storia medievale

  • Crociate contro Jihad. Tecniche di disinformazione storica

    Autore: Antonio Brusa

    Le Crociate contro il Jihad. Questa guerra, del tempo dei cavalieri e dei re che partivano per Gerusalemme, è la chiave dei conflitti contemporanei.

    Questa copertina è di una chiarezza esemplare, ben rinforzata dall’immagine, nella quale un cavaliere francese se la deve vedere con un guerriero musulmano che lo abbranca, mentre un altro mena un fendente al povero cavallo. Lo storytelling, come si usa ormai, è semplice e diretto. Lo capiscono tutti, anche quelli che non sanno che cosa furono le crociate e il jihad medievali e che a malapena riescono a indicare sulla carta geografica dove si trova Gerusalemme. Insomma, ci sono dei cattivi, con la faccia scura, e dei buoni. E questa storia dura da mille anni. Vogliamo parlare di Charlie Hébdo e dell’Isis?

    La rivista è pubblicata da un gruppo serissimo (Vie-Le monde) ed è un numero speciale di Giugno 2015. Fa bella mostra di sé nelle edicole francesi, insieme con uno stuolo di pubblicazioni che, dal tempo delle Torri Gemelle, si diffonde – in Francia come nel resto del mondo - sui problemi dei rapporti fra Occidente e mondo musulmano. E’ un numero ben informato, di storia alquanto tradizionale, dove il lettore trova notizie accurate sulle otto crociate, i loro protagonisti, le città simbolo, e i soggetti collettivi, fra i quali (oltre agli immancabili ordini cavallereschi), troviamo le donne combattenti: argomento, per la verità, sul quale Régine Pernoud ci aveva ampiamente informati fin dal 1992.

    Il lettore più attento avrà la sorpresa di trovare anche una breve intervista a Jean Fleuri, l’autorità francese sul tema, che non a caso apre il numero con una bella introduzione. Questo contributo, però, si trova verso la fine (pp.76-78): parla della differenza fra Crociate e Jihad e inizia con questo occhiello: “Specialista di storia medievale, Jean Fleuri ritiene che comparare le crociate di ieri al jihad di oggi non abbia alcun senso”. Esattamente il contrario di quello che racconta la copertina. Ecco uno stralcio dell’intervista:

     

         Dunque è pertinente la comparazione fra Crociate di ieri e Jihad di oggi?

    - No! La sola comparazione possibile riguarda le differenze fra il modo con cui si formarono i due movimenti, la Crociata cristiana e il Jihad.

          Il Jihad è descritto da alcuni estremisti come una risposta, ritardata di novecento anni, alle Crociate. Questo argomento è condiviso, secondo lei, dai musulmani orientali?

    - Gli estremisti, che fanno regnare il terrore tagliando la testa di ebrei, cristiani o musulmani che non condividono il loro punto di vista, hanno costruito una versione semplificata della cultura e della storia. La loro visione è condivisa dai musulmani orientali che hanno un’idea della loro religione altrettanto rudimentale.

          Si può dire che la situazione attuale dei cristiani d’Oriente, spesso drammatica, trova la sua origine nell’epoca delle crociate?

    - E’ quello che i musulmani che simpatizzano per i Jihadisti vogliono far credere. Ma cominciano a crederlo anche molti occidentali, di confessioni diverse. La storia non supporta questa teoria. Dopo la conquista dei territori cristiani d’Oriente da parte delle armate musulmane del VII secolo, le popolazioni (cristiane e ebree) hanno subito ora periodi di sottomissione protetta ora periodi di persecuzione e di esclusione. Esse vissero le crociate come una liberazione, ma ben presto furono disilluse. La precarietà della loro situazione riprese con lo scacco degli stati crociati. Si è accentuata di recente dopo gli interventi di George W. Bush e ora, con i jihadisti, diventa genocidio.

     

    Vi invito alla lettura completa dell’intervista, nella quale lo storico francese mette sotto accusa i governi occidentali, che - sostiene - hanno già messo nel conto la sparizione dei cristiani d’Oriente, per riportare la vostra attenzione sul meccanismo comunicativo. Lo storytelling  (cioè il racconto che ha lo scopo di comunicare il senso di un problema al maggior numero di persone) è quello della copertina. Esso contrasta con la realtà storica, e Fleuri lo afferma con decisione. Ma quanti lettori si daranno la briga di leggere tutta la rivista, e andranno fino in fondo, nella rubrica del dibattito, per rendersi conto che avevano capito male? O meglio, che la copertina li aveva ingannati? E quanti, ancora, non avendo nessuna intenzione di comprare una rivista storica, si formeranno le loro convinzioni dal muro di copertine, che tappezzano come manifesti le edicole?

    Già in Historia Ludens ho mostrato un caso italiano assai simile, a proposito della mostra per il centenario dell’Editto di Costantino (2013), nel cui catalogo, sperso in mezzo a decine di articoli, si trova il contributo di Arnaldo Marcone, che spiega come quello non fu un editto, non fu emanato da Costantino e se vogliamo cercare il suo autore è proprio quel Galerio, acerrimo persecutore dei cristiani, come sapevano benissimo nel IV secolo, quando, proprio per questo motivo, decisero una damnatio memoriae che continua incredibilmente fino ai nostri giorni. Se ne possono citare tanti, di casi simili (anche televisivi), che funzionano allo stesso modo. Il messaggio fondamentale solletica le corde dello stereotipo diffuso. Poi, a supporto, si cita la sua critica. Tanto, chi la va a leggere era in genere quello che la conosceva.

    Ma se questo è il “meccanismo della comunicazione”, non sarebbe il caso che gli storici si convincessero che, per interagire con le conoscenze diffuse, è sullo “storytelling” che dovrebbero imparare a mettere le mani?

  • Dove trovare online materiali per l’insegnamento della storia medievale

    Autore: Alessandro Valenzano


    Sono un archeologo del medioevo, che si occupa di comunicazione digitale per progetti culturali. Durante la mia carriera universitaria ho sempre cercato di sfruttare il web per avere accesso a informazioni utili, ben documentate e attendibili risparmiando tempo prezioso.

    Fermo restando che la ricerca archivistica, quella fisica intendo, rimane un'attività estremamente importante per chi si occupa di storia medievale, oggi internet può aiutare tutti a superare quelle barriere economiche, geografiche e burocratiche che spesso ci impediscono di reperire materiale scientifico di estrema importanza. L’archivio dei materiali online è utile per l’aggiornamento culturale del docente, e vi si trovano, in molti casi, interessantissimi spunti didattici.

    Logiche di ricerca online e tipologie di contenuto

    Oggi, nell'era dei blog e dei social network, ogni giorno vengono pubblicati online milioni di contenuti digitali.  Naturalmente ci sono contenuti di scarso valore, inutili per chi insegna nelle scuole o all'università; ma c’è anche materiale scientifico contenente dati aggiornati.

    Come possiamo capire quando un contenuto è attendibile e quando invece è irrilevante?

    Non c'è altra soluzione che filtrare il materiale sulla base delle proprie competenze, conoscenze e intuizioni. Come facciamo durante la consultazione dei testi cartacei.

    Tuttavia il passaggio più difficile per alcuni non è tanto il saper filtrare, ma il capire dove poter reperire informazioni rilevanti. Google, infatti, è un immenso archivio, che contiene un'infinità di materiale. Da perderci la testa. Per fortuna però esistono portali e siti web che selezionano, raccolgono e, in molti casi, filtrano per noi le informazioni, aiutandoci a risparmiare tempo e sforzi nella ricerca.  

    In questi anni mi sono accorto che il Medioevo è una delle epoche storiche più amate dai naviganti del web. Sono tanti i blog e i siti che si occupano di divulgazione storica medievale, con il rischio frequente di prendere per veritiera una notizia sbagliata.

    Prima di capire quali sono i siti web dove accedere a informazioni di valore, vorrei sottolineare che i contenuti digitali che troviamo online non sono tutti completamente liberi per la lettura e la riproduzione.  Perciò, occorre tener conto di regole ben precise che indicano come devono essere utilizzati i documenti storici trovati in rete e come è possibile distribuirli ai propri studenti. È indispensabile quindi fare molta attenzione ai termini d'uso, soprattutto qualora si decidesse di condividere il materiale didattico in spazi digitali pubblici o privati.

    I contenuti (documenti, immagini, video) possono essere riprodotti in tre tipologie:

    •    A pagamento;
    •    Ad accesso gratuito – Gratis Open Access;
    •    Ad accesso libero – Libre Open Data.

    Il primo caso è fortemente limitante per il lettore, perché concede l'accesso solamente a un breve estratto della pubblicazione e alle informazioni bibliografiche per poterlo reperire altrove. In questo caso tutti i diritti d'autore sono riservati e la ridistribuzione è vietata.

    La seconda tipologia permette la lettura gratuita del contenuto, ma ne limita la riproduzione, oppure, per accedere ai contenuti, è necessario rilasciare i propri dati e registrarsi al sito web.

    La terza tipologia permette la lettura completa del documento, non è necessario registrarsi al sito web ed è concessa la riproduzione secondo le normative Creative Commons.

    Il mio consiglio è di controllare sempre le condizioni d'uso e i regolamenti dei siti web per evitare spiacevoli inconvenienti.

    Dove reperire saggi e articoli scientifici affidabili

    Academia.edu
    Ad oggi credo che sia la migliore piattaforma dove trovare pubblicazioni scientifiche e interagire direttamente con gli autori. Tutti i contenuti caricati dagli autori sono gratuiti, liberamente consultabili e scaricabili in remoto. Per poter accedere al sito tuttavia è indispensabile lasciare i propri dati e creare un account.

    Dalla barra di ricerca potrai cercare l'argomento di storia medievale che più ti interessa e accedere alle pubblicazioni scientifiche. Naturalmente sulla base delle tue competenze, starà a te capire quale sia lo studioso più adatto ai fini della ricerca che stai svolgendo.

    BibAr
    Una biblioteca digitale che permette, senza alcuna registrazione, l'accesso diretto a contributi scientifici di archeologia medievale.

    Il progetto BibAr è nato dall'esigenza di dare maggiore spazio alla sezione del Portale di Archeologia Medievale dell’Università degli Studi di Siena e dare la possibilità a studenti e docenti di consultare gratuitamente testi archeologici specialistici (saggi, papers, atti di convegni).

    A differenza di altre biblioteche digitali, come Opac ad esempio, BibAr non fornisce solo notizie bibliografiche sul volume ricercato, ma consente la lettura completa e gratuita del documento digitalizzato.
    In questi casi la pubblicazione è resa completamente disponibile anche per il download in remoto ed eventualmente la stampa.
    Visiona questa pagina per accedere direttamente alla lista di tutti i contenuti sul Medioevo archiviati in BibAr.

    Reti Medievali
    Il punto di riferimento per chi studia e insegna la storia medievale.
    Il portale web è ad accesso libero, quindi non è obbligatoria la registrazione. All'interno tutte le pubblicazioni sono liberamente consultabili ed è permesso il download in remoto e la stampa.

    Naturalmente tutti i contenuti hanno valore di letteratura storica, quindi nel caso in cui decidessi di riportare le informazioni contenute nelle pubblicazioni è buona norma citare l'autore e l'articolo come faresti per qualsiasi altro riferimento scientifico.

    I contenuti inseriti nel database di Reti Medievali sono approvati da un comitato di docenti e ricercatori universitari di storia e archeologia medievale.

    Il progetto è nato – recita la home page del portale – per rispondere al disagio provocato dalla frammentazione dei linguaggi storiografici e degli oggetti di ricerca. Dal 2001 la redazione si è allargata a studiosi di altri atenei, italiani e stranieri, pronti a confrontarsi tra loro al di là dei rispettivi specialismi cronologici, tematici e disciplinari, anche per sperimentare insieme l'uso delle nuove tecnologie informatiche nelle pratiche di ricerca e di comunicazione del sapere.

    JStor
    Una risorsa online di più ampio respiro (internazionale), estremamente utile per i docenti che hanno dimestichezza con la lingua inglese.

    Dopo aver effettuato la registrazione (gratuita) al portale web, potrai iniziare a consultare liberamente libri e articoli scientifici. La selezione è curata da un comitato accademico e i contributi sono estremamente autorevoli. Per il Medioevo trovi più di 450.000 volumi.

    In questo portale sono presenti molti articoli a pagamento. In questi casi troverai segnalato il prezzo, mentre gratuitamente potrai accedere solo alle informazioni bibliografiche e a un breve estratto.

    Se sei alla ricerca di pubblicazioni gratuite, ti consiglio, prima di avviare la ricerca tematica, di personalizzare i filtri di ricerca.

    Sotto la voce “Access Option” trovi le diverse tipologie di accesso ai contenuti. Premi su “Read e Download” per visualizzare solo contributi gratuiti, completamente consultabili e scaricabili in remoto.

    Segui questa pagina per accedere direttamente alle pubblicazioni sul Medioevo.

    Mediterranea
    Fondato da studiosi dell'Università di Palermo e pensato per ricercatori e docenti, Mediterranea è un interessante archivio digitale ad accesso libero che raccoglie pubblicazioni sulla storia dei popoli che hanno abitato nei secoli le coste del Mediterraneo.

    Tutti i contributi sono approvati da un comitato scientifico e sono focalizzati su tematiche storiche di varie epoche.

    I singoli articoli e i numeri della rivista digitale possono essere consultati liberamente, senza alcuna registrazione e restrizione. È consentito il download in remoto, la copia e la redistribuzione a terzi.

    Progetti di divulgazione storica e di supporto alla didattica

    Oltre a portali web di tipo prettamente accademico, esistono progetti di divulgazione storica, che credo sia utile citare, perché in molti casi filtrano le informazioni e fungono da guida per cercare ulteriore materiale scientifico.

    I progetti digitali di divulgazione, se ben curati, possono facilitare agli studenti la comprensione di tematiche storiche complesse e diventare un importante strumento di supporto per la didattica tradizionale.

    Omnes Viae: Itinerarium Romanum
    Una ricostruzione della Tabula Peutingeriana sulla base delle ricerche di Richard Talbert, professore di storia alla North Carolina University.
    Nel sito web è presente una mappa interattiva che unisce il dato storico al sistema geografico. Attraverso un sistema di ricerca interna permette a docenti e studenti di simulare il viaggio di un ipotetico viandante.
    Tutti i dati forniti dal sito web sono rilasciati con licenza Creative Commons BY-SA.

    Harvard World Map Project
    Un progetto open source della Harvard University pensato per aiutare la ricerca e l'insegnamento accademico della storia tardo romana e medievale.
    Nella mappa GIS sono stati inseriti, su diversi livelli, informazioni che permettono di comprendere in maniera abbastanza intuitiva la geografia medievale e le dinamiche politiche, economiche e sociali ad essa correlate.
    Un vero e proprio atlante storico che può fornirti il giusto supporto durante le tue lezioni e aiutare gli studenti a comprendere meglio la storia medievale.
    I dati spesso sono corredati da link che rimandano ad altri siti web e questo permette di aumentare il raggio d'azione delle tue ricerche e trovare nuovi contenuti di approfondimento.

    Paesaggi Longobardi
    Un progetto di divulgazione storica realizzato dall'associazione culturale no profit Ares, incentrato sulla storia dei Longobardi in Italia.

    All'interno del sito trovi due sezioni di grande valore:

    - Un WebGIS con la mappatura dei siti archeologici e storici longobardi italiani;

    - Una bibliografia aggiornata con riferimenti bibliografici specifici sulla storia longobarda, impiegati tra l'altro come fonti per la mappatura GIS dei siti archeologici.

    Avere una bibliografia specialistica sotto gli occhi facilita molto il lavoro di ricerca, consentendoti di risparmiare tempo.

    Altri portali e siti web di riferimento per l'insegnamento della storia sono reperibili all'interno dell'archivio digitale Librerie Open Access.

    Una selezione, in continuo aggiornamento, delle migliori risorse digitali dove reperire fonti storiche ad accesso libero.


    *Photo Credits:
    [1-2-4] Immagini rilasciate con licenza CC0 Public Domain.
    [3] Screenshot della pagina web https://worldmap.harvard.edu/maps/5080

  • Gli arabi in Italia meridionale. Appunti da Marco di Branco

    Autore: Antonio Brusa

     

    Marco Di Branco lavora all’Istituto Italo-Germanico. Studia gli arabi in Italia meridionale. Sono andato a sentirlo a Foggia, l’8 maggio scorso. Ecco i miei appunti. Forse saranno utili ai colleghi, e non solo dell’Italia meridionale, desiderosi di informarsi. Dalla relazione di Marco, infatti, mi sono accorto che occorre rivedere qualche conoscenza manualistica.

     

    Indice:

    1. Revisione storica
    2. La cronologia
    3. Fonti musulmane e documentazione
    4. Letteratura

     

    a. Revisione storica

    Gli emirati, innanzitutto. Spesso si parla di tre emirati: Bari, Taranto e Amantea, L’unico attestato è quello di Bari. Gli altri sono delle invenzioni successive (alle quali ho creduto anch’io, ahimé).

    Il Garigliano. Ho trovato spesso che il forte musulmano era situato sulla foce del fiume omonimo. In realtà era su di un monte all’interno, presso il porto fluviale di Montecassino (il Liri era navigabile per tutto il medioevo).

    Le scorrerie. E’ diffusa la “retorica della scorreria”, cioè un modo di vedere la frequentazione musulmana come unicamente motivata dalla predazione. E’ uno stereotipo “colto”, dovremmo dire, dal momento che risale alla ricostruzione di Nicola Cilento, grande storico dell’Università di Napoli. Dall’analisi attenta delle fonti, e soprattutto dalla comparazione con le altre invasioni musulmane, si ricava un modello generale, al quale sottostà anche la vicenda arabo-italiana. Secondo questo modello, vi è una fase iniziale di scorrerie effettive, ma mai del tutto scoordinate; a questa succede un insediamento, solitamente una piazzaforte militare spesso separata dalla popolazione; successivamente ancora iniziano i processi di arabizzazione e di islamizzazione, che, come sappiamo ormai dalla letteratura, sono ben distinti dalla fase della conquista. Secondo questo modello, in Italia meridionale si verificarono sicuramente le prime due fasi, mentre la terza fu bloccata dall’arrivo delle truppe imperiali. Dunque, non si trattava di scorrerie, effettuate da gruppi indipendenti e scoordinati, quanto piuttosto di un piano che rispondeva a una visione politica complessiva.

    Il gihàd. Sul significato di questo termine ormai è stato detto molto. Che non significhi guerra totale e alla morte, contro un nemico da distruggere, quanto piuttosto “sforzo per la conquista del paradiso” credo sia riportato da tutti i manuali informati. Dopo l’XI secolo si aggiunge al vecchio significato bellico anche un’interpretazione religiosa, dal momento che si dice che questo sforzo poteva essere realizzato sia con la guerra, sia con la preghiera e il buon comportamento religioso.

    I rapporti cristiano-musulmani. Lo stereotipo del gihàd (e del corrispettivo “crociata”), però, continua ancora a funzionare, quando  ci porta a immaginare come impossibili i rapporti fra gli appartenenti a religioni diverse. Non era così. Arabi o cristiani non facevano blocco sempre. Anzi, molte volte troviamo musulmani e cristiani alleati fra di loro, contro i rispettivi confratelli. Ad esempio: quando i musulmani iniziano la loro conquista siciliana, trovano come alleati dei bizantini, ribelli all’imperatore. Napoli e Gaeta, nel IX secolo, sono spesso alleate dei musulmani, nella loro lotta perenne contro gli altri potentati longobardi. Quando il Garigliano viene assediato dai cristiani, sono i Gaetani che aiutano i musulmani a salvarsi. Messina, nel IX secolo, viene attaccata da Musulmani e Napoletani coalizzati (eccetera eccetera).

    I Berberi. Sembra che l’emirato di Bari non sia stato conquistato da truppe berbere, quanto piuttosto Yemenite. Gli yemeniti, infatti, erano truppe scelte delle armate musulmane. E Sawdan el Mawri, ultimo emiro di Bari, sembra provenire da una famiglia yemenita. In generale, berberi della tunisia, libici e cretesi erano in competizione fra di loro.

    Signori di fatto. Esattamente come accadeva in occidente, i signori musulmani prima conquistavano il potere, e poi ne chiedevano la legittimazione, ad un’autorità costituita. E’ quello che accade a Bari, dove Sawdan  richiede all’imam del Cairo (e per lui al Califfo, in quel momento di Samarra) la nomina a emiro.

     

    b. La cronologia

    I Fase: ‘scorrerie’

    • Metà VII secolo: attacchi alla Sicilia e alla Sardegna
    • 703-710: spedizioni di Mūsà ibn Nuṣayr
    • 720-752: spedizioni dei governatori della provincia di Ifrīqiya (Tunisia) contro Sicilia e Sardegna.
    • 800: FONDAZIONE DELLA DINASTIA AGHLABIDE in Tunisia
    • Tregua (hudna) con la Sicilia bizantina, verso la fine dell’emirato di Abū ’l-’Abbās: è il tempo del grande califfo Harun al-Rashid (786-809)

    II Fase: offensiva aghlabide

    • 821/22: attacco alla Sardegna
    • 827. Crisi bizantina, causata dalla rivolta di Tommaso lo Slavo. Gli Aghlabidi decidono di non rispettare la tregua e effettuano la prima spedizione in Sicilia
    • 835: Napoli: il console Andrea chiama i musulmani Sicilia contro Sicardo (832-839) principe di Benevento (Giovanni Diacono, Chron. Episcoporum , in RIS, I, p. 314).
    • 838/9: attacco a Brindisi, sbarchi in Calabria, attacco a Ancona e Adria. Le truppe provengono dall’Ifriqyia  e da Creta (questi sono ommayadi di Spagna) e dalla Sicilia
    • 840: Apolofar, proveniente da Creta, attacca Taranto
    • 840/1: Ḥayah in Ibn al-Aṯīr attacca Bari, ma non riesce a conquistarla
    • 842/43: Messina. I musulmani e i napoletani attaccano la città
    • 846/49: attacchi a Roma, Taranto, Ponza e Miseno. Battaglia di Ostia.
    • 847-61: Ḫalfūn al-Barbarī conquista Bari e altre 24 piazzeforti. Gli succede Mufarraǧ ibn Sallām che chiede al Ministro della Posta egizio la possibilità di costruire una moschea. Viene ucciso in una sommossa dei suoi soldati
    • 861-863: Gli succede Sawdan, che chiede la legittimazione del suo potere all’Emiro dei Credenti.
    • 871, 2 febbraio: “Sawdān al-Māwrī, signore di Bāra”, viene catturato dai Franchi (le truppe imperiali di Ludovico II). Abd  Allāh sbarca a Taranto: nuova campagna militare.
    • 872: musulmani sconfitti a Salerno
    • 883-915: Insediamento musulmano a Mons Garilianus

     

    c. Fonti Musulmane e documentazione*

     

    1. Bala¯d u¯ rı¯, Futu¯h. al-bulda¯n, p. 233 ed. de Goeje. Cfr. Ibn al-Atı¯r, Al-Ka¯mil fı¯ ’l-ta’rı¯h, VI, pp. 370-371 ed. Tornberg:


    Prese poi il potere un certo Mufarragˇ b. Sa¯ lim, che si impadronì di ventiquattro piazzeforti da lui custodite. Poi, annunciò le sue conquiste al Governatore dell’Egitto, dicendogli che lui e i suoi seguaci non avrebbero potuto guidare la preghiera senza che l’ima¯m lo confermasse sul distretto e lo facesse governatore, cosicché non potesse essereincluso nella categoria degli usurpatori. Mufarragˇ eresse una moschea congregazionale. Alla fine i suoi uomini insorsero contro di lui e lo uccisero. A lui successe Sura¯n che inviò il suo messaggero ad al-Mutawakkil, l’Emiro dei Credenti, che richiedeva una conferma e una lettera di incarico quale governatore. Tuttavia, al-Mutawakkil morì prima che il suo messaggero partisse con il messaggio per Sura¯n. Al-Muntas.ir-Billa¯h morì dopo aver esercitato il califfato persei mesi. Poi venne al-Musta‘ı¯n Billa¯h Ah.mad ibn Muh. ammad ibn al-Mut‘as.im, che ordinò al suo ‘a¯mil sul Magrib, U¯ ta¯misˇ, un liberto dell’Emiro dei Credenti, di confermare Sura¯n. Ma non appena il messaggero del califfo partì da Surraman-ra’a, U¯ ta¯misˇ fu trucidato. La regione fu allora governata da Wası¯f, un liberto del califfo, che confermò Sura¯n nella sua posizione.


    2. Kita¯b al-‘uyu¯n wa ’l-h. ada¯ ’iq fı¯ ahba¯r al-h. aqa¯’iq, ed. Saïdi, I, pp. 26 e 98:

     

    (872) In quell’anno i Franchi catturarono Sawda¯n al-Ma¯wrı¯, signore di Ba¯ ra. (902) Successivamente Ibra¯h. ı¯m bin Ah. mad invitò la gente al gˇiha¯d e uscì con l’esercito dalla città di Susa per la conquista dirigendosi verso Nubah, lunedì, primo giorno di Gˇ uma¯dà al-’u¯ là, e raggiunse la Sicilia il tre di Ragˇab. Poi egli andò a Taormina, che conquistò di
    domenica, 9 notti prima della fine di Sˇ a‘ba¯n (1 agosto 902). Egli morì nel paese dei Ru¯m in un luogo detto Cosenza che dista nove giorni dalla Sicilia. La sua morte avvenne di lunedì, ma alcuni dicono di sabato, tredici notti prima della fine del mese di Du¯ ’l-Qa‘dah (23 ottobre 902).

     

    3. Ibn al-Atı¯r, Al-Ka¯mil fı¯ ’l-ta’rı¯h, VI, pp. 370-371 ed. Tornberg:

     

    Nel Magrib si trova una terra nota come al-ard al-kabı¯rah, sita a una distanza di più o meno 15 giorni da Barqah. In questa terra c’è una città sulla costa chiamata Ba¯ rah, i cui
    abitanti erano cristiani ma non appartenenti ai Ru¯ m. Questa città fu invasa daHayah, il liberto di al-Aglab, che non riuscì a conquistarla, poi da Halfu¯ n al-Barbarı¯ (probabilmente un affiliato dei Rabı¯‘ah), che la conquistò durante ilprimo periodo del califfato di al-Mutawakkil»

    * I segni di lunga vanno riportati sopra la vocale precedente

     

    d. Letteratura

    Marco Di Branco, Due notizie concernenti l’Italia meridionale dal KITA¯ B AL-‘UYU¯ N WA ’L-H. ADA¯ ’IQ FI¯ AHBA¯ R AL-H. AQA¯ ’IQ (LIBRO DELLE FONTI E DEI GIARDINI RIGUARDO LA STORIA DEI FATTI VERIDICI,)

    F. Marazzi, Ita ut facta videatur Neapolis, Panormus vel Africa. Geopolitica della presenza islamica nei domini di Napoli, Gaeta, Salerno e Benevento, in “Schede Medievali”, 2007, pp. 159-202

     

  • Guerrieri, mercanti, schiavi: antiche voci nel Mediterraneo

    Autore: Francesco Ulini

     

    Introduzione: il Mediterraneo

    Da sempre sono stato affascinato dal significato di “Mar Mediterraneo” cioè mare che sta in mezzo alle terre. E’ un mare che bagna diversi paesi, e quindi diversi popoli e culture. Dal punto di vista geografico separa e unisce l’Europa dall’Africa e dal Medioriente. Lo ha fatto, però, in modo sempre diverso a seconda dei tempi. Ad esempio, nell’Alto Medioevo, basti pensare all’impero bizantino che, tra VI e VIII secolo, controllava alcune zone costiere del centro e del sud Italia e l’Ifriqiya (l’odierna Tunisia) ed estese il suo potere fino alle coste delle Spagna; oppure si pensi all’impero musulmano che tra VII e VIII secolo andava dalla penisola arabica fino a quella iberica. Il Mediterraneo era una vasta pianura di acqua entro la quale navigava gente di ogni tipo, dai mercanti ebrei agli schiavi berberi, dai pellegrini cristiani a guerrieri saraceni.

     

    La Carta del mondo di Al Idrisi (1099-1166). Al centro la penisola arabica.

     

    Tra l’VIII e gli inizi del IX secolo, in un periodo in cui l’impero musulmano aveva raggiunto la massima espansione e i califfi abbassidi facevano fatica a controllare le dinastie del nord Africa e della Spagna, la pirateria rappresentò uno strumento di saccheggio delle isole della Sicilia, Sardegna, Corsica e Creta1. Le cronache dell’epoca ci hanno tramandato per lo più un’immagine negativa di questi guerrieri del mare provenienti da Est: i Saraceni2.

     

    Indice

    1. I saraceni
    2. Le spedizioni militari
    3. Sawdan, nuovo satana
    4. Sawdan, principe cortese
    5. Il pellegrino e gli schiavi


    1. I saraceni

    Come ci ricorda l’enciclopedia online della Treccani, ci sono diverse ipotesi circa l’origine etimologica della parola “saraceno”: esiste ad esempio un’attinenza semantica con il termine arabo “saraqa” (سرقة) che significa “rubare” e che richiama alla mente il loro modus vivendi da razziatori. Un’altra ipotesi che evidenzia invece la provenienza geografica dei Saraceni è legata ad un altro termine, ossia “as-sharqy” (الشرقي), “l’Oriente”. Ma il termine latino Saracenos (dal greco Sarakenoì, sing. Sarakenòs) fu introdotto da vari autori cristiani tra IV e V secolo d.C.: indicava quegli abitanti nomadi del deserto siriano e arabo, noti anche nell’Antico Testamento col nome di Madianiti, Ismaeliti e Agareni.

    Se inizialmente i Saraceni erano visti come “altri” perché nomadi della penisola arabica, con l’avvento dell’Islam la loro percezione mutò considerevolmente, perché furono considerati i nemici per antonomasia. Un teologo vissuto in Siria tra VII e VIII secolo, Giovanni Damasceno, fu il primo a descrivere il nuovo monoteismo musulmano come un’eresia cristiana, diffondendo la convinzione che Maometto fosse un eretico, un “falso profeta”, e non il fondatore di una nuova religione.

    Questa visione ostile verso ogni elemento esterno all'ortodossia venne successivamente amplificata da diversi cronisti di VIII e IX secolo nei loro racconti delle invasioni dei Saraceni nell’area del Mediterraneo. Negli scriptoria di diversi monasteri del sud Italia furono raccolte le complesse vicende dell’Italia longobarda che, durante tutto il IX secolo, conobbe la presenza di questi Saraceni. Questa produzione storiografica, seppur esigua, rappresenta l’unica testimonianza della visione cristiana degli arabi musulmani nell’Italia altomedievale. Autori come Erchemperto, l’Anonimo salernitano e l’Anonimo cassinese sono tra i più significativi per quanto riguarda la narrazione degli eventi. Essi costruiscono un’immagine omogenea del “nemico” saraceno attraverso una serie di epiteti: “crudelis et terribilis”, “perfidi et infedeles3, “iniusti et indisciplinati4. Avevano qualche ragione, dal momento che non si può negare che l’invasione di guerrieri musulmani fu un fenomeno devastante per il sud Italia, soprattutto per i monasteri dell’epoca e per la popolazione longobarda e bizantina che in molti casi venne ridotta in schiavitù.

     

    2. Le spedizioni militari

     

    L'assedio di Messina nell'843(Chronicle of John Skylitzes, cod. Vitr. 26-2, Madrid National Library, Fol. 214 r.)

     
    Le spedizioni militari dei Saraceni sulle nostre coste cominciarono nell’827 per iniziativa dell’emiro di Qairawan Ziyādat Allāh I (817-838). Facevano parte di un progetto  di conquista, condotto attraverso una serie di razzie sull’isola, con assalti alle roccaforti bizantine e ingenti bottini di schiavi. Solo dopo più di settant’anni di lotte e resistenze tra gli invasori e i bizantini, l’isola cadde sotto il controllo totale dell’emirato aghlabide dell’Ifriqiya ed ebbe una nuova capitale: Palermo.

    Qualche anno più tardi, mentre la Langobardia minor - cioè l’insieme di potentati longobardi, grandi e piccoli che si erano formati in Italia meridionale - viveva un momento difficile a causa dei conflitti interni fratricidi, fecero ingresso nella penisola italica orde di musulmani (Mauri andalusi, Berberi e nordafricani in genere, cretesi) che occuparono Brindisi nell’838 e Taranto nell’840. La prima a cadere fu Brindisi, importante centro marittimo dell’Adriatico. L’anonimo salernitano ci ricorda come lo scontro tra l’esercito longobardo di Sicardo e quello della “nefanda gens Agarenorum” andò proprio a favore di questi ultimi che, attraverso uno stratagemma, mostrarono tutta la loro astuzia facendoli cadere in una trappola e vincendo così sull’ingenuità dei cristiani. Due anni dopo toccò a Taranto che, già influente centro commerciale del Mediterraneo, diventò base di comunicazione marittima per i musulmani in Puglia. Stando alle parole di Giovanni Diacono - autore del X secolo della più antica opera di storiografia veneziana, il Chronicon Venetum - la flotta dei saraceni tarantini risalì l’Adriatico fino ad arrivare in Istria, con l’intento di saccheggiare i centri costieri bizantini5.

    In questo contesto di fragilità politica meridionale, i Saraceni si inserirono inizialmente come mercenari al soldo dei principi Radelchi di Benevento e Siconolfo di Salerno. Ma gli invasori non facevano parte di un fronte compatto. Infatti, Erchemperto, nel descrivere i mercenari, parla di Agarenos Libicos contra Hismaelitas Hispanos, dove gli Ismaeliti ispanici sono i Mauri, cioè Arabi dell’Andalusia6. Tra l’845 e 846, mentre Ostia e San Pietro venivano saccheggiate dagli aghlabidi di Sicilia e Sardegna7, l’ondata di devastazione saracena aveva colpito anche i monasteri di Monte Cassino e San Vincenzo al Volturno. In questi anni anche altre diocesi minori venivano spogliate, ma non dai Saraceni bensì dai signori longobardi in conflitto tra di loro, che da questi saccheggi ottenevano fondi necessari per pagare i loro temibili mercenari d’oltremare.

     

    3. Sawdan, nuovo satana

    Successivamente, quando nell’847 il capo banda Khalfun s’impossessò astutamente di Bari, ebbe inizio un periodo di dominazione stabile per i Saraceni in Puglia che fu reso ufficiale dal califfo di Samarra dall’863 all871, sotto il dominio del sāhib Sawdan. Quest’ultimo fu uno dei più spietati guerrieri musulmani secondo alcune cronaca altomedievali. Per Erchemperto era il “nequissimus ac sceleratissimus rex Hismahelitum8”, mentre l’Anonimo benedettino ricorda che il “nefandissimus Seodan rex9” aveva assaltato diverse aree della Campania come Capua, Conza, la Liburia, aveva devastato le abbazie di San Vincenzo al Volturno  e di Montecassino, depredandone le ricchezze.

    Un ulteriore epiteto venne rivolto dall’Anonimo salernitano a Sawdan,  detto anche Saugdan o Seodan. Il cronista cristiano lo aveva costruito per assonanza a “Satan”, in quanto lo considerava un infidelis10. Tuttavia, il rapporto fra salernitani e saraceni era molto più complesso di quanto lasci intendere questo soprannome diabolico. Lo dimostra un episodio ambivalente, raccontato sempre dal cronista salernitano nel quale si sottolinea l’esistenza di rapporti diplomatici e di convivenza fra salernitani e saraceni, e al tempo stesso se ne accentua l’odio verso gli infedeli. Protagonista di tale episodio fu un legato di Satan. Ecco le parole del cronista:

    “al tempo in cui governavano governano i salernitani Sicone e il suo tutore Pietro, accadde che un Agareno di grandissimo prestigio fosse inviato a Salerno dal suo signore Satan. Arrivato a Salerno, lo ricevettero con grande sfarzo; lo mandarono nell’episcopio affinché alloggiasse nel palazzo dove normalmente dimorava il vescovo Bernardo. Dopo questo episodio, il presule ne fu gravemente addolorato e […] proprio per tale provocazione subita dai quei principi, partì per Roma”11 .

    Dietro il nome di Satan si celava quindi un epiteto dalla connotazione religiosa, legato all’episodio del suddetto vescovo: dopo l’offesa nei confronti di Bernardo da parte del popolo salernitano complice di quello che considerava un sacrilegio, il presule si trasferì a Roma e ritornò a Salerno solo dopo aver ricevuto la conferma di una nuova abitazione. Prima però inviò una lettera al suo popolo e al clero dicendo:

    “Se mi volete tra voi, costruitemi un’altra casa in un altro posto, perché dopo quanto è accaduto io non abiterò mai più dove abitavo prima” 12.

    L’autore del Chronicon pare dunque che abbia voluto corrompere il nome di Sawdan nell’appellativo di Satan, in quanto sarebbe stato inammissibile per un vescovo, rappresentante della religione cristiana, dimorare nello stesso luogo contaminato da un uomo appartenente a coloro che «sunt natura callidi et prudentiores aliis in malum»13 (“per loro natura sono scaltri e più abili degli altri nel maneggiare le cose malvagie”).

     

    La Battaglia di Ostia di Raffaello Sanzio, Stanza dell'Incendio di Borgo, Musei Vaticani, 1514-1515
     

    L’appellativo si diffuse così nella Cristianità. Lo capiamo dal fatto che venne usato dal biografo di papa Leone IV, quando i Satane filii provarono ad assaltare Roma ma furono bloccati tra l’849-850 da una flotta campana che combatteva sotto l’egida del pontefice14. Quest’ultimo, sfruttando i musulmani fatti prigionieri, fortificò con mura di difesa tutto il quartiere intorno a S. Pietro, da Trastevere a Castel S. Angelo. Queste presero il nome di Mura leonine.

     

    4. Sawdan, principe cortese

    Se per l’Anonimo cassinese “non passava giorno che [Sawdan] non uccidesse cinquecento o più uomini e, sedendo sui mucchi di cadaveri, mangiava come un cane puzzolente”, esiste un’altra cronaca che dà una visione ben diversa del signore di Bari. Ahimaaz ben Paltiel, di Oria, nell’XI secolo fu autore del Libro della Genealogia, una storia degli antenati della sua famiglia ebraica. In quella città, infatti, che ospitava una delle più popolose e colte comunità ebraiche dell’Italia meridionale, visse un certo Aaron, un dotto che si recò a Bari tra l’863-865 e vi rimase, presso la corte di Sawdan, per 6 mesi. Durante questo tempo Sawdan fu catturato dalla sua profonda saggezza tanto da trattarlo con estrema cortesia. Da questa storia esce un altro profilo dell’identità di Sawdan: accogliente, rispettoso verso la comunità ebraica e pronto ad ascoltare i consigli del “maestro”. Insomma il crudelissimus Sawdan è anche un uomo colto e ospitale.

     

    5. Il pellegrino e gli schiavi

    Questo episodio di ospitalità e accoglienza fa il paio con un altro episodio, che leggiamo nel racconto di viaggio di Bernardo, monaco franco della Champagne, il quale, avendo ricevuto dal papa Niccolo I la benedizione e la “licentiam peragendi”, era partito intorno all'870 da Taranto per Gerusalemme. Dopo una sosta al santuario di San Michele sul Gargano, nell’867, passò per Bari, dove pagò una tassa a Sawdan che avrebbe dovuto permettergli di viaggiare nel cosiddetto dār al Islām, quindi in territorio musulmano. Ecco il suo racconto15:

    “Nell'anno dell'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo 867 […] Lasciando il monte Gargano viaggiammo per 150 miglia, ad una città in mano ai Saraceni, chiamata Bari che era formalmente soggetta a Benevento. E' posta sul mare ed è fortificata a sud da due grandi muri; a nord sporge alta sul mare. Qui ottenemmo dal principe della città, chiamato ‘Suldanum’, il necessario equipaggiamento per il viaggio, con due lettere di salvacondotto che descrivevano le nostre persone e l'oggetto del nostro viaggio al principe di Alessandria e al principe di Babilonia. Questi principi sono sotto la giurisdizione dell'Emir-al Mumenin,che governa su tutti i Saraceni e risiede a Bagdad e ad Axinarri (Samarra) che sono oltre Gerusalemme. Da Bari andammo al porto della città di Taranto, alla distanza di 90 miglia, dove trovammo sei navi che avevano a bordo 9000 schiavi cristiani di Benevento [«ambulavimus ad meridiem per XC miliaria usque ad portum Tarentinae civitatis ubi invenimus naves sex, in quibus erant novem millia captivorum de Beneventanis Christianis»]. In due navi che salpavano per prime e che erano dirette in Africa c'erano 3000 schiavi; nelle due seguenti che erano destinate a Tunisi ce ne erano altri 3000. Le ultime due che contenevano parimenti lo stesso numero di schiavi cristiani, ci portarono al porto di Alessandria dopo un viaggio di 30 giorni”.

    Cavaliere arabo del X secolo   

     

    Taranto era dunque un importante centro di smistamento di schiavi dell’Italia meridionale durante la metà del IX secolo e, insieme a Bari, condivideva i rapporti commerciali con l’emirato aghlabide e il califfato di Baghdad. Come ci attestano meglio le fonti latine, mentre Bari fu un covo di saccheggiatori delle terre longobarde, Taranto servì da base logistica per smistare gli schiavi catturati. Il commercio di schiavi quindi divenne una delle principali risorse economiche nella nostra penisola, la “Grande Terra” (Ard al- Kabirah) come la chiamava il cronista arabo al-Balādhuri16, dove gli abitanti venivano catturati e venduti sui mercati del Nord Africa. La guerra contro un nemico non musulmano legittimava l’acquisizione di schiavi e quindi la cattura avveniva nel cosiddetto territorio di guerra (il dār al harb17, in questo caso quello longobardo). Per questo i Saraceni, che avevano di fronte a sé un territorio non musulmano come la penisola italica, partendo dalla Calabria risalivano l’Appennino centro meridionale in cerca di preziose merci umane da vendere nei mercati dell’Ifriqiya, della Spagna o dell’Egitto.

     

    Note

    1. Tangheroni M., Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma - Bari, Laterza, 1996, pp. 42-49; Vanoli A., La Sicilia musulmana, Bologna, il Mulino, 2012, pp.53-56.
    2. Per l’etimologia del termine si veda l'enciclopedia Treccani
    3. Anonimo Salernitano, Chronicon, a cura di Matarazzo R., Napoli, Arte Tipografica, 2002, p.172.
    4. Ivi, cap. 114, p.184.
    5. La cronaca veneziana del diacono Giovanni, in F.S.I., Cronache veneziane antichissime, a cura di Monticolo G., vol. I, Roma, 1890, pp.113-114.
    6. Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.23.
    7. Partner P., Il Dio degli eserciti. Islam e cristianesimo: le guerre sante, Torino, Einaudi, 1997, pp.64-65.
    8. Erchemperto, Storia dei Longobardi beneventani, a cura di Matarazzo R., Napoli, Arte Tipografica, 1999, cap. 29, p.64.
    9. Dalla Chronica S.Bened. Casin., cit., cap.18, p.477, citato in Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., pp.66-67, n.9.
    10. Date le sue costanti incursioni presso i luoghi di culto quali Montecassino e San Vincenzo al Volturno, Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.66; e S.Michele sul Gargano, Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.108.
    11. “Set cum sepissime legati Agarenorum Salernum venissent, (dum) iam dicto Sico Petroque rectore Salernitanis simul preessent, accidit, ut unum eminentissimum Agarenum fuisset missus a Satan domino Salernum. Sed cum Salernum venisset, cum magna sublimitate eum susceperunt; at episcopium illum miserunt, quatenus in domo, ubi Bernardus presul morare solitus, erat, degeret. Dum fuisset nimirum factum, ipso presul exinde mox valde ingemuit, atque ex intimo cordis anelitum trahens, tandem deintus vulnus foras erupit, et quasi pro causa dictis principibus Romam properavit”. Anonimo Salernitano, Chronicon, cit.,  cap.99, p.142.
    12. Cum namque Romam venisset, aliquod tempore ibidem moravit, et a papa qui tunc in tempore adherat, et ab omnibus Romanis nimio diligebatur affectu. Sed dum bis terque a predictis principibus per epistolam exflagitatus esset, quatenus propria remearent, ille vero diu redire distulit. Tandem exoratus ab omni populo Salernitano et plus nimirum a clero, illis epistolam in hunc modum misit: " Si illuc me habere cupitis, edem mihi aliam in loco alio edificate, quia post hec minime ubi moravi iam habito". Anonimo Salernitano, Chronicon, cit.,  cap.99, p.142.
    13. Berto L.A., I musulmani nelle cronache altomedievali dell’Italia meridionale (secolo IX-X), in Mediterraneo medievale: cristiani, musulmani ed eretici tra Europa e Oltremare (secoli IX-XIII), a cura di Meschini M., Milano, Vita e Pensiero, 2001, p.19; Erchemperto, Storia dei Longobardi beneventani, cit., cap.16, p.48.
    14. Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.43.
    15. Il passo è tradotto in Aureli M.E., Confronto tra la “Vita Willibaldi” e l' “Itinerarium Bernardi”: come due viaggi di pellegrinaggio rivelano i profondi cambiamenti avvenuti nelle comunicazioni e negli scambi nel Mediterraneo tra il 720 e l'870, Pisa, 2001, pp.1-5; Perta G., Mira Rotunditas, Il Santo Sepolcro nei racconti odeporici altomedievali, inAnnali della Pontificia insigne Accademia delle belle arti e lettere dei virtuosi al Pantheon IX, 2011, pp.443-455; Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., pp.72-74.
    16. Il cronista arabo al- Balādhuri visse presso la corte abbaside nella seconda metà del IX secolo.
    17. Al contrario, non potevano essere ridotti in schiavitù i non musulmani mentre si trovavano nel dār al Islām, cioè coloro che erano sotto la protezione della dhimma. Vercellin G., Istituzioni del mondo musulmano, Torino, Einaudi, 2002, pp.29-34 e pp.192-197

     

  • Il ceffone di Batman. Quando anche i docenti universitari imparano cosa sono i memi

    di Emanuele Curzel e Marina Gazzini

    L’uso dei memi a fini didattici, nel contesto educativo italiano, è pratica assai poco diffusa, per quanto certamente attestata e in diverse discipline. Sebbene non esistano statistiche ufficiali, sondaggi condotti da chi scrive hanno consentito di verificare che, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, sono pochi i docenti che utilizzano questo strumento nelle proprie lezioni, vuoi autoproducendolo, vuoi sollecitandone la composizione da parte degli studenti.

