitati, con l’aiuto di una piccola presentazione in PowerPoint. Gli alunni, in questo modo, hanno appreso che la Comunità di Fassa, nata nel 1264, dipendeva dal Principato vescovile di Bressanone ma godeva di una certa autonomia. Fino al 1796 essa, pur avendo un potere limitato di fronte al principe-vescovo e alla dinastia degli Asburgo d’Austria, difese gelosamente le proprie leggi e consuetudini, e rivendicò il diritto di amministrare la giustizia. La Comunità era formata da sette “Regole” abitate da contadini-pastori (Pozza, Soraga, Canazei, Vigo, Campitello, Pera e Mazzin-Fontanazzo), che eleggevano annualmente i propri rappresentanti da inviare alle riunioni ufficiali. I sette rappresentanti, a loro volta, nominavano due procuratori incaricati di amministrare i conti della Comunità, che duravano in carica un anno. I documenti redatti erano stilati e conservati da uno scrivano appositamente incaricato. Si ricorderà infine che nel 1803, dopo la conquista napoleonica, il principato vescovile di Bressanone fu definitivamente soppresso e anche la storia plurisecolare della Comunità giunse al termine.

    Fig. 1: le caratteristiche dei centri abitati della valle


    Fig. 2: le sette Regole che costituivano la Comunità di Fassa.


    •    Seconda fase (15 minuti):in entrambe le classi gli alunni sono stati divisi in sette gruppi di lavoro, per riprodurrel’organizzazione politico-amministrativa della Comunità in Regole. Ciascun gruppo ha scelto il proprio rappresentante, che si è calato nei panni del proprio “antenato” citato nel documento selezionato. Quest’accorgimento ha rappresentato il primo “contatto diretto” con la fonte storica e ha consentito ai ragazzi d’immergersi in una sorta di roleplaying.

     

    Secondo tempo-studio

    •    Prima fase (20 minuti): gli alunni sono stati chiamati a rispondere al seguente problema: Nell’anno del Signore 1571 la peste minaccia la Val di Fassa. Cosa si può fare per proteggerla? I sette gruppi si sono serviti della carta geografica storica della valle e, facendo riferimento anche a contenuti econoscenze apprese dal libro di testo e dalle spiegazioni in aula, hanno cercato d’individuare le soluzioni più ade-guate, utilizzando la strategia didattica del cooperative learning.

    Fig. 3: J. DE SPERGS, Tyrolis pars meridionalis cum Episcopatu Tridentino, Vienna 1762. Edita in Su la sèides de l'Impèr: chèrtes e mapes de Fasha. Sec. XVI-XVIII, a cura di Mario Infelise e Fabio Chiocchetti, Vigo di Fassa 1986, p. 39.


    Quest’attività, naturalmente, ha consentito di verificare alcune abilità significative: gli alunni, infatti, hanno dovuto dimostrare di sapersi confrontare e di cooperare per sviluppare una strategia valida e motivata. Noi insegnanti, da parte nostra, in questa fase siamo intervenuti in modo discreto, principalmente per garantire il rispetto dell’ordine e del silenzio, verificando che ciascun componente del gruppo avesse la possibilità di esprimere le proprie idee rispettando il proprio turno. Al termine di questa fase di confronto e discussione, ciascun gruppo ha stilato una lista di cinque proposte, affidata poi al rispettivo rappresentante.

    •    Seconda fase (30 minuti): al termine della prima fase di lavoro, i rappresentanti delle sette Regole - autorizzati a prendere la parola a nome di tutto il gruppo - sono stati invitati a parlare. È iniziato così un acceso dibattito che ha avuto l’obiettivo d’individuare soluzioni condivise, votandole a maggioranza.
     

    Fig. 4: il verbale stilato dai rappresentanti delle sette Regole


    Al termine della discussione è stato redatto un documento finale in forma scritta, recante la stessa data di quello originale (26 novembre 1571), nel quale sono state elencate le cinque proposte che hanno ottenuto i maggiori consensi. Questa fase si è rivelata particolarmente interessante, perché ha permesso agli alunni di esaminare gli elementi caratteristici della struttura di un verbale (la data topica e cronica, l’indicazione dell’ordine del giorno, l’elenco dei partecipanti, il nome dei funzionari e/o degli ufficiali che la presiedono, l’elenco delle decisioni adottate).