    Se dalla scuola ci si sposta all’università, allo stato attuale della ricerca, non si è rinvenuta traccia di eventuali iniziative in tal senso che abbiano trovato applicazione in corsi accademici.
  • Il sorprendente Medioevo interculturale

    Autore: Antonio Brusa

     

    I duchi di Borgogna e le loro signore. Diversi per l’abbigliamento, pescano in pace nello stesso fiume

     

    Fiandre medievali e Belgio moderno

    “Quando i giornalisti o i politici dicono che un fenomeno è “medievale” capiamo subito che vogliono darne una connotazione negativa. Essere medievale, infatti, è “essere indietro con i tempi”, ma non nel senso tranquillizzante del vintage o del retro. “Medievale” vuol dire “ignorante”, con tutto ciò che a questo aggettivo è connesso: l’intolleranza, la sporcizia, la superstizione. Un concetto come “multiculturalismo medievale”, perciò, sembra in contraddizione con l’idea che tutti abbiamo di medioevo”.

    E’ proprio questo lo stereotipo che viene sfatato da Adrian Armstrong, nelle pagine di “History Today”, rivista inglese di storia che interpreta la divulgazione in maniera intelligente, perché non soltanto presenta gli argomenti in modo discorsivo e gradevole, ma, soprattutto, perché mostra aspetti e fatti della storia che ci mettono in discussione. Medioevo tollerante o no? Per rispondere Armstrong ci suggerisce di confrontare la situazione odierna del Belgio con quella del Basso medioevo. Negli ultimi decenni, dice, in Belgio si è affermata la tendenza alla divisione fra quelli che parlano fiammingo (Dutch, precisa) e i francofoni. Spazi, persone, scuole, amministrazione sono separati in modo ossessivo, al punto che certi impiegati di Bruxelles, quando iniziano una conversazione con un cliente che non conoscono, attaccano con l’inglese, per evitare di cominciare con la lingua regionale sbagliata. “Andate indietro di cinquecento anni, ci esorta lo studioso, e troverete una situazione alquanto diversa”.

    Anche allora, quando la casa di Valois dominava il ducato di Borgogna (1364-1482), la regione era spartita fra chi parlava francese e chi parlava olandese, più o meno come oggi: ma gli scambi di merci, di scritti e di persone spingevano fortemente per il multilinguismo. Un ufficiale del Duca, ad esempio, era favorito nella sua carriera se conosceva entrambe le lingue. Spesso, perciò, la gente mandava i figli presso famiglie che parlavano l’altra lingua. Questo era vero, in particolar modo, per chi viveva di scrittura: poeti, storici, letterati. Per tutti gli altri, funzionava un formidabile apparato di traduttori. Non ci si limitava alle due lingue regionali. Vi erano città multilingue, come Ghent (Gand) e Brugge (Bruges), abitate da inglesi, catalani e, aggiungiamo noi, lombardi, genovesi e fiorentini, tedeschi, ebrei, scandinavi.

    Armstrong sottolinea che questi scambi linguistici da una parte arricchivano il linguaggio materno, e, dall’altra, incoraggiavano il rispetto degli altri. Certo – avverte - questa diversità di lingue creò, a volte, incomprensioni e fratture. Ma queste vennero viste come sfide da vincere, più che come barriere invalicabili.

    “E tanto basti, ecco la conclusione dello studioso, per il Medioevo intollerante”.

     

    Proviamo a generalizzare

    La prima avvertenza è quella di non cadere nell’eccesso opposto, quello di immaginare un Medioevo con i colori dell’arcobaleno. La convivenza fra diversi (per lingua, costumi, provenienza, mestieri, religione) è indubbio che provochi dei problemi (ieri come oggi). La differenza fondamentale tra oggi e il Medioevo è che tale varietà culturale tende sempre più ad assumere un valore politico. E questo sia in negativo, quando si traduce in diseguaglianza giuridica e stigmatizzazione; ma anche in positivo, come rivendicazione o come riconoscimento sociale della diversità, prodotta paradossalmente anche da interventi di apertura interculturale. Nel Medioevo, questo non c’era. Un qualcosa di simile al nostro “culturalismo politico” è difficile trovarlo, se non a sprazzi. Un esempio che ci può riguardare è quello dei Vespri siciliani (1282), nel quale, secondo David el Kenz, nel suo Le Massacre objet d’histoire, si consumò la prima di quella lunga serie di carneficine “etniche” che ha insanguinato il secondo millennio europeo.

    Come più volte ha sottolineato Giuseppe Sergi (L'idea di Medioevo. Fra luoghi comuni e pratica storica, Donzelli, Roma 1999), le città medievali sono organismi aperti. Un osservatore contemporaneo rimarrebbe sopreso (soprattutto nella sua visione supponente del Medioevo) nel vedere gente vestita con abiti esotici – chi andava con una tunica lunga, chi con un gonnellino corto a far vedere le gambe, chi con una larga fascia intorno alla vita, riconoscibile perfino dal taglio dei capelli. Si aggirerebbe fra quartieri e strade diverse, ascoltando lingue e guardando cerimonie sacre particolari. Gli ebrei medievali, per toccare un argomento ormai affrontato in tutti i manuali, non erano “i diversi”, perché c’erano molti “diversi”, al punto che Federico II e Innocenzo III, al principio del XIII secolo, dovettero inventare un simbolo (una rotella) per contrassegnarli. Qui gli orientali e qui i veneti o i pisani, lì le comunità provenienti da una qualche località del contado (parlavano lingue proprie e avevano santi “tribali” anche loro). E poi gli slavi, i tedeschi, i francesi o gli aragonesi e tutti gli altri, con l’avvertenza che queste sono generalizzazioni contemporanee, perché allora si era di Cahors, delle Baleari o di Barcellona... Potrebbe dire, il nostro visitatore, se bendisposto, che è come trovarsi oggi a Londra; oppure, potrebbe esclamare, disgustato, che è come nei paraggi della stazione di Milano o di Roma.

    Il dilemma “tolleranza/intolleranza” appartiene alla prima età moderna. Nasce, quindi, con qualcuno dei secoli dorati, che molte nazioni europee hanno canonizzato come momenti gloriosi del proprio passato: il Cinquecento in Italia, il Seicento in Spagna o in Francia. Si afferma con le guerre religiose e con il sanguinoso costruirsi degli spazi omogenei – i territori statali – durante il quale si consumarono pulizie etniche e trasferimenti forzati di popolazione. Gli stati europei ottocenteschi hanno, poi, messo a punto un modello di “sovrapposizione” fra spazio e popolo, nel quale ogni “cittadino” è contrassegnato da una “carta di identità”. E’ questo lo “schema di cittadinanza” che i nostri tempi stanno mettendo in crisi, spingendoci a soluzioni che, come quella raccontataci da Armstrong, non appaiono sempre baciate dalla razionalità.

    Per restare nello spazio belga, quando andai a Lovanio, da giovane e fervente medievista espressi il desiderio di visitarne la celebre biblioteca. Ma Lovanio, ormai, erano due: Leuwen e Louvain. Le due nuove università si erano spartite la vecchia. Anche la biblioteca. Come avete fatto, chiesi? Hai ragione, mi rispose il collega. Non esiste un sistema per dividere in modo razionale quel patrimonio culturale. Perciò, abbiamo fatto così: i numeri dispari a una e i pari all’altra.

    Quindi - è la mia conclusione –se per molti il Medioevo è intollerante, con quale aggettivo dovremmo definire la nostra società?

     

    Adrian Armstrong, Tolerant and Diverse: a Different Picture of the Middle Ages, in “HistoryToday”, 2015, 66, 6, 7, pp. 3 s. Anche online: http://www.historytoday.com/adrian-armstrong/different-picture-middle-ages

  • Il valore del cibo nel Medioevo

    Autori: Marina Rosset e Alessandro Contino

    SOMMARIO

    UdL “Il valore del cibo nel Medioevo”

    Inquadramento del tema

    Metodologia didattica

    Declinazione dei contenuti, sviluppo e valutazione

    VERIFICA PER COMPETENZE

    RI-CONTESTUALIZZAZIONE

    DIAGRAMMA DELLE LEZIONI

    ALLEGATI

    BIBLIOGRAFIA

    APPENDICE INTERDISCIPLINARE

    Inquadramento del tema
    Alla base di questo progetto sta la volontà di allargare il percorso disciplinare di Storia di una classe prima di una SSPG a una storia sociale aperta e interdisciplinare, come prescritto dalle Indicazioni Nazionali. Si trattano perciò elementi di Storia dell’alimentazione in chiave culturale. Per cultura alimentare si intende un insieme di aspetti che fanno del cibo un elemento che caratterizza “la vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico”1 .

    Lo spazio di riferimento è l’Europa, anche se in alcuni momenti le coordinate saranno allargate ad altre zone del bacino del Mediterraneo e al mondo arabo. I passaggi che verranno riletti sono: la nascita dei regni romano barbarici, la diffusione del monachesimo in Europa e la nascita dell’Islam, lo sviluppo comunale e il radicarsi della signoria territoriale. Questi temi sono riletti metaforicamente come: il cibo è incontro tra culture, il cibo è un precetto della religione, il cibo come ricchezza e povertà e il cibo come sogno.

    La prima fase rilegge l’incontro tra romani e barbari e sviluppa la caratteristica conviviale ed etnica della cucina che mette a contatto e amalgama popoli che vivono lo stesso territorio. Questo tipo di argomentazione porta a una riflessione sull’attualità e l’intercultura. Con i focus di Italiano, Geografia e Scienze si passa poi a una riflessione sui semi come metafora del rispetto della diversità e di tolleranza. Nella seconda fase, si trattano aspetti alimentari legati alle tre religioni monoteiste, partendo dalla diffusione del monachesimo e dalla nascita dell’Islam. In questa fase gli studenti di religione musulmana sono chiamati a un ruolo da protagonisti, diventando mediatori culturali. La terza fase si occupa di alcuni stereotipi: il contadino, il signore, il cittadino. Legata alla trattazione della società medievale, essa intende, attraverso l’analisi di testi storiografici e fonti, portare gli studenti a identificare le abitudini alimentari e quindi a fare inferenze sulle caratteristiche vere o presunte dei personaggi che abitano il basso Medioevo. Si riflette poi nella quarta fase sui giudizi che le fonti mediano, aprendo la discussione su stereotipi e pregiudizi sia nella storia che nella quotidianità, tema del focus di educazione alla cittadinanza. Nella quinta fase l’epoca del radicamento della signoria territoriale, con il rafforzamento del potere personale dei signori a scapito del contado spesso privato dei terreni comuni, viene riletta nella chiave dell’immaginario collettivo che porta al paese di Cuccagna. Si apre qui la discussione sulla fame, come argomento interdisciplinare.

    Metodologia didattica
    L’UdL punta soprattutto sulla didattica del fare, culminante col laboratorio storico sul modello proposto da Antonio Brusa. L’avvio è affidato a un lavoro in apprendimento di gruppi cooperativi  secondo l’approccio del group investigation2, che parte dalla domanda a cui le successive fasi dell’Unità daranno una risposta dal punto di vista storico-culturale. Ci sono anche altri lavori in gruppo, cooperativi e non, lezioni dialogate, dibattiti. Si punta inoltre sull’uso delle tecnologie per coinvolgere gli alunni che manifestano difficoltà di attenzione e/o di apprendimento e per stimolare un lavoro casalingo e un dialogo a distanza tra compagni e con l’insegnante. In particolare si fa uso della piattaforma virtuale dove sono anche somministrati i questionari di autovalutazione e viene gestita parte della metacognizione.

    Declinazione dei contenuti, sviluppo e valutazione
    Fase  1 (2 ore)
    TITOLO DELLA FASE: Cos’è il cibo per l’uomo?

    MATERIALI PRODOTTI DAL DOCENTI:
    La domanda principale, gli ambiti per i gruppi (cibo come amicizia, cibo come religione, cibo come ricchezza e povertà, cibo come sogno), le linee guida con cui poter spiegare l’immagine, il supporto informatico (tablet o pc).

    CONSEGNE PER GLI STUDENTI:
    Trovare un’immagine, darne la spiegazione scritta in base all’ambito assegnato, esporre alla classe, auto-valutare il proprio contributo.

    DESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’:
    Gli alunni sono divisi in quattro gruppi da cinque alunni con ruoli diversi, hanno a disposizione due tablet (o pc) con i quali navigare in rete e trovare delle immagini relative agli ambiti. Scelgono un’immagine e costruiscono una spiegazione dell’immagine relativa che esporranno alla classe nella lezione successiva.

    SETTING DELL’AULA: isole di banchi

    VALUTAZIONE: l’insegnante valuta i gruppi e il prodotto dell’esposizione. Gli alunni si auto-valutano sulla piattaforma (vedi allegati).


    ALLEGATI: vedi allegati fase 1.


    Fase 2  (2 ore)
    TITOLO DELLA FASE: Il cibo è occasione di incontro tra culture.

    PRECONOSCENZE: Migrazioni barbariche e caduta dell’Impero romano.

    MATERIALI PRODOTTI DAL DOCENTI:
    Testi storiografici dal testo “La fame e l’abbondanza” sull’alimentazione romana e sulla alimentazione delle popolazioni germaniche. Tabella con spazi vuoti per gli alunni BES.

    CONSEGNE PER GLI STUDENTI:
    Produrre una mappa concettuale a partire dalle fonti, cercare e trascrivere la ricetta di famiglia, esporre la ricetta ad un compagno e riportare quella del compagno ad un’altra coppia.

    DESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’:
    Prima lezione: gli alunni sono divisi in coppie e realizzano due mappe concettuali che riassumono i contenuti dei testi (l’alimentazione dei romani, l’alimentazione dei germani). Gli alunni con BES ricostruiscono i contenuti e completano una tabella. Successivamente per dare una cornice di senso più vicina agli studenti, viene assegnato come compito a casa la ricerca della ricetta di famiglia che viene impiegata nella lezione successiva per aprire un confronto culturale all’interno della classe. Seconda lezione: Una volta tornati in classe gli alunni vengono divisi in coppie, uno studente intervista il compagno sulla “ricetta di famiglia” e poi i ruoli si invertono; si uniscono due coppie (vengono quindi formati gruppi di quattro alunni) e i contenuti delle interviste vengono riportati oralmente dallo studente che ha fatto l’intervistatore (intervista a tre passi).

    SETTING DELL’AULA: standard.

    VALUTAZIONE: l’insegnante valuta gli elaborati (mappe concettuali, ricette). Gli studenti valutano le esposizioni delle ricette dei compagni.

    ALLEGATI: vedi allegati fase 2 

    Fase 3: (4 ore)
    TITOLO DELLA FASE: Il cibo come precetto religioso

    PRECONOSCENZE: La diffusione del monachesimo in Europa e la nascita dell’Islam.  

    MATERIALI PRODOTTI DAL DOCENTE: lettura di brani tratti dall’Antico Testamento, da regole monastiche, da “I gusti del Medioevo” di Massimo Montanari, una tabella per il confronto delle tipologie di fonti storiche.

    CONSEGNE PER GLI STUDENTI: leggere e comprendere dei testi, completare delle tabelle riassuntive.

    DESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’. Prima lezione: l’insegnante propone una serie di lezioni sul rapporto tra cibo e religione che faccia scoprire i precetti alimentari dettati dalle principali religioni monoteiste. L’insegnante legge i testi e ricorda alla classe la differenza tra fonte primaria e fonte secondaria. L’insegnante guida gli alunni a ricavare una tabella che illustri gli usi alimentari legati alla religione ebraica e a quella cristiana del periodo storico appena affrontato.

    Seconda lezione: sono presi in esame i precetti alimentari della religione musulmana attraverso testi e interventi di alunni musulmani concordati con l’insegnante. Anche in questo caso viene realizzata insieme una tabella. Segue un confronto con quella realizzata in precedenza.

    In queste due lezioni, gli alunni BES sono invitati a intervenire e sono coinvolti nella stesura pratica della tabella alla LIM, cercano immagini che illustrino i temi affrontati. I prodotti realizzati e i materiali valutati dall’insegnante verranno condivisi attraverso la piattaforma.

    Nella terza lezione l’insegnante predispone un lavoro a coppie che parte dall’analisi di un breve brano tratto da “Il riposo della polpetta” o da “Il pentolino magico”4, da un breve testo storiografico scelto tra quelli esaminati insieme nelle lezioni precedenti e da una fonte iconografica sul tema. Gli studenti sono chiamati a leggere e a interrogare il testo divulgativo di Montanari cercando informazioni richieste dall’insegnante (esercizio di allenamento verso l’interrogazione). Le informazioni vengono poi condivise con la guida dell’insegnante, completando una tabella (allegato 7).

    Nella quarta lezione  gli studenti vengono invitati a confrontare le informazioni del testo della lezione precedente con il testo storiografico. L’insegnante si offre come guida cercando di indirizzare il lavoro alla ricerca delle informazioni che sono più attinenti all’argomento, tralasciando i contenuti estranei. Nella seconda parte della lezione le coppie vengono invitate a realizzare un elaborato di 150 parole citando le fonti.

    SETTING DELL’AULA: standard

    VALUTAZIONE: vengono valutati gli interventi nelle lezioni dialogate e il prodotto finale del lavoro di coppie. Nell’ultima lezione viene lasciato spazio per un momento di autovalutazione dialogata.

    ALLEGATI: vedi allegati fase 3

    Fase 4: (4 ore)
    TITOLO DELLA FASE: Il cibo è anche una questione di ricchezza o povertà

    PRECONOSCENZE: società feudale e sviluppo comunale nel tardo Medioevo

    MATERIALI PRODOTTI DAL DOCENTE: una fonte scritta di Giovanni de Mussis (XIV secolo) con la descrizione dei banchetti di nozze di Piacenza5; materiali per il lavoro jigsaw (brani tratti dal manuale di storia e dai testi di Montanari e una novella in versi di Wernher der Gartenaere); griglia per il lavoro in jigsaw.

    CONSEGNE PER GLI STUDENTI: analisi guidata di una fonte. compilazione di tabelle, creazione di mappe concettuali o mentali.

    DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’: nella prima lezione l’insegnante descrive gli aspetti dello stereotipo del contadino che fa da collegamento tra l’elemento storico generale e quello della storia della cultura alimentare costituto dallo stereotipo del contadino. Si passa all’analisi della fonte  di de Mussis condotta secondo il metodo think-pair-share, con la mediazione dell’insegnante attraverso domande stimolo: quanti giorni dura il banchetto? quante portate ci sono? quali tipi di alimenti sono prevalenti? Si delineano le idee di sfarzo e abbondanza dell’alimentazione dei signori. A casa la riflessione continua in piattaforma con un dibattito gestito dall’insegnante e stimolato da altre fonti quali la descrizione del matrimonio tra Isabella d’Este e Annibale Bentivoglio, organizzato nel 1487 a Bologna, descritto dal cronista Ghirarducci6 .

    La seconda e la terza lezione si concentrano sullo stereotipo del contadino attraverso fonti, testi storiografici e testi divulgativi. Viene utilizzata la struttura per l’apprendimento cooperativo jigsaw: la classe viene divisa in gruppi di tre; a ciascun gruppo viene assegnato un portfolio di documenti (l’insegnante assegna a ciascun membro i testi che ritiene adeguati alle capacità); i ragazzi leggono i propri brani poi si riuniscono in gruppi che hanno la stessa fonte e la interrogano; rientrati nel gruppo base, le informazioni vengono messe a confronto; agli studenti viene richiesto poi di fare delle inferenze che portano dalla dieta del contadino al suo stile di vita e alla considerazione che ne emerge dai testi.

    Al termine del lavoro di gruppo, si svolge una discussione in classe mediata dall’insegnante per raccogliere gli elementi dello stereotipo del contadino. Segue una discussione in piattaforma.

    La quarta lezione verte sulla differenza dei consumi tra città e campagna. L’insegnante legge alcuni brani tratti da Gusti nel Medioevo, chiedendo agli alunni di compilare una tabella di comprensione. Segue la realizzazione di una mappa concettuale condivisa in cui emergano le diverse caratteristiche dell’alimentazione del contadino, del signore e del cittadino. A uno degli alunni BES viene affidato il compito di stilare l’elaborato con un programma alla LIM. Agli alunni stranieri viene chiesto di realizzare una semplice mappa mentale per ciascun stereotipo.

    SETTING DELL’AULA: isole di banchi

    VALUTAZIONE: Attraverso una griglia di osservazione, concordata con gli studenti, vengono valutati gli interventi in classe e in piattaforma e le competenze sociali e civiche messe in atto nel lavoro di gruppo.

    ALLEGATI: vedi allegati fase 4.

     

    Fase 5: (4 ore)
    TITOLO: il cibo come sogno “Il paese di Cuccagna”

    PRECONOSCENZE: lavoro sulle fonti svolto nelle fasi precedenti, le principali caratteristiche della signoria territoriale.

    MATERIALI PRODOTTI DAL DOCENTE: documenti per il laboratorio

    CONSEGNE PER GLI STUDENTI: svolgere le fasi del laboratorio

    DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’:
    La quinta fase è un laboratorio storico, come teorizzato da Antonio Brusa7. Gli studenti sono chiamati a lavorare in autonomia, mettendo in pratica le competenze acquisite. Dopo aver affrontato le caratteristiche della signoria territoriale gli alunni sono chiamati a riflettere sulle conseguenze dell’ampliamento del potere signorile sulle campagne e sulla privazione di un’importante fonte di sostentamento, ovvero i terreni comuni. La fame infatti diviene un pensiero martellante, nella testa oltre che nello stomaco, creando nell’immaginario collettivo l’utopia alimentare del paese di Cuccagna. La classe viene divisa in gruppi di quattro ai quali l’insegnante assegna i ruoli di coordinatore, segretario e responsabile del materiale, mentre gli alunni con bisogni educativi speciali vengono inseriti come elementi osservatori, muniti di griglia, e gestori del gettone di parola. Ai gruppi viene affidato un portfolio contenente:
    -    un brano tratto da païs de Coquagne8 ;
    -    un breve brano storiografico tratto da Montanari9;
    -    un brano tratto da Il pentolino magico10;
    -    un’immagine del paese di Cuccagna;
    -    un intruso.
    Il lavoro è concentrato nelle prime tre lezioni, mentre la quarta è dedicata alle esposizioni. Gli elaborati finali vengono condivisi sulla piattaforma.

    SETTING DELL’AULA: isole di banchi

    VALUTAZIONE: la valutazione del lavoro di gruppo sulle diverse competenze trasversali (sociali e civiche, consapevolezza ed espressione culturale) viene effettuata durante il processo con griglie di osservazione, tenendo conto anche di quelle elaborate dagli studenti osservatori. Viene eseguita una valutazione in itinere attraverso i prodotti delle singole fasi e i feedback nel corso dell’attività in classe. Infine è valutato il prodotto finale.

    ALLEGATI: vedi allegati fase 5

    VERIFICA PER COMPETENZE
    Alla fine dell’anno è prevista una verifica sommativa che richiede agli studenti di utilizzare in un contesto nuovo le competenze acquisite. Viene fornita loro una fonte (semplice per i BES) sulla quale rifare il laboratorio storico. E’ inoltre richiesto loro di correlare gli argomenti della presente UdL con quelli del percorso curricolare spiegando la relazione e mettendoli in una linea del tempo. Per valutare le conoscenze viene richiesto di legare attraverso dei concetti chiave il percorso tradizionale con quello sull’alimentazione, realizzando un breve testo su uno degli argomenti trattati.

    RI-CONTESTUALIZZAZIONE
    In questo lavoro si è prediletto l’aspetto interculturale, data la composizione etnicamente eterogenea del gruppo classe. Volendo riproporre il lavoro si può pensare di limitare l’aspetto culturale e lavorare di più su quello storico. Si può inoltre pensare a un approccio più locale con un laboratorio di fonti inerenti al proprio territorio.

    DIAGRAMMA DELLE LEZIONI


                                                                   
    ALLEGATI
    FASE 1: Che cos’è il cibo per l’uomo?
    ALLEGATO 1

    LINEE GUIDA PER LA DESCRIZIONE DELL’IMMAGINE:

    ●    Come è rappresentato il cibo?
    ●    Che tipo di cibo c’è nell’immagine?
    ●    Ci sono altre figure (oggetti, persone, animali) oltre al cibo?
    ●    Che relazione c’è fra il cibo e queste altre figure?
    ●    Quale significato dai a questa immagine?
    ●    Inventa uno slogan da mettere sotto l’immagine.

    ALLEGATO 2

    FASE 2: Il cibo come incontro
    ALLEGATO 1
    “I romani, stando a Plinio il Vecchio, non ebbero forni pubblici per la cottura del pane prima del II secolo avanti Cristo. In precedenza consumavano soprattutto zuppe, polente, focacce. Appresero poi l’arte del lievito e della panificazione, che, sembra, gli egiziani avevano messo a punto per primi, diffondendola tra le genti del Mediterraneo orientale”. (p. 60)
    da M. Montanari, Gusti del Medioevo, p. 60

    “L’ideologia alimentare romana si costruisce attorno a una triade di prodotti, il pane, il vino e l’olio, assunti - riprendendo la tradizione greca - a vero e proprio simbolo di una certa idea di “civiltà”, legata, nel mondo greco e romano, all’agricoltura come modo di produzione tipico dell’uomo, che, separandosi dal mondo della natura e delle bestie, costruisce la propria esistenza in modo per così dire artificiale, inventando tecniche di sfruttamento dell’ambiente naturale che finiscono per trasformarlo profondamente, disegnando un paesaggio nuovo, quello dei campi, delle vigne, degli alberi coltivati, da cui l’uomo, lui solo, riesce a ricavare dei prodotti che, a loro volta, trasformati secondo tecniche esse stesse esclusive dell’uomo, gli forniscono un cibo (il pane), una bevanda (il vino) e un grasso (l’olio) che non esistono allo stato naturale e per ciò stesso simboleggiano la capacità di ritagliarsi uno spazio “civile” in mezzo alla natura selvaggia [...]. Anche la pastorizia, anche la caccia rientrano fra le attività produttive; anche la carne compare - eccome - sulle tavole romane, per non parlare del formaggio, delle uova e di altri prodotti di origine animale. La carne stenta, tuttavia, a conquistare un’immagine alta, totalmente positiva, perché legata a forme di sfruttamento del territorio ritenute più “naturali”, meno “civili” [...]. La letteratura latina restituisce immagine che assegnano soprattutto ai cibi vegetali, a quelli prodotti con il lavoro dei campi, il ruolo di identificare il proprio modello di civiltà. I popoli che vivono soprattutto di caccia e pastorizia, dando alla carne un ruolo centrale nel loro regime alimentare, sono pertanto rappresentanti come “incivili” o “barbari” [...] Procopio scrive che i lapponi “non ricavano alcun cibo dalla terra… ma si dedicano solamente alla caccia”, e Giordane parla degli scandinavi che vivono “solamente di carni”.
    da M. Montanari, Gusti del Medioevo, p. 69-70

    “Anche quelli che un tempo si chiamavano <<barbari>>, legati a tradizioni di tipo pastorale più che agricolo, e a un modello alimentare prevalentemente carnivoro, subirono il fascino del nuovo modello alimentare e contribuirono in maniera decisiva alla diffusione nel continente della ‘cultura del pane’”.
    da M. Montanari, Gusti del Medioevo, p. 62

    Testi sono tratti da M. Montanari, La fame e l’abbondanza,pp. 12-14
    ROMANI:
    “[…] i latini chiamavano ager, l’insieme dei terreno coltivati, rigorosamente distinti dal saluto, la natura vergine, non-umana, non-civile, non-produttiva. […] l’economia del bosco e della palude erano […] realtà marginali”.

    “[…] agricoltura e arboricoltura erano il perno dell’economia e della cultura dei greci e dei romani […]. Grano, vite, ulivo ne erano i punti di forza: una triade di valori produttivi e culturali che quelle civiltà avevano assunto a simbolo della propria identità. «Ogni cosa che le mie figlie toccano si trasforma in grano, o in vino puro, o in oliva»: le parole di Anio, re e sacerdote di Delo, che Ovidio rappresenta in una delle Metamorfosi, la dicono lunga sulle abitudini e sui desideri alimentari (il mito di Anio non è anche un’utopia?) di questa gente. […] Accanto ad essi svolgevano un certo ruolo l’orticoltura (soprattutto) e la pastorizia ovina […]. Su queste realtà si disegnava un sistema di alimentazione - vogliamo chiamarlo ‘mediterraneo’? - a forte caratterizzazione vegetale, basato sulle farinate e sul pane, sul vino, sull’olio, sulle verdure: il tutto integrato da un po’ di carne e soprattutto un po’ di formaggio (pecore e capre si utilizzavano prevalentemente come bestie vive, per il latte e la lana)”.

    BARBARI:
    “Le popolazioni celtiche e germaniche, da secoli avvezze a percorrere le grandi foreste del Centro e del Nord Europa, avevano sviluppato una forte predilezione per lo sfruttamento della natura vergine e degli spazi incolti. La caccia e la pesca, la raccolta dei frutti selvatici, l’allevamento brado nei boschi (soprattutto maiali, ma anche equini e bovini) erano attività centrali e caratterizzanti del loro sistema di vita. […] la carne era il valore alimentare di primo grado. Non il vino si beveva (conosciuto solo nelle zone di confine dell’impero) ma il latte di giumenta e i liquidi acidi che se ne derivavano; o il sidro, tratto dalla fermentazione dei frutti selvatici; o la birra, là dove si coltivavano cereali nelle piccole radure sottratte alla foresta. Non l’olio si usava per ungere e per cucinare […] ma il burro e il lardo”.

    PUNTI DI UNIONE:
    “[…] anche i germani consumavano cereali, pappe d’avena o focacce d’orzo (non però pane di frumento, vero simbolo dell’alimentazione mediterranea); anche i romani mangiavano carne di porco (che gli imperatori facevano distribuire al popolo della capitale, assieme al pane)”.

    ALLEGATO 2
    GRIGLIA PER L’ATTIVITA’ DEGLI ALUNNI con BES:

     

    ALLEGATO 3
    COMPITO: Ricetta di famiglia
    Gli studenti sono invitati a chiedere ai propri genitori una ricetta significativa della “tradizione famigliare” della quale dovranno elaborare una descrizione seguendo i seguenti punti:

    1.    tradizione della ricetta (da quale ramo familiare giunge)
    2.    occasione particolare in cui il piatto viene proposto
    3.    ricetta
    4.    piccolo approfondimento sugli alimenti tipici che vengono utilizzati (se ad esempio derivano dalla cultura di un paese o una regione d’origine differente da quella in cui la famiglia risiede).


    ALLEGATO 4
    IL BUON MODELLO  PER LA RICETTA DI FAMIGLIA
    La domenica andavamo a pranzo dalla mamma di mia mamma, nonna Emma. Lei e sua nuora Lillina dal venerdì sera si alternavano presso la fiammella minima che asciugava il ragù, rraù, in lingua e palato locali. Il nostro arrivo a mezzogiorno in anticamera era accolto da un alleluia di ragù diritto nel naso. Quel sugo era l’applauso di uno stadio in piedi dopo un gol, era un abbraccio, un salto e una cascata dentro le narici. Mai più potrò riavere quell’arrembaggio al vertice dei sensi, che sta per me in qualche ghiandolina dell’olfatto. A tavola, condito con la pasta grossa, mi sedevo composto, ma dentro di me stavo in ginocchio di fronte alla scodella.

    È stata la mia porzione di manna, pane dei cieli, apparecchiata da due sacerdotesse dei fornelli, dai loro riti notturni. Erano bocconi che imponevano silenzio. A me si chiudevano anche gli occhi. Le forchette nei piatti raccoglievano il frutto della conoscenza. La bocca piena gorgheggiava una laude. Non ho temperamento mistico, ma quel poco che mi è toccato in sorte l’ho assaggiato, l’ho avuto sulla lingua durante le domeniche d’infanzia. Quella mensa estiva assume nel ricordo la forma di un altare.

    Da loro due, Emma e Lillina, ho poi ricevuto notizie dettagliate per la composizione della parmigiana di melanzane, piatto preferito dell’età adulta. La preparavano facendo passare il frutto per tre fuochi. Tagliate a fette le melanzane, le mettevano al sole, la fiamma più potente, ad asciugarsi dall’acqua e addensare il sapore. Poi le friggevano, indorando di festa la cucina. Ultimo fuoco il forno, dopo averle distese a strati, ognuno ricoperto di sugo, basilico, mozzarella e una manciata di formaggio parmigiano. Tre fuochi concorrevano alla pietanza che meglio coincide per me con la parola casa.
    Senza mamma pratico l’astinenza da quel cibo, un esilio alimentare. Il lutto si sconta alla tavola invece che al cimitero.
    Tratto da De Luca, E. Il più e il meno, pp. 18-19

    ALLEGATO 5
    ESEMPIO DI RICETTA MEDIEVALE
    Polenta di fave o “macco”
    Prendi fave infrante e scelte bene e quando le avrai bollite, tolta l’acqua, lava molto bene e rimettile nello stesso vaso con poca acqua tiepida e sale, in modo che siano ben coperte dall’acqua, e gira spesso col cucchiaio; quando saranno cotte, togli dal fuoco e schiaccia fortemente con un cucchiaio, poi lascia riposare un po’ e quando scodellerai aggiungi del miele o dell’olio soffritto con cipolle, e mangia.
    Montanari, M. Gusti del Medioevo, p. 188

    ALLEGATO 6


     FASE 3: Il cibo come precetto religioso
    ALLEGATO 1
    Alimentazione ebraica
    Letture dalla Bibbia:
    Poi il Signore Iddio piantò un giardino in Eden a oriente e quivi pose l’uomo che aveva formato. Il Signore Iddio fece germogliare dal suolo ogni specie di alberi piacevoli d’aspetto e buoni a mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino, e l’albero della conoscenza del bene e del mare. […] Il Signore Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, affinché lo coltivasse e lo custodisse, e dette all’uomo quest’ordine: “Tu puoi mangiare di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non mangiare! Poiché il giorno in cui ne mangiassi, di certo morresti”.
    Genesi (2, 8-17)


    “Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: “Riferite agli Israeliti: Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutte le bestie che sono sulla terra. Potrete mangiare d'ogni quadrupede che ha l'unghia bipartita, divisa da una fessura, e che rumina. Ma fra i ruminanti e gli animali che hanno l'unghia divisa, non mangerete i seguenti: il cammello, perché rumina, ma non ha l'unghia divisa, lo considererete immondo; l'ìrace, perché rumina, ma non ha l'unghia divisa, lo considererete immondo; la lepre, perché rumina, ma non ha l'unghia divisa, la considererete immonda; il porco, perché ha l'unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri; li considererete immondi.
    Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutti quelli acquatici. Potrete mangiare quanti hanno pinne e squame, sia nei mari, sia nei fiumi. Ma di tutti gli animali, che si muovono o vivono nelle acque, nei mari e nei fiumi, quanti non hanno né pinne né squame, li terrete in abominio”.Levitico (11, 1-12)

    Ecco, il Signore degli eserciti preparerà su questo monte, a tutti i popoli, un convito di carni grasse, un banchetto di vini squisiti, di carni succulente, di vini pregiati. Anzi su questo monte egli stesso strapperà il velo del volto di tutti i popoli, e la coltre che copre tutte le nazioni, e distruggerà la morte per sempre. Il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto e toglierà l’onta del suo popolo, la farà scomparire da tutta la terra, ché il signore ha parlato. Isaia (25, 6-8)

    IMMAGINE 1

      IMMAGINE 2
      IMMAGINE 3


    ALLEGATO 2
    L’alimentazione cristiana

    “Il pane di frumento si caratterizza per tutto il Medioevo come un prodotto di lusso, ed è proprio per rifiutare questo lusso che gli eremiti scelgono di privarsene, preferendogli il pane d’orzo con un chiaro intento penitenziale. [...] il vescovo di Lamgres Gregorio, che faceva penitenza con pani d’orzo, ma, per non apparire troppo presuntuoso, li mangiava di nascosto, tenendoli sotto il pane di frumento che offriva agli altri e che fingeva di consumare con loro”.
    Montanari, Gusti del Medioevo, p. 66


    “Nella cosiddetta “Regola del Maestro” (VI secolo) si prescrive che le micae panis, che dopo ogni pasto rimangono sulla tavola, siano raccolte con attenzione e conservate in un vaso. Ogni settimana, il sabato sera, i monaci le metteranno in padella con un po’ di uova e farina e ne faranno una piccola torta da mangiare tutti insieme, rendendo grazie a Dio prima dell’ultima coppa di bevanda calda che conclude la giornata”.
    Montanari, Gusti nel Medioevo, p. 68


    “Il cibo sia parco; lo si consumi alla sera, rifuggendo la sazietà e, nel bere, l’ubriachezza: esso sostenti senza nuocere. Sia costituito da ortaggi, legumi, farina impastata con acqua, assieme a una piccola pagnotta, perché non sia aggravato il ventre né appesantita la mente. Coloro che desiderano i premi eterni devono curarsi soltanto di ciò che è veramente utile e vantaggioso; pertanto ci si deve moderare sia nelle necessità materiali che nella fatica. Questo infatti è il vero discernimento: conservare integra la possibilità del progresso spirituale macerando la carne con l’astinenza; ma se l'astinenza oltrepasserà la misura, sarà non una virtù bensì un vizio: la virtù infatti custodisce e comprende molti beni. Si deve perciò digiunare tutti i giorni, così come tutti i giorni ci si deve ristorare; e mentre ogni giorno ci si deve nutrire, si deve gratificare il corpo poveramente e parcamente; infatti si deve mangiare ogni giorno, dato che ogni giorno si deve progredire, pregare, lavorare e leggere.
    Dalla regola di San Colombano III. Il cibo e la bevanda (V)
    fonte: http://ora-et-labora.net/regolacolombano.html

    Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte, in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi dell'altra.

    Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza.

    Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c'è un solo pasto, che quando c'è pranzo e cena.

    In quest'ultimo caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena.

    “Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l'abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento, purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall'ingordigia.

    Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola, come dice lo stesso nostro Signore: "State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo".
    Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.
    Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati molto deboli. Dalla regola di San Benedetto Capitolo XXXIX - La misura del cibo

    "<<Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro>> ed è questo il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui con una certa perplessità. Tuttavia, tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti possa bastare un quarto di vino a testa. Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa. Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando sempre a evitare la sazietà e ancor più l'ubriachezza. Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d'accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente, perché <<il vino fa apostatare i saggi>>. I monaci poi che risiedono in località nelle quali è impossibile procurarsi la suddetta misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o addirittura nulla, benedicano Dio e non mormorino: è questo soprattutto che mi preme di raccomandare, che si guardino dalla mormorazione.”
    Dalla regola di San Benedetto, Capitolo XL - La misura del vino
    Fonte: http://ora-et-labora.net/RSB_it.html#Cap39


     ALLEGATO 3
    Alimentazione islamica:
    “[...] da quanto, fra VII e VIII secolo, l’islam si impose sul versante meridionale del Mediterraneo, questo si trasformò da un grande lago comune - quale era in epoca romana - a un mare di confine. Ecco dunque fronteggiarsi, e magari incontrarsi, ma sempre per sponde opposte, due mondi diversi, due diverse civiltà, religioni, culture. Ed evidentemente il mondo, la civiltà del pane era quella della sponda settentrionale - o almeno, così si rappresentava: c’è una grande tensione ideologica tra gli scrittori cristiani che durante il periodo delle crociate rivendicavano il pane come segno della propria identità e qualificavano come “focacce mal cotte” il pane degli arabi, che a stento meritava quel nome”.
    Montanari, M.Gusti nel Medioevo, p. 62.

    “Vi son dunque proibiti gli animali morti, il sangue, la carne del porco, gli animali che sono stati macellati senza l’invocazione del nome di Dio, e quelli soffocati e uccisi a bastonate, o scapicollati o ammazzati a cornate e quelli in parte divorati dalle fiere, a meno che voi non li abbiate finiti sgozzandoli, e quelli sacrificati sugli altari idolatrici; e v’è anche proibito di distribuirvi fra voi a sorte gli oggetti: questo è un’empietà. Guai, oggi, a coloro che hanno apostatato dalla vostra religione: voi non temeteli, ma temete me! Oggi v’ho reso perfetta la vostra religione e ho compiuto su di voi i miei favori, e M’è piaciuto di darvi per religione l’Islam. Quanto poi a chi vi è costretto per fame o senza volontaria inclinazione al peccato, ebbene Dio è misericorde e pietoso.”
    Dal Corano (Sura della Mensa: V, 3)

    ALLEGATO 4
    Il pane: esempio di paragone tra cultura alimentare ebraica e cristiana.
    “Sicuramente la [l’arte del lievito e della panificazione] la conobbero gli ebrei, che tuttavia mantennero nei confronti del pane un atteggiamento ambiguo: da un lato esso rappresentava una fondamentale risorsa dell’alimentazione quotidiana; dall’altro era incluso - in quanto cibo fermentato, cioè “corrotto” rispetto alla purezza originaria della materia prima - fra i prodotti che non potevano godere dello statuto ideologico alto, sacrale. Il cristianesimo, invece, fece del pane - assieme al vino, altro prodotto fermentato - l’alimento sacro per eccellenza, lo strumento di comunione eucaristica con la divinità. Fu una scelta che consapevolmente significò la rottura con la tradizione ebraica: non a caso uno dei motivi di scontro fra la Chiesa latina e quella greca, ufficialmente separatesi nell’XI secolo, fu l’accusa, fatta dagli ortodossi ai cattolici, di avere abbandonato la “vera” tradizione cristiana del pane fermentato e di essersi avvicinati, con l’introduzione nel culto dell’ostia azzima, all’antico modello ebraico”.
    Montanari, M. Gusti del medioevo, p. 60

    ALLEGATO 5
    La melanzana: esempio di stereotipo che passa attraverso il cibo
    “Melanzana è una di quelle parole che si definiscono connotative perché contengono in sé il giudizio dell’oggetto rappresentato. L’etimologia non lascia spazio a equivoci: viene dal lontano mala insana, frutto insano pericoloso per la salute. La parola nacque sul finire del medioevo per qualificare negativamente il cibo che oggi tanto ci appassiona. Per catalogarlo fra le cose da evitare. Pomo sdegnoso lo chiama Bartolomeo Scappi, il cuoco più rappresentativo dell’Italia rinascimentale. Ma perché questo “sdegno”? per un pregiudizio sembrerebbe, di natura sociale: la melanzana diventò rapidamente una risorsa della cucina povera e fu perciò disdegnata dalla buona società. Come altre piante orientali la melanzana fu portata in Europa dagli arabi, che, ne l corso del Medioevo, la impiantarono in Sicilia e in Spagna. Già menzionata nei racconti del duecento Novellino, essa è rappresentata iconograficamente nei Tacuina sanitatis del Trecento.”
     Montanari M. Gusti del medioevo, p. 31


    ALLEGATO 7

                       

    FASE 4: Il cibo è anche una questione di ricchezza o povertà (o il cibo come status sociale)

    ALLEGATO 1
    “A sentire Giovanni de Mussis che scrive nel 1388, la città di Piacenza si era trasformata in una specie di paese di Bengodi: <<nel cibo tutti fanno meraviglie, soprattutto nei banchetti di nozze che per lo più seguono quest’ordine: vini bianchi e rossi per cominciare, ma prima di tutto confetti di zucchero. Come prima portata danno un cappone o due, e un grande pezzo di carne per ciascun tagliere è [=ogni due persone], cotto alla lampada con mandorle e zucchero e altre buone spezie. Poi danno carni arrostite in gran quantità, ossia capponi, polli, fagiani, pernici, lepri, cinghiali, caprioli o altro, secondo la stagione dell’anno. Poi danno torte giuncate, con confetti di zucchero sopra. Poi frutta. Infine, dopo aver lavate le mani, prima che si levino le tavole si dà a bere e un confetto di zucchero sopra. Infine, dopo aver lavate le mani, prima che si levino le tavole si dà da bere a un confetto di zucchero, e poi ancora da bere. Al posto delle torte e delle giuncate , alcuni danno all’inizio del pranzo delle torte fatte con uova, formaggio e latte, con sopra una buona quantità di zucchero. Per cena si danno, all’inverno, gelatine di carni selvatiche, di cappone, gallina o vitello o gelatine di pesci; poi arrosto di cappone e di vitello; poi frutta.”
    Montanari, M. La fame e l’abbondanza, p. 91

    ALLEGATO 2
    DESCRIZIONE DEL MATRIMONIO TRA ISABELLA D’ESTE E ANNIBALE BENTIVOGLIO
    “Il convito - simile a tanti altri di cui abbiamo notizia nelle cronache o nei trattati di cucina - durò sette ore, dalle 20 alle 3 di notte, durante le quali furono serviti: piccoli antipasti e cialde, con vino dolce di varie qualità; piccioni arrosto, fegatelli, tordi pernici <<con ulive confette et uva>>, e pane; un castello di zucchero <<con li merli e torri molto artificiosamente composto>>, pieno di uccelli vivi che, appena il piatto fu recato in sala uscirono fuori volando <<comn gan piacere e diletto de’ convitati>>; vennero po un capriolo e uno struzzo, attorniati da vari <<pastelletti>>, teste di vitello , capponi lessi, petti e lonze di vitello, capretti, salsicce, piccioni, con <<minestra et sapori>>, ossia salse; poi furono presentati pavoni, <<vestiti con le loro penne a guisa che facessero la ruota>>, uno per ciascuno signore invitato; poi mortadelle, lepri e caprioli cotti in guazzetto, ma rivestiti con la loro pelle in modo così perfetto <<che si mostravano vivi>>; dietro ad essi vennero tortore e fagiani, <<che dal becco loro ne uscivano fiamme e fuoco>> accompagnati con agrumi e varie salse. Poi torte di zucchero con mandorle, giuncate>> (forme di ricotta) e biscotti; e ancora teste di capretti e tortore, pernici arrosto, e un castello pieno di conigli che uscirono fuori correndo con gran divertimento dei convitati; indi <<pastelletti di coigli>>  e <<capponi vestiti>>.
    Montanari, M., La fame e l’abbondanza, pp.116-117

    NB: tutto il capitolo “Cucina ricca, cucina povera” (pp. 181-193) de Gusti del Medioevo di Massimo Montanari, ed. Laterza, 2012 si presta come approfondimento per questa fase. Qui sono scelti alcuni brani rappresentativi.

    NEGLI ALLEGATI 3, 4 e 5, i testi tratti da Montanari, M. Gusti nel Medioevo
    ALLEGATO 3
    LA CARNE
    CONTADINO: “Le carni erano bollite a lungo nella pentola appesa sul focolare di ogni casa contadina: a ciò portava la loro consistenza, particolarmente coriacea sia perché gli animali, liberi di muoversi in spazi aperti per gran parte della loro vita, sviluppavano una muscolatura soda e compatta, sia perché i contadini si cibavano spesso di animali vecchi, già sfruttati per il lavoro, o comunque cresciuti per più anni, per aumentarne il peso.” (p. 51)

    “Ai contadini, pur fra mille limitazioni, resterà il maiale attraverso gli usi residui del bosco comune o signorile, e in nuove forma di allevamento stabulare che negli ultimi secoli del Medioevo acquistano crescente importanza. Maiale cioè, soprattutto, carne conservata: è il sale, grande protagonista dell’alimentazione contadina, a consentire un po’ di dispensa per i mesi difficili, un minimo di sicurezza contro i capricci delle stagioni.” (p. 76)

    SIGNORE: “Se la carne è per eccellenza l’alimento che dà forza, esso sarà per eccellenza il cibo del potere, in virtù di un implicito passaggio intermedio (la forza come elemento primario del potere) che la cultura medievale dà in qualche modo per scontato. Il potente è il guerriero, colui che combatte meglio degli altri ed è in grado di batterli. La forza si costruisce in primo luogo con la carne. La carne è cibo del guerriero [...]. Nel IX secolo l’imperatore Lotario prescrive l’astinenza dal consumo di carne per coloro che si sono macchiati di grave colpa nei confronti del sovrano; contemporaneamente li obbliga a deporre le armi. [...] Infine i signori tengono a riservare a se stessi la pratica della caccia, che ha un ruolo essenziale nella definizione e della rappresentazione dell’identità nobiliare. ” (pp. 74-75)

    “Nel XIV e nel XV secolo nessuno sembra dubitare che le carni meglio convenienti alla dieta aristocratica siano quelle dei volatili: pernici, fagiani, quaglie. [...] I volatili esprimono infatti [...] un diverso ideale di vita e di alimentazione: la leggerezza. Il volatile vola e perciò è leggero [..]. La sua leggerezza vuol dire finezza, vuol dire carni delicate, adatte ad un’élite di cortigiani (o all’alta borghesia cittadina) che non rappresentano più la loro eccellenza in termini di forza muscolare, bensì di capacità intellettuale (politica, ndr).” (pp. 78-79)

    ALLEGATO 4
    IL PANE
    “[...] cominciò a caratterizzare e definire il regime alimentare “povero”, quello a cui si attenevano i contadini e più in generale i ceti subalterni. Per tutti costoro il consumo di pane rimase, per secoli, altissimo e decisivo: nei paesi europei, razioni giornalieri di 700-800 grammi, fino a un chilogrammo e più, sono attestate come normali nel Medioevo e oltre, almeno fino all’Ottocento. Questo alimento forniva la parte più consistente dell’apporto calorico quotidiano: dal 50 al 70% [...].” (p. 63)

    CONTADINO: “Nelle case contadine, il pane si mangiava - a Dio piacendo - tutti  i giorni: “come è costume dei rustici” (sicut mos rusticorum habet), un colono di cui racconta Gregorio di Tours riceveva ogni mattina dalla moglie un pane, e non cominciava a mangiarlo prima di averlo fatto benedire dal prete. Ma non dobbiamo pensare che il pane si facesse ogni giorno [...] i grandi pani della mensa contadina erano fatti per durare almeno una settimana.” (pp. 63-64)
    “[...] il pane dei poveri era scuro perché fatto - interamente o in parte - con cereali inferiori: segale, avena, orzo, spelta, miglio, panìco… una folla di prodotti che per secoli ha scandito il ritmo dell’alimentazione contadina.” (pp. 64-65)

    SIGNORE: “Nei banchetti principeschi, alle numerose carni si affiancava di regola il pane, distribuito in “ceste dorate” [...]. Solo che era un pane di qualità diversa. La differenza si coglieva a prima vista, in un dato di natura cromatica: il pane dei ricchi era bianco, perché fatto con frumento puro”. (p. 64)

    ALLEGATO 4
    FORMAGGIO VS CARNE
    “Un tipico prodotto della gastronomia povera, che la cultura medievale, come l’antica, associa soprattutto al mondo dei contadini e dei pastori, è il formaggio. Tuttavia anche in questo caso si avvia nel Medioevo un percorso di nobilitazione legato sia a fattori di gusto, sia all’immagine del formaggio come cibo “di magro”, sostitutivo della carne nei giorni di astinenza infrasettimanale e di vigilia e poi, dal XIV-XV secolo, anche in quaresima.” (p. 190).

    ALLEGATO 5
    IL CITTADINO e LA CARNE
    CITTADINO. “[...] il pubblico cittadino del pieno e del basso Medioevo non dà più la preferenza alla carne di maiale bensì a quella di bovino (in particolare vitello e vitella) o, addirittura, a quella di ovino, pecora o castrone, che i testi di dietetica considerano pessima. [...] In tutta Europa i consumi cittadini sembrano snobbare l’amato porco e puntare altrove. E’ anche una questione di peso: allevare un maiale, sacrificarlo e prepararlo a dovere, facendone prosciutti, salami e tranci salati, è operazione perfettamente congrua alle dimensioni e alla esigenze della famiglia contadina. Allevare e trattare un bovino è più un’operazione di mercato, dove qualcuno prepara e vende a molti.” (p. 77)

    CONFRONTO: “[...] è il sale,  grande protagonista dell’alimentazione contadina, a consentire un po’ di dispensa [...]. Le élites sociali, invece, amano la carne fresca, freschissima: l’uso medievale prevede talvolta la frollatura delle carni (soprattutto quelle di animali selvatici, più sode e coriacee)  ma spesso il consumo avviene subito dopo l’abbattimento della bestia. [...] Al contrasto signore/contadino (nei secoli centrali del Medioevo, ndr), ereditato dall’alto Medioevo, si aggiunge e si sovrappone quello fra cittadino e contadino. [...] (lo stile di alimentazione) del contadino rimane in prevalenza fondato sul consumo diretto, cioè sulle risorse che egli stesso riesce a produrre: fra le carni, soprattutto il maiale, pur se non mancano, fin dall’alto Medioevo, tracce significative di consumo di bovini (il bosco medievale nutriva anche questi) e, nelle regioni più ricche di prati naturali, ovini. Poi il pollame domestico: qualche gallina, oche, anatre. Il cittadino invece - si dice “il cittadino” senza aggettivi: il signore e il borghese di ceto, ma in qualche misura anche il popolo minuto - può contare, in condizioni di normalità, su un mercato ben rifornito e politicamente protetto: garantire il cibo alla comunità è il primo dovere di ogni pubblica amministrazione [...]. I banchi delle botteghe e del mercato debbono rispondere ad ogni richiesta [...]. In certe città saranno le stesse corporazioni a gestire il mercato della carne e quello del pesce, talora coesistenti ma più spesso alternati, nel corso delle settimane e dei mesi”. (pp.76-77)

    IL CITTADINO E IL PANE
    CITTADINO: “Nelle città anche i poveri mangiavano pane bianco - sempre che non vi fosse carestia: circostanza che, peraltro, si verificava con sconsolante regolarità.” (p. 65)

    ALLEGATO 6
    Nella Germania del XIII secolo, il vecchio contadino Helmbrecht (protagonista dell’omonima novella in versi di Wernher der Gartenaere) raccomanda a figlio la “sua” dieta di farinacei sostenendo che carne e pesce sono riservati ai signori: “Tu devi vivere di ciò che tua madre ti dà. Bevi acqua, caro figlio mio, piuttosto che comprare il vino con le ruberie [...]. Settimana dopo settimana tua madre ti cuoce la buona pappa di miglio: questa devi mangiare e ingozzarti piuttosto che dare un palafreno rubato in cambio di un’oca [...]. Figlio, mescola la segale con l’avena, piuttosto che mangiare pesce coprendoti di vergogna”. Ma il figlio non ci sta: “Beviti pure l’acqua, padre mio, io voglio bere il vino, e mangiati il polentone, io invece voglio mangiare quello che chiamano pollo arrosto”.
    Montanari, M., La fame e l’abbondanza, p. 73

    ALLEGATO 6
    TABELLA PER IL CONFRONTO DEI TESTI

    FASE 5: Il cibo come immaginario collettivo
    ALLEGATO 1
    "[...] di spigole, salmoni e aringhe sono fatti i muri di tutte le case; le capriate sono di storioni, i tetti di prosciutti e correnti di salsicce [...]. Di pezzi di carne arrosto e di spalle di maiale sono circondati tutti i campi di grano; per le strade si rosolano grasse oche che si girano da sole su se stesse, e da vicino sono seguite da candida salsa all'aglio; e vi dico che per ogni dove, per i sentieri e per le vie, si trovano tavole imbandite, con sopra candide tovaglie: tutti quelli che ne hanno voglia possono mangiare e bere liberamente; senza divieto né opposizione ciascuno prende ciò che desidera, pesce o carne, e chi volesse portarsene via un carro potrebbe farlo a suo piacimento [...]. Ed è sacrosanta verità che in quella contrada benedetta scorre un fiume di vino [...] per metà di vino rosso, del migliore che si possa trovare a Beaune o oltremare; per l'altra metà di vino bianco, del più generoso e prelibato che mai sia stato prodotto a Auxerre, a La Rochelle o a Tonnerre".
    Brano tratto da “Païs de Coquaigne”, Fabliau francese del XIII secolo.

    Il carattere elitario dei consumi cane si definirà anche in termini qualitativi: la selvaggina, in modi più o meno accentuati a seconda delle regioni, sarà riservata alle tavole “alte” della società. Pratiche sistematiche di delimitazione del territorio restringeranno a pochi l’uso della foresta, o proibiranno l’esercizio della caccia nelle «riserve». Figure leggendarie come quella di Robin Hood, che percorre la foresta in spregio ai divieti imposti dai nobili, sono anche «immagine utopica di un mondo in cui si potesse andare a caccia e mangiar carne» - come scrive Rodney Hilton. Analogamente, la carne - di ogni genere e specie, bell’e pronta e cucinata in tanti modi diversi - è la presenza più cospicua nei paesi di Cuccagna che l’immaginario popolare si raffigura forniti di ogni bendidio: un’utopia alimentare che si diffonde a iniziare dal XIII secolo e permane lungo tutta l’età moderna, svelando, come altra faccia di sé, il quotidiano paese della fame (o almeno dell’insoddisfazione).
    Da Montanari, M., Gusti del Medioevo, pp. 75 -76.

    Oppressi dalla paura della fame e insoddisfatti nel loro desiderio di mangiare molto e bene, gli uomini del Medioevo amarono sognare che vi fosse un paese benedetto in cui il cibo era sempre disponibile in abbondanza, senza neppure il bisogno di lavorare per procurarselo: un posto simile al Paradiso Terrestre della Bibbia dove, però, non si trovavano solo erbe e frutti deliziosi, ma soprattutto carni di ogni specie, succulente e ben condite. Mangiar carne a volontà, infatti, era il primo desiderio della povera gente, che nella vita reale, invece, mangiava in prevalenza cibi vegetali (cereali, legumi, verdure).

    Questo paese immaginario fu chiamato «Cuccagna» e fu descritto in numerosi testi, in molte lingue europee. Un poemetto francese del XII secolo ci assicura che tutti i campi sono recintati con pezzi di carne arrosto e spalle di maiale; per le strade, grosse oche si rigirano da sole sugli spiedi, cospargendosi di una saporita salsa all’aglio; ovunque, per i sentieri e per le vie, si incontrano tavole imbandite, elegantemente apparecchiate con candide tovaglie, e chiunque ne abbia voglia può sedersi a mangiare: carne di cervo o di uccelli, arrostita o lessata, ognuno prende ciò che desidera e può portarne via dei carri, se vuole. I muri delle case sono fatti di pesci squisiti (spigole, salmoni, aringhe); i tetti di storioni e di prosciutti; le cornici di salsicce. In mezzo alla campagna scorre un fiume di vino, per metà rosso, per metà bianco, dei più prelibati che si possano trovare.

    Chissà se qualcuno credeva davvero che simili fantasie… Certo è che nella letteratura medievale (e anche in quella moderna) vengono messi in scena personaggi ingenui e sempliciotti, a cui viene fatto credere che Cuccagna esista realmente. Così accade, ad esempio, in una novella di Giovanni Boccaccio - un celebre scrittore italiano del Trecento -, dove un gruppo di amici gioca uno scherzo a Calandrino, raccontandogli le meraviglie che sostengono di aver visto a Bengodi (così Boccaccio chiama il nostro paese): «vi era una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavano persone che non facevano altro che far gnocchi e ravioli e cuocerli in brodo di cappone, e poi li facevano rotolare giù, e chi più ne pigliava, più ne mangiava».

    In un testo spagnolo del Cinquecento, un’opera teatrale scritta da Lope de Rueda, due ladroni si prendono gioco del povero Mendrugo:
    - Siediti qui con noi, che ti raccontiamo delle meraviglie del paese di Cuccagna.
    - Di quale paese, signore?
    - Del paese in cui si frustano gli uomini che vogliono lavorare.
    - Oh, che bel paese! Raccontatemi, vi prego…
    - Avvicinati e ascolta. Nel paese di Cuccagna scorre un fiume di miele, e al suo fianco un fiume di latte. Fra i due fiumi c’è una sorgente da cui escono panini al burro e allo zucchero, bagnati in formaggio fresco.
    - Che posto straordinario! Non mi farò ripetere l’invito due volte.
    - Taci e ascolta: nel paese di Cuccagna, gli alberi hanno il tronco fatto di lardo; le foglie sono frittelle dolci, e i frutti sono bignè che, quando cadono nel fiume di miele, navigano dicendo: Màsticami! Màsticami!
    - E cosa c’è d’altro?
    - Le strade sono lastricate con rossi d’uova e tra un rosso e l’altro vi sono dei pasticci di carne con pezzetti di lardo.
    - Lardo arrostito?
    - Arrostito, certo; e che grida: Inghiottimi! Inghiottimi!
    - Mi pare già di averlo sulla lingua…
    - Ma ascolta ancora: nel paese di Cuccagna vi sono degli spiedi lunghi trecento piedi, tutti pieni di pollastri e capponi, di pernici, conigli e francolini.
    - Oh che acquolina in bocca!
    - E a fianco di ogni uccello c’è un maialino che attende solo di essere tagliato, e dice: Divorami! Divorami!
    - Ah, come vi ascolto volentieri! Starei tutto il giorno a sentir parlare di cose da mangiare…
    - Ma non è finita. Il paese di Cuccagna è tutto pieno di vasetti di marmellata, di confetture di zucca e di limone, di marzapani e di frutti canditi.
    - Piano, signore, raccontate piano…
    - Ci sono confetti e fiaschi di vino, e ogni cosa è lì che dice: Bevimi! Mangiami! Bevimi! Mangiami!
    - Mi pare quasi di avere già bevuto e mangiato…
    - E per finire, nel paese di Cuccagna ci sono pentolini di riso con le uova e il formaggio…
    - Come quello che ho qui con me?
    - Proprio così: come il pentolino che è arrivato pieno e che il diavolo si è portato via!
    Distratto dalla succulenta conversazione, il povero Mendrugo non si è accorto che anche la sua povera pignatta di riso si è svuotata. I due ladroni se la ridono sotto i baffi, per lui sarà un giorno di digiuno.
    da Montanari, M., Il pentolino magico, p. 77.

     
    Pieter Bruegel il Vecchio, Il paese della cuccagna, 1567, olio su tela.

     
    Jodocus van de Hamme, Abbondanza dei campi, 1650, Olio su tela.

    GRIGLIA UTILIZZABILE PER TUTTE LE FASI DEL LABORATORIO

     

    BIBLIOGRAFIA
    Brusa, A., Laboratorio di storia, La Nuova Italia, Firenze, 1991.

    Montanari, M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Editori Laterza,  Roma-Bari, 1993

    Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola, Editori Laterza, Roma-Bari, 2012

    Il pentolino magico, Editori Laterza, Roma-Bari, 1995

    Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009

    Sharan, Y. e Sharan, S., Gli alunni fanno ricerca, Edizioni Erickson, Trento, 1998

    Shiva, V., Storia dei semi, Feltrinelli, Milano, 2013

    Zuin, E., I saperi disciplinari nel curricolo per competenze, Centro studi Erickson, Trento, 2013.


    Manuali per la SSPG:

    Brusa, A., Gurracino, S., De Bernardi, A., L’officina del tempo, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano 2007.


    SUGGERIMENTI PER LE PIATTAFORME

    Per quanto riguarda le piattaforme si suggeriscono le seguenti:

    https://www.fidenia.com/

    http://www.edmodo.com

    https://www.schoology.com/

    https://myhomeworkapp.com/

    APPENDICE INTERDISCIPLINARE

    Si propongono dei collegamenti interdisciplinari allo scopo di arricchire e approfondire l’argomento dell’UDL.

    Focus di Italiano (fase 1): se si vuole legare l’attività con un momento interdisciplinare, la lettura accompagnata dal commento dei testi “Ciò che piace fa bene”, p. 117, “La pasta e gli italiani: un’identità una e molteplice”, p. 197 tratti da “Il riposo della polpetta” di Massimo Montanari11 , si prestano. Si tratta di articoli di giornale con taglio divulgativo caratterizzati dalla precisione nelle informazioni scientifiche propria di uno storico, ma stilisticamente abbastanza semplici così da essere fruibili da ragazzi di prima media.

    Focus di Italiano, Educazione alla cittadinanza e Scienze (fase 2): il tema è “semi come metafore della cultura: si incontrano ma senza prevaricazioni”, il che porta a una riflessione sull’importanza della biodiversità. Si propone la lettura del brano “C’è seme e seme” dal testo Storia dei semi di Vandana Shiva, con lettura e comprensione del testo invitando la classe a scrivere le proprie idee sulla piattaforma piattaforma per poi ridarne un testo collettivo. Per stimolare il dibattito l’insegnante può proporre sulla piattaforma o in classe la visione del frammento del film di Ermanno Olmi “Terra madre” in cui si parla della banca mondiale dei semi alle (delle) Isole Svalbard.  Il documento redatto insieme può essere stampato e messo in una cartella/portfolio che andrà ad alimentarsi nelle fasi successive e rimarrà a testimonianza del percorso trasversale fatto.
    A questo lavoro si aggancia un’ora di educazione alla cittadinanza che legge la storia dei semi in chiave metaforica e la interpreta alla luce dell’integrazione e della tolleranza, tornando così al discorso del cibo come incontro affrontato nell’ora di storia.

    Focus di Educazione alla cittadinanza (fase 4): una lezione dialogata simile a un dibattito, nei limiti delle competenze di una prima media. Proponendo come spunto la mappa concettuale finale, la discussione sarà indirizzata verso i conflitti sorti all’interno della classe e causati proprio dal dare etichette ai compagni perché “diversi”.

    Focus di attualità (fase 5): “La fame oggi”. Lezione dialogata sulle cause delle carestie in età medievale e collegamento con l'attualità prendendo spunto da materiali di approfondimento predisposti dall’insegnante (testi, filmati, documenti, carte e grafici).

    Focus di Arte e immagine (fase 5): laboratorio artistico con realizzazione di un albero della cuccagna in cui ciascuno studente mette il proprio oggetto del desiderio.

    NOTE

    1. Definizione del Devoto-Oli, Vocabolario della lingua italiana.
    2. Sharan, Y. e Sharan, S., Gli alunni fanno ricerca, Edizioni Erickson, Trento, 1998
    3. “La melanzana: cibo da gente basse e da ebrei”, p. 31, “La leggerezza del monaco”, p. 128, “Gastronomia monastica”, p. 132, “Silenzio di mangia”, p. 168, “La gola filosofale”, p.134, “Carnevale e quaresima”, p. 161, “Dieta quaresimale”, p. 163.
    4.“Il pane che viene dal cielo”, p. 11, “La religione del pane”, p. 52, “Il piacere e la rinuncia”, p. 67.
    5. Montanari, M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Editori Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 91-92.
    6. Dal materiale per il percorso tematico “Il pranzo è servito” della mostra Il cibo nell’arte, Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol. In Montanari, M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Editori Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 116-117.
    7. Brusa, A., Laboratorio di storia, La Nuova Italia, Firenze, 1991.
    8. Netta versione offerta da Massimo Montanari, v. Montanari, M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Editori Laterza, Roma-Bari, 1993, p. 119.
    9. Montanari, M., Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola, Editori Laterza, Roma-Bari, 2012, pp. 75-76.
    10. “Il paese di Cuccagna”, p. 77
    11.   In particolare, in questa parte si possono leggere, come spunto di riflessione sui significati del cibo e della cultura alimentare, “Ciò che piace fa bene”, p. 117, “La pasta e gli italiani: un’identità una e molteplice”, p. 197.

  • La schiavitù dall'antichità ai giorni nostri. Sitografia per autori.

    di Antonio Prampolini

    Per un migliore utilizzo delle risorse della rete sulla storia della schiavitù si propone di seguito una sitografia in ordine alfabetico degli autori (studiosi, enciclopedie, centri di ricerca, networks, associazioni culturali, istituzioni/enti, organismi internazionali) degli articoli/testi/documenti elencati nella Sitografia per temi.

    Tutti i testi erano consultabili in rete alla data del 24 /11/2020.

     

    A..2 B..3 C..5 D..6 E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W Z.23

    SCHIAVITÙ SITOGRAFIA PER AUTORI IMMAGINE 1Fig.1: acquerello di Francis Meynell (1821-1870) raffigurante gli schiavi sotto il ponte della nave negriera spagnola Albanoz catturata dalla marina inglese nel 1846 al largo della costa occidentale dell’Africa. Fonte

     

     

    A

    ► Aguirre Carlos (a cura di),La abolición de la esclavitud en HispanoAmérica y Brasil: nuevos aportes y debates historiográficos, 2005.

    ► Albacete Antoni,Lo schiavismo nel Medioevo, 01/04/2017.

    ► Almeida Cordeiro Rafaela, Lucas Angela Christina, Coutinho Tobias,Contemporary slavery in Brazil: what have companies (not) done to prevent it?, in «Revista de Administração Mackenzie», vol.18 no.4 São Paulo July/Aug. 2017.

    ► American Battlefield Trust,Slave Rebellions and Uprisings.

    ► Amnesty International,Le forme moderne di schiavitù, 2018;Slavery To Day – Human Rights In The Curriculum.

    ► Andrews Evan,7 Famous Slave Revolts, 15/01/2013.

    ► Anthony Thalia, Gray Stephen,Was there slavery in Australia? Yes. It shouldn’t even be up for debate, 11/06/2020.

    ► Anti-Slavery International,What is modern slavery?.

    ► Araújo Ana Lucia,Slavery and the Atlantic Slave Trade in Brazil and Cuba from an Afro-Atlantic Perspective, in «Almanack» no.12, Guarulhos, Jan./Apr. 2016.

    ► Archives of Ontario,Black Canadian Migration Experiences, Lesson Resource Kit.

    ► Armenteros Martínez Ivan et Ouerfelli Mohamed,Réévaluer l’économie de l’esclavage en Méditerranée au Moyen Âge et au début de l’époque Moderne, in «Rives Méditerranéennes», 53/2016.

    ► Arteaga Adrien,L’esclavage dans le monde grec, dans les manuels d’histoire de 6ème, Education. 2019.

    ► Arsenault Natalie, Rose Christopher,Slavery in Brazil, Mar. 2006.

    ► Australian Institute of Criminology,Human trafficking to Australia: a research challenge, Trends & issues in crime and criminal justice, 2007.

    Azuakola Stanley, Slavery in Africa is still alive, 04/12/2014.

    B

    Bader-Zaar Birgitta, Abolitionismus im transatlantischen Raum: Organisationen und Interaktionen der Bewegung zur Abschaffung der Sklaverei im späten 18. und 19. Jahrhundert, «EGO, Europäische Geschichte Online», 03/12/2010;Abolitionism in the Atlantic World: The Organization and Interaction of Anti-Slavery Movements in the Eighteenth and Nineteenth Centuries, in «EGO – Europäische Geschichte Online», 09/12/2011.

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    SCHIAVITÙ SITOGRAFIA PER AUTORI IMMAGINE 4Fig.4: schiavi al lavoro in una piantagione di canna da zucchero nell’isola caraibica di Antigua (acquatinta dell’esploratore americano William Clark, 1770-1838). Fonte

     

     

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    SCHIAVITÙ SITOGRAFIA PER AUTORI IMMAGINE 6Fig.6: “L’Abolition de l’esclavage dans les colonies françaises en 1848”: quadro del pittore francese Francois-Auguste Biard (1799-1882) raffigurante la reazione della popolazione delle Antille all’annuncio dell’abolizione della schiavitù. Fonte

     

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    SCHIAVITÙ SITOGRAFIA PER AUTORI IMMAGINE 8Fig.8: “Lord Goderich shaving, and Lord Howick shoeing, a group of slaves”: satira antiabolizionista inglese (1832, litografia colorata di John Doyle, 1797-1868). Fonte

     

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    -Schiavitù nell'antica Roma,Slavery in ancient Rome,Esclavage dans la Rome antique,Sklaverei im Römischen Reich,Esclavitud en la Antigua Roma; per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Schiavitù nell'antica Roma,Category Slavery in ancient Rome.

    -Slavery in medieval Europe,Esclavage au Moyen Âge,Esclavitud en la Europa medieval; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Europe,Catégorie Esclavage en Europe,Categoría:Esclavitud en Europa.

    -Schiavismo in Africa,Slavery in Africa,Esclavage en Afrique,Esclavitud en África;  per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Schiavismo in Africa, Category Slavery in Africa,Catégorie Esclavage en Afrique,Kategorie Sklaverei in Afrika,Categoría Esclavitud en África.

    -Slavery in Latin America,Slavery in colonial Spanish America;per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in North America,Category Slavery in South America.

    -Slavery in Canada,Esclavage au Canada,Sklaverei in Kanada; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Canada.

    -Schiavitù negli Stati Uniti d'America,Slavery in the United States,Slavery among Native Americans in the United States,Esclavage aux États-Unis,Esclavage parmi les Amérindiens aux États-Unis,Sklaverei in den Vereinigten Staaten,Esclavitud en los Estados Unidos,Esclavitud entre los nativos americanos en Estados Unidos; per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Schiavismo negli Stati Uniti d'America,Category Slavery in the United States,Catégorie:Esclavage aux États-Unis,Kategorie Sklaverei in den Vereinigten Staaten,Categoría:Esclavitud en Estados Unidos.

    -Slavery in Cuba; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Cuba.

    -Schiavitù in Brasile,Slavery in Brazil,Esclavage au Brésil,Esclavitud en Brasil; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Brazil,Catégorie Esclavage au Brésil.

    -Slavery in Asia,Slavery in China,Esclavage en Chine,Slavery in India,Slavery in Japan,Esclavitud en Japón; per l’elenco delle voci sull’argomento:Kategorie Sklaverei in Asien,Catégorie:Esclavage en Asie.

    -Slavery in Britain,Sklaverei in Deutschland,Slavery in Spain,Esclavitud en España; per l’elenco delle voci sulla schiavitù nella “Categoria Europa” dell’edizione in lingua inglese:Category Slavery in Europe.

    -Slavery in Australia.

    -Tratta atlantica degli schiavi africani,Tratta araba degli schiavi,Tratta barbaresca degli schiavi,  Atlantic slave trade,Arab slave trade,Barbary slave tradeCommerce des esclaves,Traite arabe,Traite des esclaves de BarbarieSklavenhandel,Atlantischer Sklavenhandel,Ostafrikanischer Sklavenhandel,Mediterraner Sklavenhandel,Comercio atlántico de esclavos,Comercio árabe de esclavos,Comercio berberisco de esclavos; per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Tratta degli schiavi,Category Slave trade,Catégorie Commerce des esclaves,Kategorie Sklavenhandel.

    -Prima guerra servile,Seconda guerra servile,Terza guerra servile,Spartaco;First Servile War,Second Servile War,Third Servile War,Spartacus,  Première guerre servile,Deuxième guerre servile,Troisième guerre servile,Spartacus; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slave rebellions,Catégorie:Révolte d'esclaves.

    -Slavery in the 21st century,Esclavage contemporain,Esclavage auxxe siècle,Esclavitud en la actualidad,Tratta di esseri umani,Human trafficking,Traite des êtres humains,Menschenhandel; per l‘elenco delle voci sull‘argomento:Category Contemporary slavery,Categoria Traffico di esseri umani,Category Human trafficking,Kategorie Menschenhandel, Categoría Trata de personas.

    -Schiavitù moderna in Africa,Slavery in contemporary Africa;per l‘elenco delle voci sull‘argomento: CategoryHuman trafficking in Africa.

    -Human trafficking in Canada,Contemporary slavery in the United States,Human trafficking in the United States; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Human trafficking in North America.Human trafficking in Mexico.

    -Human trafficking in Venezuela,Human trafficking in Brazil,Human trafficking in Argentina,Human trafficking in South America;per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Human trafficking in South America.

    -Human trafficking in China,Human trafficking in India;per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Human trafficking in Asia.

    -Human trafficking in Europe,Human trafficking in Italy,Human trafficking in the United Kingdom,Human trafficking in France,Human trafficking in Germany,Human trafficking in Spain; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Human trafficking in Europe.

    -Human trafficking in Australia,Human trafficking in New Zealand; per l’elenco delle voci sull’argomento:Category:Human trafficking in Oceania.

    -Per un elenco completo delle voci sull’argomento relative ai diversi paesi dell’America e del mondo nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Human trafficking by country.

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    -Abolizionismo negli Stati Uniti d'America,Abolitionism in the United States,  Antiesclavagisme aux États-Unis; per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Abolizionismo negli Stati Uniti d'America,Category Abolitionism in the United States.

    -Abolitionism in France;per l’elenco delle voci sull’argomento:Catégorie Antiesclavagisme en France.

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  • La schiavitù dall’antichità ai giorni nostri. Sitografia per temi.

    di Antonio Prampolini

    La recente “guerra delle statue” ha suscitato un nuovo interesse per la storia della schiavitù e dello schiavismo. Historia Ludens ha affrontato l’argomento negli articoli di Antonio Brusa[1] e diDaniele Boschi[2].

    Numerose e disperse nel “mare magnum” del Web sono le fonti digitali sull’argomento. Il loro utilizzo impone perciò un attento lavoro di individuazione/ selezione e giustifica una sitografia che percorra la storia della schiavitù attraverso i secoli dall’antichità alla nostra contemporaneità.

    La sitografia che qui si propone è suddivisa in due parti: Schiavitù / Schiavismo e Abolizione della schiavitù / Abolizionismo. Nella prima parte le fonti digitali sono aggregate per epoche/periodi storici (Antichità, Medioevo, Età Moderna, Forme contemporanee di schiavitù), per continenti (Africa, America, Asia, Europa, Oceania) e paesi (Canada, Stati Uniti, Cuba, Brasile); nella seconda, per paesi (Canada, Stati Uniti, Cuba, Brasile, Francia, Inghilterra, Spagna). Le fonti sono state selezionate per tipologia (Enciclopedie, Articoli/Saggi/Risorse didattiche) nelle seguenti aree linguistiche: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, ed elencate, raggruppate per aree linguistiche omogenee, seguendo l’ordine cronologico di pubblicazione.

    Le enciclopedie, in particolare, sono ricorrenti nella sitografia. Le loro voci (autoriali o redazionali) contengono trattazioni sintetiche utili sia come “punto di partenza” che “punto di arrivo” in un percorso di approfondimento (individuale o collettivo) sulla storia della schiavitù e dello schiavismo. Come “punto di partenza”, perché in esse è possibile trovare il necessario inquadramento dei fatti, le interpretazioni prevalenti, e, talvolta, anche opportune informazioni bibliografiche e sitografiche. Come “punto di arrivo”, in quanto le voci enciclopediche offrono in generale uno schema/modello per una sistematizzazione e per una memorizzazione delle nuove conoscenze acquisite dopo avere completato il percorso di approfondimento.

    Wikipedia[3], pur con le sue note criticità, viene segnalata in tutti i livelli tematici della sitografia. Le voci dell’enciclopedia online attinenti alla storia contengono convinzioni diffuse e luoghi comuni (spesso scientificamente non fondati) che è comunque interessante e opportuno conoscere, ma anche, in alcuni casi, spunti interpretativi originali che meritano di essere verificati e sviluppati. Wikipedia, inoltre, per la sua natura open access, si presta in particolare nel mondo della scuola ad interessanti attività laboratoriali[4].

    Tutti i testi erano consultabili in rete alla data del 10/11/2020.

    A breve seguirà la sitografia ordinata per autori.

    Sommario

    Parte prima: Schiavitù / Schiavismo

    .5

    1. Definizione e storia in generale.5

    1.1 Enciclopedie.5

    1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    .6

    2. Antichità.8

    2.1 Grecia.8

    2.1.1 Enciclopedie.8

    2.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .8

    2.2 Roma.9

    2.2.1 Enciclopedie.9

    2.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .9

    3. Medioevo.10

    3.1 Enciclopedie.10

    3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .10

    4. Età Moderna

    .11

    4.1 Africa.11

    4.1.1 Enciclopedie.11

    4.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .11

    4.2 America.12

    4.2.1 Continente.13

    4.2.1.1 Enciclopedie.13

    4.2.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .13

    4.2.2 Canada.13

    4.2.2.1 Enciclopedie.13

    4.2.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .14

    4.2.3 Stati Uniti 14

    4.2.3.1 Enciclopedie.14

    4.2.3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .15

    4.2.4 Cuba.16

    4.2.4.1 Enciclopedie.16

    4.2.4.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .16

    4.2.5 Brasile.17

    4.2.5.1 Enciclopedie.17

    4.2.5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .17

    4.3 Asia.17

    4.3.1 Enciclopedie.17

    4.3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .18

    4.4 Europa.18

    4.4.1 Enciclopedie.18

    4.4.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .18

    4.5 Oceania.19

    4.5.1 Enciclopedie.19

    4.5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .19

    5. La tratta degli schiavi 19

    5.1 Enciclopedie.20

    5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .20

    6. Le rivolte degli schiavi 21

    6.1 Enciclopedie.21

    6.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    .22

    7. Forme contemporanee di schiavitù

    .23

    7.1 In generale.23

    7.1.1 Enciclopedie.23

    7.1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    .23

    7.2 Africa.25

    7.2.1 Enciclopedie.25

    7.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .25

    7.3 America

    .25

    7.3.1 Nord America.26

    7.3.1.1 Enciclopedie.26

    7.3.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .26

    7.3.2 Centro America.26

    7.3.2.1 Enciclopedie.26

    7.3.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .26

    7.3.3 Sud America.27

    7.3.3.1 Enciclopedie.27

    7.3.3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .27

    7.4 Asia.27

    7.4.1 Enciclopedie.27

    7.4.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .27

    7.5 Europa.28

    7.5.1 Enciclopedie.28

    7.5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .28

    7.6 Oceania.28

    7.6.1 Enciclopedie.29

    7.6.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .29

    Parte seconda: Abolizione della schiavitù / Abolizionismo

    .29

    1. Definizione, diritto internazionale e storia in generale.29

    1.1 Enciclopedie.29

    1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    .30

    2. America

    .31

    2.1 Canada.31

    2.1.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .31

    2.2 Stati Uniti 31

    2.2.1 Enciclopedie.31

    2.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .31

    2.3 Cuba.32

    2.3.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .32

    2.4 Brasile.32

    2.4.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .33

    3. Europa

    .33

    3.1 Francia.33

    3.1.1 Enciclopedie.33

    3.1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    .33

    3.2 Inghilterra (UK) 34

    3.2.1 Enciclopedie.34

    3.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    .34

    3.3 Spagna.35

    3.3.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche.35

    Parte prima: Schiavitù / Schiavismo

    1. Definizione e storia in generale

    1.1 Enciclopedie

    L’Enciclopedia Italiana contiene la voce Schiavitù (Vol. XXXI, 1936), autori: Raffaele Corso (etnografo), Ugo Enrico Pàoli (studioso del diritto greco e romano), Gino Luzzatto (storico dell’economia), Giorgio Balladóre Pallièri (giurista). Indice:  Presso i primitivi, Bibliografia; Nell'antichità: Grecia (Osservazioni generali, Gli schiavi nell'economia generale del mondo greco, Condizione degli schiavi presso i Greci, Cause da cui deriva lo stato servile, Condizione giuridica dello schiavo, Affrancazione dello schiavo),  Roma (Degli schiavi in generale, La "familia rustica", La "familia urbana", Speculazione industriale sugli schiavi, Condizione materiale degli schiavi in Roma, Origine e cessazione dello stato di servitù, Origine e cessazione dello stato di servitù, Condizione giuridica dello schiavo), Bibliografia; Medioevo ed età moderna; Il movimento antischiavista, Bibliografia; Diritto internazionale, Bibliografia.

    ► Nell’Enciclopedia delle scienze sociali (Treccani) troviamo la voceSchiavitù (1997), autori: Emilio Gabba (storico dell’antichità) e Raimondo Luraghi (studioso di storia americana e moderna). Indice:Schiavitù nel mondo antico: 1. Considerazioni generali, 2. Teorie antiche sull'origine della schiavitù, 3. La schiavitù nelle età micenea e omerica, 4. Forme di dipendenza: fra libertà e schiavitù, 5. La servitù per debiti ad Atene e a Roma, 6. La schiavitù-merce: il rifiuto del lavoro manuale, 7. Il caso etrusco, 8. L'economia schiavile in Roma (III-I secolo a.C.), 9. Le guerre servili del II e I secolo a.C, 10. Il declino della schiavitù antica, Bibliografia;Schiavitù nell'età moderna: 1. Introduzione, 2. Zucchero e schiavitù, 3. La tratta, 4. La cultura della piantagione, 5. Aspetti della schiavitù, 6. L'abolizione della schiavitù, Bibliografia.

    Nell’Enciclopedia dei ragazzi (Treccani), la voce Schiavitù è firmata da Sergio Parmentola (autore anche della voceRazzismo). Indice: Gli schiavi, Le origini, Nell’antica Grecia, Il mondo romano, Nel Medioevo, La tratta dei Neri, La schiavitù risorge sotto altre forme.

    Il Dizionario di Storia (Treccani) contiene la voce redazionale Schiavitù (2011) Indice: Età antica, Medioevo, Età moderna.

    L’Enciclopedia on line (Treccani) indirizza gli utenti alla voce redazionale Schiavitù. Indice: Antropologia, Diritto, Storia (Antichità classica, Medioevo, Età moderna).

    In Sapere (De Agostini), la voce redazionale Schiavitù (Lessico, Le origini, Il mondo romano, La tratta degli schiavi, Diritto, Bibliografia).

    ► Nell’Enciclopedia Britannica troviamo la voceSlavery dello storico americano Richard Hellie. Indice della voce:Introduction,Historical survey (Slave-owning societies, Slave societies, Slavery in the Americas, The international slave trade, Ways of ending slavery),The Law Of Slavery (Sources of slavery law, Legal definitions of slavery, Master-slave legal relationships, Family and property, Legal relationships between slave owners, Legal relationships between slaves and free strangers,Laws of manumission),The Sociology Of Slavery (The slave as outsider, Attitudes toward slavery: the matter of race, Slave occupations),Agriculture (Slave demography,Slave protest),Slave Culture.

    L’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference) propone numerose voci sull’argomento. Tra queste segnaliamo:Slavery (Blacks In The New World, The Slave Trade, Opposition To Slavery, Conditions Of Slavery, The Abolition Of The Slave Systems, Slavery Scholarship And The Place Of The Slave In The World, Bibliography),The Business Of Slavery Overview,Slavery And Race (Definitions Of Slavery, Slavery As A Global Phenomenon, The Transatlantic Slave Trade And The Racialization Of Slavery, Slavery And Racial Categories, “Scientific” Racism And Slavery, Bibliography). Per l’elenco completo delle voci si rinvia a:Slavery Search Results.

    ► Nell’Enciclopedia Larousse, la voce redazionaleesclavage che fa parte del dossiergrandes découvertes. Indice:1. Introduction (Selon Aristote, Une pratique quasi universelle, Économie de profit et de plantation)2. L’esclavage depuis les premières civilisations (Mésopotamie, Égypte, Inde, Perse, La Grèce antique, Rome),3. Le Moyen Âge (En Occident: de l’esclavage au servage, L’esclavage en terre d’Islam),4. La traite des noirs (Les portugais, Les exigences de la conquête coloniale, Le commerce triangulaire, «Déportation sans retour», Traitements inhumains),5. Vers l’abolition de l’esclavage (L’exemple d’Haïti, L’Angleterre en première ligne, États-Unis: un long combat),6. Survivance de l’esclavage: le travail forcè.