     

    Terzo tempo-studio

    •    Fase unica(50 minuti): gli alunni hanno confrontato il documento finale prodotto da loro con quello originale, evidenziando similitudini e differenze: in questo modo i ragazzi hanno potuto prendere coscienza delle scelte effettuate dai loro antenati, giustificandole e motivandole adeguatamente. Nell’analisi della fonte ci siamo ispirati liberamente alla “grammatica dei documenti” proposta da Antonio Brusa7 . Nel caso in cui si voglia riproporre questo laboratorio, la raccomandazione per il corretto svolgimento di quest’ultima fase è che gli alunni siano stati attenti e pienamente partecipi a tutte le attività svolte in precedenza. Il confronto tra i due documenti, in effetti, può essere inteso anche come momento di debriefing, durante il quale i ragazzi possono ripensare le loro strategie di gioco ed evidenziare agli insegnanti gli elementi che hanno colpito maggiormente la loro attenzione. Tutto ciò, d’altra parte, consente ai docenti di chiarire i concetti più difficili tra quelli esposti a lezione.


    La risposta degli alunni al laboratorio

    Ci sembra opportuno sottolineare il pieno coinvolgimento di tutti gli alunni e l’attenzione mostrata anche da parte di coloro che normalmente si dimostrano meno interessati allo studio della Storia: se è vero che la validità di un laboratorio di questo genere si coglie an-che dalla motivazione e dalla serietà con cui gli studenti vi partecipano, allora si può dire che il risultato sia stato ampiamente soddisfacente. Ci preme evidenziare soprattutto il contributo attivo offerto dagli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento, che è stato davvero confortante e stimolante.A conclusione di questo piccolo resoconto, allego la tra-scrizione del documento e la scheda di lavoro per l’analisi di quest’ultimo.


    La trascrizione del documento preso in esame

    26 novembre 1571, Vigo di Fassa

    Il dì 26 novembre dell’anno 1571.
    Davanti allo spettabile messer Battista Chaliar, vice-vicario in Fassa, sono stati inviati al-cuni uomini per ciascuna Regola, per discutere della devozione e delle messe in onore di Santa Giuliana. Lo stesso per andare in processione durante la settimana. Lo stesso per ben governare la peste che ha colpito Moena.

    •    Per Canazei, sono presenti ser Zan de Livan e ser Jori de Caterina e Cristoforo.

    •    Per Campitello, mastro Paolo fabbro, mastro Marino de Simone e ser Bastiano de Funé;
    •    Per Fontanaz e Mazzin, ser Gian Antonio de Lastei.
    •    Per Pera, ser Giovanni de Soial, ser Zan de Piaz e ser Bartolomeo de Piaz.
    •    Per Pozza, ser Gianbattista Barat, ser Valerio de Zilli e ser Giacomo Bres.
    •    Per Vigo, Gian Pruner, ser Tommaso da Tamion e ser Nicolò de Marel.
    •    Per Soraga, ser Giacomo del Cristina, ser Bartolomeo de Chrazuel e ser Giovanni de Pelegrin.

    Così è stato deciso da tutta la Comunità: in primo luogo, che le messe in onore di Santa Giuliana vengano celebrate per un anno intero, e con consiglio del Pievano si è deciso di farle celebrare da un solo sacerdote, pagandogli il denaro dovuto.

    Allo stesso modo, che si faccia un atto di devozione, andando il primo venerdì del mese a San Giacomo, l’altro venerdì a Santa Giuliana, il terzo a San Sebastiano. La comunità vada tutta insieme una volta al mese e con grande devozione.

    Allo stesso modo, circa le guardie, per timore del morbo, si è deciso di mettere due uomini per ogni luogo, e di fare il cambio delle guardie a mezzogiorno, e di nominare un Sorastant con il potere di arrestare e imprigionare chi non rispetta questi ordini, che sia in servizio giorno e notte e che venga pagato dalla comunità con la somma di 15 grossi.
    Allo stesso modo, tutti coloro che sono stati a Moena non devono andare davanti agli altri abitanti per quaranta giorni, pena la perdita della vita e dei loro beni.