    Wikipedia, nelle principali edizioni linguistiche, presenta sull’argomento diverse voci. Tra queste segnaliamo: nell’edizione in lingua italiana:Schiavismo (La schiavitù nelle civiltà antiche, Schiavismo nel Medioevo, Schiavismo nell'età moderna, La Chiesa cattolica e lo schiavismo, Il dibattito sull'abolizionismo, Colonialismo europeo e schiavitù, L'abolizionismo, La schiavitù ieri e oggi, Bibliografia),Storia della schiavitù (Origini neolitiche, Africa, Americhe, Medio Oriente, Asia, Europa, Oceania, Movimenti abolizionisti, Storiografia, Bibliografia); nell’edizione in lingua inglese:Slavery (Terminology, Characteristics, History, Contemporary slavery, Abolitionism, Apologies, Bibliography and further reading),History of slavery (Origins, Africa, Americas, Middle East, Asia, Europe, Oceania, Abolitionist movements, Contemporary slavery, Historiography, Bibliography);  nell’edizione in lingua francese:Esclavage (Étymologies, Définitions, Histoire, La réduction en esclavage, Fonctions, Traitement, Valeur économique, La sortie de l'esclavage, Formes de l'esclavage moderne - xxie siècle, Mémoires de l'esclavage, Esclaves célèbres dans l'histoire, Bibliographie); nell’edizione in lingua francese:Histoire de l'esclavage (L'esclavage au Néolithique, Dans les civilisations de l'Antiquité, La traite arabe, Au Moyen Âge, De la Renaissance aux Lumières, Le commerce triangulaire à partir de 1674, Le commerce triangulaire au XVIIIe siècle, Abolitions de l'esclavage, Esclavage contemporain, Bibliographie); nell’edizione in lingua tedesca:Sklaverei (Begriff, Geschichte der Sklaverei, Verbreitung, Rechtfertigung, Sklaverei und sklavereiähnliche Abhängigkeit heute, Literatur),Geschichte der Sklaverei (Altertum, Mittelalter, Sklaverei im arabischen Raum, Sklaverei in der Neuzeit, Sklaverei in Asien, Sklaverei in Afrika, 20. Jahrhundert, Literatur); nell’edizione in lingua spagnola:Esclavitud (Historia, Movimientos proesclavistas, Una institución que rompía los lazos de la esclavitud, Los movimientos abolicionistas, La esclavitud en la actualidad, Bibliografía),Historia de la esclavitud (Esclavitud en la antigüedad, Esclavitud en la Edad Media, Esclavitud en la Edad Moderna, La abolición de la esclavitud). Per l’elenco delle voci correlate si vedano:Categoria Schiavismo,Category Slavery,Catégorie Esclavage,Kategorie:Sklaverei,Categoría:Esclavitud.

    1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    La schiavitù (La schiavitù nell’antichità, La schiavitù nel Nuovo Mondo, La schiavitù oggi) Mondadori Education.

    Storia della schiavitù. Una visita al Merseyside Museum di Liverpool di Gabriella Giudici.

    La schiavitù degli antichi e dei moderni di Emanuele Stolfi, in «Historia et ius», 4/2013.

    Gli effetti economici di lungo periodo della schiavitù di Graziella Bertocchi, slide relazione al XXXIV Convegno dell’Osservatorio “Giordano Dell’Amore”, Milano, 25 gennaio 2018.

    Slavery in history, in «The History Press».

    Ethics and slavery, BBC History.

    Slavery in Islam, BBC History.

    Slavery – Supporting the teaching and learning of transatlantic histories and legacies, USI – Understanding Slavery Initiative.

     

    Learning About Sensitive History: “Heritage” of Slavery as a Resource  di Geerte M. Savenije, Carla Boxtel e Maria Greverin in «Theory & Research in Social Education», October 2014.

    L'esclavage, comprendre son histoire, Lumni –Enseignement.

    L'esclavage - Parcours pédagogique di Pascale Hellegouarc'h, Gallica.

    L'esclavage comme institution di Alain Testart, in «Homme», Année 1998/145.

    Déraison, esclavage et droit, a cura di Isabel Castro Henriques e Louis Sala-Molins, Éditions UNESCO, 2002.

    Marx, Weber et l'esclavage di Wilfried Nippel, in «Anabases», 2002/2.

    Enseigner l’histoire de l’esclavage à l’école primaire di Sylvie Lalagüe-Dulac, 31/01/2011.

    Enseigner l’histoire des traites, des esclavages et de leurs abolitions, mutations et ambiguïtés sensibles dans une discipline scolaire di Éric Mesnard et Marie-Albane de Suremain, in «Diasporas» n. 21, 2013.

    Enseigner l’histoire d’un crime contre l’humanité di Éric Mesnard, in «Revue Quart Monde» n. 233, 2015/1.

    "Les routes de l'esclavage", une histoire millénaire, Unité documentaires - Radio Télévision Suisse - Avril 2018

    Sklaverei di Gregor Delvaux de Fenffe, in «Planetwissen – Geschichte», 13/07/2020.

    Sklaverei di Rainer Kessler, WiBiLex, 2019.

    Jahrhunderte des Menschenhandels di Julia Ley, in «Deutschlandfunk Kultur»,27.09.2020

    Historia de la esclavitud di Benedicto Cuervo Álvarez, in <monografias.com>.

    Esclavitud y cristianismo di José-M. Casabó Suqué, in «Biblio 3W», 5 de noviembre de 2007.

    El derecho internacional y la esclavitud di Mark D. Welton, in «Military Review»,  Mayo-Junio 2008.

    2. Antichità
    SCHIAVI IMMAGINI PARTE I 2.1Fig.1: Tavola votiva corinzia in terracotta raffigurante schiavi che lavorano in miniera, datata alla fine del VII secolo a.C. Fonte

    2.1 Grecia

    2.1.1 Enciclopedie

    In Wikipedia troviamo le voci: Schiavitù nell'antica Grecia (Terminologia, Origini della schiavitù, Ruolo economico, Demografia, Status degli schiavi, Condizioni degli schiavi, Considerazioni, Bibliografia), Slavery in ancient Greece (Terminology, Origins of slavery, Economic role, Demographics, Status of slaves, Slavery conditions, Views of Greek slavery, References),Esclavage en Grèce antique (Terminologie, Origines, Rôle économique, Démographie, Statuts serviles, Condition des esclaves, Conceptions de l’esclavage grec, Bibliographie),Sklaverei im antiken Griechenland (Grundlagen, Ursprünge der Sklaverei, Wirtschaftliche Bedeutung, Demografie, Rechtsstellung der Sklaven, Lebensbedingungen der Sklaven, Freilassung, Auffassungen, Literatur),Esclavitud en la Antigua Grecia (Terminología, Orígenes de la esclavitud, Función económica, Demografía, Estatus serviles, Condición de los esclavos, Concepciones de la esclavitud griega, Bibliografía). Per l’elenco delle voci correlate:Categoria Schiavitù nell'antica Grecia,Category Slavery in ancient Greece,Catégorie:Esclavage en Grèce antique.

    2.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Erodoto, VI, 137 e la schiavitù minorile di Annalisa Paradiso, in «Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens», vol. 8, n°1-2, 1993

    Il problema della concorrenza tra lavoro libero e lavoro servile nella Grecia antica di Marcello Valente, in «Museum Helveticum», Vol. 75 Fasc. 1, Juni 2018.

    La schiavitù in Grecia di Ana Iriarte, in «Storica», National Geographic, 20 marzo 2020.

    The Bitter Chain of Slavery di Keith Bradley, in «Dialogues d'histoire ancienne», vol. 41, n°1, 2015.

    The Principles of Slavery in Ancient Greece di Robert Garland, 11/08/2020.

    Classification of Slaves in Ancient Greece di Robert Garland, 11/08/2020.

    De l'esclavage en Grèce antique di Yvon Garlan, in «Journal des Savants», n. 2, 1999.

    L’esclave-expert et le citoyen di Paul Demont, recension, 25 novembre 2015.

    L’esclavage dans le monde grec, dans les manuels d’histoire de 6ème di Adrien Arteaga, Education. 2019.

    L'esclavage en Grèce et à Rome, Dossier Eduscol, 01/06/2020.

    Sklaverei im klassischen Athen di Udo Steinniger, Seminararbeit, 2001.

    Zur Sklavenwirtschaft der alten Griechen di Wal Buchenberg, 27/10/2014.

    La esclavitud en la sociedad griega diMaría Hinojosa Aguilera, 4th December 2016.
    SCHIAVI IMMAGINI PARTE I 2.2Fig.2: Mosaico romano raffigurante schiavi che svolgono attività agricole. Fonte

    2.2 Roma

    2.2.1 Enciclopedie

    In Wikipedia: Schiavitù nell'antica Roma (Vita degli schiavi romani, Cause della schiavitù, Condizione giuridica degli schiavi, Leggi che regolavano la schiavitù, Condizione degli schiavi, Importanza della schiavitù nell'economia e nella società romane, Lavoro degli schiavi e libertà aristocratica, Lista di alcuni tra i più famosi schiavi nell'antica Roma, Bibliografia),Slavery in ancient Rome (Origins, Slavery and warfare, Trade and economy, Demography, Auctions and sales, Types of work, Treatment and legal status, Rebellions and runaways, Serfdom, Slavery in philosophy and religion, In literature, Emancipation, Freedmen, Bibliography),Esclavage dans la Rome antique (Les sources de l'esclavage, Historique, Révoltes d'esclaves, Chiffres, Bibliographie),Sklaverei im Römischen Reich (Anzahl, Wege der Versklavung, Rechtsstatus, Freilassung und Freigelassene, Entwicklung der Sklaverei, Aufgaben von Sklaven, Kleidung, Sklavenmärkte, Literatur),Esclavitud en la Antigua Roma (Orígenes, Condición de esclavos, derecho y manumisión, Bibliografía). Per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Schiavitù nell'antica Roma,Category Slavery in ancient Rome.

     

    2.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Gli Schiavi, «Romano Impero» – sito web.

    Il fenomeno della schiavitù a Roma, «Historia Regni» – sito web.

    Guerre servili, un esempio antico di Massimo Iacopi, «Storia in Network».

    La schiavitù nell'età giustinianea. Disciplina giuridica e rilevanza sociale di Marco Melluso, Collection de l'Institut des Sciences et Techniques de l'Antiquité, Année 2000.

    Schiavi, liberti, stranieri: Roma e "il resto del mondo" di Nicola Criniti, in «Ager Veleias», 11.17 (2016)

    Slavery in the Roman Empire - Primary Sources, Spartacus Educational.

    The Labor Supply of the Early Roman Empire di Peter Termin, Massachusetts Institute of Technology – Department of Economics – Working Paper Series, 07/12/2001.

    The Roman slave supply di Walter Scheidel, Stanford University, 2007.

    Roman slavery and the question of race di Sandra Joshel, 04/01/2009.

    Resisting Slavery in Ancient Rome di Keith Bradley, BBC, 17/02/2011.

    Slavery in the Roman World di Mark Cartwright, «Ancient History Encyclopedia», 01/11/2013.

    The Bitter Chain of Slavery di Keith Bradley, in «Dialogues d'histoire ancienne», vol. 41, n°1, 2015.

    L'esclave à Rome sous l'Empiredi Gaston Boissier, L’Agora – encyclopédie.

    Prolétaires et entrepreneurs. La vie d'esclave à Rome diJean Andreau, in «L’Histoire», janvier 2000.

    L'esclavage en Grèce et à Rome, Dossier Eduscol, 01/06/2020.

    Sklaven im Römischen Reich di Anja Schreiber, 2001.

    Sklavenkinder in Recht, Ökonomie und Gesellschaft des Römischen Reiches di Elisabeth Herrmann-Otto, in «Revue Internationale des droits de l’Antiquité», LI, 2004.

    Sklavenfürsorge im Römischen Reich di Stefan Knoch, 2017.

    Esclavitud femenina en la Roma antigua. Entre la reproducción biológica y la maternidaddi Carla Rubiera Cancelas, in «Dialogues d’Histoire Ancienne»,2015/2 (41/2).

    Libertad y esclavitud en Roma arcaica di Carlos Amunátegui Perelló, in «Revista de estudios histórico-jurídicos», no.41, ago. 2019.

    3. Medioevo

    3.1 Enciclopedie

    In Wikipedia: Slavery in medieval Europe (Early Middle Ages, Slave trade, Slavery in law, Slavery in the Crusader states, Slavery in Iberia, Slavery in Moldavia and Wallachia, Slavery in the Medieval Near East, Slavery in the Mediterranean, Slavery in Poland, Slavery in Russia, Slavery in Scandinavia, Slavery in the British Isles, Serfdom versus slavery, Justifications for slavery, Further reading),Esclavage au Moyen Âge (Étymologies; Aperçu géographique: Orient byzantin, Monde arabo-musulman, Europe médiévale, Bibliographie),Esclavitud en la Europa medieval (Inicio de la Edad media, Esclavitud en la ley, Esclavitud en el Imperio bizantino, Esclavitud en los estados cruzados, Esclavitud en la Iberia musulmana, Esclavitud en la Iberia cristiana, Esclavitud en Rumanía, Esclavitud en Oriente Próximo medieval, Esclavitud al imperio otomano, Esclavitud en Polonia, Esclavitud en Rusia, Esclavitud en Escandinavia, Esclavitud en las Islas Británicas, Servidumbre – esclavitud, Justificaciones de la esclavitud, Bibliografía).Per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Europe,Catégorie Esclavage en Europe,Categoría:Esclavitud en Europa.

    3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    I secoli degli schiavi slavi diAldo C. Marturano, in «Italia Medievale», 09/02/2008.

    Schiavitù e servaggio nell’economia europea. Secc. XI-XVIII di Sergej Pavlovic Karpov, 2014.

    Lo schiavismo nel Medioevo di Antoni Albacete, 01/04/2017.

    Medieval European And Mediterranean Slavery di Stephen P. Bensch, in A Historical Guide To World Slavery, 1998.

    Slavery in Medieval Italy di Pauline Montagna, in «The History Buff», 21/08/2016.

    Slavery was common in medieval Europe di Szymon Zdziebłowski, Science in Poland, 04/02/2019.

    Réévaluer l’économie de l’esclavage en Méditerranée au Moyen Âge et au début de l’époque Moderne di Ivan Armenteros Martínez et Mohamed Ouerfelli, in «Rives Méditerranéennes», 53/2016.

    Les Fils de Canaan.L’esclavage au Moyen Âge di Sandrine Victor, intervista all’autore, 29/04/2019.

    L'esclavage dans l'Europe médiévale di Alban Dignat, in <herodote.net>,13 JUIN 2020.

    Europas Sklavinnen und Sklaven im Mittelalter. Eine Spurensuche im Osten des Kontinentsdi Undine Ott, 2014.

    La condición del hombre en la Edad Media: ¿siervo, esclavo o qué? di Angel Muñoz García, in «Revista de Filosofia», n. 57 dic. 2007.

    Los esclavos en la Edad Media y la Edad Moderna di Mariona Bustio Alegre, 08/11/2014.

    4. Età Moderna
    SCHIAVI IMMAGINI PARTE I 4.1Fig.3: gruppo di africani (uomini, donne e bambini) prigionieri di mercanti arabi in cammino verso la costa orientale dell’Africa per essere venduti come schiavi ("rude sketches" made by Livingstone - 1866). Fonte

    4.1 Africa

    4.1.1 Enciclopedie

    In Wikipedia segnaliamo: Schiavismo in Africa (Schiavismo autoctono, Schiavi esportati, Il ruolo dei regni africani, Effetti dello schiavismo, Abolizione),Slavery in Africa (Forms of slavery, Slavery practices throughout Africa, Transformations of slavery in Africa, Effects, Further reading),Esclavage en Afrique (Itinéraires, Pratiques esclavagistes en Afrique, Transformations de l'esclavage en Afrique, Époque contemporaine, Bibliographie),Esclavitud en África (Formas de esclavitud, Prácticas de esclavitud en África, Transformaciones de la esclavitud en África, Efectos, Bibliografía). Per l’elenco nelle diverse edizioni linguistiche delle voci relative ai singoli stati o forme/aspetti dello schiavismo in Africa:Categoria» Schiavismo in Africa,Category Slavery in Africa,Catégorie Esclavage en Afrique,Kategorie Sklaverei in Afrika,Categoría Esclavitud en África.

    4.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    La schiavitù nel mediterraneo moderno storia di una storia di Salvatore Bono, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Schiavi a Zanzibar: Tre Testimonianze Ottocentesche a cura di Gabriele Campagnano, in «Zhistorica», 20/01/2016.

    The Story of Africa - Slavery, BBC – website.

    Africa before European slavery, National Museums Liverpool – History of slavery - West Africa.

    The impact of the slave trade on Africa di Elikia M’bokolo, in «Le Monde diplomatique», April 1998.

    History of slavery and early colonisation in South Africa, SAHO – South Africa History Online, 02 June 2011.

    Slavery, Statehood and Economic Development in Sub-Saharan Africa di Dirk Bezemer, Jutta Bolt, Robert Lensink, AEH – Working Paper Series N. 6/2012.

    The Role of Islam in Slavery in Africa di Alistair Boddy-Evans, ThoughtCo, June 30, 2019.

    Le discours sur l’esclavage en méditerranée: une réalité occultée di Alain Blondy, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Pour une géographie de l’esclavage méditerranéen aux temps modernes di Michel Fontenay, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Esclaves noirs en Méditerranée di Jean-Michel Deveau, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Des origines au XXe siècle. L'esclavage en Afrique di Alban Dignat, in <herodote.net>, 13/06/2020.

    Sklaverei in Afrika di Wolfgang Kaese, LWG – Lernwerkstatt Geschichte, 1991.

    Sklaverei in Südafrika di Helmut Bley und Uta Lehmann-Grube,LWG – Lernwerkstatt Geschichte, 1991.

    Vorkoloniale Gesellschaftsstrukturen und Sklaverei: Das Beispiel Buganda di Willi Füßer,LWG – Lernwerkstatt Geschichte, 1991.

    Del olvido a la memoria: África en tiempos de la esclavitud a cura di Rina Cáceres Gómez, UNESCO, 2008.

    La historia olvidada de los europeos que fueron esclavos en África, BBC News Mundo, 20/01/2019.

    4.2 America

    4.2.1 Continente

    4.2.1.1 Enciclopedie

    ► In Wikipedia:Slavery in Latin America (Enslavement of the peoples of the Americas: the encomienda system, Enslaved Africans in Latin America, Wealthy African-descended women, 20th century, Further reading),Slavery in colonial Spanish America (Iberian precedents to New World slavery, Prohibition of forced labor of Indigenous Peoples, Africans in the early colonial period, Black slavery in the late colonial period, British and American slaves in Spanish Florida, Ending of slavery). Per l’elenco delle voci enciclopediche relative a singoli stati o forme/aspetti dello schiavismo nell’America del Nord e del Sud:Category Slavery in North America,Category Slavery in South America.

    4.2.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    History of slavery >The Americas, National Museums Liverpool.

    Esclavage colonial, Eurescl – Site pédagogique.

    Noirs esclaves et affranchis en Amérique ibérique di Carmen Bernand, in «Clio», Mai 2002.

    Sklaven für Amerika di Gregor Delvaux de Fenffe, in «Planet Wissen - Geschichte», 13/07/2020.

    Leyes para esclavos El ordenamiento jurídico sobre la condición, tratamiento, defensa y represión de los esclavos en las colonias de la América española di Manuel Lucena Salmoral, 2000.

    Del olvido a la memoria: africanos y afromestizos en la historia colonial de Centroamérica a cura di Rina Cáceres Gómez, UNESCO, 2008.

    Del olvido a la memoria: esclavitud, resistencia y cultura a cura di Rina Cáceres Gómez, UNESCO, 2008.

    Una historia total de la esclavitud: La Esclavitud en América Latina y el Caribe di Pierre Guy, in «Memorias. Revista Digital de Historia y Arqueología», n. 22, 2014.

    4.2.2 Canada

     

    4.2.2.1 Enciclopedie

    ► In WikipediaSlavery in Canada (Under Indigenous rule, Under French rule, Under British rule, Abolition movement, Modern slavery, Further reading)Esclavage au Canada (Esclavage chez les autochtones, En Nouvelle-France, Sous la domination britannique, Mouvement d'abolition),Sklaverei in Kanada (Sklaverei bei den First Nations, Unter der französischen Herrschaft, Unter der britischen Herrschaft). Per l’elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese:Category Slavery in Canada.

     

    4.2.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    The story of slavery in Canadian history di Matthew McRae, Canadian Museum for Human Rights.

    Black Canadian Migration Experiences, Lesson Resource Kit, Archives of Ontario.

    Black Enslavement in Canada di Natasha L. Henry, The Canadian Encyclopedia, 16/06/2016.

    A Short History of Slavery in Canada di Jean Bellefeuille, CRC JPIC National, 2017.


    SCHIAVI IMMAGINI PARTE I 4.2.3Fig.4: Schiavi in una piantagione della Carolina del Sud (1862). Fonte

    4.2.3 Stati Uniti

    4.2.3.1 Enciclopedie

    Nell’Enciclopedia Britannica: Slavery In The United States (Free Blacks And Abolitionism, The Civil War Era, Reconstruction And After),Slave code,Slave rebellions.

    L’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference) propone numerose voci sull’argomento. Tra queste segnaliamo:Slavery In America,The Geography Of Slavery Overview, Slavery in New England (CT, ME, MA, NH, RI, VT),Slavery in the Far West (CA, CO, NM, NV, OR, UT, WA),Slavery And The American South,Native Americans And Slavery,Slavery And The Economy: An Overview,Regulating Slavery Overview, Moral Debates On Slavery,The Debate Over Slavery In The United States. Per un elenco completo delle voci:Slavery Search Results.

    In Wikipedia:Schiavitù negli Stati Uniti d'America (Gli schiavi nell'America coloniale, La rivoluzione americana, Dal 1790 al 1850, 1850, La guerra civile e l'emancipazione, Ricostruzione, Giustificazioni, Nativi americani, Schiavisti neri, Censimenti, Bibliografia),Slavery in the United States (Origins, Revolutionary era, 1790 to 1860, Agitation against slavery, Economics, 1850s, Civil War and emancipation, Reconstruction to the present, Native Americans, Black slave owners,  Barbary pirates, Distribution, Historiography, Bibliography),Slavery among Native Americans in the United States (Traditions of slavery by Native American, European enslavement of Native Americans, Native-American enslavement of Africans, Further reading),Esclavage aux États-Unis (Introduction, Origines, 1776-1865, Location d'esclave, Révoltes, fuites et marronnage, Abolition dans les États du Nord, Conséquences politiques de l’expansion vers l'ouest, Guerre de Sécession, Abolition et Reconstruction, Prisonniers-esclaves, Historiographie, Bibliographie),Esclavage parmi les Amérindiens aux États-Unis (Tradition du travail contraint chez les Amérindiens, L'esclavage européen, Les esclaves africains chez les Amérindiens, Traitements des esclaves par les Amérindiens, Fin de l'esclavage parmi les amérindiens, Bibliographie),Sklaverei in den Vereinigten Staaten (Übersicht, Vorgeschichte, Der Amerikanische Unabhängigkeitskrieg, Ab der Unabhängigkeit der Vereinigten Staaten, Die große Wanderung,Sezessionskrieg und Abschaffung der Sklaverei, Widerstand und Flucht, Abolitionismus und Reformversuche, Thema in Literatur und Filmen),Esclavitud en los Estados Unidos (Historia, Esclavitud en los Estados Unidos coloniales),Esclavitud entre los nativos americanos en Estados Unidos (Esclavitud de los nativos americanos, Esclavitud europea de los nativos americanos, La esclavitud africana por parte de los nativos americanos en el sureste de Estados Unidos, Asimilación o desplazamiento voluntario, Otras respuestas a la esclavitud de los africanos por los nativos americanos, Guerra civil estadounidense, Bibliografía). Per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Schiavismo negli Stati Uniti d'America,Category Slavery in the United States,Catégorie:Esclavage aux États-Unis,Kategorie Sklaverei in den Vereinigten Staaten,Categoría:Esclavitud en Estados Unidos.

    4.2.3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Il punto di vista nazionale: razza, schiavitù e colonialismo negli scritti di Tocquevilledi Natascia Mattucci, 2012.

    La schiavitù in America, una “peculiare istituzione” diRoberto Poggi in «Storia in Network», 01/10/2015.

    Le leggi di Jim Crow hanno creato un altro tipo di schiavitù di Erin Blakemore, National Geographic, 20/02/2020

    Raccontare la nascita della schiavitù negli Stati Uniti di Nicola Nosengo, 07/07/2020.

    La schiavitù in America: quando iniziò? La sua storia di Miriam Campopiano settembre 2020.

    A History of Slavery in the United States, interactive timeline and related resources, National Geographic.

    Daily Lives of Slaves - What Really Happened? di Wendy Schanberger, UMBC – Center of History Education – Teaching American History Lesson Plans.

    Slavery in the USA – History, Spartacus Educational.

    Slave Auctions in South Carolina - Lesson Plan, Teaching American History in South Carolina.

    Slavery in New York - Teacher’s Guide, New York Historical Society.

    The Varieties of Slave Labor di Daniel C. Littlefield, National Humanities Center.

    How Slavery Affected African American Families di Heather Andrea Williams, National Humanities Center.

    Slave Resistance di James H. Sweet, National Humanities Center.

    The Demise of Slavery di J. William Harris, National Humanities Center.

    A Framework for Teaching American Slavery, Teaching Tolerance.

    Pre-Civil War African-American Slavery, Library of Congress.

    Teaching the Complex History of Abolition and the Civil War diAdam Sanchez, 2019.

    400 years since slavery: a timeline of American history di Shah Khushbu e    Adolphe Juweek, in «The Guardian», 16/08/2019.

    Les esclaves aux États-Unis de 1790 à 1860. Données sur leur nombre et leurs caractéristiques démographiques di Ernest Rubin, in «Population», Année 1959/14-1.

    A propos de l'esclavage aux États-Unis di Fohlen Claude, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», Année 1975/226-227.

    Bürgerkrieg und Sklaverei di Christof Mauch, Dossier USA, BpB, 10/10/2008.

    El esclavismo antiguo en los Estados Unidos del periodo antebellum (1780-1860) di Clelia Martínez Maza, in «Gerión» 2016, Vol. 34.

    El sistema esclavista en los Estados Unidos di Diego Ruiz Panadero, <archivoshistoria.com>, 02/08/2018.

     

    4.2.4 Cuba

     

    4.2.4.1 Enciclopedie

    ► Nell’Enciclopedia Britannica:Sugarcane and the growth of slavery.

    ► In Wikipedia:Slavery in Cuba (History, Condition of the slaves, Gendered slavery, Literary legacy, References). Per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Cuba.

    4.2.4.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    The Cuban Slave Trade in a Period of 1790-1843 di Herbert S. Klein, in «Revue d'histoire», Année 1975.

    Sugar and Slavery: the Bittersweet Chapter in the I9th Century Cuba, 1817-1886 di Javier A. Calvan, in «Revista de Humanidades», Tecnológico de Monterrey, núm. 16, 2004.

    Slavery and the Atlantic Slave Trade in Brazil and Cuba from an Afro-Atlantic Perspective di Ana Lucia Araújo, in «Almanack» no.12, Guarulhos, Jan./Apr. 2016.

    Le commerce des esclaves vers Cuba di Christian Huetz de Lemps, in «Les Cahiers d'Outre-Mer», Année 1982, 35-138.

    De l’évolution de l’esclavage à Cuba. La rhétorique de José Agustín Caballero (1791-1798) di Jean-Pierre Tardieu, in «Caravelle»,111|2018.

    Azúcar, esclavitud y racismo: oligarquía criolla y colonialismo en Cuba di Pablo Tornero, in «Caravelle. Cahiers du monde hispanique et luso-brésilien». Année 2005, 85.

    Narraciones de la esclavitud en Cuba y los Estados Unidos di Ivan A. Schulman, in «América sin nombre», no 19 (2014).


    SCHIAVI IMMAGINI PARTE I 4.2.5Fig.5: Brasile, 1830: schiavi acquistati dai latifondisti in attesa di essere trasferiti nelle proprietà dei nuovi padroni. Fonte

    4.2.5 Brasile

    4.2.5.1 Enciclopedie

    ► In WikipediaSchiavitù in Brasile (Inizi della schiavitù nel Brasile portoghese, XVII-XVIII secolo, XIX secolo, Bibliografia),Slavery in Brazil (History, Slave identities, Gender divides, Modern era, Further reading),Esclavage au Brésil (L’esclavage au Brésil colonial, La question de l’abolition après l’Indépendance du Brésil, Campagne abolitionniste, Les évasions et les quilombos dans les dernières années de l'esclavage au Brésil, La Loi d'or),Esclavitud en Brasil (Esclavitud entre los indígenas, Esclavitud en las plantaciones, Comercio atlántico de esclavos africanos, Resistencia a la esclavitud, Abolición de la esclavitud, Bibliografía). Per l’elenco delle voci sull’argomento:Category Slavery in Brazil,Catégorie Esclavage au Brésil.

    4.2.5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    The African Slave Trade and Slave Life, Brown University Library.

    The dynamics of slavery in Brazil: Resistance, the slave trade and manumission in the 17thto 19thcenturies di Rafael de Bivar Marquese, in «Novos Estudos - CEBRAP», São Paulo, n.74, Mar. 2006.

    Slavery in Brazil di Natalie Arsenault, Christopher Rose, Mar. 2006.

    Slavery in Brazil: Brazilian Scholars in the Key Interpretive Debates di Jean M. Hébrard, Center for Latin American and Caribbean Studies, University of Michigan, 2013.

    Brazil: a society shaped by slavery di Lilia M Schwarcz, in «BBC World Histories magazine», August/September 2018.

    L'esclavage africain et le travailleur esclave au Brésil di Silvia Hunold Lara, in «Dialogues ds’histoire ancienne», Année 1993, 19-1.

    Historiographie et usages publics de l’esclavage au Brésil di Keila Grinberg, in «Revue d’Histoire du XIX Siècle», 51/2015.

     

    4.3 Asia

    4.3.1 Enciclopedie

    ► In Wikipedia: Slavery in Asia (Indian subcontinen, Afghanistan, China, Japan, Korea, Southeast Asia, Crimean Khanate, Central Asia and the Caucasus, Further reading),Slavery in China,Esclavage en Chine,Slavery in India,Slavery in Japan,Esclavitud en Japón.Per l’elenco delle voci sull’argomento:Kategorie Sklaverei in Asien,Catégorie:Esclavage en Asie.

    4.3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Slavery and the Slave Trades in the Indian Ocean and Arab Worlds: Global Connections and Disconnections di Janet Ewald, 2008.

     

    Slavery and the Slave Trade in the Indian Ocean di Vijayalakshmi Teelock and Abdul Sheriff, 2016

     

    Slavery and Post Slavery in the Indian Ocean World di Alessandro Stanziani, 2020.

     

    In Colonial Bombay, Slavery Practiced by Both Indians and the British Administration, di Murali Ranganathan, 31/07/2020.

    Slave Trade and Slavery in Asia. New Perspectives diTitas Chakraborty, Matthias vanRossum, in «Journal of Social History», Volume 54, Issue 1, Fall 2020.

     

    L’esclavage pour dettes en Asie orientale diAlain Testart, in «Moussons -Recherche en sciences humaines sur l'Asie du Sud-Est», 2/2000.

    4.4 Europa

    4.4.1 Enciclopedie

    ► In Wikipedia segnaliamo, tra le voci dedicate ai singoli paesi del continente: Slavery in Britain,Sklaverei in Deutschland,Slavery in Spain,Esclavitud en España.

    Per l’elenco delle voci sulla schiavitù nella “Categoria Europa” dell’edizione in lingua inglese: Category Slavery in Europe.

    4.4.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    La schiavitù nel mediterraneo moderno storia di una storia di Salvatore Bono, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Schiavi in Italia: maghrebini, neri, slavi, ebrei e altri (Secoli XVI-XIX) di Salvatore Bono, in «Mediterranea – Ricerche storiche», Anno VII, n. 19, Agosto 2010.

    Schiavitù e servaggio nell’economia europea. Secc. XI-XVIII di Sergej Pavlovic Karpov, 2014.

    The status of slaves in Britain di Alan Rice, Revealing Histories.

    Teaching colonial slavery in France, looking at the fight against anti-Black racism  through history and memory diPauline Vermeren, 2005.

    Les esclaves noirs en France et la Révolution (1700-1794) di Marcel Koufinkana, in «Horizons Maghrébins - Le droit à la mémoire» Année 1992 /18-19.

    Pour une géographie de l’esclavage méditerranéen aux temps modernes di Michel Fontenay, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Histoires d'esclavage en France et aux États-Unis di Laurent Dubois, in Esprit, février 2007.

    «Faut-il rétablir l'esclavage en France?». Droit naturel, économie politique et esclavage au XVIIIe siècle di Jean-Yves Grenier, in «Revue d’histoire moderne & contemporaine», 2010/2 (n°57-2).

    Les traces discrètes de l'esclavage en France diYanik Dumont Baron, 27/08/2019.

    Sklaven in Deutschland di Rebekka von Mallinckrodt, 2018.

    La esclavitud negroafricana en España, una historia silenciada di Domitila Barbolla Mate, 2013

    Los esclavos en España durante la Edad Moderna di Ángel Hernández Sobrino,

    27 Noviembre 2017.

    La oscura historia del pasado esclavista español di Claudia Contente, 12/07/2020.

    4.5 Oceania

    4.5.1 Enciclopedie

    In Wikipedia: Slavery in Australia (Types of slavery: Convicts, Coolies, Indigenous labour, Blackbirding, Pearling, Modern Slavery; Legislation and anti-slavery campaigning; The "History Wars"; Colonisation funded by slavery elsewhere; Further reading).

    4.5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Australia’s hidden history of slavery: the government divides to conquer di Emelda Davis, 31/10/2017.

    Was there slavery in Australia? Yes. It shouldn’t even be up for debate di Thalia Anthony, Stephen Gray, 11/06/2020.

    Australia has a history of Aboriginal slavery di Jens Korff, 22 September 2020.

    5. La tratta degli schiaviSCHIAVI IMMAGINI PARTE I 5Fig.6: ispezione e vendita di uno schiavo africano nelle Americhe (1854 circa). Fonte

    5.1 Enciclopedie

    Nel Dizionario di Storia (Treccani), la voce redazionale Tratta negriera (2011).

    Nell’Enciclopedia Britannica, la voce redazionale Slave trade.

    ► Nell’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference), le voci:Slavery And The Slave Trade,The Slave Trade: An Overview,Slavery And The African Slave Trade,Atlantic Slave Trade,Liverpool Slave Trade, Slave Trade Domestic,Interstate Slave Trade.

    ► InWikipedia,  le voci:Tratta atlantica degli schiavi africani,Tratta araba degli schiavi,Tratta barbaresca degli schiavi;Atlantic slave trade,Arab slave trade,Barbary slave trade;Commerce des esclaves,Traite arabe,Traite des esclaves de Barbarie;Sklavenhandel,Atlantischer Sklavenhandel,Ostafrikanischer Sklavenhandel,Mediterraner Sklavenhandel;Comercio atlántico de esclavos,Comercio árabe de esclavos,Comercio berberisco de esclavos.Per l’elenco delle voci sull’argomento:Categoria Tratta degli schiavi,Category Slave trade,Catégorie Commerce des esclaves,Kategorie Sklavenhandel.

    5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Schiavi africani verso l'America di Giuseppe Corsaro, RAI Scuola.

    Lo schiavismo dal XVI al XIX Secolo: tratta dall’Africa alle Americhe di Marco Unia, in «Storia in network», n. 123, gennaio 2007.

    La Tratta dei Neri: tra Africa e Europa di Gabriele Campagnano, in «Zhistorica», Febbraio 27, 2020.

    The Slave Route,UNESCO’s project.

    The transatlantic slave trade, National Museums Liverpool.

    European traders, National Museums Liverpool.

    Life on board slave ships, National Museums Liverpool.

    Slave Voyages. The Transatlantic Trade in Enslaved Africans di Hilary McDonald Beckles, 2002.

    A Short History of the African Slave Trade di Alistair Boddy-Evans, July 26, 2019.

    'My Nigerian great-grandfather sold slaves', BBC, 18 July, 2020.

    Ressources pour l'enseignement de l'histoire des esclavages et de leurs abolitions, Éduscol – Histoire-géographie, Ministère de l’Éducation Nationale.

    L’esclavage et les traites négrières, Mémorial de l’Abolition de l’Esclavage, Nantes.

    Traite négrière: les détournements de l'histoire di Olivier Petre-Grenouilleau, in «Le Monde», 05/03/2005.

    Les traites négrières: essai d'histoire globale di Pap N’Diaye, recensione di Les traites négrières. Essai d'histoire globale di Pétré-Grenouilleau Olivier, in «Critique internationale», 2005/3 (no 28).

    Les traites négrières. Essai d'histoire globale di Bonin Hubert, recensione di Les traites négrières. Essai d'histoire globale di Pétré-Grenouilleau Olivier, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», Année 2005, 346-347.

    La traite négrière, l’esclavage et leurs abolitions : mémoire et histoire, ÉduSCOL, Actes du colloque national, Paris, le 10 mai 2006.

    Les grands débats actuels de l’historiographie sur la traite négrière di Pierrick Pourchasse, in «Cahiers du CEIMA», 5/2009.

    "Les routes de l'esclavage", une histoire millénaire a cura di Frédéric Pfyffer e Jean Leclerc, Radio Télévision Suisse - Avril 2018.

    XVIe au XIXe siècles. La traite atlantique di Alban Dignat, in <herodote.net>, 05/06/2020.

    Transatlantischer Sklavenhandel - Das Beispiel Dahomey di Gunnar Meyer,LWG – Lernwerkstatt Geschichte, 2002.

    Sklaverei und Sklavenhandel di Sebastian Jobs, BpB – Bundeszentrale für politische Bildung, 20/05/2016.

    Sklavenhandel: Was hatte Deutschland damit zu tun? diGunnar Lammert-Türk, Deutschlandfunk Kultur, 20.05.2020.

    Kolonialer Sklavenhandel in Deutschland: Als Prestigeobjekte gehalten di Gunnar Lammert-Türk, Deutschlandfunk Kultur,28.06.2020.

    Jahrhunderte des Menschenhandels di Julia Ley, Deutschlandfunk Kultur,27.09.2020

    Esclavos, la trata humana a través del atlántico, Historia – National Geographic, 05/12/2014.

    El negocio de la esclavitud africana en la Europa moderna di Clara Felis, 25/02/2017.

    La oscura historia del pasado esclavista español di Claudia Contente, 12/07/2020.

    6. Le rivolte degli schiaviSCHIAVI IMMAGINI PARTE I 6.1Fig.7: uccisione di Spartaco e sconfitta della rivolta degli schiavi da parte di Marco Licinio Crasso nel 71 a.C. Fonte

    6.1 Enciclopedie

    ► Nell’Enciclopedia dei ragazzi (Treccani), la voceSpartaco di Tommmaso Gnoli (2006)

    ► Nell’Enciclopedia Britannica, le voci:Third Servile War,Zanj rebellion,Slave rebellions.

    Nell’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference), la voce:Slave Rebellions.

    ► In Wikipedia, le voci:Prima guerra servile,Seconda guerra servile,Terza guerra servile,Spartaco;First Servile War,Second Servile War,Third Servile War,Spartacus;Première guerre servile,Deuxième guerre servile,Troisième guerre servile,Spartacus. Per l’elenco delle voci nelle edizioni in lingua inglese e francese:Category Slave rebellions,Catégorie:Révolte d'esclaves.

     

     

     

     

    6.2 Articoli/Saggi/Risorse didatticheSCHIAVI IMMAGINI PARTE I 6.2Fig.8: 23 agosto 1791: esplode la rivolta degli schiavi a Saint-Domingue (oggi Haiti). Fonte

    Spartacus, Imperium Romanum.

    La Rivolta degli Schiavi Zanj (869-883) di Gabriele Campagnano, in «Zhistorica», 26/03/2015.

    Guerre servili: un esempio antico di Massimo Iacopi, in «Storia in Network», 01/12/2016.

    Spartaco e la rivolta degli schiavi a cura di Andrea Contorni R., Il Sapere Storico, febbraio 2019.

    Resistance to Slavery, The Abolition Project.

    Slave Rebellions and Uprisings, American Battlefield Trust.

    Slave Resistance di James H. Sweet, National Humanities Center.

    Resistance and Rebellion, USI – Understanding Slavery Initiative.

    Slave Rebellions, <collaborativelearning.org>.

    What does a slave rebellion look like? (lesson sequence for year 8 students), The National Archives.

    Slave Revolts - Photo Essay, Oxford African American Studies Center.

    Did African-American Slaves Rebel? diHenry Louis Gates Jr.,The African Americans.

    The French and Haitian Revolutions, and resistance to slavery in the Americas : an overview di David Geggus, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», Année 1989, 282-283.

    7 Famous Slave Revolts di Evan Andrews, 15/01/2013.

    The Bittersweet Victory at Saint-Domingue di Edward E. Baptist, 06/08/2015.

    New Frontiers in American Slave Revolts di Kathryn Olivarius, 17/06/2017.

    How two centuries of slave revolts shaped American history di Erin Blakemore, National Geographic, 08/11/2019.

    Les révoltes des esclaves – Album, HPI – Histoire Par Image.

    La révolte des esclaves du Carbet à la Martinique (octobre-novembre 1822) di Françoise Thésée, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», n.301, Année 1993.

    La révolte des Zandj, esclaves noirs importés en Mésopotamie di Alexandre Popovic, in «Cahiers de la Mediterranee», n.65/2002.

    Un panorama des révoltes d’esclaves sous le régime colonial di Marcel Dorigny, 23/05/2018.

    Rebeliones de esclavos negros en Venezuela antes y después de 1789 di Reinaldo Rojas,

    Lucharon por la libertad: los negros de Martinica arrojados en la Guajira di Javier Laviña, 1983.

    Venezuela colonial: las rebeliones de esclavos y la Revolución Francesa di Federico Brito Figueroa, in «Cahiers du monde hispanique et luso-brésilien», n.54, Année 1990.

    Revueltas y rebeliones de los esclavos africanos en la Nueva España di Araceli Reynoso Medina, in «Revista del CESLA», núm. 7, 2005.

    Revueltas esclavas y espacios simbólicos de libertaddi Carlos García Mac Gaw, Actes du Groupe de Recherches sur l’Esclavage depuis l’Antiquité, Année 2015.

    7. Forme contemporanee di schiavitù


    SCHIAVI IMMAGINI PARTE I 7Fig.9: incidenza della schiavitù moderna nei diversi paesi del mondo espressa in percentuale sul totale della popolazione (Global Slavery Index, ottobre 2013). Fonte

    7.1 In generale

    7.1.1 Enciclopedie

    ► Nell’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference), le voci:Human Trafficking,Trafficking Of Women.

    ► In Wikipedia, le voci:Slavery in the 21st century,Esclavage contemporain,Esclavage auxxe siècle,Esclavitud en la actualidad,Tratta di esseri umani,Human trafficking,Traite des êtres humains,Menschenhandel. Per un elenco delle voci sull‘argomento:Category Contemporary slavery,Categoria Traffico di esseri umani,Category Human trafficking,Kategorie Menschenhandel, Categoría Trata de personas.

     

    7.1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    Tratta e schiavitù: una componente sistemica dei conflitti, OSCE, Comunità di sicurezza, 3/2016.

    Attraverso la lente dello schiavismo transatlantico, OSCE, Comunità di sicurezza, 3/2016.

    La migrazione e la tratta di esseri umani: Un legame inestricabile di Madina Jarbussynova, OSCE, Comunità di sicurezza, 3/2016.

    Le forme moderne di schiavitù, Amnesty International, 2018.

    La schiavitù: pensavamo fosse il passato e la riscopriamo nelle catene del valore di Elisa Giuliani, 28/08/2020.

    What is modern slavery?, Anti-Slavery International.

    Modern slavery, BBC - Ethics guide.

    Why slavery persists,BBC - Ethics guide.

    Modern slavery: a hidden, every day problem, Global Slavery Index.

    Slavery and Human Trafficking, Council of Europe - Impact of the European Convention on Human Rights.

    Forced labour, modern slavery and human trafficking, International Labour Organization.

    The Slave Route,UNESCO’s project.

    Slavery To Day – Human Rights In The Curriculum, Amnesty International.

    Lesson Plans: Primary Collective Worship, Secondary Collective Worship, Modern Slavery Lessons.

    Modern slavery and the role of business di Polly Foley, 08/10/2014.

    Formes contemporaines d'esclavage, OHCHR - Office of the High Commissioner for Human Rights – United Nations.

    Abolir l’esclavage et ses formes contemporaines, Haut-Commissariat des Nations Unies aux droits de l’homme, 2002.

    Situations contemporaines de servitude et d’esclavage a cura di Alexis Martig et Francine Saillant, in «Anthropologie et Sociétés », Volume 41, numéro 1, 2017.

    Esclavage contemporain di Martig Alexis, 2018.

    Der lange Schatten der Sklaverei di Lennart Pyritz, Deutschlandfunk, 13/08/2015.

    Moderne Sklavereien di Jan-Christoph Marschelke, BpB – Bundeszentrale für politische Bildung, 04/12/2015.

    Weltweit 46 Millionen Menschen versklavt di Stefan Fries, Deutschlandradio, 23/08/2016.

    Moderne Formen der Sklaverei: ein Überblick, <humanrights> 20/03/2018.

    2.000 años de esclavitud di Lino González Veiguela, 10/02/2014.

    Estimaciones mundiales sobre la esclavitud moderna: trabajo forzoso y matrimonio forzoso, Oficina Internacional del Trabajo, 2017.

    7.2 Africa

    7.2.1 Enciclopedie

    ► In Wikipedia, le voci:Schiavitù moderna in Africa,Slavery in contemporary Africa. Si veda l’elenco delle voci nellaCategoryHuman trafficking in Africa.

     

    7.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    La schiavitù in Africa oggi di Anna Pozzi, 12/08/2019.

    The impact of slavery on modern Africa di Bob Koigi.

    Types of Forced Labour and Slavery-like Abuse Occurring in Africa Today di Mike Dottridge, in «Cahiers d’Études africaines», n. 179-180/2005.

    Slavery in Africa is still alive di Stanley Azuakola, 04/12/2014.

    Domestic servitude and ritual slavery in West Africa from a human rights perspective di Veronika Gyurácz, in «African Human Rights Law Journal», vol.17/ n.1, 2017.

    West African slavery lives on, 400 years after transatlantic trade began di Angela Ukomadu, Nneka Chile, Reuters, 07/08/2019.

    Africa’s (Modern) Slavery Problem di Joanna Rozpedowski, 14/09/2020.

    Le nouveau visage de l'esclavage au Xxe siècle di Suzanne Miers, in «Cahiers d’Études africaines», n. 179-180/2005.

    La question de l’esclavage en Afrique: Politisation et mobilisations di Christine Hardung, Lotte Pelckmans, in «Politique africaine» 2015/4 (n°140).

    7.3 America

    7.3.1 Nord America

     

    7.3.1.1 Enciclopedie

    ► In Wikipedia, le voci:Human trafficking in Canada,Contemporary slavery in the United States,Human trafficking in the United States. Per un elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Human trafficking in North America.

    7.3.1.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Forced Labor in the United States: A Contemporary Problem in Need of a Contemporary Solution di Chrissey Buckley, Topical Research Digest, 2008.

    Modern Day Slavery in Mexico and the United States, COHA – Council on Hemispheric Affairs, 21/12/2009.

    Modern Slavery in Canada, Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in USA, Global Slavery Index, 2018.

    Does Slavery Exist in America Today? di Micah Hartmann, The Exodus Road, 12/10/ 2018.

    7.3.2 Centro America

     

    7.3.2.1 Enciclopedie

     

    In Wikipedia segnaliamo la voce: Human trafficking in Mexico. Per un elenco completo delle voci sull’argomento relative ai diversi paesi dell’America e del mondo nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Human trafficking by country.

    7.3.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Modern Day Slavery in Mexico and the United States, COHA – Council on Hemispheric Affairs, 21/12/2009.

     

    Human Trafficking in Mexico di Arjan Shahani, 14/06/2013.

     

    La esclavitud moderna en México di Jorge Luis De Santiago Sanches, in «MONOLITO», 10/05/2017.

     

    "Esclavas modernas", así trabajan miles de niñas en el empleo doméstico di Gustavo Pineda, 23/07/2018.

    7.3.3 Sud America

    7.3.3.1 Enciclopedie

    In Wikipedia segnaliamo le voci: Human trafficking in Venezuela, Human trafficking in Brazil,Human trafficking in Argentina,Human trafficking in South America. Per un elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Human trafficking in South America.

    7.3.3.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    A Growing Concern: Modern Slavery and Agricultural Production in Brazil and South Asia di Justin Campbell, Topical Research Digest.

    Contemporary forms of slavery in Argentina di Mike Kaye, Anti-Slavery International 2006.

    Contemporary slavery in Brazil: what have companies (not) done to prevent it? di Tobias Coutinho, Angela Christina Lucas, Rafaela Almeida Cordeiro, in RAM. «Revista de Administração Mackenzie», vol.18 no.4 São Paulo July/Aug. 2017.

    Modern Slavery in Brazil, Global Slavery Index, 2018.

    Modern-day slavery in Venezuela di Pierre C Justine, 29/06/2020.

    Domination et servitude dans le Brésil rural contemporain: le «travail esclave» rural migrant di Alexis Martig, in «Anthropologie et Sociétés» Volume 41, Numéro 1, 2017.

    7.4 Asia

    7.4.1 Enciclopedie

    In Wikipedia segnaliamo le voci: Human trafficking in China,Human trafficking in India. Per un elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Human trafficking in Asia.

    7.4.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Modern Slavery in India. Cases of Bonded Labour, Franciscans International (FI), 2012.

    Modern-day slavery widespread in India di Gabriel Domínguez, 25/10/2013.

    Modern Slavery in China,Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in India, Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in Asia and The Pacific, Global Slavery Index, 2018.

    Human trafficking in China di Tiantian Zheng, in «Journal of Historical Archaeology & Anthropological Sciences», 3 (2),2018.

    Human Trafficking in China di Honglan Shuai, Jianhong Liu, 01/02/2019.

    7.5 Europa

    7.5.1 Enciclopedie

    In Wikipedia segnaliamo le voci: Human trafficking in Europe,Human trafficking in Italy,Human trafficking in the United Kingdom,Human trafficking in France,Human trafficking in Germany,Human trafficking in Spain. Per l’elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Human trafficking in Europe.

    7.5.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Human Trafficking in Europe: an Economic Perspective di Gijsbert Van Liemt, International Labour Organisation, 2004.

    Contemporary slavery in the UK di Gary Craig, Aline Gaus, Mick Wilkinson, Klara Skrivankova and Aidan McQuade, Joseph Rowntree Foundation, 2007.

    Modern day slavery: What drives human trafficking in Europe? di Diego Hernandez, Alexandra Rudolph, in «European Journal of Political Economy», Volume 38, June 2015.

    Modern Slavery in Italy, Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in United Kingdom,Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in France,Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in Germany,Global Slavery Index, 2018.

     

    7.6 Oceania

    7.6.1 Enciclopedie

    In Wikipedia, le voci Human trafficking in Australia,Human trafficking in New Zealand. Per un elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category:Human trafficking in Oceania.

     

    7.6.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

     

    Human trafficking to Australia: a research challenge, Trends & issues in crime and criminal justice,Australian Institute of Criminology, 2007.

    Modern Slavery in Australia,Global Slavery Index, 2018.

    Modern Slavery in New Zealand di Emily Lyons, Sophie Vreeburg, Mukti Rathod, Laura Wang, Veronica Shepherd, Equal Justice Project, September 2018.

    Parte seconda: Abolizione della schiavitù / Abolizionismo

    SCHIAVI IMMAGINI PARTE II 1Fig.10: "Am I Not a Man and a Brother?" Medaglione per la campagna britannica contro la schiavitù (1795). Fonte

    1. Definizione, diritto internazionale e storia in generale

     

    1.1 Enciclopedie

     

    ► Nell’Enciclopedia Britannica, la voce: Abolitionism (European and American social movement).

     

    Nell’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference), la voceAbolition Movement.

    ► In Wikipedia, le voci: Abolizionismo (L'abolizionismo teorico, La morale cristiana e l'abolizionismo, Le tappe dell'abolizione nel mondo, Le motivazioni economiche dell'abolizionismo, Bibliografia),Abolitionism (France, Great Britain, In the Americas, Notable abolitionists, Abolitionist publications, Contemporary abolitionism, Further reading),Abolitionnisme (Un concept d'une radicale nouveauté, Une sortie progressive du système esclavagiste, De la difficulté de différer l'abolition de l'esclavage au xixe siècle, Bibliographie),Abolition de l'esclavage (La question des origines, Le xviiie siècle: une remise en cause progressive, Voies nationales de l'abolition des traites occidentales, Fin des traites arabes et internes au continent africain, Conséquences de l'abolition, Bibliographie),Abolitionismus (Geschichte des Abolitionismus, Motive, Bedeutende Personen der Abolitionisten-Bewegung, Literatur),Abolicionismo(Abolicionismo por país, Bibliografía).Per l’elenco delle voci sull’argomento nelle diverse edizioni linguistiche dell’enciclopedia online:Categoria Abolizionismo,Category Abolitionism,Catégorie Antiesclavagisme,Kategorie Abolitionismus,Categoría Abolicionismo.

    1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    Convenzione supplementare sull’abolizione della schiavitù, ONU, 1956/57.

    Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato, Articolo 5 del Titolo I dellaCarta dei diritti fondamentali dell'UE, FRA – European Union Agency For Fundamental Rights,14.12.2007.

    Articolo 4 - Divieto di schiavitù, Dichiarazione Universale dei diritti umani commentata dal Prof. Antonio Papisca, Dossier del Centro Diritti Umani dell’Università degli Studi di Padova, 16/07/2009.

    Diritto e schiavitù in età moderna di Marco Fioravanti, in «Historia et ius», 2/2012.

    The Age of Abolition, Slavery in History, <freetheslaves.net>.

    Abolition of the transatlantic slave trade, Liverpool Museums.

    Anti-slavery sources, British Library.

    Atlantic slave trade and abolition di Richard Reddie, BBC, 29/01/2007.

    Debates Over Slavery and Abolition: An Interpretative and Historiographical Essay di Burton Orville Vernon, 2009.

    Abolitionism in the Atlantic World: The Organization and Interaction of Anti-Slavery Movements in the Eighteenth and Nineteenth Centuries di Birgitta Bader-Zaar, in «EGO – Europäische Geschichte Online», 09/12/2011.

    Civil Society and Paths to Abolition di Seymour Drescher, in «História» vol.34 no.2, July/Dec. 2015.

    Abolir l’esclavage et ses formes contemporaines, Haut-Commissariat des Nations Unies aux droits de l’homme, 2002.

    Le siècle des abolitionnistes di Olivier Pétré, in «L’Histoire», mensuel N°353 daté mai 2010.

    L’abolitionnisme de l’esclavage au prisme du passé/présent di Nelly Schmidt, 1 May 2015

    Abolitionnisme (Esclavage), di Nathalie Dessens, Richard Marin, HAL, 2016

    Mettre fin à l’esclavage moderne di William Lacy Swing, OIM - Organisation internationale pour les migrations – ONU, 19/09/2017.

    Les chemins de l’abolitionnisme di Anthony Guyon, 07 novembre 2017.

    Abolitionismus im transatlantischen Raum: Organisationen und Interaktionen der Bewegung zur Abschaffung der Sklaverei im späten 18. und 19. Jahrhundert di Birgitta Bader-Zaar, EGO, Europäische Geschichte Online – EGO, 03/12/2010.

    Abolición de la Esclavitud y la Trata de Esclavos,Beyond Foreignness.

    Abolicionismo di Michael Seidman, in «Revista de Libros», 01/10/2010.

    2. America

    2.1 Canada

     

    2.1.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Abolition of Slavery in Canadadi Bryan Walls, <pbs.org>.

    Slavery and its Gradual Abolition in Upper Canada di Natasha Henry, Lesson Plans, 31/01/2018.

    Anti-Slavery Movement in Canada, Library and Archives Canada,01/11/2019.

    2.2 Stati Uniti

    SCHIAVI IMMAGINI PARTE II 2.2Fig.11: Proclama di emancipazione: l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d'America (Abraham Lincoln, 1° gennaio 1863). Fonte

    2.2.1 Enciclopedie

    ► Nell’Enciclopedia Britannica, le voci:Abolitionism – United States,American Anti-Slavery Society.

    Nell’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference),le voci:Abolition Of Slavery: United States,American Anti-Slavery Society,Abolition Of Slavery In The North.

    ► In Wikipedia, le voci:Abolizionismo negli Stati Uniti d'America (Richieste di abolizione, Abolizione nel Nord, Liberati dai proprietari del Sud, Territori dell'Ovest, Fondazione e colonizzazione della Liberia, Immigrazione,  Religione e morale, Garrison e l'emancipazione immediata, Cattolici americani, Donne abolizioniste, Progressione dell'abolizionismo negli Stati Uniti d'America, Bibliografia),Abolitionism in the United States (History, Variations by area, Abolitionist viewpoints, Anti-abolititionist viewpoints, Further reading),Antiesclavagisme aux États-Unis (Avant l’indépendance: les précurseurs quakers, La révolution américaine et l'abolition dans le Nord, De 1804 à 1830: le creux de la vague, La renaissance des années 1830, L'antiesclavagisme politique). Per l’elenco delle voci sull’argomento nell’edizione italiana e inglese:Categoria Abolizionismo negli Stati Uniti d'America,Category Abolitionism in the United States.

    2.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    The African American Odyssey: A Quest for Full Citizenship, Library of Congress.

    Facts, information and articles about Abolitionist Movement, one of the causes of the civil war, Historynet.

    The Abolitionist's John Brown (Martyrdom through Militancy and the Onset of Civil War) di Elisa De Togni, American Battlefield Trust.

    Frederick Douglass (leader U.S. Abolition movement), Stanford Encyclopedia of Philosophy.

    Anti-Slavery Resistance Movements (Learning Objectives, Key Takeaways), Lumen - Boundless US History.

    The American Abolitionist Movement (Source Set, Additional Resources, Teaching Guide), DPLA – Digital Public Labrary of America.

    Abolitionism di Paul Finkelman e Carl E. Prince, Oxford African American Studies Center, 06/04/2006.

    The Abolitionist Movement di Julie Holcomb, Essential Civil War Curriculum  December 2012.

    Abolitionism di Jochen Kemner, Universität Bielefeld, 2015

    Abolitionists and the Constitution, Constitutional Rights Foundation, 2016.

    Radical Reform and Antislavery, Digital History, 2019.

    De l'abolitionnisme à l'esclavagisme ? Les implications des anthropologues dans le débat sur l'esclavage des Noirs aux États-Unis (1840- 1870) di Luc Forest, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», Année 1998/320.

    «La terreur des esclavagistes»: la révolution française et les origines de l’abolitionnisme en Amérique di Rachel Hope Cleves, in «Annales historiques de la Révolution française», n.363, janvier-mars 2011.

     

    2.3 Cuba

    2.3.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    British Abolitionists in Cuba, 1833-1845 di David R. Murray in «Historical Papers / Communications historiques», 11 (1), 1976.

    Madden and the Abolition of Slavery in Cuba di José Antonio Quintana García, in «Irish Migration Studies in Latin America» 7:1 (March 2009).

    La emancipación de los esclavos en Cuba y Puerto Rico di Christopher Schmidt Nowara, Departamento de Historia, Fordham University, 2014.

    Ley de la abolición de la esclavitud en Cuba -13 de febrero de 1880, Proyecto Ensayo Hispánico, 2015.

    2.4 Brasile

    2.4.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    L'abolizione della schiavitù in Brasile, racconto di Patrizia Giancotti, RAI-Wikiradio, 13/05/2013.

    Slavery and Abolition in the 19th Century – Center for Digital Scholarship – Brown University Library

    La abolición de la esclavitud en HispanoAmérica y Brasil: nuevos aportes y debates historiográficos a cura di Carlos Aguirre, 2005.

    La abolición en el Brasil: movimientos sociales y políticos en el Sudeste Cafetalero di María Helena Pereira Toledo Machado, 2014.

    3. Europa

    3.1 Francia

     

    3.1.1 Enciclopedie

    In Wikipedia, Abolitionism in France (Abolition in continental France - 1315, “Code Noir” and Age of Enlightenment, First general abolition of slavery – 1794, Re-establishment of slavery in the colonies – 1802, Second abolition - 1848 and subsequent events), Per l’elenco delle voci sull’argomento dell’edizione in lingua francese dell’enciclopedia online:Catégorie Antiesclavagisme en France.

    3.1.2 Articoli/Saggi/Risorse didattiche

    French anti-slavery under the Restoration: “Société de la morale chrétienne” di Lawrence C. Jennings, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», Année 1994, 304.

    Ressources pour l'enseignement de l'histoire des esclavages et de leurs abolitions, Histoire et géographie, Ministère de l’Éducation Nationale.

    Victor Schoelcher (1804-1893). Une vie, un siècle, in <senat.fr>.

    Les abolitions francaises de l’esclavage (1789-1848) a cura di Gracia Dorel-Ferré, in Le Bulletin de Liaison des Professeurs d'Histoire-Géographie de l'académie de Reims, n. 14, janvier 1998.

    Les abolitionnistess français de l’esclavage, 1820-1850 di Nelly Schmidt, in «Outre-Mers. Revue d'histoire», Année 2000, 326-327.

    Enseigner l'histoire de l'abolition de l'esclavage, CANOPÉ, 25/11/2015.

    1848: l'abolition définitive de l'esclavage en France di Isabelle Bernier, 30/04/2020.

    3.2 Inghilterra (UK)

    SCHIAVI IMMAGINI PARTE II 3.2Fig.12: targa commemorativa dell’abolizione della tratta degli schiavi da parte del Parlamento britannico nel 1807. Fonte

    3.2.1 Enciclopedie

    ► Nell’Enciclopedia Britannica, la voce:Slavery Abolition Act -United Kingdom [1834] di Natasha L. Henry.

    Nell’Encyclopedia.com (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference),la voce:Abolition Of Slavery: British Empire.

    ► In Wikipedia, le voci:Abolitionism in the United Kingdom (Origins, Activists organize, Growth of the movement, Slave Trade Act 1807, Slave Trade Felony Act 1811, Slavery Abolition Act 1833, Campaigning after the act, Further reading),Abolition de l'esclavage au Royaume-Uni (Origines du mouvement abolitionniste britannique, Contraindre l'État britannique à abolir l'esclavage, L'État britannique, militant de l'abolition de la traite hors du monde britannique, Bibliographie). Per l’elenco delle voci sull’argomento nell’edizione in lingua inglese dell’enciclopedia online:Category Abolitionism in the United Kingdom.

    3.2.2 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Inghilterra 1807: l’abolizione della tratta degli schiavi di Massimo Ragazzini, in «Storia in Network», 9 luglio 2016.

    The Abolition of Slavery In Britain di Jessica Brain,The History Magazine- Historic UK.

    Abolition of slavery. teaching and learning resources for schools,The National Archives – Education.

    Parliament and the British Slave Trade, UK Parliament.

    The Abolition Campaign - The Unsung Heroes of Abolition, BBC.

    The abolitionist campaigns, BBC.

    Anti-slavery movement, Britain di Jason M. Kelly, 2009.

    British Anti-slavery di John Oldfield, BBC, 17/02/2011.

    Abolition in Britain: the link between slavery and the British national identity di Christopher Leslie Brown, in «BBC History Magazine» 08/06/2020.

    Abolitionism must come from below: A critique of British Anti-Slavery Abolition di David Scott, HERC - The home of criminology research at The Open University, 23/06/2020.

    Chronologie du débat sur l’abolition de l’esclavage en Grande-Bretagne, 1787-1840di Lucienne Germain, in «Revue Française de Civilisation Britannique», vol. XV, n. 1, 2008.

    3.3 Spagna

     

    3.3.1 Articoli/Saggi/ Risorse didattiche

    Spanish Antislavery and Africa, 1808–1898 di Christopher Schmidt-Nowara, paper presented at “Treating The Trata: A Conference on the Historiography of Ignorance and the Spanish Slave Trade,” Stanford University, April 9–10, 2010.

    La abolición de la esclavitud en España. Una aproximación comparada a los casos británico y francés di Germán Zubeldia Pérez, Grado en Historia – Facultad de Filosofía y Letras - Universidad de Cantabria, Curso 2016/2017.

    La economía política de la esclavitud: los argumentos económicos del debate abolicionista español del siglo XI di José Luis, in «Scripta Nova. Revista Electrónica de Geografía y Ciencias Sociales», vol. XXI, nº 567, 01/06/2017.

    Esclavitud, un episodio silenciado de la historia de España di Alberto León, 19/01/2020.

     

    [1] I grandi tabù della Tratta dei neri e il difficile rapporto fra protesta sociale e ricerca storica;

     Le verità spiacevoli della storia. Miti sugli indiani e realtà dello schiavismo.

    [2] Passato e presente negli attacchi ai monumenti sull'onda del Black Lives Matter;

     La “guerra delle statue”: dibattito pubblico e pratica didattica.

    [3] Antonio Prampolini,Wikipedia e le regole per la scrittura delle voci di storia,Novecento.org, n. 3, 2014; Gli storici dilettanti in rete: la scrittura della voce fascismo nell’edizione italiana di Wikipedia, ISREC Piacenza, 2017; Le donne nella storia secondo Wikipedia, ISREC Piacenza, 2017; Peter Haber, Wikipedia ist nichts für blutige Anfänger, 25/06/2010; Bundeszentrale für Politische Bildung, Wikipedia – Dossier, 2012.

    [4] Flavio Febbraro, Wikipedia, la palestra della storia pubblica: didattica “anche” in classe, Novecento.org, n.10, 2018; Jan Hodel,Wikipedia in sieben Schritten erkunden. Ein Vorschlag für einen geschichtsdidaktischen Umgang mit der Online-Enzyklopädie,in «Wikipedia in der Praxis», n.2, 2016;Philippe Weber,Die Geschichte der Enzyklopädie weiterschreiben. Eine Unterrichtseinheit mit Kommentarfunktion, in «Wikipedia in der Praxis», n.7, 2016.

  • Lezione 14. Politicità degli stereotipi sul medioevo: tra propaganda e luoghi comuni*

    di Giuseppe Sergi

    Il medioevo e il VAR

    Dossier di  “Mundus” interamente dedicato al Medioevo.1. Il Dossier di questo numero di “Mundus” è interamente dedicato al Medioevo: un autentico manuale destinato al docente.

    Se persino nel giornalismo calcistico si arriva a scrivere che il mancato ricorso al Video Assistant Referee in alcune competizioni internazionali significa «essere rimasti al medioevo» vuol dire che è il medioevo stesso, in sé, a essere uno stereotipo. Usato persino per un gioco che deve la gran parte delle sue regole attuali alla fine del secolo XIX, risulta altrettanto ingiustificato l’uso frequente dell’aggettivo «medievale» a proposito di matrimoni orientali combinati, lavori agrari imposti per compensi da fame, fedeltà «feudali» nei partiti politici, bande di camorra che taglieggiano gli abitanti di un territorio. È malcostume culturale che attinge a un medioevo «immaginario»1, l’unico davvero presente nella cultura diffusa.

    Se si ha la pazienza di fare una collazione fra le diverse voci medievistiche di Wikipedia e il dossier del 2010 di «Mundus»2 il confronto è sconfortante: sembra che si parli di realtà del passato completamente diverse fra loro. Sensazione simile a quella provata da uno spettatore, pur colto, che si trovi ad assistere a uno dei numerosi seminari, convegni o atelier che negli ultimi anni vedono sempre più coinvolti dottorandi e altri attrezzatissimi giovani medievisti. Quello spettatore può reagire commentando «ma questo non è medioevo». Fughiamo subito un dubbio: la medievistica professionale non è impegnata a rivalutare i «secoli bui»3 ma, analizzando con rigore vari aspetti del millennio cosiddetto medievale, si trova non a suggerire soltanto progressi e approfondimenti, non a proporre letture positive di un lungo periodo storico indubbiamente tormentato, bensì a combattere radicatissimi luoghi comuni che colorano di sé una nebulosa di conoscenze di cui risulta difficile liberarsi.

    [Cliccare sulle immagini per ingrandirle]

    Le categorie del Medioevo inventato

    La lettura del medioevo generata dall’Umanesimo e poi circostanziata dall’Ottocento alla metà del Novecento (fino alla ‘ripartenza’ dovuta al grande Marc Bloch), continua a essere quella dominante. Le cause, individuate nella pigrizia della manualistica scolastica4 e nella scarsa qualità della divulgazione5, sono state ampiamente analizzate: la diagnosi si è concentrata sulla carenza di etica professionale e di cultura delle redazioni editoriali e del giornalismo; e, inoltre, sui percorsi stentati di una public history che è ancora lontana dal garantire presa diretta con la ricerca specialistica e sano distacco dalle attese condizionanti dei destinatari6. Fin qua l’indice risulta puntato su informazioni superate, interpretazioni vecchie, e sulla sostanziale neutralità (inconsapevole?) dello stereotipo medioevo e dei suoi sottostereotipi interni7.

    In riflessioni degli scorsi anni ho individuato le cause del mancato aggiornamento in alcune categorie. La «semplicità» di alcune immagini tramandate da generazioni: come la piramide feudale e come l’azienda curtense compatta, chiusa all’esterno e fondata sull’«economia naturale» del baratto. La «deformazione prospettica» che, conducendo a vedere prima ciò che del passato è più vicino a noi, fa immaginare come residui medievali pratiche sociali in realtà nate dopo: un esempio è la famiglia allargata dell’età moderna o dell’Ottocento, mentre quella medievale era una two generations family, cioè coniugale-nucleare8; in parte è valido anche un altro esempio, quello della dinastizzazione dei poteri, molto più moderna che medievale9. E poi due categorie di psicologia della conoscenza, pur apparentemente opposte fra loro: l’«assimilazione», per cui al lettore inesperto di storia interessa ciò che è confrontabile con il presente (come l’alimentazione, l’abbigliamento, ma anche l’eterna oppressione dei ricchi sui poveri); e il «distanziamento», in cui l’esotismo di un passato lontano e oscuro valorizza il progresso e determina curiosità per ciò che è radicalmente diverso. È singolare che, nel senso comune poco acculturato, possano convivere due atteggiamenti mentali opposti: quello che genera affermazioni del tipo «non cambia mai nulla, chi può opprime sempre gli altri», e quello che suona la fanfara dell’unidirezionalità dello sviluppo e di «quanto si stava peggio un tempo». Sul piano politico-sociale in fondo questa compresenza non deve stupire, in entrambi i casi produce acquiescenza: perché è troppo difficile cambiare cose rimaste immutate per secoli, o perché basta affidarsi a un flusso positivo della storia.

    Uso politico del passato medievale

    Con l’ultima considerazione affiora la politicità, se pur generica, dell’uso del passato, e di quello medievale in particolare. La maggior parte degli esempi – finora appena accennati – non è ascrivibile alle «false notizie»10 costruite ad arte per fini più o meno propagandistici. Ci troviamo di fronte a ignoranza trasmessa, confortante e comoda, difficilmente scardinabile come tutti i pregiudizi: si potrebbe dedicare interamente al medioevo un volume come il ben più vario Il pregiudizio universalepubblicato nel 201611.

    È tuttavia utile, anche per non cedere alla rassegnazione, individuare elementi di quella «politicità» in vari luoghi comuni che continuano pervicacemente ad accompagnare il medioevo immaginario.

    La deformazione prospettica: il concetto di popolo

    Battesimo di Clodoveo.2. Battesimo di Clodoveo, “Chronique de Burgos”, Besançon, BM, ms 1150, circa XV sec.

    Appunto la «deformazione prospettica» è il terreno di coltura – psicologico e intellettuale – dell’operazione propagandistica che è più evidentemente e consapevolmente politica: il nazionalismo. È ben noto che Eric Hobsbawm ha dimostrato i meccanismi otto-novecenteschi di «invenzione» di nazioni grandi e piccole12. La scuola medievistica di Vienna – e Walter Pohl in particolare13 – ha cancellato l’idea che alla definizione dei diversi popoli in movimento nel primo medioevo corrispondano identità etniche. Patrick Geary ha illustrato bene il meccanismo di falsificazione14: i politici – ma anche molti storici asserviti o disattenti – partendo da rivendicazioni del presente cercano nel medioevo «realtà sociali e culturali distinte, stabili e oggettivamente identificabili», con il risultato di «cancellare quindici secoli di storia» perché del medioevo «sanno pochissimo». Anzi – insiste Geary – è proprio l’«oscurità» dell’alto medioevo «a renderlo facile preda dei sostenitori del nazionalismo etnico: alcune rivendicazioni possono essere fondate impunemente su un’appropriazione del periodo delle migrazioni, proprio in quanto pochissimi lo conoscono davvero».

    Vere e proprie politiche governative d’indirizzo – verso la scuola e verso la produzione storiografica – risultano attuali nell’est europeo15. In generale, con operazioni che non sono mai giustificate – sia che si tratti di nazionalismi ‘grandi’ oppure di comunità linguistico-culturali rimaste fuori dal disegno dei confini otto- novecenteschi – sono collocate in quel ‘prima’ oscuro (rispetto al quale solo i medievisti possono essere «professionisti della smentita») origini identitarie destinate a crollare a fronte di analisi accurate, quelle che dimostrano non solo la falsità di etnogenesi inventate, ma anche – caso per caso – che Alberto da Giussano non è mai esistito o che re Arduino d’Ivrea non era portatore di consapevoli rivendicazioni italiche16.

    Il «prima oscuro» (ritenuto scarsamente controllabile) si presta a spingere nel contenitore-medioevo vari argomenti che possono essere gestiti da destra e da sinistra (uso questi concetti in modo semplice e approssimativo).

    La piramide feudale

    Contadini che battono cereali.3. Contadini che battono cereali. “Salterio cisterciense”, Besançon, BM, ms 0054, f. cv, 1260.

    La summenzionata piramide feudale – purtroppo anche manualisticamente ritenuta funzionante già dagli anni di Carlo Magno – piace a destra per nostalgia di anni di ordinata gerarchia di poteri delegati da Dio, ed è mantenuta da sinistra da chi pensa che la rivoluzione francese abbia abbattuto un sistema che non si era creato solo nell’antico regime, ma che era un residuo medievale. Così si confermano due errori: non si vede l’autogenesi di signorie rurali non delegate e costruite da dòminiche non erano feudatari; si immaginano già nel medioevo alto e centrale feudi che contemplassero esercizio di autorità sui sudditi, secondo una prassi che è reperibile soltanto dal Due-Trecento in poi (perché in precedenza sui feudi non si aveva potere).

    L’autarchia della curtis

    L’immaginaria curtis chiusa e autarchica piace ai passatisti che evocano la semplicità della convivenza fra uomini non condizionati dal denaro, ma è anche denunciata – nei funzionamenti che non ha mai avuti17 – dai progressisti che ne fanno simbolo di ciò che precede il capitalismo, poi giudicato bene dal liberalismo e male dal marxismo: ideologie poi convergenti, con percorsi diversi, nel giudicare peggiore il precapitalismo, con una constatazione ovvia ma che d’altra parte impedisce la comprensione di meccanismi che caratterizzano almeno cinque secoli di storia. Non a caso entrambe insistono su una figura socio-economica, quella dei servi della gleba, che trova ben pochi riscontri nelle fonti.

    Il comune borghese

    Se saliamo di livello troviamo che un certo economicismo pigro accomuna le ideologie liberale e socialista nel giudicare il comune medievale (in particolare quello italiano) come tappa fondamentale di una rivoluzione borghese. Che cosa trascurano entrambe? L’origine prevalentemente aristocratica del primo ceto consolare comunale18; l’obiettivo scientemente perseguito dalle famiglie mercantili di salire di rango e di adottare stili di vita militari e cavallereschi19.

    Le nostalgiche comunità rurali

    Passiamo dal comune cittadino alle comunità rurali: questo è uno dei campi delle nostalgie variamente declinate. Le comunità medievali sono evocate positivamente – come modelli di solidarietà, di convivenza armonica, della prevalenza di interessi condivisi che mettono fra parentesi l’individualismo – sia da un certo comunitarismo cattolico sia da una parte dei più democratici movimenti per i «beni comuni»20. Si trascura un aspetto non secondario. Quelle comunità, quando spingevano per darsi un assetto istituzionale e per ottenere riconoscimenti documentati, non brillavano per altruismo21: lo scopo principale era ‘escludere’, escludere dai diritti contadini dei territori circostanti e anche, talora, espellere famiglie osteggiate dalla maggioranza.

    I saraceni onnipresenti

    Combattimento fra un saraceno e un soldato europeo.4. Combattimento fra un saraceno e un soldato europeo. Mosaico della basica di Santa Maria Maggiore a Vercelli, ora distrutta (secc. XI-XII).

    Una più fluida inclinazione politica di tutto l’occidente europeo si trova nella tendenza a trovare Saraceni dappertutto, sull’arco alpino e sulle coste marittime, e ad attribuire prevalentemente a essi saccheggi e devastazioni: questa proiezione delle brutture all’esterno preferisce ignorare ricerche degli ultimi trenta-quarant’anni che – a partire dalla constatazione archeologica che nel famoso «covo» di Frassineto non si sono trovati reperti arabi – dimostra che le bande di briganti erano miste, di origine composita, unite da provvisorie finalità di rapina22. Persino le fonti medievali hanno l’onestà di dire che certe scorrerie sono state compiute da «pagani» ma anche da «cattivi cristiani».

    La chiesa, fra stereotipi di destra e di sinistra

    La dialettica ideologica cambia segno nel campo della storia ecclesiastica, ma di nuovo si registra una convergenza. C’è un aspetto che integralisti cattolici, laici e atei, storici di ispirazione confessionale e studiosi anticlericali si sono spesso ostinati a ignorare: il fatto che prima della fine del secolo XI la chiesa non fosse monarchica, i vescovi non fossero funzionari papali, il pontefice fosse soltanto vescovo di Roma con un primato riconosciuto esclusivamente in campo teologico23. Con questa cancellazione di un pezzo di passato i credenti proiettano su tutto il medioevo l’idea successiva di una chiesa unitaria dal punto di vista organizzativo e istituzionale, e non solo da quello della comunanza di fede; gli anticlericali hanno buon gioco nel guardare a certi aspetti della chiesa moderna e contemporanea e nel definirli «residui medievali». I credenti cercano tutti i mali nelle fasi in cui la chiesa era «nelle mani dei laici»: trascurando che era normale che le maggiori famiglie aristocratiche avviassero alcuni figli alle carriere militari e altri alle carriere ecclesiastiche. I laici denunciano i poteri temporali dei vescovi come fossero tradimento della fede: ignorando la loro normalità in quel contesto, ma ignorando anche che la figura del «vescovo-conte», tanto cara alla manualistica scolastica, è stata da molti anni cancellata – almeno per l’aspetto tecnico-istituzionale – dalla migliore storiografia.

    Nuovi templari, catari e dolciniani

    Vescovo eretico che destituisce dei preti.5. Vescovo eretico che destituisce dei preti. “Decretum Gratiani”, Tours, BM, ms 0588, f. 244, circa 1288-1289.

    Le scarne considerazioni fin qui condotte lasciano volutamente da parte i casi di abuso del medioevo perpetrato da ambienti privi di qualsiasi credito. A destra c’è un profluvio di indocumentata propaganda che si richiama a princìpi di restaurazione di valori premoderni: nostalgici del Sacro romano impero a nord, neoborbonici a sud, templaristi ovunque. A sinistra ci sono pagine di adesione emotiva, inclini alla distorsione dei dati storici, di simpatizzanti di fra Dolcino, dei Tuchini e delle lotte autonomistiche delle comunità delfinali degli escartons. Non a caso può fare da ponte, fra due mondi così distanti, il neocatarismo: perché il denominatore comune è l’attrazione per la storia ‘misteriosa’, per la sopravvivenza sotto traccia di ispirazioni – elitarie o popolari – volutamente tenute nascoste dalla cosiddetta «storia ufficiale», che poi altro non è che la storia ben fatta24, fondata su quei dati incontrovertibili che non possono piacere alla trasmissione televisiva «Voyager». Sarebbe sbagliato imputare solo a internet l’ospitalità di queste opinioni, perché c’è sempre stato un sottobosco editoriale che è servito di sfogo ad autori non accreditati: anche se molti siti hanno aumentato la visibilità e la raggiungibilità di un medioevo falsificato e strumentalizzato.

    Stereotipi per turisti

    6 L'ospitalità dei pellegrini e dei poveri come opera di misericordia, Lleida.6. L'ospitalità dei pellegrini e dei poveri come opera di misericordia, Lleida.

    È giusto ricordare che è politica non solo quella ideologica che attraversa i secoli, ma anche quella piccola e pratica della promozione turistica. Forse non è fuori luogo qualche ricordo personale. Negli anni Novanta del secolo scorso un comune piemontese voleva che dimostrassi che il cavolo era coltivato nelle sue terre sin dal medioevo, sulla base di un documento che diceva tutt’altro: rinunciò, onestamente, almeno all’uso di quel documento. Un altro comune, sempre in Piemonte, voleva che dimostrassi la presenza fra le sue mura di Ottone III, sulla base di un diploma imperiale che addirittura lo collocava, senza ombra di dubbio, in Lazio: in questo caso non rinunciò a una grottesca cerimonia di investitura in costume, ovviamente con la presenza dell’imperatore. Nel 2000, dopo aver assistito a una mia conferenza torinese, in cui smontavo il mito dello ius primae noctis (che è stato autorevolmente dimostrato come inesistente da oltre mezzo secolo), un responsabile del Carnevale di Ivrea mi avvicinò complimentandosi, si disse convinto, ma mi pregò di non dire mai le stesse cose a Ivrea, per non mettere in crisi uno dei momenti fondanti della loro rievocazione. Nel 2017 dovetti rinunciare al ruolo di coordinatore scientifico del gruppo che promuove la candidatura della Via Francigena come patrimonio UNESCO perché – in una prima riunione a Firenze in cui sottolineai il carattere inventato di molti percorsi – mi si fece notare che non si potevano deludere i comuni che avevano già sostenuto spese per la messa in sicurezza e per la segnaletica. Anche a scopi di questo tipo serve il medioevo immaginario, scopi che certamente non hanno alcun rapporto con il rigore e con l’etica della cultura (su questo si veda G. Sergi, Via Francigena. Uso pubblico e realtà storica.

    Progressi storiografici e lentezza degli stereotipi

    Concludo con un altro ricordo personale, di ben diverso livello, utile a illustrare come da parte di alcuni si possa creare una connessione fra la presunta «crisi della storia» e la consapevole rinuncia al suo uso politico. Nel 2001 nella presentazione del volume, curato da Angelo d’Orsi, La città, la storia, il secolo. Cento anni di storiografia a Torino, Lorenzo Ornaghi, allora rettore dell’Università Cattolica, lamentò una sopravvenuta irrilevanza delle scuole storiche torinesi perché non c’erano più storici in grado di ‘fare opinione’, come Luigi Salvatorelli e Arturo Carlo Jemolo. In qualità di altro presentatore, sostenni – e ribadisco qui – che quello non è affatto segno di crisi, richiamandomi alle tesi di due grandi medievisti: Girolamo Arnaldi e Mario Del Treppo che, parlando di «libertà della memoria»25, avevano dimostrato che l’eliminazione di responsabilità d’indirizzo dell’opinione pubblica aveva enormemente migliorato la qualità della ricerca storica italiana, portandola finalmente, a fine Novecento, al livello delle maggiori storiografie europee.

    In tema di storia medievale non c’è crisi della ricerca, ma appare inscardinabile una barriera che separa i progressi storiografici dalla cultura diffusa, anche a causa di una semplice realtà: per gli usi e gli abusi della storia il vecchio medioevo – immaginato, tramandato, frainteso26 – va bene così com’è: e questa è una delle cause del perdurare dei suoi luoghi comuni.

    Note

    * Pubblicato originariamente in «Lessico di Etica pubblica», 9 (2018), n. 2.

    1 Medioevo reale-Medioevo immaginario. Confronti e percorsi culturali tra regioni d’Europa (Convegno internazionale di Torino, 26-27 maggio 2000), Città di Torino, Torino 2002.

    2 G. Sergi (a cura di), Il medioevo, in «Mundus. Rivista di didattica della storia», 5-6 (2010), pp. 90-191 (gli autori sono W. Pohl, G. Gandino, L. Provero, G. Milani, A. Gamberini, G. Albertoni, R. Rao, C. Ciccopiedi, B. Garofani, M. Gallina, A. Brusa, E. Musci).

    3 L’atteggiamento romantico di rivalutazione si riscontrava piuttosto nel «neomedioevo» del secolo XIX: R. Bordone, Lo specchio di Shalott. L’invenzione del Medioevo nella cultura dell’Ottocento, Liguori, Napoli 1993; T. di Carpegna Falconieri, R. Facchini (a cura di), Medievalismi italiani (secoli XIX-XXI), Gangemi, Roma 2018.

    4 V. Loré, R. Rao, Medioevo da manuale. Una ricognizione della storia medievale nei manuali scolastici italiani, in «Reti medievali. Rivista», 18/2 (2017), pp. 305-340.

    5 G. Sergi, La divulgazione storica alla prova del medioevo, in «Il Bollettino di Clio», nuova serie, 10 (2019), pp. 11-16.

    6 Id., Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori 2010 (dove, insistendo sulla necessità di tener conto dei destinatari, si conia la definizione di «storiografia percettiva») e Id., Soglie del medioevo. Le grandi questioni, i grandi maestri, Donzelli, Roma 2016: le parti non annotate del presente articolo fanno riferimento a temi sviluppati in questi due libri.

    7 Individuazione e analisi dettagliata in A. Brusa, Un prontuario degli stereotipi sul medioevo, in «Cartable de Clio. Revue romande et tessinoise sur les didactiques de l’histoire», 5 (2004), pp. 119-129.

    8 P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, tr. it. Einaudi, Torino 1995, pp. 267-299.

    9 P. Cammarosano, Nobili e re. L’Italia politica dell’alto medioevo, Bari Roma 1998.

    10 G. Vissio, Marc Bloch e le Fake News. Storia e verità all’epoca dei social network, in «Lessico di etica pubblica», IX (2018), pp. 107-119.

    11 Il pregiudizio universale. Un catalogo d’autore di pregiudizi e luoghi comuni, Laterza, Bari-Roma, 2016.

    12 E. Hobsbawm, T. Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, tr. it. Einaudi, Torino 1987; E. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, tr. it. Einaudi, Torino 1991.

    13 W. Pohl, Razze, etnie, nazioni, Torino, Aragno 2010; sulla scuola H. Wolfram, Origo. Ricerca dell'origine e identità in età altomedioevale, a cura di G. Albertoni, Università degli studi, Trento 2008. 14 P. Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, tr. it. Carocci, Roma 2009, p. 25.

    14 P. Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, tr. it. Carocci, Roma 2009, p. 25.

    15A. Brusa, Cronaca dell'invenzione di una tradizione: i miti di fondazione dell'Ucraina dalla preistoria al medioevo, in «Historia magistra», 23 (2017), pp. 33-52; Id., Miti di trasformazione. Morte e risurrezione dell’Ucraina: mitopoiesi storica dall’età moderna a quella contemporanea, in «Historia magistra», 24 (2017), pp. 41-59; D. Dani, Storia funzionale. Costruzioni storiografiche in Albania, in «Historia magistra», 27 (2018), pp. 36-58.

    16G. G. Merlo (a cura di), Alberto da Giussano: una leggenda nella storia, s. e., Giussano 2001; G. Sergi (a cura di), Arduino fra storia e mito, Il Mulino, Bologna 2018.

    17 R. Bordone, G. Sergi, Dieci secoli di medioevo, Einaudi, Torino 2009, pp. 335-351.

    18 H. Keller, Il laboratorio politico del comune medievale, tr. it. Liguori, Napoli 2014.

    19 J.-C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Il Mulino, Bologna 2004.

    20 Per il primo caso si rinvia a un ampio studio, pur egregio nella ricerca, in cui si percepisce quell’ispirazione: M. Della Misericordia, Divenire comunità. Comuni rurali, poteri locali, identità sociali e territoriali in Valtellina e nella montagna lombarda nel tardo Medioevo, Unicopli, Milano 2006; per il secondo U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, Bari-Roma 2011 (cfr. Sergi, Soglie del medioevocit., p. 87).

    21 L. Provero, Le parole dei sudditi. Azioni e scritture della politica contadina nel Duecento, CISAM, Spoleto 2012.

    22 P. Sénac, L'image de l'autre.Histoire de l'Occident médiéval face à l'Islam, Flammarion, Paris 1983; A.A. Settia, Barbari e infedeli nell’alto medioevo italiano. Storia e miti storiografici, CISAM, Spoleto 2011.

    23 C. Ciccopiedi, Governare le diocesi. Assestamenti riformatori in Italia settentrionale fra linee guida conciliari e pratiche vescovili (secoli XI e XII), CISAM, Spoleto 2016.

    24 G. G. Merlo, A difesa della storia. L’insopprimibile realtà del passato, conferenza tenuta alla Casa della Cultura di Milano, 10 marzo 2015.

    25 G. Arnaldi, Impegno dello storico e libertà della memoria, in Incontro con gli storici, Laterza, Bari-Roma 1986; M. Del Treppo, La libertà della memoria. Scritti di storiografia, Viella, Roma 2006, pp. 25-108.

    26 T. di Carpegna Falconieri, Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati, Einaudi, Torino 2011.

     

  • Liutprando di Cremona, "Il trono di spade" e il potere politico della letteratura

    di Paolo Chiesa

    Il tradimento motore del mondo

    George R. R. Martin, il romanziere americano che ha fornito la materia narrativa a The games of Thrones1 (in italiano Il trono di spade), uno dei serial più fortunati degli ultimi anni, avrà letto l’Antapodosis di Liutprando di Cremona2, scrittore italiano del X secolo? È molto improbabile, ma la domanda non è così peregrina. La somiglianza fra il mondo rappresentato da Liutprando e quello de Il trono di spade è sconcertante.