     

    La scheda per l’analisi del documento

     

    A. Individuiamo il documento

    1.    Quando, dove e da chi è stato scritto il documento? (punti…/1)

    B. Interpretiamo il documento

    2.    Da quante “Regole” è formata la Comunità di Fassa? Quali sono? (punti…/1)
    3.    Perché alla riunione non sono presenti i rappresentanti di Moena8? (punti…/1)
    4.    Quali provvedimenti adotta la Comunità per scongiurare la pestilenza? (punti…/1)
    5.    A quali santi la Comunità chiede aiuto e protezione di fronte al pericolo? (punti…/1)

    C. Tiriamo le somme

    6.    Secondo te, gli uomini che vivevano nella Comunità di Fassa in quel tempo conoscevano le cause che scatenavano la peste? Sapevano come curarla? Motiva la tua risposta. (punti…/2)
    7.    In un breve testo (massimo 15 righe) esponi tutto ciò che hai imparato dall’analisi del documento proposto. (punti…/3)

     

    NOTE

    ° La Scuola primaria di I grado è composta da sei corsi, suddivisi tra i plessi di Pozza di Fassa, Moena e Canazei. Il percorso è stato ideato da me, in qualità di docente di Sostegno in servizio presso l’Istituto suddetto, con la collaborazione e l’aiuto della Prof.ssa Barbara Bonu e del Prof. Nicola Parzian, docenti rispettivamente di Storia e Geografia e di Italiano in entrambe le classi selezionate. Il laboratorio ha permesso di approfondire alcuni argomenti previsti dalla programmazione disciplinare di Storia e già svolti. L’attività, però, può essere proposta anche prima della lezione sui relativi contenuti: in questo caso, infatti, essa potrebbe esprimere pienamente il suo potenziale cognitivo, poiché costringerebbe gli alunni a confrontarsi con problemi non ancora affrontati. Ringrazio ancora una volta la Prof.ssa Bonu e il Prof. Parzian per la grande disponibilità e per l’amichevole collaborazione prestata, e il Prof. Christian Fontana, coordinatore della classe 2aC, per l’entusiasmo con cui ha accolto la proposta progettuale.

    1. La carta utilizzata è consultabile in Su la sèides de l'Impèr: chèrtes e mapes de Fasha. Sec. XVI-XVIII, a cura di Mario Infelise e Fabio Chiocchetti, Vigo di Fassa 1986, p. 39.

    2. FRUMENZIO GHETTA, Documenti per la storia della Comunità di Fassa. Sedute e delibere dei rappresentanti della Comunità di Fassa. 1550-1780,Vigo di Fassa 1998, p. 81.

    3. PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, Piani di studio provinciali. Primo ciclo d’istruzione. Linee guida per l’elaborazione dei Piani di studio delle istituzioni scolastiche, 2010, p. 32-33. Le Linee guida, entrate ufficialmente in vigore nel 2012, sono consultabili online. Per quel che concerne il resto d’Italia, invece, si rimanda alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, anno LXXXVIII (2012), numero speciale, p. 51-55, anch'esse consultabili online.Si veda inoltre Le nuove indicazioni per il curricolo verticale, a cura di Giancarlo Cerini, (I quaderni di “Rivista dell’Istruzione”, n. 4), Dogana (San Marino) 2014, p. 263-264.

    4.Indicazioni nazionali, p. 51-55.Tali indicazioni, peraltro, sono perfettamente armonizzabili con le tematiche proposte dalla legge provinciale trentina, che fanno leva sull’appartenenza a un territorio che presenta caratteristiche morfologiche e culturali specifiche e distintive (Linee guida, p. 27-29).
     Linee guida, 76-89.  

    5.ANDREA CAMILLERI, Il re di Girgenti, Palermo 2001. Il dialogo è riportato alle p. 249-253.

    6. La “grammatica delle fonti” è articolata in quattro fasi: la prima è la selezione dei documenti utili; la seconda è la loro interrogazione, al fine di ricavare le informazioni esplicite ed implicite; la terza è l’interpretazione, necessaria a capire che le informazioni presenti nei documenti sono direttamente collegate allo scopo dell’autore; la quarta, infine, è la scrittura, cioè la raccolta di tutte le informazioni rintracciate e la loro organizzazione in brevi testi corredati da note. Al proposito si veda IVO MATTOZZI, La didattica laboratoriale nella modularità del curricolo di storia, «I quaderni di Clio ’92», n. 4 (dicembre 2003), p. 41-54.

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