    Immagine1Fig.1: Il logo dell’edizione italiana de «Il trono di spade». Nel seguito dell’articolo sono proposti singoli fotogrammi tratti dal serialUna società fondata su rapporti di fedeltà e su accordi personali, dove il tradimento è motore del mondo, l’ambizione è primo movente, l’ipocrisia è regola di vita, la religione è potere, la stirpe è bene supremo, il diritto è fragile e incerto, la vita non è più valore; dove si parla la lingua delle armi, dove la vendetta si sostituisce alla legge, dove la morale sprofonda nella crudeltà e nella libidine. Una terra dove sorgono sfarzosi palazzi, circolano immense ricchezze, si preparano sontuosi banchetti e si indossano vestiti raffinati; una terra costellata da rudi fortezze, spaventose prigioni e orridi patiboli; una terra di feroci tiranni, popoli asserviti, spietati razziatori; una terra dove abili donne e astuti dignitari controllano deboli sovrani, con le arti del sesso, della religione, della magia; una terra dove titanici eserciti si scontrano in insensate battaglie, lasciando sul campo montagne di cadaveri. Una società che si crede civile, ma che è minacciata da popoli selvaggi: li ha relegati oltre una poderosa muraglia, ma essi attendono l’occasione di distruggerla.

    Immagine2Fig.2: Scena di battaglia (i Maccabei) ms. Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Periz. F.17, f. 9rSecondo le categorie di oggi, l’Antapodosis di Liutprando non è propriamente un’opera storiografica, nonostante historiographus si definisca l’autore3: l’oggetto di cui tratta sono «i fatti di imperatri e re» e «le azioni degli uomini illustri»4, un oggetto che la colloca fra l’historia e la comoedia5. La narrazione procede per aneddoti, accuratamente scelti per delectare il pubblico, secondo una visione molto laica e classica della letteratura, che nell’alto medioevo è piuttosto minoritaria6. Un piccolo repertorio di questi aneddoti può dare un’idea dell’insieme.

     

    La storia per cortometraggi

    Per iniziare: il baldanzoso Igor, principe dei Variaghi, attacca per mare Costantinopoli, ma i difensori della città scagliano contro le sue navi il fuoco greco, che non si può spegnere con l’acqua, e le distruggono7. Nella sanguinosa battaglia per il trono d’Italia fra Rodolfo di Borgogna e Berengario del Friuli cade un’intera generazione di guerrieri, di cui si sentirà la mancanza ancora dopo decenni8. La matrona romana Teodora fa eleggere papa un vescovo di cui è amante; la figlia di Teodora, Marozia, lo fa presto uccidere per mettere al suo posto il proprio figlio, avuto dalla relazione con un papa precedente9. L’invincibile imperatore Arnolfo di Carinzia, sceso in armi in Italia, beve una pozione avvelenata, propinatagli dalla moglie del suo avversario Guido di Spoleto, resta menomato ed è costretto a una penosa ritirata10.

    Immagine3Fig.3E poi: il re d’Italia Ugo di Provenza fa del suo palazzo un bordello, e ha figli illegittimi da numerose prostitute, da lui chiamate con nomi esotici e fantasiosi11. Ancora Ugo schiaffeggia in pubblico il figliastro Alberico, colpevole di avergli sbadatamente rovesciato addosso del vino; Alberico gli scatena contro una sommossa che affossa per sempre le ambizioni imperiali di Ugo12. Guilla, marchesa di Ivrea, braccata da Ugo che la vuole uccidere per eliminare il bambino che porta in grembo, fugge in Germania attraversando le Alpi nel cuore dell’inverno, fra inimmaginabili stenti13.

    Il principe bulgaro Bojan, grande mago, può trasformarsi in lupo e in altri animali14. L’ufficiale bizantino Romano uccide un leone a mani nude, e la fama che si guadagna in questo modo gli apre la scalata al trono15. I due figli di Romano cacciano il padre per impossessarsi del regno, e meditano di uccidere il fratellastro Costantino, che ha più diritti di loro; ma Costantino ha soldati fedeli, che arrestano i due con un’azione a sorpresa durante una festa16.

    Immagine4Fig.4Ma anche: Amedeo, emissario di Berengario d’Ivrea che è esiliato in Germania, scende in Italia travestito da mendicante, per suscitare la rivolta contro re Ugo; è talmente audace da chiedere l’elemosina al sovrano stesso, che gliela darà senza riconoscerlo17. Bosone, conte di Arles, mette in giro la voce che il fratellastro Lamberto, marchese di Toscana, non è figlio legittimo e non ha diritto al titolo; si organizza un duello per accertare la verità; Lamberto esce vincitore, ma subito viene imprigionato a tradimento, spodestato e fatto accecare dal rivale18. Ottone di Sassonia, in guerra con il fratello per il trono di Germania, vince grazie con il sostegno di una lancia sacra, nella quale sono incastonati i chiodi della Croce19. Rodolfo di Borgogna conquista il trono d’Italia grazie all’aiuto di Ermengarda, marchesa di Ivrea, che gli ha offerto il suo letto impegnandolo a un giuramento di fedeltà20.

    Immagine5Fig.5E infine: i selvaggi Ungari, rinchiusi dagli uomini civili dietro un’invalicabile barriera, riescono a uscirne grazie alle discordie dei sovrani occidentali; dopo aver cautamente esplorato il terreno, lanciano il loro attacco devastatore21.

    Sotto le mura di Milano, Burcardo, duca di Svevia, spiega in tedesco ai suoi uomini il piano per conquistare a tradimento la città; ma un mendicante che passa per caso conosce la lingua e svela la trama, si scatena la rivolta e Burcardo finirà ucciso22.

    Lasciamo ai lettori appassionati de Il trono di spade il gioco di indovinare quanti di questi episodi, come tanti piccoli cortometraggi ognuno in sé compito, corrispondano ad altri che si vedono nel serial; ma avvertiamo che si tratta di un gioco difficile, perché, se non tutti ci sono, tutti potrebbero esserci. Nell’Antapodosis mancano solo i draghi e i morti viventi; ma quelli sono personaggi di fantasia, e Liutprando parla del mondo reale.

     

    Immagine6Fig.6Spiazzare per divertire

    Di affinità, fra il serial e l’Antapodosis, se ne trovano altre, anche su piani più raffinati. Uno dei meccanismi narrativi più efficaci de Il trono di spade è quello per cui lo spettatore non ha mai una consolatoria certezza del futuro. Gli eroi positivi – o per lo meno non troppo negativi –, quelli su cui lo spettatore scommette per una possibile redenzione del mondo, escono talvolta improvvisamente di scena, vanificando le speranze.

    Ned Stark, che ci è presentato all’inizio come grande e nobile signore e guerriero, sia pure con qualche umana ombra, muore decapitato dopo breve tempo, in un momento e in un modo che lo spettatore non si aspetta; suo figlio Robb, che sembra destinato a ereditarne le qualità, non dura molto più a lungo, ucciso a tradimento durante un banchetto.

    Chi ha scritto la trama ha voluto così; e lo stesso avviene nell’Antapodosis, ma qui chi l’ha voluto è stata la Storia. Lamberto di Spoleto, re d’Italia, era probo, onesto, pio, autorevole, potente (dice Liutprando); era l’uomo «in grado di dominare tutto il mondo, primo dai tempi dei Romani»23, se il suo scudiero non l’avesse ucciso a tradimento, a vent’anni, durante una battuta di caccia nella foresta24.

     

    Immagine7Fig.7Spiazzamenti geografici

    Ma, fra gli espedienti narrativi, analoga è anche la sincronizzazione geografica, con il conseguente riposizionamento cui Il trono di spade, come l’Antapodosis, costringono il pubblico. I singoli personaggi vengono seguiti nelle loro vicende per un ampio tratto – lunghe scene, lunghi capitoli –, poi sono improvvisamente abbandonati, e di loro nulla più si sa per molto tempo – intere puntate, interi libri –, finché non ricompaiono all’improvviso quando la telecamera o il narratore li riprende dove li aveva lasciati.

    L’immagine visiva del serial rende in modo più facile e diretto il cambio di ambientazione, dall’uno all’altro dei Sette Regni e dei territori circonvicini; ma anche Liutprando, con minor ricchezza di mezzi ma non minore sapienza creativa, sa spiazzare il lettore saltando improvvisamente dall’uno all’altro dei suoi Due Regni (la Germania, l’Italia) e dei territori circumvicini (Costantinopoli, Roma).

     

    La fiction non sa essere ironica. Liutprando sì

    A dispetto della povertà di mezzi, l’Antapodosis può definirsi un capolavoro, mentre Il trono di spade non lo è; bisogna dirlo per recuperare le distanze, per distinguere fra ciò che è letteratura e ciò che è prodotto di cassetta. Lo si vede nella capacità che Liutprando ha nel manipolare il linguaggio: nel continuo mutare di registri, nell’inserire versi per innalzare il livello, nelle scelte lessicali a sorpresa, nelle citazioni nascoste, nello straniamento degli esotismi (parole greche nel testo latino, altro che il valyriano!). Soprattutto, lo si vede nella disincantata ironia della narrazione: Liutprando racconta con leggerezza, gioca col pubblico, e il pubblico ride, spesso con crudeltà, si diverte, si ricorda, e magari anche impara25.

    Solo qualche volta indulge al patetico, a una retorica in cui, si nota subito, è piuttosto a disagio. Lo fa quando parla del suo signore, Ottone re di Germania, perché con lui non era il caso di scherzare: anche Liutprando apparteneva alla società che così bene ci rappresenta, e ci teneva alla propria carriera e alla propria testa. A ridere del re si poteva finire malissimo, e questo era vero nel X secolo come è vero ne Il trono di spade.

    Nel serial, invece, l’ironia è confinata nel profilo di alcuni personaggi e appare nei dialoghi che li hanno per protagonisti, ma rimane occasionale e non diventa mai cifra narrativa. Tutto qui è drammatico, anche se nulla mai è tragico: i sentimenti sono sempre violenti e obbliganti, anche se possono essere rinnegati il giorno dopo in nome di sentimenti ancor più violenti e obbliganti; i personaggi sopravvivono alle peggiori disgrazie, alla perdita degli affetti più cari, alle più barbare violenze e alle più disastrose menomazioni, e subito si rimettono in sella e ripartono per nuove avventure.

     

    Archetipi antropologici, archetipi narrativi

    Come si diceva, è molto improbabile che George R. R. Martin abbia letto Liutprando; ma ha ben studiato il medioevo, per sua stessa ammissione, e l’ha rappresentato in una forma radicale che assomiglia molto a quella del X secolo: una società primitiva che, come quella di Westeros, si riteneva una raffinata civiltà, e della quale Liutprando era, fra tutti i suoi rappresentanti, uno dei meno primitivi, cioè uno dei più consapevoli del circostante. Ma, se Il trono di spade non copia l’Antapodosis e l’Antapodosis non può aver copiato Il trono di spade, le affinità devono spiegarsi in altro modo.

    Si potrebbero invocare comuni archetipi narrativi – per quanti degli episodi cui abbiamo accennato si troverebbero paralleli nella letteratura di qualsiasi epoca e cultura, a partire da Omero? –, ma è forse più utile parlare di un pubblico storicamente diverso ma psicologicamente uguale, che vuol soddisfare gli stessi bisogni: acquiescenza e trasgressione davanti al bene e al male, sentimento della giustizia e dell’ingiustizia, consolazione per la propria sorte guardando chi ne ha una peggiore, esorcismo di ciò che è mostruoso e diverso, attrazione e repulsione per ciò che è morboso, espressione in effigie (nella storia di altri) di sentimenti che non si potrebbero manifestare in società. E via dicendo.

     

    Spettatori medievali e moderni

    Gli spettatori che hanno guardato per un decennio Il trono di spade erano perciò incatenati allo schermo da meccanismi di attrazione profondi non dissimili da quelli che solleticava Liutprando quando scriveva l’Antapodosis. Non lo possiamo dimostrare, ma siamo convinti che il nostro scrittore, pur non disponendo di una loro definizione scientifica, fosse perfettamente cosciente di questi meccanismi, che usò anche in altre sue opere; così come ne erano coscienti gli autori del serial, che invece di una tale definizione disponevano e ne avranno fatto tesoro. A prima vista, c’è però un’enorme differenza di scala: gli spettatori de Il trono di spade si contano in centinaia di milioni, in ogni continente del mondo, i manoscritti conservati dell’Antapodosis sono a dir tanto una ventina, tutti lì fra Lotaringia e Baviera. Uno strepitoso successo di pubblico per il serial, un miserabile fallimento per un romanziere medievale con velleità di manipolatore?

    Immagine8Fig.8: L’edizione completa di A song of Ice and Fire di George R. R. MartinAl contrario, Liutprando è riuscito perfettamente nel suo intento, e gli effetti di quanto ha scritto, proprio per il modo in cui l’ha scritto, sono stati vastissimi e potentissimi. L’intento di Liutprando non era quello di piacere a un pubblico per meglio vendere un prodotto: il suo obiettivo era essenzialmente politico, a differenza (speriamo) di quello degli autori de Il trono di spade; questo obiettivo si è pienamente realizzato, e con inusuale permanenza nel tempo. L’immagine che Liutprando fornisce della società del X secolo, e in particolare i giudizi da lui formulati su alcuni personaggi e istituzioni di tale società, immagine e giudizi costruiti in funzione di obiettivi del proprio partito e della propria persona, sono stati accettati per secoli; ai venti manoscritti dell’opera fanno da contraltare le decine di cronache bassomedievali che hanno recepito quelle storie, le centinaia di opere storiografiche a stampa che, fino all’Ottocento, hanno raccontato quei fatti, e le migliaia di studiosi che fino a tempi recenti vi hanno dato credito.

     

    Immagine9Fig.9: Frontespizio dell’edizione delle opere di Liutprando (a cura di Josef Becker) nella serie in usum scholarum dei Monumenta Germaniae Historica, 1915Liutprando, un cortigiano in carriera

    La storia personale di Liutprando è la storia, comune nel medioevo e probabilmente in qualsiasi epoca, di un uomo che vive vicino al potere, e costruisce la sua vita in modo da assaporarlo sempre di più26. Proveniva da un’agiata famiglia di mercanti; era nato (ca. 920) e aveva passato la giovinezza a Pavia, sede del trono d’Italia; alla corte del re, Ugo di Provenza, era stato ammesso fin da giovanissimo, in qualità di cantore; dopo la rinuncia al trono di Ugo (945) era divenuto segretario particolare di Berengario, marchese di Ivrea e vero padrone del regno, che di lì a poco avrebbe ricevuto anche formalmente la corona; aveva nel frattempo ricevuto l’ordine diaconale.

    Un precoce percorso da medio dignitario di corte; ma questa promettente carriera si interruppe quando, per motivi a noi oscuri e in un momento imprecisato fra il 949 e il 955, Liutprando entrò in contrasto con Berengario. Passò allora al servizio di Ottone di Sassonia, re di Germania, che con Berengario era in conflitto poco o tanto latente; non possiamo sapere se questa soluzione fosse il disperato ripiego di un leccapiedi che stava perdendo tutto, oppure l’oculata scelta di un machiavelli che prevedeva giusto sul futuro dell’Italia. Alla corte di Ottone – una corte a suo modo intellettuale, nonostante il sovrano fosse illitteratus – Liutprando venne apprezzato forse per la sua cultura (a quanto pare pronunciò davanti al sovrano un’omelia da lui stesso composta in occasione di una Pasqua27) e certamente per le sue competenze linguistiche e diplomatiche: nel suo curriculum poteva vantare un’ambasceria a Costantinopoli, su mandato di Berengario, durante la quale aveva conosciuto l’imperatore bizantino in persona e aveva imparato un po’ di greco, che sommandosi al suo ‘latino’ di origine e al tedesco che si parlava a corte faceva di lui un poliglotta.

    Immagine10Fig.10: Berengario si sottomette a Ottone (ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 129 Sup, f. 88r)Probabilmente per queste capacità ed esperienze poté entrare in contatto con un altro ambasciatore, il vescovo spagnolo Recemondo, inviato a Ottone dal califfo di Cordova, cui dedicò l’Antapodosis28. Del resto Liutprando poteva servire al re di Germania anche per la conoscenza che aveva degli ecclesiastici e dei cortigiani italiani, conoscenza che sarà diventata molto utile quando il conflitto con Berengario scoppiò apertamente. Ottone scese in armi in Italia (961) e costrinse alla fuga Berengario e il figlio Adalberto, che era stato associato al trono; a Liutprando fu assegnato in questa occasione il vescovato di Cremona, certo come riconoscimento per i servigi prestati e come impegno per altri futuri.

     

    Il consigliere di Ottone

    Negli anni successivi Liutprando fu un consigliere fidato di Ottone, che nel 962 era stato incoronato imperatore; forse il consigliere più ascoltato per le faccende italiane. Per lui condusse un’ambasceria a Roma (primavera 963), per convincere papa Giovanni XII ad assecondare le posizioni imperiali; partecipò da protagonista, come portavoce e interprete di fiducia del sovrano, al sinodo lateranense convocato da Ottone nell’autunno di quell’anno, che si concluse con la deposizione del papa; nel 965 fu nuovamente inviato a Roma come rappresentante imperiale, per condurre le trattative che portarono all’elezione a papa di Giovanni XIII. Nel 966 seguì Ottone a Roma e poi in Puglia, dove gli diede – se dobbiamo credere a quanto ci dice29– importanti consigli strategici. Nel 968 fu inviato infine a Costantinopoli per combinare il matrimonio fra una principessa bizantina di sangue reale e il figlio ed erede di Ottone, che aveva lo stesso nome del padre; il fallimento di questa ambasciata avrà indebolito la sua stella politica, e successivamente egli compare sulla scena solo per compiti di routine. Morì prima del 28 marzo 973, quando a Cremona risulta ormai insediato un altro vescovo.

     

    Immagine11Fig.11: Prima pagina del manoscritto principale dell’Antapodosis di Liutprando, probabilmente manoscritto d’autore (München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6388, f. 8v)I tre libri di Liutprando

    Abbiamo presentato in modo abbastanza dettagliato la biografia di Liutprando, o almeno quello che della sua biografia ci è noto, perché quanto scrisse si può comprendere soltanto alla luce della sua vicinanza al potere. Tutto si concentra nello spazio di una dozzina d’anni, all’incirca fra il 957 e il 969. Fu in questo lasso di tempo che Liutprando scrisse le sue tre opere legate all’attualità politica: l’Antapodosis, che copre il periodo fra la fine del ramo diretto dei sovrani carolingi, con la deposizione di Carlo il Grosso nell’888, fino al 94930; la cosiddetta Historia Ottonis, cioè un libello apologetico a sostegno della legittimità dell’operato del sovrano nella deposizione di papa Giovanni XII31; la Legatio (o più correttamente Relatio de legatione Constantinopolitana), in cui si racconta la propria ambasceria a Costantinopoli del 968, nell’intento di attribuire alla corte bizantina la causa del fallimento32. Gli argomenti delle tre opere sono perciò diversi; ma, in fatto di lingua, di stile, di meccanismi narrativi, quanto abbiamo detto per l’Antapodosis, che è un’opera ampia e ha una molteplicità di situazioni e di personaggi, può dirsi anche per le altre due, che pure riguardano singole situazioni e hanno pochi protagonisti.

     

    Scrivere per vendicarsi

    Il titolo che Liutprando attribuì alla sua opera maggiore è Antapodosis: un titolo greco, in omaggio a uno snobismo dell’epoca e ancor di più a un proprio snobismo personale. Il significato del termine è ‘ricompensa’, ‘retribuzione’, ‘contraccambio’, anche con la sfumatura negativa di ‘ritorsione’, ‘rappresaglia’, ‘vendetta’. Con questo titolo Liutprando si autoconferisce una funzione di giustizia e di verità, secondo la massima biblica «non c’è nulla di nascosto che non verrà rivelato», che è fra le sue preferite33: lo spiega all’inizio del terzo libro, in un anomalo prologo interno, che aggiorna, precisa e un po’ contraddice quello canonico del primo libro.

    Il titolo di questo libro, padre santissimo, suscita in te grande stupore, ne sono certo. Dirai forse: “Visto che l’opera parla delle imprese di grandi personaggi, come mai è intitolata Ανταπόδοσης, Antapodosis?” Rispondo che lo scopo di quest'opera è quello di indicare, svelare e denunciare le nefandezze di codesto Berengario, che di questi tempi in Italia non dirò regna, ma tiranneggia, e di sua moglie Willa, che più propriamente è chiamata Iezabel per la sua sconfinata tirannide e Lamia per le sue razzie insaziabili.
    Tali e tanti sono stati infatti gli attacchi calunniosi, i saccheggi ladreschi, le empie macchinazioni che costoro hanno perpetrato senza ragione contro di me, la mia casa e la mia famiglia, che né la lingua può esporli, né la penna scriverli. Siano dunque per loro questi fogli un’antapodosis, una pariglia, in quanto smaschererò την ασεβεῖαν, la loro infamia, alle generazioni presenti e future, in contraccambio delle sciagure che mi hanno procurato. Non di meno, un'antapodosis sarà anche per gli uomini santi e fortunati, in contraccambio dei benefici che essi mi hanno procurato; perché, fra tutti i personaggi che ho fin qui citato o che saranno citati in seguito, quelli che non hanno concesso a me o alla mia famiglia dei benefici di cui rallegrarci sono pochissimi o forse nessuno; fatta eccezione per costui, per il maledetto Berengario34.

     

    Un uomo non buono che sembrava buono

    Antapodosis non è necessariamente un termine negativo, dice Liutprando, anzi non lo è quasi mai: lo è soltanto nei confronti dei suoi nemici, Berengario e sua moglie Guilla, che hanno fatto a lui e ai suoi tanto male da meritarsi un compenso molto duro. Su questa malvagità della coppia Berengario-Guilla Liutprando tornerà altrove nell’opera35, e anche nell’Historia Ottonis e nella Legatio36. Lui è un subdolo tiranno, che commette il più grave dei crimini contemplati dalla società feudale, tradendo il suo benefattore (cioè Ottone) e insieme i suoi fedeli (come è Liutprando); e in più è succube di lei, la più avida e immorale delle donne e la vera padrona del regno. La colpa di Berengario – o, possiamo pensare, di Guilla che manovra i fili di Berengario – è un fatto personale, oltre che un crimine politico, e Liutprando lo dice apertis verbis. Ecco quello che avviene quando Berengario dà l’assalto al trono, ostentando molte grandi virtù, e il commento che dà lo scrittore.

    I miei parenti, convinti dalla fama di umanità e della generosità di Berengario, mi mandano a servizio da lui, e ottengono per me, in cambio di immensi regali, l'incarico di segretario e cancelliere. L'ho servito fedelmente per lungo tempo; e lui – ahimé! – mi ha ripagato nel modo che a suo tempo racconterò. Qui dirò solo che la ricompensa fu così amara che mi avrebbe spinto quasi alla disperazione, se egli non mi avesse procurato molti compagni di similare sventura. A costui si può bene applicare ciò che è scritto: «Le penne dello struzzo sono simili alle penne dello sparviero e dell'airone. Ma quando verrà il momento, solleverà in alto le ali e si farà beffe del cavallo e di chi lo monta». Berengario, infatti, struzzo grande e vorace, finché erano vivi Ugo e Lotario si mostrava buono, anche se non lo era; ma quando essi morirono e lui venne unanimemente elevato al trono, quanto abbia sollevato le ali e quanto si sia fatto beffe di tutti, lo posso narrare non tanto con parole, quanto con lamenti e gemiti37.

    Immagine12Fig.12Con gli occhi di oggi, si potrebbe osservare che i parentes di Liutprando, nel momento in cui comprano per lui una posizione compensando lautamente l’astro nascente Berengario, stanno di fatto tradendo il re uscente e loro precedente signore, quell’Ugo di Provenza che ancora non era sconfitto e alla cui corte il giovane era stato allevato; ma questo, nella società del X secolo (e in quella de Il trono di spade) è un comportamento normale. Più interessante è il fatto che Liutprando in questo brano lega il suo destino a quello dell’intero regno: di Berengario, quell’uomo «non buono, ma che sembrava buono» sarà sua premura raccontare «quanto abbia alzato le ali e quanto ci abbia preso tutti in giro», dove i beffati sono i maggiorenti che gli hanno spianato la strada. E davvero intrigante è la promessa di raccontare a tempo opportuno il soldo con cui il padrone ha ripagato la sua «fedeltà nel servire». 

     

    Anche le vendette finiscono

    Una promessa – sia quella esplicita sul maltrattamento personale, sia quella implicita sul malgoverno generale – che però non verrà rispettata. Dopo il testo che abbiamo letto, l’Antapodosis procede ancora per poche pagine, poi rimane interrotta: in quel momento della narrazione, Berengario non ha ancora la corona e non può quindi comportarsi troppo male, e Liutprando si trova ancora speranzosamente al suo servizio. L’opera verrà brevemente riaperta anni dopo, con l’aggiunta di un episodio costantinopolitano cronologicamente consono, e dunque sempre precedente all’incoronazione di Berengario: Liutprando non perderà l’occasione per parlar male di lui, ma siamo sempre ai preliminari38. Il lettore aspetta con morbosa curiosità – come in una puntata del serial – di conoscere i crimini, quelli veri e imperdonabili, di cui si è macchiato il nuovo sovrano verso lo scrittore e verso il resto del mondo, ma non li verrà mai a sapere.

    Sui motivi dell’interruzione dell’opera, che possiamo ritenere frutto di incompiutezza e non di incidenti di trasmissione39, possiamo solo avanzare delle ipotesi, ma le ragioni più probabili sono da collegare a un cambio nella situazione politica generale e nella situazione personale di Liutprando. Nel 961 Ottone aveva cacciato dal trono Berengario e Guilla, e alla fine del 963 li aveva definitivamente sconfitti, imprigionati e deportati in Germania. Dal canto suo, lo scrittore aveva coronato la sua carriera: era diventato vescovo, apparteneva alla stretta cerchia dei consiglieri imperiali, gli erano affidati i più delicati e prestigiosi incarichi diplomatici. Una volta che tutti gli obiettivi erano stati raggiunti, perché continuare a scrivere un’opera sulle «azioni degli uomini illustri» che, al di là delle dichiarazioni di genere, era un testo essenzialmente militante?

     

    Immagine13Fig.13: Monogramma di Ottone IOttone, voilà!

    La storiografia degli ultimi trent’anni ha sottolineato il fatto che l’Antapodosis, con la sua storia per gossip, era molto più funzionale al progetto di governo ottoniano di quanto a prima vista sembrerebbe. Certo, Liutprando scrive anche per divertire e divertirsi, perché ha il gusto di raccontare e perché ha un pubblico – di corte, di alti ecclesiastici, forse di nobildonne – che sa apprezzare quello che dice40; ma alcuni indizi sparsi all’interno dell’opera permettono anche una lettura più sottile.

    L’Antapodosis ha inizio quando finisce l’impero di Carlo il Grosso, ossia al momento dell’interruzione della discendenza patrilineare legittima carolingia41; ma dopo Carlo altri cinque signori – Guido di Spoleto, suo figlio Lamberto, Arnolfo di Carinzia, Ludovico di Provenza, Berengario del Friuli – avevano assunto il titolo imperiale, ognuno con incoronazione dalle mani del papa. Di tutti costoro Liutprando racconta diffusamente le vicende, ma di nessuno dice mai che fu imperatore. L’immagine che si riceve è di una vacanza dell’impero dopo i Carolingi diretti: lo rifonderà Ottone, un sovrano di diversa estrazione, la cui forza non deriva dal sangue, ma da Dio e dalla virtù. Perché, a ben vedere, secondo un possibile criterio dinastico chi aveva le carte migliori era Adalberto, il figlio di Berengario e di Guilla, che vantava quarti di carolingità molto più consistenti, sia per parte di padre che per parte di madre, rispetto al parvenu sassone42.

     

    La santa Germania e l'Italia peccatrice

    Ancora, funzionale a questo progetto è la polarizzazione geografica: fra una santa e casta Germania, dove le regole sociali e morali sono rispettate, dove integerrimi re proteggono la cristianità da nemici infernali, dove pie sovrane rinunciano al secolo per ritirarsi in convento; e un’Italia empia e perversa, dove governa la corruzione e il tradimento, dove si assoldano infedeli per combattere cristiani, dove laide puttane tengono al guinzaglio papi e re.

    In Germania Enrico di Sassonia si leva dal suo letto di malattia per affrontare in battaglia e sbaragliare gli infedeli Ungari43; quegli stessi Ungari che distruggeranno l’esercito dei baroni italici, impegnati a farsi le scarpe a vicenda44, e a cui poi Berengario d’Ivrea verserà le decime delle chiese per tenerseli buoni45. Mentre in Germania Enrico mette al bando la simonia46 e suo figlio Ottone rifiuta sdegnato di cedere beni ecclesiastici a un vassallo che lo ricatta47, in Italia Lamperto compra l’arcivescovato di Milano da re Berengario, che gli presenta il conto preciso di quanto pagare a ciascuno dei suoi uomini48. In Germania la regina Matilde, madre di Ottone, celebra continue messe in suffragio del marito defunto, dimostrando la sua eterna e incrollabile fedeltà49; in Italia Ugo di Provenza lascia in bianco la moglie e si riempie di amanti, e il disordine è tale che non si capisce più chi sia figlio di chi, «visto che il re non era il solo ad andare a letto con loro»50.

     

    L'Italia è un paese governato da donne

    In Italia, e a Roma ancor più che altrove, governano le donne, «cosa che è un’infamia anche solo a dirla». È un oltraggio estremo all’ordine sociale, un’onta non più sostenibile che chiama un intervento purificatore. Fin qui arriva l’Antapodosis, lasciando il lettore ad attendere le colpe, e con il facile presagio delle punizioni, che del resto i lettori di Liutprando ben conoscevano per averle vedute. Ma a Roma il discorso riprende, in termini ancor più schiettamente politici, con l’opera seguente, la cosiddetta Historia Ottonis.

    Immagine14Fig.14: Danza macabra di Guyot Marchant, incisione del 1485Nonostante l’accenno iniziale alla tyrannis della casa d’Ivrea, che si collega idealmente all’Antapodosis51, il nemico non è più Berengario, che quando il testo vien steso è ormai sconfitto e prigioniero: il nemico stavolta è il papa, Giovanni XII, che pure aveva incoronato Ottone, ma poi gli era stato ribelle, e non importa che ormai anche Giovanni fosse morto, perché il conflitto ha più alte implicazioni istituzionali.

    Lo scopo dell’opera è dimostrare che la clamorosa deposizione del papa imposta dall’imperatore, un’azione difficile da giustificare dal punto di vista del diritto canonico, fosse non soltanto legittima, ma addirittura doverosa, stanti i crimini di cui il pontefice si era reso responsabile: simonia, spergiuro, malversazione dei beni ecclesiastici, tradimento del patto feudale, violenza privata, stupro, incesto, assassinio, blasfemia, sacrilegio. «Una ferita inaudita va bruciata con un cauterio inaudito!»52, come dice il sinodo romano asservito a Ottone nel pronunciare la sentenza. Tutto inconfutabilmente provato da autorevoli testimonianze; tutto puntualmente giudicato in un regolare processo; tutto definitivamente certificato dall’intervento divino, che fa stramazzare morto Giovanni, una volta deposto, in flagranza di adulterio.

    I crimini di Giovanni XII, la sua deposizione e la sua morte infamante sono il punto finale di una più ampia immagine che Liutprando ha creato del papato del X secolo, quello che una fortunata e morbosa definizione storiografica ha bollato come ‘pornocrazia romana’53. La sede di Pietro è precipitata in un baratro di abiezione; i Romani, per causa o conseguenza, hanno internazionale nomea di popolo di infami, pronti a vendersi a chi più paga54: al loro nome si associa, per antonomasia, «tutto ciò che è ignobile, vigliacco, avido, laido, falso, insomma tutto ciò che è vizio»55. L’ultimo papa religiosissimus, Formoso – ben inteso, quel voltagabbana che aveva consacrato imperatori, l’uno contro l’altro, prima Lamberto di Spoleto e poi Arnolfo di Carinzia, ma questo Liutprando non lo dice –, subisce il macabro oltraggio di avere il cadavere riesumato, sottoposto a processo, condannato e gettato nel Tevere56.

     

    Immagine15Fig.15Il governo delle prostitute

    Teodora, scortum impudens, impone sul soglio pontificio il proprio amante, Giovanni X, dopo avergli propiziato una brillante carriera ecclesiastica a Ravenna, e lo fa ai fini di una copulazione più frequente57. Una volta uscita di scena Teodora, la figlia di questa, Marozia, scortum impudens satis, fa imprigionare e poi uccidere Giovanni X, per imporre sul soglio pontificio il proprio figlio, Giovanni XI, concepito da un papa precedente, quel Sergio III che era stato responsabile del processo al cadavere di Formoso58. E sempre Marozia consegna Roma al suo terzo marito, il re Ugo di Provenza, che ha sposato al solo scopo di diventare regina e possibilmente imperatrice; ma Ugo non è simpatico a un altro figlio di Marozia, Alberico, che caccerà ignominiosamente il patrigno e getterà in prigione la madre, impadronendosi della città59. Giovanni XII, il papa deposto da Ottone per la ragione dichiarata che violentava pellegrine e brindava in onore del diavolo, è appunto figlio di questo Alberico, in una sorta di diadoché della perversione che qualcuno doveva pur spezzare. Il santo imperatore tedesco, appunto, che si erge così a custode e protettore di Roma, allora e per sempre.

     

    Il potere delle parole

    Liutprando è dunque maestro nel creare dei miti negativi: Berengario, Guilla, Teodora, Marozia, Giovanni XII, i Romani tutti; ma anche, qualche anno dopo, l’imperatore bizantino Niceforo Foca, quello che l’aveva maltrattato a Costantinopoli e che il nostro scrittore ricambiò descrivendolo come un mostruoso buffone60. Crea questi miti a servizio di sé stesso, per compiere le proprie vendette personali – l’antapodosis che si sente chiamato ad assegnare su questa terra, come un giusto retributore, prima che intervenga il giudizio confirmatorio di Dio – o a servizio dei suoi signori politici; ma possiamo credere che, anche in questo secondo caso, l’idea sia stata sua, e non derivi da un mandante politico che doveva avere meno fantasia.

    Nell’uno e nell’altro caso, il potere delle sue parole è stato straordinario, per efficacia e per durata. Sulla scorta di Liutprando, per secoli Berengario d’Ivrea è stato reputato un feroce tiranno, molto più feroce di quanti lo precedettero e seguirono; la Roma del X secolo è stata reputata un infame bordello, molto più depravata e perversa di ogni altra città conosciuta; Giovanni XII è stato reputato il peggior pontefice della storia, imbarazzante per la Chiesa cattolica che non riuscì a decidere se legittimare l’illegittima deposizione operata da Ottone o difendere l’indifendibile papa che l’aveva subita. Nemmeno il positivismo ottocentesco è riuscito a liberarsi del tutto dalle ammalianti suggestioni di Liutprando; ci sono riusciti gli storici degli ultimi decenni, smontando il mito e ridando il giusto contesto alle cose narrate. «Non c’è nulla di nascosto che non verrà rivelato». Ciò non vuol dire che Giovanni sia stato un santo papa, o Berengario un illuminato sovrano; ma che il giudizio su di loro va misurato attraverso la critica della fonte.

     

    Immagine16Fig.16: Corona ferrea (Monza, Tesoro del Duomo)Miti che diventano fiction

    La durata di questi miti negativi è una bella dimostrazione del potere politico della letteratura: un potere che la letteratura ha sempre avuto, anche perché spesso, in ogni epoca e paese, chi era nelle condizioni di scrivere si trovava anche a essere potente, o vicino ai potenti. I miti creati da Liutprando hanno goduto di una sorte particolarmente fortunata, favoriti anche dal fatto di avere deboli contraltari. La storia la scrivono i vincitori, e lui stava dalla parte dei vincitori; poco è rimasto che esprima la posizione della parte sconfitta, e quel poco ebbe ben scarsa circolazione, forse perché scientemente emarginato61.

    Nel caso di Berengario e Guilla la sorte – non possiamo credere che sia stata intenzione – ha fatto anche di più: i loro crimini appaiono ingigantiti dall’incompiutezza dell’Antapodosis, che lascia spazio a qualsiasi fantasia. Nessuno, per quanto sappiamo, ha chiuso a posteriori l’opera di Liutprando, raccontando quello che lui aveva soltanto promesso; non sono arrivati, in questo caso, degli sceneggiatori televisivi a completare, per la verità piuttosto male, la trama che George R. R. Martin non aveva (ancora) finito di scrivere. Anche stavolta il risultato è tutto a favore di Liutprando.

     


    Note

    1 Il ciclo originario di romanzi si intitola A Song of Ice and Fire; il primo di essi è stato pubblicato nel 1996.

    2 Il testo dell’Antapodosis sarà citato da: Liutprando, Antapodosis, a cura di P. Chiesa, con una introduzione di G. Arnaldi, Roma-Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori 2015. L’edizione critica di riferimento, per tutte le opere dello scrittore, è: Liudprandi Cremonensis Opera omnia, ed. P. Chiesa, Turnhout, Brepols, 1998 (CCCM 156); un ottimo commento è quello di François Bougard (Liudprand de Crémone, Oeuvres, Paris, CNRS, 2015).

    3 Nel prologo del VI libro dell’opera, scritto come si dirà a distanza di tempo dai precedenti, che ne costituiscono il corpo principale. Sul genere letterario dell’Antapodosis cfr. Staubach, Historia oder satira?Zur literarischen Stellung der Antapodosis Liudprands von Cremona, in Lateinische Kultur im X. Jahrhundert [= «Mittellateinisches Jahrbuch», 24-25 (1989-90)] pp. 461-87.

    Ant. I 1; III 1.

    5 Mens... utili comoediarum risu aut heroum delectabili historia refocilatur, dice lo scrittore, indicando uno degli scopi dell’opera)Ant. I 1. 

    6 In proposito cfr. ora P. Chiesa, Dalla Storia alle storie. Procedure stilistiche e destinatari nell’Antapodosis di Liutprando, in Fleur de clergie. Mélanges en l’honneur de Jean-Yves Tilliette, Genève, Droz, 2019, pp. 219-38.

    7 Ant. V 15.

    Ant. II 65.

    9 Ant. II 47-48; III 43.

    10 Ant. I 32.

    11 Ant. IV 14.

    12 Ant. III 45.

    13 Ant. V 10-11.

    14 Ant. III 29.

    15 Ant. III 45.

    16 Ant. V 22.

    17 Ant. V 18.

    18 Ant. III 47.

    19 Ant. IV 24-25.

    20 Ant. III 7-11.

    21 Ant. II 6-16.

    22 Ant. III 13-15.

    23 Ant. I 44.

    24 Ant. I 42.

    25 Sul comico e l’ironia in Liutprando restano fondamentali le pagine riservate a Liutprando da G. Vinay, Alto medioevo latino. Conversazioni e no, Napoli, Guida, 1978, [2a ed. Napoli, Liguori, 2003], pp. 391-432; sul valore didattico del riso, presentato esplicitamente nel prologo dell’Antapodosis, cfr. Staubach, Historia oder satira, cit., p. 468; C. Villa, Antecedenti mediolatini. Liutprando e il riso della corte ottoniana, in Passare il tempo. La letteratura di gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Roma, Salerno Editrice, 1993, I, pp. 51-66.

    26 Sulla biografia di Liutprando cfr. N. J. Sutherland, Liudprand of Cremona, Bishop, Diplomat, Historian. Studies of the Man and his Age, Spoleto, CISAM, 1988; P. Chiesa, Liutprando di Cremona, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. LXV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2005, pp. 298-303; G. Arnaldi, Introduzione, in Liutprando Antapodosis cit., pp. XI-XL.

    27 Il testo, scoperto e pubblicato da Bernhard Bischoff, si può leggere in Liudprandi Cremonensis Opera omnia, cit., pp. 153-65. Un possibile ulteriore sermone di Liutprando è ora segnalato da B. Valtorta, Riflessioni agostiniane sulla Pentecoste: un nuovo frammento di Liutprando di Cremona?, «Filologia mediolatina», 24 (2017), pp. 289-304.

    28 Una dedica che possiamo intendere come formale: in realtà, dato il contenuto dell’opera, di cui diremo più avanti, il pubblico effettivo cui essa si rivolgeva erano gli intellettuali che si riferivano alla corte ottoniana.

    29 Legatio 7 e 57. È difficile che Liutprando millanti, perché l’opuscolo in cui si trovano queste notizie è indirizzato proprio a Ottone, che poteva facilmente sbugiardarlo.

    30 A differenza delle altre opere, di breve estensione e legate a una situazione contingente, l’Antapodosis sembra avere avuto una gestazione più lunga: i primi quattro libri e i primi 32 capitoli del quinto, che trattano fatti entro il 947, sono stati scritti prima dell’incoronazione imperiale di Ottone del 962, e probabilmente mentre l’imperatore bizantino Costantino VII, morto il 9 novembre 959, era ancora in vita; la parte che possediamo del sesto libro (che racconta un fatto del 949 e che fu probabilmente l’unica che venne scritta) è invece successiva all’incoronazione di Ottone, e a quest’epoca sarà da riferire anche l’ultimo capitolo del quinto libro, che racconta un fatto non esattamente databile, ma che nel manoscritto principale fa corpo con il sesto libro. Queste sezioni più recenti potrebbero essere stati composte al ritorno dall’ambasceria costantinopolitana del 968 (cfr. Arnaldi, Introduzione, cit., pp. XXXVII-XXXIX). 

    31 L’opera sarà citata da Liutprando da Cremona, De Iohanne papa et Ottone imperatore. Crimini, deposizione e morte di un pontefice maledetto, a cura di P. Chiesa, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2018.

    32 Il testo si può leggere in Liudprandi Cremonensis Opera omnia, cit., pp. 187-218.

    33 Ant. I 42; V 33.

    34 Ant. III 1. la forma del testo che abbiamo presentato è quello della redazione finale dell’opera; ma in una fase precedente Liutprando aveva utilizzato in modo più massiccio il greco, aumentando lo smalto satirico: i nomi Lamia e Iezabel erano perciò scritti in lettere greche, al posto di tyranízat, atque uxoris eius Willae, quae si leggeva τυρανιζει και της γυναικος αθτου της Υουιλλας η, e al posto di hoc uno Berengario scilicet impio si leggeva τουτου του ασεβους.

    35 Ant. II 33; IV 8.11; V 10-11.27.29-30.32-33.

    36 In particolare nello straordinario incipit a sorpresa dell’Hist. Ott. (par. 1), dove Liutprando stravolge la consueta formula di datazione per bollare Berengario (e suo figlio Adalberto) di tirannia: Regnantibus immo saevientibus in Italia et ut verius fateamus tyrannidem exercentibus Berengario atque Adalberto... Ma cfr. anche Leg. 5, dove si dice che Berengario e Adalberto suggerente diabolo perfide violarunt il patto vassallatico con cui si erano legati a Ottone.

    37 Ant. V 30.

    38 Ant. VI, 2.6. 

    39 Sull’epoca e le probabili motivazioni della stesura del libro VI cfr. sopra, nota 30.

    40 Cfr. P. Chiesa, Leggere l’Antapodosis, in Liutprando, Antapodosis, cit., pp. XLIII-LXV, alle pp. LVI-LVIII; Id., Dalla Storia alle storie, cit.

    41 Uno degli imperatori successivi, Arnolfo di Carinzia, era ancora discendente di Carlo Magno in via patrilineare, essendo figlio di Carlomanno, figlio di Ludovico il Germanico e dunque nipote del fondatore; ma era figlio illegittimo.

    42 Il padre di Adalberto, Berengario di Ivrea, era figlio di Gisla, figlia di Berengario del Friuli, a sua volta figlio di Gisla, figlia dell’imperatore Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno. La madre di Adalberto, Guilla, era figlia di Bosone di Arles, figlio di Berta di Lotaringia, figlia di Lotario II di Lotaringia, figlio di Lotario imperatore, a sua volta figlio di Ludovico il Pio. In Adalberto si ricongiungevano perciò, in linea matrilineare, due rami dei nipoti diretti di Carlo Magno. Devo l’interpretazione dinastica, che spingerebbe i pubblicisti di Ottone a sminuire la casa dei marchesi d’Ivrea, a Giacomo Vignodelli, che sul tema ha pubblicato il paper Imperial Blood: Liutprand of Cremona and the Carlongian Descent of King Adalbert of Italy.

    43 Ant. II 25.

    44 Ant. II 15.

    45 Ant. V 32.

    46 Ant. V 27.

    47 Ant. IV 28.

    48 Ant. II 62.

    49 Ant. IV 15.

    50 Ant. IV 14.

    51 Ant. IV 8 (Berengarius iste, cuius tyrannide tota nunc luget Italia), da collegare all’incipit dell’Historia Ottonis che abbiamo citato alla nota 36.

    52 Hist. Ott. 15.

    53 Cfr. G. Arnaldi, Mito e realtà del secolo X romano e papale, in Il secolo di ferro. Mito e realtà del secolo X, Spoleto, CISAM, 1999, pp. 27-53.

    54 Hist. Ott. 17.

    55 Relatio 12; cfr. G. Arnaldi, Liutprando e l’idea di Roma nel medioevo, «Archivio della Società Romana di Storia Patria» 79 (1956), pp. 23-34; Id. Liutprando di Cremona: un detrattore di Roma e dei Romani?, «Studi Romani» 52 (2005), pp. 12-50.

    56 Ant. I 28-31.

    57 Ant. II 48: ne amasii sui ducentorum miliorum interpositione, quibus Ravenna sequestratur Roma, rarissimo concubitu potiretur.

    58 Ant. III 42-43.

    59 Ant. 45.

    60 Relatio 3.

    61 Fra queste poche fonti si possono annoverare un’opera di storiografia naïf, il Chronicon di Benedetto di Sant’Andrea al Soratte, che racconta le vicende romane da un osservatorio monastico non schierato (Il Chronicon diBenedetto monaco di S.Andrea al Soratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, ed. G. Zucchetti, Roma, Tipografia del Senato, 1920 [Fonti per la storia d’Italia 55]); un’opera oscura fino all’incomprensibile, ilPolipticum di Attone, arcivescovo di Vercelli, interpretato oggi come anti-ottoniana (cfr. G. Vignodelli, Il filo a piombo.Il Perpendiculum di Attone di Vercelli e la storia politica del regno italico, Spoleto, CISAM, 2011); gliAtti del sinodo romano del febbraio 964, riunito da Giovanni XII, una volta rientrato a Roma dopo la sua deposizione (cfr. Liutprando di Cremona,De Iohanne papa, cit. pp. 100-8). Tutti documenti con una trasmissione minimale, che non ebbero mai efficacia storica e politica.

  • Medioevo migratorio. Un libro utile per smontare stereotipi medievali e moderni. *

    di Mariangela Caprara

    Immagine1 Le ricerche sulle migrazioni, medievali e moderne, hanno una lunga storia, ci informa Giuliano Pinto commentando il libro di Ermanno Orlando, Medioevo migratorio (Il Mulino 2022), dal momento che prendono le mosse dagli anni ’80 del secolo scorso, grazie all’attività di Mario Mirri, Carlo M. Cipolla ed Elena Fasano all’interno della Società Italiana di Demografia Storica (SIDES). Il libro, continua Pinto, affronta il fenomeno delle migrazioni nell’arco di tutto il Medioevo - accostando dunque fenomeni di massa a movimenti di gruppi o addirittura di singoli - da una prospettiva specifica, quella delle comunità locali che hanno accolto gli individui nelle varie forme della loro mobilità.

    Questa prospettiva è congeniale a Orlando, che ha studiato a lungo Venezia, la città italiana forse più importante come centro di arrivo di migrazioni di varia natura, insieme a Roma (che però non ha ricevuto le stesse attenzioni nella ricerca). Il suo saggio mette in evidenza il contatto tra individui. Racconta le varie strategie che hanno permesso forme diversificate di integrazione: tra queste spiccano i matrimoni misti, che coinvolgono specialmente i gruppi di lavoratori maschi che si spostano per necessità di guadagno, e che consentono rapidamente l’ingresso in reti familiari, e dunque sociali, molto ramificate.

    Nel complesso, il millennio medievale appare molto aperto ai fenomeni migratori: le dinamiche di repulsione/espulsione appaiono marginali rispetto a quelle di integrazione o quanto meno di pacifica convivenza. Il Medioevo è peraltro padre dell’idea di ospedale come luogo di cura aperto a tutti. E anche la concessione della cittadinanza non appare difficile, anzi, è offerta, insieme ad altri tipi di incentivo, agli artigiani e alla manodopera specializzata di origine forestiera.

    Comunità marcate, come gli Ebrei, sono ben insediate: lo attestano i monumenti religiosi o di altro genere, legati alla loro vita come a quella di altri gruppi integrati (l’esempio vivo è appunto Venezia). Nella seconda metà del Quattrocento si comincia a registrare una stretta intorno alla mobilità migratoria, dovuta alla crescente chiusura delle oligarchie che vogliono bloccare i fenomeni di ascesa sociale. Diventa più vistoso lo stigma verso gli Ebrei (per cui si inizieranno a costituire i ghetti), e si definiscono nazionalità sgradite, come i Corsi e gli Albanesi, noti per le loro azioni piratesche sulle sponde tirreniche e adriatiche. Il ‘vagabondo’, ossia il forestiero povero, che non fa paura al mondo medievale, diventerà sempre più malvisto, e la parola acquisterà l’accezione negativa che ha ancora oggi.

    Migrazioni medievali e odierne

    Franco Franceschi, dal canto suo, ha esaltato la scrittura felice del saggio di Orlando, che, raggiungendo un pubblico più vasto, contribuisce significativamente a demolire gli stereotipi sul Medioevo. Tuttavia – avverte - bisogna evitare il fascino dell’analogia storica con l’età contemporanea. Esaminare le migrazioni nel corso del Medioevo significa sì evidenziare delle persistenze, come il timore generico dell’altro, la creazione di etichette negative per gruppi specifici, la pratica criminale che può attirare i forestieri poveri destinandoli al ruolo di sradicati. Va però tenuto conto del fatto che le fonti prestano più attenzione alle dinamiche problematiche che a quelle felici, e che le dimensioni del fenomeni medievali escludono facili parallelismi con la contemporaneità, soprattutto se si tiene presente che in generale l’assimilazione/integrazione è più rapida se i gruppi in mobilità sono di piccole dimensioni.

    La migrazione, con la diversità dei suoi motivi e dei suoi stili, è comunque riconducibile a ragioni individuali sulle quali in età medievale le decisioni politiche non incidono significativamente. Il quadro tracciato da Orlando è dunque animato da individui che assumono ‘identità plurime’, personaggi di storie diverse: ‘invasori’ dell’Alto Medioevo, monaci, studenti, mercanti, lavoratori, tutti contribuiscono a un fermento attivo, anche in assenza della formalizzazione del loro status di cittadini, e forse proprio per questo.

    Di Medioevo ben ricostruito abbiamo un bisogno estremo, soprattutto perché, rebus sic stantibus, la scuola non riesce a fare di questo millennio un tratto importante del percorso formativo. Sul Medioevo gravano stereotipi ormai inaccettabili, e la chiave delle migrazioni è sicuramente valida per demolirne più di uno. Il metodo di Orlando, peraltro, andando a individuare le microstorie nell’ampiezza del fenomeno, ben si presta a una riformulazione didattica attraverso la selezione di casi di studio ben delimitati e sintomatici.

     

    * Sintesi della presentazione del libro, avvenuta il 16 febbraio 2023 a Firenze, presso l’Istituto Sangalli.

  • MEME-NTO MORI. Ovvero come sfottere papi e imperatori al tempo dei social (e leggere attentamente il manuale)

    di Raffaele Guazzone

     

     

    Per un insegnante di storia la cosa più divertente sui social sono i meme sul Medioevo. Sfido qualsiasi collega a provare il contrario. Non sono solo io a dirlo: parlano i dati di accesso di pagine come Feudalesimo e Libertà pseudopartito filomedievale con tanto di merchandising a tema, oppure Alessandro Barbero noi ti siam vassalli, direttamente connesso alla crescente popolarità del docente universitario – il primo a guardare con ironia al suo strano ruolo di pop-star della storia, dimostrando in molti dei suoi interventi che è possibile fare divulgazione corretta e piacevole, anche ridendoci un po’ su.

    Ciò che più colpisce dei meme che circolano in rete, che sono ovviamente prodotto di appassionati e non di professionisti del settore (anche se forse qualche collega ci si trastulla volentieri…) è l’originalità, l’attualità e il lavoro di documentazione che spesso si nasconde dietro a quella che non è una semplice presa in giro, ma una forma di analisi del contemporaneo usando la storia non come pretesto, ma come punto di confronto.

    Piccola storia dei meme

    Il meme è forse la forma più bella e attuale di riappropriazione della cultura permessa dalla rete. È efficace, diretto, divertente, non guarda in faccia a nessuno, è facilissimo da realizzare, può diventare virale in un secondo e ciascuno può ri-manipolarlo a proprio piacimento. Sono quasi disposto a scommettere che fra 30 anni in università attiveranno un corso di Filologia del meme, e mi dispiace di non avere le competenze per aderire al bando di concorso, se mai lo pubblicheranno

     

     

    fig1Fig.1 Vignetta pubblicata nel 1919 dalla rivista satirica dell’Università dell’Iowa Wisconsin Octopus1921: forse il primo meme della storia. Fonte

     

     

    Ecco una rapida rassegna sull’origine del termine.

    Ciò che più mi interessa del meme, come fenomeno di comunicazione di massa, è il suo aspetto satirico e i suoi rapporti con il potere. “Feudalesimo e libertà” parte proprio da questo punto di vista: criticare la situazione politica attuale in chiave di confronto ironico con il passato, sbeffeggiando evidentemente chi questo confronto lo fa coscientemente, senza sapere granché di storia. Trollare chi sostiene che stiamo tornando al medioevo proponendo soluzioni pseudomedievali come agenda politica di radicale alternativa mi sembra geniale al di là della perizia storica delle informazioni su cui si basa la presa in giro e del latino/volgare maccheronico di cui ciascun meme è corredato.

     

     

    fig2Fig. 2 Contro l’abuso del medioevo e infografica di pseudopropaganda, 6 dicembre 2020. Fontefig3Fig. 3 Contro l’abuso del medioevo e infografica di pseudopropaganda, 4 dicembre 2020. Fonte

    Siamo di fronte a una tecnica nuova per una dinamica vecchia: parole e immagini per prendere in giro chi conta nella società, amplificate dalla velocità della rete e moltiplicate in modo esponenziale grazie alla facilità di manipolare, ricombinare e variare contenuti di partenza. Non sempre l’esito finale è all’altezza delle possibilità dello strumento, ma dobbiamo riconoscere che viviamo nel secolo migliore per prendere in giro il potere. Paradossalmente è proprio da questo punto che anni fa è partito il percorso di Beppe Grillo, oppure la fulminante carriera del neo-presidente ucraino Zelensky e comunque si valutino quelle esperienze, bisogna riconoscerne la novità nel panorama politico.

    Sfottere il potere

    La storia dei meme meriterebbe un bello studio interdisciplinare fra sociologia, arte, storia e comunicazione. Non è questa la sede e non posseggo le competenze per farlo. Nella programmazione di storia però ciascuno di noi dedica ampio spazio all’analisi delle forme del potere nel corso dei secoli, e una buona integrazione con letteratura consente di mettere in evidenza i contrasti fra cultura e potere: poeti, drammaturghi, pamphlettisti e rivoluzionari hanno versato fiumi d’inchiostro per criticare chi governa (non sempre nei limiti della libertà di parola). Le opere che generalmente hanno più successo, sia tra il pubblico dell’epoca che fra i nostri banchi, sono quelle in cui gli autori denunciano l’establishment a suon di battute, parodie e sberleffi.

    Introducendo la storia della letteratura, dedico sempre una lezione al ruolo dei giullari, riscuoto ovazioni leggendo i consigli di Gargantua su come pulirsi il sedere, e ai ragazzi lo scontro fra cattolici e protestanti arriva meglio con i grotteschi manifesti di propaganda di ambo le parti che con le analisi delle tesi di Lutero. Questi, peraltro, collaborò attivamente con Lucas Cranach per raggiungere un pubblico più vasto delle corti.  La storia della collaborazione fra Lucas Cranach e Lutero, corredata dalle immagini si trova qui.

     

     

    fig4Fig. 4. Due fedeli poco propensi a sottomettersi al rito del bacio del piede, mostrano al Papa tutto il loro disappunto. Incisione seicentesca da Lucas Cranach, su un’idea di Lutero stesso. Fonte

    Mi sembra impossibile spiegare il sistema industriale senza far vedere Tempi moderni di Chaplin, che si possano affrontare le trasformazioni dell’Italia dopo il boom economico senza Fantozzi. La lista è provvisoria, ma potrebbe arricchirsi all’infinito. Il punto è che prendere in giro non è mai un’operazione neutra: significa sempre, nella storia della cultura, confrontarsi criticamente con un tema, una figura, una situazione, prendere una posizione, ed esprimere il proprio dissenso con uno strumento differente ma altrettanto efficace del dibattito politico. Fare la storia del potere implica anche fare una storia della contestazione al potere stesso: dal punto di vista dell’efficacia, la satira vale quanto un proclama rivoluzionario.

    L’attività

    Nel corso della programmazione per il terzo anno (la classe è la 3ERR dell’Istituto Cossa di Pavia, lavoro nell’indirizzo alberghiero) ho inserito un’unità dedicata al contrasto fra papato e impero dal 1000 al 1300. Nel percorso emergono figure che purtroppo non si ha mai il tempo di approfondire a tutto tondo, sulle quali spesso ho assegnato ricerche individuali. Quest’anno, complici i tempi diversi della didattica a distanza e la necessità di proporre attività che coinvolgano gli alunni senza obbligarli ad ascoltarmi per ore con le loro precarie connessioni e i loro strumenti, ho modificato la proposta: visto che leggere wiki-relazioni copiate annoia anche me, ho chiesto ai miei alunni di prendere in giro uno dei personaggi che abbiamo incontrato sul manuale. La scelta è caduta su tre imperatori (Ottone I, il Barbarossa e Federico II) e tre papi (Gregorio VII, Urbano II e Bonifacio VIII).

    Ho creato una bacheca con Padlet, scegliendo il layout a colonne (la pagina è pubblicamente consultabile a questo indirizzo). Per ciascun personaggio poi ho aggiunto tre etichette, sotto le quali inserire le informazioni e le deduzioni frutto della ricerca di ciascuno dei gruppi tra cui ho diviso il lavoro: problemi da affrontare, punti di forza e punti deboli.

    Al termine della prima fase, dedicata all’analisi, i ragazzi hanno raccolto delle immagini da cui partire per elaborare l’output finale. Ho incentivato la loro creatività aggiungendo una ultima colonna, con alcuni esempi che man mano incontravo in rete.

    Ho creato poi delle stanze con Google Meet, per consentire a ciascun gruppo di riunirsi, fare un brainstorming, riflettere sul ritratto ideale del personaggio ottenuto durante la ricerca, esprimere e idiosincrasie e intuizioni di ciascuno nella valutazione vizi e virtù del protagonista prescelto, progettare l’immagine e la battuta di commento.

    Molti dei partecipanti erano già capaci di produrre meme in autonomia. Io comunque consiglio l’uso del software libero imgflip, che tra le altre cose permette facilmente di comporre e modificare immagini, testi, oltre che attingere ad un repertorio di immagini virali che i ragazzi ben conoscono e che sono liberi di utilizzare per integrare o sostituire la ricerca iconografica svolta in precedenza.

    I loro capolavori sono poi stati postati sullo stream di classroom. Qui pubblico gli esemplari più rappresentativi.

    L’attività è stata valutata come verifica formativa, usando come indicatori l’output finale, considerato sia per originalità che per coerenza storica, la cooperazione all’interno del gruppo, i materiali preliminari di ricerca pubblicati sulla bacheca di Padlet.

     

     

    fig5 fig6

     

     

    fig7 fig8 fig9

    fig10

     

     

     

    Usare bene il testo (e il contesto)

    Il testo principale del laboratorio è il manuale, che i ragazzi devono usare in maniera critica. I campi da compilare per ciascun soggetto implicano non una mera ricerca di fatti, ma una riflessione: non basta per esempio sapere che Urbano II lancia la prima crociata, bisogna ricostruire i problemi alla base dell’evento – in particolare, il tentativo di rafforzare ulteriormente la figura del papa nella diatriba con l’imperatore e la nobiltà europea. Bisogna insomma effettuare un’operazione di valutazione rispetto alle nozioni selezionate sul libro di testo. Cosa ci dice l’episodio dello schiaffo di Anagni su Bonifacio VIII? E sul suo successore, l’attuale papa Francesco, animato da una retorica dal tono abitualmente bonario, di cui però diventano spesso virali immagini che intenzionalmente rovesciano l’atteggiamento originario? Emblematica a tal proposito la diffusione della sua reazione alla fedele asiatica che lo strattonava in piazza San Pietro oppure l’intervento sul caso Charlie Hebdo (se uno “dice una parolaccia contro mia mamma, si aspetta un pugno”, dice in un’intervista a Marco Ansaldo pubblicata su Repubblica), al quale viene spesso associato un altro scatto che ha fatto ironicamente il giro del mondo, che però è stato probabilmente estrapolato da un’omelia in piazza San Pietro e decontestualizzato.

     

    fig11Fig. 11: Fontefig12Fig.12: Fonte 

    Progettare la presa in giro

    La parte finale del lavoro prevede l’elaborazione di un giudizio – anche a partire dalla sensibilità personale – sul malcapitato potente assegnato al gruppo. Per prendere in giro qualcuno, che ci animi la bonomia o la cattiveria, le linee d’azione sono sempre due: ingigantire i difetti o sminuire i pregi. Dinamiche adottate costantemente dagli autori dei meme che circolano in rete, con sfumature che vanno dal rovesciamento carnevalesco, all’iperbole, alla parodia, alla citazione postmoderna, al costante collegamento con la contemporaneità

     

     

    fig13Fig. 13 L’assedio al Campidoglio rivisto da Feudalesimo e libertà in data 10 gennaio 2021. Fonte

    Sfottere però non è un’operazione banale, a meno di non scadere nel triviale: implica consapevolezza, analisi, giudizio critico. La raccolta di informazioni preliminare è identica, come si è visto, a qualsiasi ricerca di approfondimento, quello che cambia è lo scopo: non spiegare, ma irridere, passando attraverso quella che tutto sommato è un’argomentazione di contenuti e di fatti storici, solo restituiti in una prospettiva ribaltata.

    Ricordati che devi morire

    L'idea è di prendere in giro i soggetti per i loro difetti e per le manie di grandezza, o di scherzare sul loro ruolo. Ma per farlo bisogna conoscerli, bisogna analizzare i fatti che li riguardano, le decisioni e le politiche intraprese.

    Non basta: bisogna empatizzare con i personaggi scelti, calarsi nei loro panni, cercare di interpretare il loro carattere alla luce delle fonti e dei fatti storici. E poi ribaltare completamente la prospettiva, per prenderli in giro, contaminando l'iconografia e l'immagine mentale che gli alunni hanno sviluppato nel corso del laboratorio con il quotidiano, con il gioco del meme.

    Insomma, un processo più evoluto che disegnare i baffi al papa o le corna al Barbarossa. Come ci insegna la pop-culture (sempre che questo termine abbia un senso - un senso univoco, intendo), se un graffito non è un semplice scarabocchio sul muro, anche la progettazione e la realizzazione di uno sberleffo come un meme può diventare un laboratorio di storia. E anche forse un processo politico, attraverso il quale lo studente di appropria del contenuto disciplinare trasformandolo con un linguaggio che è decisamente più suo che quello di chi scrive.

    L’ironia del meme insomma, giullarescamente, ci insegna che la storia non è fatta solo di papi e imperatori, e che a concentrarsi solo su quelli si perdono il divenire degli eventi, le trasformazioni di grande periodo ma anche la vita quotidiana degli individui. A scuola parliamo troppo di papi e poco delle pasquinate, troppo di Federico II e poco di chi lo prendeva in giro (siamo ancora qui a interrogarci sull’identità di Cielo/Ciullo d’Alcamo e sulla vera natura dei suoi testi); parliamo troppo del potere e poco, pochissimo del rapporto che la gente comune aveva con esso. Al di là di dei progetti magniloquenti, anche una attività piccola e agile come questa potrebbe rappresentare un passo avanti per consegnare ai nostri alunni una visione della storia che non sia una semplice successione di capitoli del libro di testo. Ma questa sarebbe già una grande revisione del curricolo.

  • Modelli di racconto storico: dalla ricerca alla didattica. Dal medioevo (e non solo).

    di Antonio Brusa

    Con Amedeo Feniello la prima sessione del seminario sulla narrazione storica si è concentrata sulle modalità e i temi del racconto storico: come raccontano la storia i ragazzi, e come la racconta lo storico? 

    Feniello FacebookFig.1: Amedeo Feniello, foto FacebookI ragazzi raccontano

    I loro racconti sono a disposizione di tutti. Basta cliccare sul sito Narrazionidiconfine.it e si potranno scaricare i quattro volumetti che raccolgono i racconti che gli allievi di secondaria hanno presentato al concorso “Che storia”, organizzato da Amedeo Feniello e Pietro Petteruti Pellegrino, giunto quest’anno alla quinta edizione. Sono centinaia di racconti che permettono di capire fondamentalmente due cose:

    1. Quali sono i periodi storici e gli argomenti che gli allievi prediligono.
    2. Quali sono le modalità preferite quando scrivono un racconto storico

    Fra i temi, la parte del leone la fa la storia contemporanea. Quella relativa alla seconda guerra e alla Resistenza, ma soprattutto il periodo “dei padri”, dal Sessantotto in poi. C’è stata una “fiammata medievale”, alimentata in particolare dal fantasy, che va lentamente spegnendosi (si vedrà quest’anno coi prossimi racconti). Fra i personaggi, prima per distacco è la strega. Amata soprattutto dalle ragazze e interpretata con un’ottica latamente femminista. Altri periodi storici sembrano sollecitare poco gli estri narrativi dei nostri allievi. Molto gettonata è la storia locale: racconto di una leggenda, un personaggio, un fatto (vero o di fantasia) avvenuto nel proprio ambiente.
    Interessanti anche le modalità del racconto. Le elenco

    1. Empatia. L’allievo finge di essere il protagonista e racconta in prima persona
    2. Lo scenario. L’avventura potrebbe svolgersi ovunque. La cura dei narratori è nella ricostruzione del contesto. Non è infrequente l’ “effetto Don Brown”: improvvisamente, da un angolo spunta un personaggio notissimo, che si scopre aver qualcosa a che fare con la vicenda.
    3. Impegnativo è il modello “docufiction”, un’avventura del tutto inventata, ma rigorosamente provata da una o più fonti
    4. L’oggetto. Si parte da un oggetto storico e attorno a questo si costruisce il racconto
    5. Ieri/oggi. La narrazione si sposta in continuazione fra ieri e oggi (es: Napoli durante le quattro giornate; Napoli oggi)
    6. L’epistolario inventato. Un fatto (di primaria importanza o anche marginale e non raccontato nei manuali) viene ricostruito attraverso la corrispondenza di due suoi protagonisti
    7. Il giallo. Incontra crescente interesse l’ambientazione di un giallo nel passato
    Inoltre, ogni racconto è corredato da una scheda degli insegnanti che ne hanno seguito la produzione, che descrivono metodi di lavoro, fonti usate. I racconti sono sempre collettivi.

    Lo storico racconta

    Amedeo Feniello ci permette di esaminare tre modalità di racconto, a partire da tre suoi lavori.

    Sotto il segno del leoneFig.2: Sotto il segno del leone FonteIl primo è Sotto il segno del leone. Storia dell’Italia musulmana (Laterza 2011). È la storia del tumultuoso e contraddittorio rapporto fra i musulmani arrembanti nel Mediterraneo e la nostra penisola. Si apre con l’assedio di Siracusa dell’878. Un lunghissimo e feroce assedio, che si conclude con la riduzione in schiavitù di gran parte dei siracusani, che vengono fatti sfilare, come prede di guerra, nella nuova capitale musulmana, Palermo. Si chiude con la triste vicenda di Lucera. Quando riuscì a domare le rivolte musulmane in Sicilia, Federico II deportò la popolazione superstite a Lucera. Lontano dalla loro patria, i musulmani fondarono qui una colonia che, col tempo, diventò fedelissima del sovrano svevo. La musica cambiò con gli angioini: bigotti (e diciamolo), non tolleravano questa enclave di infedeli. Che, quindi, alla fine del 1200 furono fatti prigionieri e venduti come schiavi.

    Il testo di Feniello funziona, narrativamente, per contrasti. Si apre con i musulmani vincitori e si chiude con gli stessi che diventano vittime.

     

    LacrimeFig.3: Dalle lacrime di Sybille FonteIl secondo testo è Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che inventarono la banca (Laterza 2015). Il tema è uno dei meno amati nella scuola italiana. La storia economica. Figuriamoci le complesse vicende che portarono, nella Toscana del XIV secolo, alla formazione delle prime banche e, con queste, alla nascita dei primi germi del capitalismo. L’espediente letterario adottato da Feniello è quello di rivivere questa vicenda astratta attraverso la figura di una donna, Sybille, una signora provenzale alla quale le banche fiorentine rubano l’intero patrimonio. La donna non si scoraggia e porta gli interlocutori (fra questi ci sono i fratelli Villani, che evidentemente non erano solo interessati a scrivere cronache) di fronte al giudice. Non ce la fa. Il nuovo potere è inarrestabile, caratterizzato dalla ferrea logica del denaro, privo di qualsiasi pudore: pensate che per vincere, quei banchieri cercarono di dimostrare che la ricorrente, Sybille, semplicemente non esisteva.

     

     

     

    DemoniFig.4: Demoni, venti e draghi FonteIl terzo è Demoni, venti e draghi. Come gli uomini hanno imparato a vincere catastrofi e cataclismi (Laterza 2021). Qui lo storico non racconta più personaggi o singoli eventi. Ora scrive la storia di tre macroaree geografiche - il Mediterraneo (il mondo dei demoni); l’Oceano Indiano (il mondo dei venti); la Cina (il mondo dei draghi) – alle prese con la tempesta perfetta. La crisi del XIV secolo. Una catastrofe nella quale si intrecciarono la crisi ambientale (la miniglaciazione), la crisi economica (il fallimento delle banche), e la peste (si prega di fare gli scongiuri per ogni analogia). Come gli uomini reagiscono? Qui, il motore della narrazione non è la differenza religiosa o l’odio etnico o la brama dei guadagni. Il motore è totalmente astratto: il paesaggio adattativo. L’uomo modifica totalmente il proprio rapporto con la natura, il proprio assetto sociale. E così facendo, supera la prova.

     

     

     

    La didattica del racconto

    Come utilizzare questi lavori in classe? Il livello base è a disposizione di tutti. Si legge il libro, se ne ricava uno spunto narrativo, lo si racconta in classe. Su questa ossatura didattica si possono innestare varie attività: lettura di qualche pagina, ricerca di illustrazioni a corredo della lezione (ecc.). Il “racconto-base”, tuttavia, nasconde quello che è lo specifico del lavoro dello storico: il rapporto con le fonti. Nel libro, questo è messo in evidenza dall’apparato delle note, spesso percepito come un insopportabile appesantimento erudito. Nella didattica andrebbe messo in rilevo attraverso forme opportune di didattica partecipata. Ne elenco alcune

    a. Quando il racconto è centrato su un fatto o su un personaggio (l’assedio di Siracusa o Sybille), possiamo progettare un “miniarchivio”. Ricaviamo dal testo le fonti (i lavori di Feniello si prestano benissimo). Le adattiamo alla classe (prima media o terza superiore). Sono tutte fonti narrative. Bastano una decina di brani. Fingiamo di aver trovato il dossier in un vecchio archivio. Ne facciamo quattro copie e le distribuiamo ad altrettanti gruppi. Una breve introduzione (“siamo nel secolo IX, i musulmani attaccano la Sicilia. Abbiamo trovato delle fonti di quell’evento, ma non sappiamo di che cosa parlino con precisione”). I ragazzi devono ingegnarsi a scoprire personaggi e vicende. La storia eventografica (ché di questo si tratta) ha dalla sua il fatto che si snoda attraverso una cronologia ed ha come protagonisti dei personaggi in carne ed ossa. E questo fornisce un’ottima base per le domande da fare alle fonti. Gli allievi lavorano. L’insegnante fa un tutorato molto leggero. Non importa se sbagliano o prendono delle cantonate. Alla fine si legge quello che si è capito. Il lavoro si chiude con la lezione dell’insegnante che fornisce i termini giusti della vicenda (e magari invita a leggere il libro che non è male). Il lavoro va condotto con mano leggera. Non è una vera ricerca. Quindi non immaginate che duri chissà quante ore. Diciamo due (magari a casa scrivono il risultato del lavoro) e poi un’ora per il debriefing.
    b. Quando il racconto è di carattere astratto (la seconda parte di Sybille o Demoni, Venti e Draghi) questo modello non può essere ovviamente applicato. Suggerisco due alternative.

    B1: la lezione documentata. Preparo una lezione di sintesi del libro. Cerco nel testo di Feniello una decina di documenti che si riferiscono a punti precisi della mia sintesi (se la classe è competente anche di più). Possibilmente iconografici. Se sono scritti, che siano molto brevi. Preparo i quattro dossier. Li consegno agli allievi e concedo qualche minuto perché ne prendano visione. Poi inizio la mia lezione. Gli allievi la devono seguire con gli occhi puntati sui documenti. Infatti, quando mi fermo (o do un altro genere di segnale), gli allievi devono mostrare il documento che si riferisce a quel momento della mia lezione. Si può dare un po’ di pepe a questa attività, imbastendo una gara a squadre, con punteggi a chi primo azzecca il documento, e parallele penalità per chi sbaglia la citazione.
    B.2 Il racconto sinottico. Ricavo dal testo tre timeline relative alle tre aree geostoriche: Mediterraneo, India, Cina. Curo che siano modulari (inizio, parte centrale, esito). Gli allievi le devono inscrivere in una tabella a tre colonne, una per ogni regione. Proveranno, utilizzando i dati della cronologia, a imbastire dei racconti. Leggendo le colonne in verticale, saranno quelli che riguarderanno una sola regione per volta. Ma se si legge in orizzontale, potranno provare un racconto sinottico. Qual è l’inizio della storia nelle tre regioni? Cosa succede dopo x anni? Come va a finire? Anche in questo caso, la narrazione può essere suddivisa nei gruppi, e poi montata in plenaria. Ovviamente, alla fine, la lezione del professore darà il quadro completo della vicenda.

    Il seminario

    Logo Il seminario è organizzato da Palazzo Ducale, Genova. Si svolge online. La seconda sessione di lavoro sarà con Marina Gazzini. Vedremo i racconti falsi: quelli medievali e quelli odierni. Che farsene? Li buttiamo, insegniamo a evitarli come la peste o troviamo un modo per fare storia anche con questi?

  • Piramidi molto imperfette

    Autore: Antonio Brusa
    I manuali di storia dei licei

    Introduzione
    L’Indice dei libri del mese di aprile pubblica l’inserto sulla scuola, il ventiseesimo della sua lunga vita. Questa volta è dedicato ai manuali di storia. Vi potete leggere una lunga intervista a Roberto Gulli, ora direttore di Pearson Italia (è stato a lungo alla guida della Bruno Mondadori), un’indagine su come i manuali trattano il tema della Shoàh e un intervento di Rachele Pasquali su di un fenomeno di attualità, i libri “fai da te”. In mezzo anche un mio studio, sui manuali di storia del liceo, che l’Indice mi permette di ripubblicare qui. Ne presento, dunque, una versione più ampia (la rivista di carta ha leggi diverse dal digitale, ed è giusto approfittarne), ma cerco di dare conto del dibattito, così come emerge anche dagli altri interventi.

    Studio i manuali da più di trent’anni (e ne scrivo da una quindicina). Ho sempre sostenuto che i manuali sono un oggetto di estrema complessità, che non è lecito banalizzare nella facile opposizione “manuale sì-manuale no”, o in quella più recente che oppone la comunicazione cartacea a quella digitale. Questa complessità è per così dire strutturale, cioè coinvolge nella sua fabbricazione una notevole quantità di figure intellettuali; ma è anche funzionale, perché coinvolge nell’uso molti soggetti sociali (dall’editoria, all’università, alla scuola, con i professori e gli studenti). Questo “dispositivo” ha sedimentato dentro di sé l’intera storia dell’istituzione, da quasi due secoli. Qualsiasi scelta che facciamo a suo riguardo è difficile e problematica. Abbandonarlo? Ma per che cosa, con quali vantaggi o quali nuovi pericoli? Usarlo ancora? Ma in che modo, e – soprattutto – come modificarlo e adeguarlo ai nostri tempi?

    In entrambi i casi, i futuri sono talmente incerti, che occorrerebbe muoversi con attenzione, avendo alle spalle seri studi, e non le velleità di ministri che si succedono a ritmo sostenuto o le pensate estemporanee di questo giornalista o di quel dipartimento scolastico di storia.

     
    Le piramidi di Amenemhat e di Snefru (medio regno), fotografate nel 1858


    1.    Quali sono i manuali più adottati nei licei
    La classifica dei manuali più adottati nei licei si apre con iltesto di Antonio Brancati e Trebi Pagliarani,Dialogo con la storia e l’attualità, della Nuova Italia. Paragonabile per longevità al solo Manaresi (il testo che transitò quasi indenne dal Fascismo alla Repubblica), questo libro ha percorso l’ultimo mezzo secolo, riuscendo molte volte a primeggiare nei favori dei docenti. Unisce un solido impianto narrativo all’attenzione per gli umori didattici diffusi: le fonti, il rapporto con il presente, la geostoria, i personaggi, i problemi, i concetti chiave, costituiscono le rubriche fisse che intervallano il racconto.

    Secondo è Valerio Castronovo,MilleDuemila. Un mondo al plurale, della stessa casa editrice. E’ un libro dall’impianto diverso, nel quale il testo scorre senza interruzioni, e le sole parti aggiuntive sono quelle rigorosamente contemplate dall’accademia: le fonti e la storiografia. 

    Segue il manuale di Francesco Maria Feltri, Maria Manuela Bertazzini e Franca Neri, La torre e il pedone, della Sei, centrato su un racconto “anche dalla parte dei perdenti”.

    Gianni Gentile, Luigi Ronga e Anna Rossi sono gli autori dellaquarta opera in classifica,Millennium. Storia e geostoria del mondo, della Scuola, caratterizzata da un testo sintetico, a volte ai limiti dello schema, spesso intervallato da approfondimenti e bilanciato da un corposo apparato di rubriche, documenti e discussioni.

    Chiudono il quintetto Vittoria Calvani e Michela Volante, Spazio Storia, Arnoldo Mondadori Scuola  che si segnala per la scrittura continua e molto scorrevole, interrotta di tanto in tanto da brevi riprese di fonti, con una questione storica affrontata alla fine di ogni capitolo (in seguito citerò i manuali col nome del primo autore).

    2.    Un po’ di conti, per capire “perché” i manuali di storia vengono adottati
    Messi insieme, questi cinque libri prendono intorno al 20% del mercato. Un tempo questa sarebbe stata la cifra del solo leader. Oggi, il primo ottiene circa il 7%; il quinto poco più del 2%. La conclusione ovvia è che la stragrande maggioranza degli insegnanti odierni appare incerta, divisa com’è fra decine di testi la stragrande maggioranza dei quali non supera il 2%.
    Questa situazione è specifica della storia. Se prendiamo in considerazione, infatti, il mercato dell’altro grande libro umanistico, la letteratura italiana, vediamo che esso fa perno intorno a due modelli (il Baldi della Paravia e il Luperini della Palumbo). Ma più chiaro ancora – dal momento che l’insegnante è il medesimo - è il confronto con la filosofia, nella quale un autore, il Fornero-Abbagnano della Paravia, prende con le sue diverse versioni oltre il 45% del mercato. Il ricercatore, abituato a considerare il proprio come specchio del mondo, sarebbe propenso ad attribuire questa frammentazione alle “incertezze della storiografia” e alle “storie non condivise”,  malattie intorno alle quali ama dilettarsi da almeno quarant’anni.

    La realtà sembra essere un’altra. Posto che tutti i manuali che qui analizzo si innervano in quella che solitamente si chiama “storia tradizionale” (come vedremo), le variazioni riguardano fondamentalmente la loro configurazione didattica, quel costrutto di testo e paratesto che sfugge, in genere, al controllo dell’autore/storico: iconografia, strumentazione didattica, come cronogrammi, schemi e prove di verifica, rubriche, per non parlare dei materiali online. I manuali cercano di catturare gli “stili di insegnamento”, più che l’idea di storia dei docenti. Il leader vero odierno, quindi, non è più un autore, ma una casa editrice, la Bruno Mondadori, che con una discreta schiera di manuali rastrella il 23% del mercato. Ho contato dal suo catalogo (ma non sono affatto sicuro di essermi sbrogliato adeguatamente fra edizioni rosse, verdi e blu, online e cartacee) ben 28 corsi per il triennio.

    3.    Lo “stile di insegnamento”
    La diversità degli stili si coglie nei due manuali della Nuova Italia. Il Brancati deve il suo intramontabile successo al fatto che centra quello che potremmo definire l’idealtipo del rapporto fra insegnante e allievo: uno assegna, l’altro studia. E’ una macchina oliata nel corso degli anni. Il docente riconosce con chiarezza l’argomento da spiegare. Lui e l’allievo non devono perdere tempo a cercare la Lotta delle investiture o il Sacco di Roma. Quando il docente vuole, fanno una sosta su questa o quella rubrica – tutte molto rapide -  che l’autore ha predisposto lungo la sua narrazione. Altrimenti, salta. Ed è l’unico sforzo che gli si chiede, in un percorso che prevede una sola direzione, dal principio del libro verso gli indici finali.

    L’altro, il manuale di Castronovo, si rivolge a un docente che, al contrario, non ama interruzioni. Anche in questo caso, la direzione di lettura è sempre in avanti. Quindi, il docente spiega il capitolo, e quando ritiene importante fermarsi a discutere, lo può fare distesamente alla fine della trattazione, con documenti lunghi e brani storiografici impegnativi (i brani e i documenti di Brancati, invece, sono al confronto assai brevi).

    4.    La storia fuori dalla storia
    Ciò che distingue un testo dall’altro, dunque, è il paratesto, o meglio ancora, il rapporto fra testo e paratesto. Si va da un massimo, il libro di Gentile, nel quale l’uno e l’altro grosso modo si pareggiano, a un minimo, quello di Calvani, con pochissime interruzioni di una narrazione che incorpora fatti, problemi, aneddoti, curiosità e discussioni. Fanno gioco le quantità. Calcolando quelle fino alla Crisi del Trecento (cioè tutto il Basso Medioevo), si va dal centinaio di pagine dedicate da Feltri alle oltre 300 di Calvani (gli altri tre manuali si attestano intorno alle duecento). Una differenza così evidente, che non può non avere esiti sull’immagine stessa del periodo.

    Diventa fondamentale un requisito “materiale” di questo libro: il suo peso. Ricorderete la polemica di qualche anno fa, e le direttive ministeriali e giuridiche che la accompagnarono (ci fu un pretore che stabilì che il loro peso complessivo non doveva superare un terzo del peso del loro sfortunato portatore). Questa polemica, unita a quella sul costo dei manuali ha inciso sulla foliazione, e conseguentemente sull’opera di sfrondamento dei testi. L’abbattimento dei volumi-impressionante per le medie-per quanto riguarda i licei è contenuto ma sensibile: si passa, ad esempio, dalle oltre ottocento pagine del medioevo di Guarracino (edizione 1992) alle quasi seicento di quello dell’ultima edizione del Brancati (si tenga conto che, a causa del cambiamento dei programmi, il primo racconta la storia di dieci secoli, il secondo quella di sei, dall’XI a metà XVII secolo, ma ha un paratesto più corposo).

    Questo vincolo ha potenti ricadute didattiche: cosa è stato sfrondato? La risposta è chiara fin dalla prima sfogliata: tutto ciò che non sembra appartenere alla storia tradizionale. La “nuova storia” si alloggia nei siti appositi, che ogni editore ha avuto cura di allestire in questi ultimi anni. Nei manuali, nelle letture soprattutto, se ne possono trovare i brandelli. Ci dimostrano che, anche di questa, si è formata una paradossale idea di tradizionalità, dal momento che vengono ancora privilegiati vecchi brani di Bloch, Braudel, Le Goff. Insomma, come negli anni ’70 (evidentemente immortali), la “nuova storia” resta sempre quella francese, e – mentre la ricerca ha ormai consegnato al passato la battaglia fra storia degli eventi e storia delle strutture –  la manualistica, tradizionale perfino in questo, la considera ancora segno di innovazione. La storiografia, con i suoi tumultuosi sviluppi degli ultimi trent’anni, circola molto lontano.

    5.    Manuali di carta e digitale
    Nei tempi più recenti, per contro, questo processo di semplificazione, si è accelerato a causa delle leggi sul digitale, che prevedono il trasferimento in rete di una parte dei materiali cartacei (in futuro dovrebbe essere totale, secondo un’agenda ministeriale alquanto complicata da capire e da realizzare).

    I siti diventano complessi e vasti depositi di materiale eterogeneo: parti di manuale tagliate, iconografia, film, documentari, contributi storiografici e divulgativi, rimandi ad altri siti, oltre ai materiali prettamente didattici, come percorsi strutturati, strumenti interattivi e così via e oltre, naturalmente, al “manuale in pdf”. Se si potesse quantificare “il circolante storico didattico” attuale, certamente quello digitalizzato supererebbe di gran lunga quello cartaceo. Infatti, per quanto il mercato digitale registri una contrazione (evidente conseguenza dell’incertezza delle leggi e dell’inadeguatezza strumentale, di materiali e di formazione professionale), pur tuttavia sono già 15 milioni, le pagine fruibili on line, per dar conto soltanto di quelle “adottabili”, e non del complesso dei materiali veicolati dai siti.

    Di fronte a questo fenomeno impressionante, lo studioso confessa la sua impotenza: non disponiamo di nessuna ricerca sull’argomento, né si riesce a capire in che modo, con quali forze e con quali investimenti, se ne possa realizzare una soddisfacente. Restano, dunque, inevasi alcuni dubbi: se è vero che il manuale ha uno o più autori riconoscibili e responsabili, chi risponde della correttezza scientifica e dell’efficacia didattica della storia veicolata dai materiali online?  E come valutare l’idea complessiva di storia, che si evince da questi siti? In luogo della tanto decantata trasparenza, la rete si dimostra un luogo del nascondimento, piuttosto, e dell’opacità.

    6.    Lo “spazio” nella vulgata storica
    Torniamo all’idea di storia. Conta così poco nei manuali? A differenza di quanto questa analisi veloce  potrebbe suggerire, dobbiamo pensare il contrario. L’idea di storia insegnata è talmente consolidata e diffusa – una sorta di vulgata - che nessuno osa cambiarla. Per questo motivo non è, agli occhi del complesso dei produttori di un manuale, un fattore distintivo (ed evidentemente, nemmeno agli occhi della maggior parte dei docenti). Quindi, il paradosso di questa situazione è che, se un docente di filosofia abbandona il Fornero-Abbagnano per il Reale-Antiseri, questa scelta sarà probabilmente accompagnata da una qualche crisi filosofica. Non si potrà dire la stessa cosa per un cambio di manuale storico.

    I tratti essenziali di questa vulgata emergono bene dal confronto fra queste cinque opere. Per descriverli, concentrerò l’indagine sulla parte medievale. In primo luogo, lo spazio. Non ci si lasci ingannare dai titoli, anche se richiamano il mondo o i mondi plurali. La storia raccontata in questi manuali è, senza alcun complesso, euro-centrata. Si parla solo di ciò che accade in questa parte dell’Antico Continente. Il mondo compare giusto in qualche cartina di apertura. E, fatti salvi i musulmani del tempo delle crociate, qualche accenno alle spezie esotiche, gli unici extraeuropei a godere di un trattamento privilegiato sono i mongoli. Calvani, ad esempio, dedica loro un intero capitolo. 

    Si può obiettare con un argomento tecnico: i programmi sono rigorosamente eurocentrici. Questa è una scelta politica, ben esplicitata in diverse occasioni dalle due ministre Moratti e Gelmini. Non tocca, e su questo punto non ci dovrebbero essere dubbi, il diritto dell’autore e dell’editore, e più ancora quello del docente, di coltivare della storia un’idea diversa. E, in ogni caso, anche questi programmi non impediscono, all’autore che voglia permettere ai propri lettori di situare la storia europea in un quadro più ampio, di parlare di contenuti, che il programma non considera obbligatori ma non proibisce affatto.

    Inoltre, a osservare con un po’ più di attenzione il racconto, si osserva come la definizione di “storia europea” sia alquanto impropria. Infatti, non di Europa si parla, quanto piuttosto di alcuni fatti salienti, avvenuti in quella che possiamo chiamare la “banana blu” storico-didattica: quella striscia di terra che va dalle Fiandre all’Italia centro-settentrionale. Il resto dell’Europa gode di attenzioni saltuarie. Ora la Spagna, quando si tratta di aver qualcosa da fare con i musulmani; ora gli slavi o gli ungari, giusto per dire delle invasioni o dei loro primi regni; ora dei bizantini (come sempre in decadenza), in occasione di scismi e crociate. E, per quanto riguarda il sud italiano, se non fosse per normanni, Federico II e la Sicilia (autentica Shangri-la dell’intercultura) non avrebbe nessun titolo per giocare un ruolo in questa narrazione. In pratica: la maggior parte di quella che noi consideriamo Europa è esclusa dalla trattazione dei nostri manuali.

    7.    Il tempo della vulgata storica
    Tutto questo, come ben sappiamo, è nel pieno della tradizione didattica italiana.  Le novità si trovano lungo l’asse cronologico, quello della narrazione. I testi precedenti gli anni ’80, infatti, avevano in gran parte una struttura elementare. Le vicende si succedevano ininterrotte. Alla fine della loro trattazione, si trovava il capitolo (o le letture) sulla “cultura” e “la vita quotidiana”. Nessuno di questi manuali segue più questo schema. Tre di essi aprono con la Rinascita dell’anno Mille. Un capitolo di storia economica quindi, a basso contenuto di eventi. Calvani inizia con un capitolo di storia delle mentalità e Feltri con uno sul potere, che gli permette di raccontare le vicende da Carlo Magno a Enrico IV. Entrambi, però, fanno seguire immediatamente la trattazione economica del “risveglio dell’XI secolo”. Con qualche differenza di ordine, poi, tutti affrontano il tema dei commerci e degli scambi, e in questa occasione parlano delle famose Repubbliche Marinare, mentre il racconto più propriamente tradizionale riaffiora nei capitoli variamente dedicati ai Comuni, o all’Impero e alle Monarchie. Lo schema di Gentile è mirabile nella sua semplicità: in principio c’è l’Europa feudale, poi la rinascita, segue il conflitto fra cristiani e musulmani e si chiude con la questione della Chiesa e dell’Impero. Questa organizzazione della materia mostra una sorta di compromesso fra i temi didattici “à la française” e la tradizione italiana più antica. Un patto elaborato e siglato, più che nelle sedi della ricerca, nelle redazioni editoriali.

    8.    Gli stereotipi inevitabili
    L’analisi più dettagliata del racconto ci conduce alla terza caratteristica della vulgata liceale: la rigidità di alcune conoscenze. Mi servo, come elemento di confronto, del dossier sul Medioevo, coordinato da Giuseppe Sergi, con il proposito di fornire – anche agli autori di manuali - un piano narrativo “reso solido e convincente dalla forte condivisione di risultati che caratterizza, negli ultimi decenni, la medievistica professionale” (in Mundus, 5-6, 2010, pp. 92-191). Si trova, nei nostri manuali, la silloge quasi completa delle conoscenze da rivedere: dalla piramide feudale con vassalli, valvassori e valvassini, all’autarchia della curtis e l’immancabile baratto, all’alto medioevo tutto di feudatari e ai servi della gleba. Vi trovano poi, perfetto riscontro le parole con le quali  Giuliano Milani stigmatizza la vulgata corrente del basso medioevo: “il Comune getta le basi di una nuova società che, attraverso le fasi politiche della signoria e del principato, porta allo stato moderno (Mundus, p. 113).
    A volte, gli autori lasciano trasparire un conflitto cognitivo. Ecco Gentile: “sarebbe sbagliato pensare che questi legami dessero luogo a una rigida gerarchia o a una piramide feudale, come si era soliti dire in passato. In realtà si trattava di una piramide molto imperfetta” (p. 21). Altre volte sembra che il radicamento della convinzione sia così tenace, da non permettere all’autore di trarre ovvie conclusioni dai materiali che lui stesso offre. Feltri riporta un bel grafico, che mostra come la crescita della popolazione europea inizi a partire dal 650. Nonostante l’evidenza, ripete nel testo il mantra: “la popolazione prende a crescere dopo il Mille” (p. 6). Calvani racconta con precisione del peggioramento delle condizioni di vita nelle campagne, dopo quella data, ma cita fra le cause della Rinascita dell’XI secolo (un must insostituibile), il cambiamento di status dei contadini e il fatto che sarebbero diventati liberi proprietari (p. 24). 

    Altre volte, è il caso di Castronovo, l’autore sembra non ricordare di aver curato la pubblicazione di un articolo drastico - sempre di Giuseppe Sergi - sul medioevo manualistico e sulla sua indistruttibile vulgata (Prometeo, settembre 1993), e parla di “spartiacque del Mille”, descrive vassalli, valvassori, servi della gleba, sistemi feudali; dice che la curtis è un sistema chiuso caratterizzato dall’autoconsumo, non mancano i vescovi conti e la “via francigena che è una delle principali vie del commercio europeo” e fra le letture pone l’aggiornatissimo passo nel quale Pirenne parlava, quasi ottant’anni fa, di borghi e wik.

    9.    Qualche “si dovrebbe”, per finire
    Mi arresto qui, con una avvertenza: non si tratta di conoscenze erronee limitate al Medioevo. Su questo stesso numero dell’Indice, Francesca Costantini mostra questa inarrestabile voglia di conformismo anche per quanto riguarda la trattazione della Shoàh, e per restare alla storia contemporanea, Luigi Cajani ha pubblicato suItalia Contemporanea un’indagine a tappeto sul modo con il quale i manuali odierni raccontano le foibe, con la diffusissima reticenza sui crimini italiani nei Balcani (e non, come vuole il dibattito didattico pubblico, su quelli a danno degli italiani).

    E non vorrei che venissero considerate “bufale”.  Sono conoscenze spesso di buona famiglia, elaborate dalla storiografia di un tempo, o semplicemente in ambienti colti, e cristallizzatesi nella cultura dotta. Ho provato a definirle “stereotipi colti”. Sono spie del malfunzionamento di una macchina che parte dalle università, dalla loro offerta formativa e dalla marginalità della ricerca storico-didattica, chiama in causa la distruzione, negli ultimi venti anni, di qualsiasi cenno di formazione in servizio, trova sponde solidissime nella cultura diffusa, che è pronta a stracciarsi le vesti ad ogni attentato alla buona, vecchia e rassicurante storia tradizionale.

    Credo che questa situazione sia così complessa (non voglio usare la parola grave) che ci fa riflettere sia sulla ferma difesa che Roberto Gulli fa delle case editrici – garanti secondo lui della validità scientifica dei manuali –; sia dell’entusiasmo con il quale Rachele Pasquali esalta i manuali “fai da te”, che per ciò stesso dovrebbero essere – secondo lei – liberi da ogni stereotipo e da ogni conformismo didattico. Dovrebbe far riflettere i colleghi storici, a cui spetterebbe il compito di avviare una seria discussione sull’aggiornamento delle conoscenze storiografiche (evitando di mettere mani in cose che non conoscono, come la didattica, le famiglie, i programmi). Dovrebbe, invece, far capire all’accademia l’importanza di una seria ricerca storico-didattica. Credo, ancora, che dovrebbe invogliare i docenti a osservare con un occhio un po’ più critico i loro manuali (e le proprie conoscenze storiche, soprattutto se datate).

    Dovrebbe suonare come un campanello di allarme per il ministero. A che serve parlare di digitale, di liceo a quattro/cinque anni, se poi la cultura che vi si veicola è così distante da quella che caratterizza il dibattito storico mondiale?

     

     

  • Scrivere la storia per finta, ma non troppo. La scrittura empatica come esercizio di storia e di italiano

    di Marco Cecalupo

    Abstract. A volte, la spettacolarizzazione della storia produce una forte sensazione di shock. Ma essere catapultati nel passato – e magari riviverlo – senza conoscerne le coordinate interpretative fa leva soltanto su empatia e immedesimazione superficiali, senza produrre un aumento di conoscenza. La descrizione di alcuni casi concreti, relativi alla Giornata della Memoria, offre elementi di critica a questo modello che possiamo definire sensazionalistico. Le esperienze didattiche di scrittura empatica tratte dal blog “I libri di Leo” dell'IC Leonardo da Vinci di Reggio Emilia – realizzate a margine di laboratori e giochi di HL – si propongono, invece, come modello cognitivo.

    1. Un presepe della shoah?

    La shoah tra i banchi del mercato, Venaria Reale (Torino)1. La shoah tra i banchi del mercato, Venaria Reale (Torino), Giornata della Memoria 2018. Fonte: la Repubblica (online)

    Qualche tempo fa, in occasione della Giornata della Memoria 2018, il Comitato Giorno della Memoria1 del Comune di Venaria Reale (Torino) organizzò e finanziò una iniziativa pubblica, presentata nell'edizione locale di Torino sul sito del quotidiano la Repubblica il 28 gennaio 2018 con le seguenti parole: «Soldati in divisa nazista dalle smorfie dure, un gruppo di donne terrorizzate con la stella gialla imposta agli ebrei che portano con sé le poche cose che sono riuscite a prendere in casa durante il rastrellamento, il cupo suono di una sirena, ordini abbaiati seccamente. È la rievocazione storica organizzata dal Comune di Venaria, alle porte di Torino, nel Giorno della Memoria: una marcia dolorosa in centro, e tra i banchi del mercato, che ha provocato grande commozione tra i passanti che si sono trovati all'improvviso a tu per tu con l'orrore della deportazione. Sul suo sito il Comune spiega di avere deciso l'iniziativa per sensibilizzare i cittadini sui temi dell'Olocausto e della discriminazione».

    Sul sito del Comune, in realtà, non siamo riusciti a leggere nulla più. Per esempio, nulla si diceva sulla consulenza storica dell'evento, e si poteva legittimamente nutrire qualche dubbio su un rastrellamento accompagnato da musica di violini in pieno giorno, oppure sulla completa assenza dalla scena di fascisti collaborazionisti italiani2. Non si trattò di una novità assoluta, un'iniziativa molto simile, che ha coinvolto anche giovanissimi studenti, è stata organizzata in occasione della Giornata della Memoria nel 2013 a San Marco in Lamis (Foggia)3.

    La simulazione della shoah a San Marco in Lamis (Foggia), 20132. La simulazione della shoah a San Marco in Lamis (Foggia), 2013. Fonte: www.foggiatoday.it

    Ne discussi con Antonio Brusa, ci ponemmo la questione dell'empatia nell'insegnamento della storia. Avevo definito quella discutibile iniziativa una sorta di “presepe vivente della shoah”, ed entrambi l'avevamo considerato un rito dannoso. Ma la nostra critica non fu di ordine storico, cioè in merito all'accuratezza documentale, ma piuttosto rivolta allo scarto interpretativo tra ciò che l'iniziativa si proponeva e il suo esito finale.

    Come si può definire la modalità utilizzata a Venaria Reale? Per alcuni aspetti, tra cui l'esposizione alle telecamere e la drammatizzazione caratteriale messa in scena dagli attori mediante i costumi, la mimica, la prossemica, l'espressione facciale e la recitazione, essa può essere paragonata ad un set cinematografico. Per altri versi, tra cui l'ambientazione in un luogo pubblico non interdetto ai passanti e l'apparente improvvisazione, si può caratterizzare come un flash-mob4. Ancora, la modalità potrebbe definirsi “teatro di strada”, ma non ci è dato sapere se i protagonisti fossero semplici figuranti dilettanti o attori professionisti. Più semplicemente, appare come una “rievocazione in costume”, anche in assenza di una chiara esplicitazione nei confronti dell'ignaro pubblico.

    Dal punto di vista della pedagogia e della didattica, in tutti i casi, non può definirsi una simulazione e non ha il carattere dell' “esperimento sociale” o del “candid-camera”, poiché è mancato l'aspetto della necessaria osservazione sperimentale delle reazioni degli astanti.

    Spostando l'attenzione dal significante al significato, ci chiedemmo: cosa ha rappresentato la scena per le persone che vi hanno assistito? Si trattava chiaramente di una questione a cui è interessata – oltre che la didattica – anche la public history, ma non fu facile rispondere a questa domanda poiché, come si è detto, nessuno (né gli organizzatori, né i giornalisti che hanno riferito la notizia sui media) si premurò di raccogliere in forma visiva o testuale le impressioni e le considerazioni del pubblico. Il giornalista de la Repubblica ha scritto di una «grande commozione», ma non sappiamo sulla base di quali informazioni ha tratto questo giudizio. Indirettamente, si potevano analizzare le riprese video5, che però non mostravano alcuna reazione evidente da parte dei presenti. Il pubblico suo malgrado si divideva equamente in due parti: coloro che si fermavano a guardare e gli altri che continuavano a camminare o a svolgere le proprie azioni ordinarie come se nulla stesse accadendo. Non si poteva dunque parlare di coinvolgimento o interazione del pubblico, se non in riferimento ai processi di identificazione propri del cinema, della TV e del teatro. Se qualcuno pensò qualcosa, la modalità non prevedeva, né è realmente avvenuto, che prendesse la parola o interferisse con la scena in atto, come ad esempio accade nei L.A.R.P. di ambientazione storica6. Il pubblico fu meramente spettatore dell'evento. Come, appunto, in una sorta di presepe vivente della shoah.

    A nostro avviso, l'interesse didattico era pressoché nullo. Nessuno penserebbe mai di convertire al cattolicesimo o di spiegarlo mediante un'osservazione attenta della rappresentazione vivente della Natività. D'altro canto, nella società dello spettacolo, nessuno si è mai sognato di interrompere una messa in scena, o quanto meno mai con l'intenzione di cambiarne la sceneggiatura7. Per riprendere la metafora religiosa, nessuno ha mai interrotto una via crucis per salvare Cristo dalla condanna a morte.

    2. Emozionare vs studiare?

    Eravamo quindi nel campo della Pop shoah8 descritto da Francesca R. Recchia Luciani e Claudio Vercelli, che nel loro recente volume ci ricordano come la spettacolarizzazione e «la sovraesposizione mediatica di un così dirompente evento storico, […] ricondotta ad una sorta di breviario dei buoni sentimenti, rischia di depauperarne proprio l'intrinseco valore civile»9.

    Dunque lo sterminio nazifascista e antisemita non prevede la possibilità di essere rappresentato o simulato con finalità didattiche? Possiamo citare diversi tentativi più riusciti in questo senso, ma innanzitutto occorre mettere in guardia tutti da questa banalizzazione della memoria dello sterminio. Alcune riflessioni critiche sono state scritte su «Historia Ludens» da Antonio Brusa a commento del film Austerlitz (del regista ucraino Sergei Loznitsa) e del progetto Yolocaust del fotografo israeliano Shahak Shapira10.

    Locandina del film Die Welle (L'Onda), di Dennis Gansel, 20083. Locandina del film Die Welle (L'Onda), di Dennis Gansel, 2008

    Sul piano letterario, il romanzo The Wave (L'onda), pubblicato dallo scrittore statunitense di letteratura per ragazzi Todd Strasser nel 1981, è basato proprio su un esperimento sociale (chiamato The Third Wave) svoltosi in una scuola della California nel 1969, in cui il docente di storia Ron Jones ha simulato l'instaurazione di un modello sociale gerarchico totalitario nella sua classe alla Cubberley High School di Palo Alto.

    Nei casi del libro (e del film11), si è trattato di un investimento intellettuale ed economico rilevante, ma ci sono state anche soluzioni a costo zero, come quelle condotte in un Liceo Artistico di Firenze nel 2011, in una scuola media di Vercelli nel 2017 e più di recente in tante altre scuole italiane.

    Nel Liceo Artistico di Porta Romana (Firenze) la professoressa Marzia Gentilini è entrata in classe il Giorno della Memoria dicendo: «È arrivata una circolare che un po’ mi preoccupa: entro il 15 di febbraio ciascuno di voi deve portare il certificato di nascita e di residenza. Non so se sia per il federalismo o cosa, ma pare che il ministero non paghi più la scuola se non siete nati a Firenze e se non sono prevalentemente nati a Firenze anche i vostri genitori e i vostri nonni. Ci faranno finire l’anno e poi ciascuno di voi deve tornare nei Paesi di provenienza della famiglia». Sull'edizione di Firenze online de «La Repubblica» si possono leggere anche le reazioni commosse e oppositive degli studenti. Rosa Maria De Giorgi, l’assessore all’istruzione, si complimentò con la docente e commentò pubblicamente: «La giornata della Memoria non deve essere un appuntamento rituale che si ferma a una pagina di un libro. La professoressa del liceo ha trovato la strada migliore per bucare lo schermo e attirare l’attenzione dei ragazzi, ha fatto indossare loro la follia di quel momento storico»12.

    Lezione shock al Liceo Artistico di Porta Romana (Firenze), Giornata della Memoria 20114. Lezione shock al Liceo Artistico di Porta Romana (Firenze), Giornata della Memoria 2011. Fonte: la Repubblica (online).

    In occasione della Giornata dei Giusti del 6 marzo 2017, nella scuola secondaria di primo grado “Pertini” di Vercelli, le professoresse Patrizia Pomati e Carolina Vergerio hanno diramato nelle cinque classi terze una finta circolare che imponeva ai ragazzi con almeno un genitore straniero (tutti informati dell'esperimento prima che venisse realizzato) che smettessero immediatamente di seguire le lezioni con i loro compagni e poi a giugno facessero due esami in più, uno per dimostrare “la conoscenza della lingua” e l'altro “la cultura italiana”. Anche in questo caso, gli studenti hanno reagito opponendosi con decisione all'allontanamento dei propri compagni di classe. La dirigente dell'Istituto Comprensivo commentò: «L'esperimento è andato benissimo. Ci aspettavamo ovviamente una reazione, ma non della portata di quella che c'è stata. Forse se ci fosse stata una reazione così forte anche allora le cose sarebbero andate diversamente»13.

    Mentre ne L'Onda la struttura gerarchica chiusa o la cultura e la pratica discriminatoria e violenta, tipiche del NSDAP, vengono semplicemente replicate dalla storia passata nel presente, gli esperimenti delle due scuole italiane hanno l'ambizione di attualizzare l'impianto giuridico-culturale delle istituzioni totalitarie e delle leggi razziali del 1938, spostando i termini del discorso in una dinamica socio-culturale del tempo presente: quella della migrazione e delle politiche migratorie. Entrambe le modalità, pur nella loro diversità, colgono l'aspetto centrale di una simulazione: il rapporto empatico tra il soggetto rappresentato e l'attore della rappresentazione. In altri termini, quegli studenti hanno sperimentato la vertigine, che secondo Roger Caillois è una delle componenti fondamentali e imprescindibili del gioco di simulazione14. In questi casi, si potrebbe dire tecnicamente che la simulazione non ha un pubblico che assiste, ma solo partecipanti attivi, chiamati a decidere, scegliere, prendere la parola e agire in conseguenza della situazione nuova che si è creata, con la possibilità (non solo teorica) di modificarla e in sostanza di determinarne l'esito.

    Se consideriamo le esperienze delle due scuole, la domanda ha rappresentato uno stimolo a pensare al rapporto tra sé e il mondo. Ci si è chiesti: cosa accadrebbe se le politiche migratorie prendessero una piega “eliminazionista”? È evidente che non si tratta solo del tentativo di una speculativa storia contro-fattuale o di una distopia fantascientifica, ma di un'apertura alla riflessione sulla realtà attuale. Si nasconde dunque una domanda ancor più stringente: qual è il nostro giudizio storico (comparato, potremmo dire) sulle attuali politiche migratorie in Italia, in Europa e nel resto del mondo?

    Secondo Antonio Brusa, in generale queste iniziative pongono il problema del rapporto fra empatia/sentimento e storia. Le due manifestazioni (quella di Venaria e quella nelle scuole), seppur diverse nelle modalità, sembrano mostrare una dinamica analoga: si presenta una situazione scioccante, si sollecitano sentimenti, e (nel secondo caso) si discute insieme. È pero difficile confrontare le due performance senza averle viste o senza averne una descrizione analitica: ciò impedisce di formulare un giudizio complessivo.

    Ma il modello che abbiamo sempre messo in cantiere come Historia Ludens è: situazione scioccante + analisi e lavoro storico = condizioni per esprimere un giudizio o uno stato d'animo. Questa fase, dunque, è concepita come un momento di sintesi dopo la fase analitica15. In questo modo, noi pensiamo che l'educazione storica "blocchi" il circuito lucrosissimo delle emozioni, e si ponga anche in un modo assai critico contro l'attuale emotional turn, che ha preso tutti, dai politici ai pedagogisti, ai dirigenti scolastici.

    3. Per un'empatia consapevole

    Qualche giorno dopo, durante la presentazione del Viaggio della Memoria 2018 a cura di Istoreco presso l'Università di Reggio Emilia, posi la stessa questione allo storico Piotr M. A. Cywiński16, direttore del memoriale e del museo di Auschwitz dal 2006. La sua risposta fu sostanzialmente simile: la spettacolarizzazione della storia è una modalità pericolosa perché, facendo leva sui sentimenti, distoglie dalla reale comprensione degli eventi, e rende inutile l'approccio cognitivo proprio delle ricerche storiche, l'unico che rende giustizia alla complessità del fenomeno shoah. Egli sperava che almeno le professoresse avessero preso spunto dalla simulazione per avviare lo studio della storia.

    E allora? Non si tratta di rinunciare ai sentimenti, all'empatia, alle forme di drammatizzazione, ma di invertire l'ordine dei fattori per ottenere un “prodotto” didattico fondato sulla consapevolezza. In breve, si può essere empatici con gli “altri” (nel tempo e nello spazio) solo dopo averli conosciuti e studiati, dopo aver contestualizzato il loro agire all'interno di un quadro storico-culturale che ci apparirà – per qualche verso, in aspetti marginali o in larga misura – diverso dal nostro.

    Nella mia pratica didattica quotidiana nell'IC Leonardo da Vinci di Reggio Emilia, ho provato più volte a sollecitare l'intelligenza degli studenti attraverso il decentramento cognitivo, soprattutto proponendo loro attività di scrittura empatica dopo aver svolto delle attività di studio di documenti, di gioco-laboratorio o di analisi dei contesti storici. I tre casi presentati in allegato di seguito – pubblicati sul blog del bookcrossing scolastico “I libri di Leo”17 – forniscono il risultato di questi tentativi, che sottopongo alla valutazione degli attenti lettori di questo sito.

    Il blog “I libri di Leo” è nato nel 2018, dopo due anni di attività di bookcrossing all'interno della scuola secondaria di secondo grado. Nel giugno 2019, conta in elenco più di 400 libri, più di 160 articoli suddivisi nelle sezioni: recensioni, eventi, scritture, regole, nuovi arrivi. Con trecento visitatori unici ogni mese, gestito da una trentina di studenti che scrivono e amministrano le pagine web, il blog rappresenta una modalità inclusiva e non valutativa di approccio alla lettura. Scrive Shalon (uno studente della classe 2E): «Tutti noi ci siamo iscritti perché crediamo che scrivere su questo sito non sia solo interessante, ma è anche un modo per appassionarci di più nei confronti della scrittura e della lettura, e può servire anche per conoscere le nostre attività. Abbiamo intervistato gli esperti che sono stati invitati a scuola, abbiamo scritto tante recensioni e pareri sui libri letti. Non importa che il giudizio sia sempre positivo, basta partecipare e scrivere il proprio pensiero».

     

    Allegati

    Allegato 1 – San Francesco. Immagini che raccontano storie
    Allegato 2 – Groenlandesi: The End
    Allegato 3 – Giustizia è fatta!

     

    Note

    1. Nel sito si possono leggere i principi generali del Comitato: «La Città di Venaria Reale, di concerto col Comitato promuove e sostiene attività dirette a diffondere e valorizzare il patrimonio storico, culturale e politico della Resistenza antifascista, contribuisce a far vivere ed affermare i principi della Costituzione Repubblicana, a ricordare gli orrori di quel periodo storico e ad assumere comportamenti [grassetto mio] affinché quello che è accaduto non possa più ripetersi».

    2. Sulla rimozione delle colpe in Italia, vedi: Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Laterza 2013, e Massimo Castoldi (a c. di), 1943-1945: I «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità e stereotipi, Donzelli 2016.

    3. Vedi la galleria fotografica sul sito di FoggiaToday.

    4. Termine di derivazione inglese che significa letteralmente “evento improvviso tra la folla”.

    5. Sono riportate in un filmato di oltre 30 minuti sul sito del quotidiano la Repubblica. È visibile anche una galleria fotografica dell'evento.

    6. LARP è l'acronimo di Live Action Role-Playing, in lingua italiana gioco di ruolo dal vivo (anche abbreviato in GRV). Sui LARP di ambientazione storica vedi Aladino Amantini, I Larp storici, in Chiara Asti (a c. di), Mettere in gioco il passato. La storia contemporanea nell’esperienza ludica, Unicopli 2019.

    7. In occasione della rievocazione storica del 75° anniversario dello sbarco di Anzio, a Nettuno (Roma), un'anziana signora non è riuscita a resistere alla vista delle divise dei soldati tedeschi e «ha iniziato così a inveire contro i figuranti, colpendone anche uno con la borsetta», la Repubblica online, 21 gennaio 2019.

    8. Francesca R. Recchia Luciani, Claudio Vercelli (a c. di), Pop Shoah? Immaginari del genocidio ebraico, il melangolo 2016. Il libro raccoglie gli Atti del convegno tenutosi all'Università di Bari il 16 e 17 ottobre 2015.

    9. Su «historialudens.it» si possono leggere la recensione del volume, di Raffaele Pellegrino; e l'articolo sul convegno, di Claudio Monopoli.

    10. Antonio Brusa, Lo scandalo del selfie (2017), su «historialudens.it».

    11. La trasposizione sul grande schermo del romanzo è stata operata dal regista tedesco Dennis Gansel con il film omonimo (Die Welle), nel 2008.

    12. Riportando la notizia dell'iniziativa sul suo blog, il maestro e pedagogista Marco Moschini cita un commento di Rosario Mazzeo, tratto dalla rivista «L'Educatore»: «È importante “sorprendere” perché ci sia un risveglio emotivo. “Stupore” è la prima flessione (reazione) della mente colpita in modo da essere attratta. Infatti il termine “stupore” (da steup, che in sanscrito vuol dire pungere, colpire), richiama l’emozione dell’essere colpito, e quindi del tenere sgranati gli occhi per poter meglio vedere. Più alto è il livello di sorpresa, più acquista importanza la proposta dell’insegnante, perché più alto è il risveglio emotivo».

    13. Si può leggere la notizia completa sulle edizioni locali online de La Stampa e de la Repubblica. Gli studenti, al termine della simulazione, hanno scritto le loro considerazioni finali, tra le quali leggiamo: «Mi sono sentito uno schifo perché non mi ritengo superiore ai miei compagni»; «So che se succedesse veramente i miei compagni si ribellerebbero e mi aiuterebbero»; «Abbiamo reagito così perché erano nostri amici, ma se una cosa è ingiusta, è ingiusta per tutti»; «Anche io ho la possibilità di cambiare le cose».

    14. Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani 1981 (ed. orig. 1958).

    15. Nei giochi di simulazione di HL, il lavoro di analisi è precipuo nella fase di debriefing. Vedi una rassegna recente di giochi in Marco Cecalupo, E Cesare disse: “Si lanci il dado!”, in Chiara Asti (a c. di), Mettere in gioco il passato. La storia contemporanea nell’esperienza ludica, Unicopli 2019.

    16. Piotr M. A. Cywiński, Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz, Bollati Boringhieri 2017 (ed. orig. 2012). Su HL puoi leggere: Enrica Bricchetto, Non c’è una fine. Camminare a Auschwitz con Piotr Cywiṅski, 2017. Su questi temi, vedi anche Enrica Bricchetto, Raccontare la storia? Non è soltanto questione di comunicazione, 2016.

    17. Nella sezione Scritture, oltre a quelli presentati qui, si possono leggere altre esperienze di scrittura empatica di studenti con i titoli evocativi: Grazie capo, Racchiuso in un sacco di emozioni, Secondo i nazisti, Il racconto di Esther, Memorie sotterrate, Una storia, Solo una madre, Il ricordo del passato, A cena con il nemico, Una lettera dall'Afganistan, Da quando sono entrata qui (inoltre, sono in corso di pubblicazione lettere simulate di operai inglesi del XVIII e XIX secolo). Sul diario di Anne Frank, vedi anche: Sono dalla tua parte, Anna!, e, su questo sito, l'articolo Marco Cecalupo, La tua Kitty, risultato di un laboratorio per la Giornata della Memoria 2014.

     

    Bibliografia dei laboratori

    1) Il laboratorio sull'iconografia e l'iconologia di san Francesco d'Assisi è pubblicato in:
    • Marco Cecalupo, San Francesco. Immagini che raccontano storie, in Quaderni, n. 7, Edizioni Istituto Alcide Cervi (Atti della 2° Summerschool Emilio Sereni “Il paesaggio agrario italiano medievale”, 24-29 agosto 2010), pp. 377-386.

    Il lavoro è basato su:
    • Chiara Frugoni, Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Einaudi 1993 (in particolare il capitolo sesto, Francesco e la natura, la predica agli uccelli, pp. 233-268).
    • Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d'Assisi, Einaudi 1995.
    • Maurizio Chelli, Manuale dei simboli nell'arte. Il Medioevo, Edup 2002.
    • Erwin Panofsky, Il significato delle arti visive, Einaudi 1962 (ed. or. 1955).

    Sull'uso delle immagini nella ricerca storica:
    • Peter Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Carocci 2002 (ed.or. 2001).
    • Francis Haskell, Le immagini della storia. L'arte e l'interpretazione del passato, Einaudi 1997 (ed.or. 1993).
    • Carlo Ginzburg, Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Einaudi 2000.

    Sul laboratorio didattico con documenti iconografici:
    • Antonio Brusa, L'atlante delle storie, 2 voll., Palumbo 2010.
    • Elena Musci, Il laboratorio con le fonti iconografiche, in Paolo Bernardi (a c. di), Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, Utet 2006.
    • Franz Impellizzeri, Marco Cecalupo, Le immagini delle crociate, in Antonio Brusa (et al.), L'officina della storia, Laboratorio, vol. 1, Ed. Scol. Bruno Mondadori 2008.

     

    2) Il materiale del gioco-laboratorio sui groenlandesi è pubblicato in:
    • Elena Musci, Le colonizzazioni vichinghe, in Antonio Brusa, L'atlante delle storie. La sintassi della storia, vol. 2, Palumbo Editore 2010.
    Il laboratorio è basato sulle ricerche pubblicate in:
    • Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi 2005 (ed. Orig. 2005).
    Una rassegna di giochi di storia a cura di Historia Ludens in:
    • Marco Cecalupo, E Cesare disse: “Si lanci il dado!”, in Chiara Asti (a c. di), Mettere in gioco il passato. La storia contemporanea nell’esperienza ludica, Unicopli 2019.

     

    3) La traccia didattica del laboratorio su Walerjan Wròbel è ricavata da:
    • Antonio Brusa, Scipione Guarracino, Alberto De Bernardi, L'Officina della storia, Laboratorio 3, Ediz. Scol. Bruno Mondadori 2008 (a cura di Francesco Impellizzeri).
    Il riferimento storiografico da cui sono tratti i materiali del laboratorio è:
    • Christoph Ulrich Schminck-Gustavus, Mal di casa. Un ragazzo davanti ai giudici 1941-1942, Bollati Boringhieri 1994 (ed. or. 1986).

  • Studio di caso: il mondo della curtis*

    Autore: Cesare Grazioli

     * elaborato secondo le indicazioni contenute in Gli studi di caso. Insegnare storia in modo partecipato e facile di Antonio Brusa (per la Summer School dell’Insmli a Venezia nell’agosto 2014), ora in Novecento.org

     

    tempo previsto di lavoro in aula: 2 ore

     Il polittico di Irminone 

     

    Indice

    1.    Testo per gli studenti
    2.    I documenti
    3.    Attività didattiche
    4.    Esempi

     

    1.    Testo per gli studenti

    La curtis e il suo paesaggio agro-silvo-pastorale

    Una creazione duratura dei franchi, che si diffuse in tutto l’impero carolingio, fu la corte (curtis, detta anche villa), una forma di organizzazione del latifondo agrario che diventò la base del potere della nuova aristocrazia, laica ed ecclesiastica: una forma di potere sulle terre, e sui contadini che le lavoravano, poi definita dagli storici signoria fondiaria.  

    Per capire il funzionamento della corte, dobbiamo immaginare il paesaggio dell’Europa nei secoli prima del Mille, dominato dall’incolto e con una popolazione molto scarsa. Dall’Atlantico al Danubio (oltre il quale si estendeva l’immensa steppa euroasiatica) correva un manto compatto di boschi e foreste, “bucato” da radure di spazi disboscati, abitati e adibiti alle coltivazioni. In un certo senso, era l’opposto (come il negativo di una pellicola fotografica) del paesaggio tipico dell’altra sponda del Mediterraneo, unificata dall’Islam: là le oasi, isole alberate in un mare di sabbia, il deserto; qua, campi e prati come oasi nel mare alberato di boschi foreste e paludi.

    I villaggi agricoli – rari erano gli insediamenti in case sparse – erano raccolti al centro di queste “oasi senz’alberi”. A ridosso delle case, in legno coi tetti di paglia, vi erano gli orti e i frutteti, che richiedevano un lavoro più accurato. Attorno vi era l’anello degli arativi (cioè i campi arati e coltivati a cereali) e delle vigne; poi si estendeva quello dei prati spontanei, destinati all’allevamento di ovini, equini e bovini. Tutt’attorno era il bosco, ma anch’esso integrato nell’economia di villaggio. Le ghiande delle querce nutrivano i maiali allevati allo stato brado, la principale fonte di carne (poi salata ed essiccata) e di grassi (lardo e strutto). Il bosco forniva molto altro: legno, il solo combustibile e quasi l’unico materiale per costruire abitazioni e oggetti d’uso quotidiano;  miele selvatico, il principale dolcificante conosciuto;  frutti selvatici, pesci dagli stagni, selvaggina.

    I campi davano magri raccolti: il rendimento dei cereali (= il rapporto tra chicchi raccolti e seminati), oscillava  tra 2:1 e 3:1 (per avere un raffronto: oggi, per il grano il rapporto arriva a 20:1), ovvero si mieteva poco più di ciò che si era seminato, e che si doveva riseminare, se si voleva mangiare anche l’anno dopo. Però le risorse dei boschi e dei pascoli compensavano le basse rese agricole con un’alimentazione ricca di carne e di grassi animali, di frutta e di ortaggi. Si trattava dunque di un paesaggio e di un’economia agro-silvo-pastorali.

     

    La curtis, base della signoria fondiaria   

    Ogni corte comprendeva uno o più villaggi ed era divisa in:

    1) una pars dominica (o dominico), la parte che il signore (il dominus) faceva gestire a un suo amministratore; 2) una pars massaricia divisa in mansi (oggi diremmo poderi), affittati a famiglie di massari.   

    Sia i mansi sia il dominico, però, non erano costituiti di porzioni compatte di terra, ma disposti “a pelle di leopardo”: ogni manso, che equivaleva alla quantità di terra coltivabile dalla singola famiglia contadina, era formato da più porzioni disperse, anche lontane, inframezzate a porzioni di mansi di altre famiglie di massari, a piccole proprietà indipendenti (i cosiddetti allodi), e anche a mansi dipendenti da altre corti (cioè da altri signori); così era anche il dominico, formato da campi, prati spontanei, boschi e foreste.  

    Ciò che distingueva la pars dominica dalla pars massaricia  erano i modi con cui il signore si appropriava delle eccedenze (= quanto eccedeva il necessario per la sussistenza dei contadini), e anche la condizione giuridica dei contadini. Dal dominico, l’eccedenza dei raccolti andava nei magazzini del signore, detratta la quota che serviva a nutrire i contadini; questi erano di condizione servile e chiamati servi prebendari (perché retribuiti in natura con la “prebenda”: il cibo e l’alloggio). I massari, invece, erano affittuari che dovevano versare censi (o canoni: oggi diremmo affitti) in denaro o più spesso in natura, consegnando una parte (di solito un terzo o un quarto) dei prodotti del loro manso. Tra i massari molti erano coloni (cioè contadini liberi con contratti, non scritti, a lunghissima scadenza, trasmessi di padre in figlio), ma altri avevano gradi diversi di libertà, servitù, semi-libertà.  

    Oltre ai censi monetari o in natura, gli oneri dei massari comprendevano le corvées, giornate di lavoro gratuito sul dominico, in quantità molto variabili secondo le consuetudini locali: da alcune decine di giornate all’anno fino a tre giorni la settimana. Il signore ricavava poi altre entrate dai mulini ad acqua (o anche forni e birrerie) di sua proprietà, dei quali i contadini erano obbligati a servirsi, ovviamente pagando in denaro o in natura tale servizio: queste forme di monopolio erano chiamate bannalità, o diritti di banno. La signoria fondiaria non era dunque solo un rapporto economico, ma un sistema di potere dei signori sui contadini delle loro corti.


    Corvées e coltivazioni collettive   

    Su quell’intreccio così aggrovigliato, sia nella ripartizione delle porzioni di terra sia nei rapporti giuridici tra contadini e signori, si sovrapponeva un sistema comunitario di coltivazione, legato all’usanza della rotazione biennale: per ricostituire la fertilità del terreno se ne lasciava ogni anno metà a riposo, “a maggese”, per cui tutte le famiglie contadine coltivavano insieme la restante metà, a prescindere da dove fossero localizzate le loro porzioni di manso. Il frazionamento dei mansi in porzioni lontane evitava che tutta la terra di una famiglia fosse situata per un anno su due nel maggese, la terra non coltivata. C’erano poi alcune terre comuni destinate a usi collettivi, come il pascolo degli animali e la raccolta di legna.

    Considerando che in agricoltura c’è una forte stagionalità, ovvero serve poco lavoro in inverno e molto nelle fasi più intense dell’annata agricola (l’aratura e il raccolto), con quel sistema il signore poteva lasciare sul  dominico poche famiglie di servi prebendari, perché a loro si aggiungevano, nelle fasi più intense del lavoro, i massari con i loro turni di corvées; e le famiglie dei massari riuscivano comunque a lavorare i propri mansi anche durante i giorni di corvées di un loro membro. Le corvées servivano inoltre alle più disparate attività (trasporto di legna o di letame, scavo di fossi, costruzione o riparazione di edifici e di altre strutture), e consentivano al proprietario della corte di ricavare qualcosa (come la falciatura dell’erba, che diventava fieno, cioè foraggio per i bovini) anche dai mansi non affittati e rimasti vuoti: cosa non rara, data la scarsità di popolazione. L’azienda curtense  rappresentava dunque per i grandi proprietari un modo flessibile ed efficiente di gestire i fattori produttivi dell’Europa di quel tempo: terra sovrabbondante e poche braccia da lavoro.

    [Chiedo alla classe di leggere rapidamente il testo (senza sottolinearlo), poi fornisco i due documenti seguenti].

     

    2.    I documenti

     

    GLI INVENTARI DELLE CURTES

    In Francia, in Germania e nell’Italia padana si sono conservati numerosi inventari di corti dei secoli IX-X, quasi tutte di proprietà di monasteri (più ordinati dei signori laici nel registrare e conservare in archivio i propri documenti). Erano scritti su pergamene, cucite e ripiegate a soffietto. Perciò si chiamano “polittici” (dal greco polu-ptychè = molte pieghe). In apparenza aridi elenchi contabili, quegli inventari si sono rivelati fonti preziose su diversi aspetti del mondo della curtis alto-medievale.

     

    Doc. 1  Dall’inventario del monastero di Santa Giulia (Brescia): la corte di Griliano (secolo X)
    Ndr (=Nota del redattore):  i puntini di sospensione … corrispondono a deterioramento della pergamena su cui era scritto il documento originale

     

    Nella corte di Griliano ci sono 2 case con camino in muratura, 5 capanne, terra arativa per seminare 300 moggi [Ndr: 1 moggio = circa 50 litri], vigna che produce 30 anfore di vino, di prato…, e una foresta incolta. I servi che abitano nella corte sono 36: 11 maschi adulti, 11 femmine, 14 bambini; ci sono anche 20 porci, 9 capre, 8 oche, 20 polli; nel granaio 90 moggi di frumento, 30 moggi di segale, …di orzo, 10 moggi di legumi; un mulino, che rende 15 moggi l’anno.     
    Gli affittuari sono 28, i mansi disabitati 17: tutti insieme pagano 14 soldi, 22 moggi di grano, 13 pecore, 12 formaggi, 20 vomeri, 3 scuri, 1 mannaia, 2 forconi di ferro, e altre 100 libbre [Ndr: 1 libbra=quasi 0,5 kg] di ferro, 10 panni rustici, 5 staia di legumi, 11 polli, 55 uova; e i suddetti affittuari prestano ogni anno 2850 giornate di lavoro.

     

    da: G. Pasquali, Inventari altomedievali di terre, coloni e redditi, in Fonti per la Storia d’Italia, Ist. Storico Italiano per il Medioevo,1979


    Doc.2  Dall’inventario del monastero di San Tommaso di Reggio Emilia: la corte di Enzola (secolo X)

    Inventario del monastero di San Tommaso apostolo, che dipende dalla santa Chiesa di Reggio. Nella corte di Enzola [Ndr: oggi frazione di Poviglio, nella bassa pianura in provincia di Reggio Emilia] abbiamo seminato sul dominico 15 moggi di cereali e ne abbiamo raccolti 50; abbiamo ricavato anche 5 anfore di vino e 10 carri di fieno; in questo luogo abbiamo 3 buoi, con 2 gioghi, 2 vomeri, 2 carri, 4 zappe, 2 scuri, una mannaia, 4 falci per mietere, 12 maiali, un recipiente per il vino, 7 recipienti per il grano, 4 oche; tra servi e ancelle, maggiorenni e minorenni, ne abbiamo 13.
    La corte è dotata di 5 poderi [Ndr: = mansi], sui quali risiedono 25 coloni dipendenti; da essi abbiamo ricavato 140 moggi di cereali, 14 anfore di vino, 84 denari di buon argento, 51 polli, 255 uova, 114 opere [Ndr: =giornate di corvées], metà coi buoi e metà con le mani.
    [Ndr:  seguono le descrizioni di altre 4 corti simili ad Enzola, situate nelle campagne tra Parma e Reggio]

     

    da: B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda curtense in Italia, Cleub, Bologna 1983, pp. 153-156

     

     
    3.    Attività didattiche

     

    3.1    Mettere in relazione testo e documenti

    Faccio notare alla classe che anche gli storici si sono serviti di questo tipo di fonti, gli inventari, per descrivere il funzionamento della curtis.

    Divido la classe in coppie, e chiedo a ogni coppia di sottolineare nel testo le parti che potrebbero essere state ricavate da questi due inventari: uno studente sottolinea con un colore le parti del testo che possono essere state tratte dal doc.1 (corte di Griliano), l’altro della coppia sottolinea con un colore diverso (o con un diverso tratto di matita) le parti che possono essere tratte dal doc.2 (corte di Enzola); poi entrambi integrano le proprie sottolineature con quelle fatte dal compagno.

    Dopo questa attività (circa 15 minuti), la classe fa un rapido confronto tra i risultati del lavoro delle coppie, per controllare che si sia giunti alle stesse conclusioni, e discute le eventuali differenze (circa 10-15 minuti).


    3.2    Lavorare sui documenti

    [Ora la classe si divide in gruppi di 4 studenti, ciascuno dei quali a sua volta diviso in due coppie, che confronteranno i due inventari (cioè ne faranno un’analisi comparata) secondo le due seguenti prospettive di indagine (a, b), con le rispettive domande da porre ai documenti (circa 30-40 minuti)]

     a.    Storia dell’economia agraria: produzione e produttività

    1. Che cosa si produceva e che animali si allevavano nelle corti?    
    2. E’ possibile ricavare i rendimenti (cioè il rapporto tra raccolto e semina) dei cereali?    
    3. Com’era il paesaggio rurale della corte (cioè, quale spazio avevano gli arativi, gli orti, i prati, la foresta)?
    4. Le due corti qui esaminate erano più o meno della stessa dimensione, o di ampiezza anche molto diversa?
    5. Tenendo conto dei diversi aspetti visti finora, si è in grado di capire quale delle due corti era più produttiva?

    b.    Storia sociale: i rapporti tra proprietari e contadini:

    1. Di quale condizione giuridica (liberi o servi) erano i contadini delle due corti?
    2. Quali erano gli oneri dei contadini (distinguendo quelli in denaro, in prodotti, in lavoro, e oneri bannali)?
    3. E’ possibile capire se vi era scarsità o abbondanza di popolazione sul territorio?
    4. Tenendo conto di tutto questo, si può capire in quale corte le condizioni dei contadini erano migliori?

    [Se rimane tempo, alla fine di questa analisi comparata dei due inventari, se ne confrontano i risultati: questa attività viene svolta nella prima parte dell’ora successiva.]

     

    3.3    Integrare il testo con notizie tratte dai documenti
    Nella restante parte della seconda ora di lavoro, ogni gruppo integra il testo con le informazioni aggiuntive emerse dall’analisi comparata dei due inventari, ovvero ne costruisce una specie di apparato critico: in corrispondenza delle parti del testo per il quale dalle fonti sono emerse informazioni aggiuntive o esplicative, indica i numeri che stanno per le note al testo (1, 2, 3, ecc.), e in un foglio a parte (che corrisponde allo spazio per l’apparato critico posto a fine capitolo), riporta i numeri e scrive brevi testi, appunto le note, corredate dal riferimento (ad es:  1. ………testo, di un massimo di 2-3 righe……, cfr. inventario di Enzola, riga 7-8).
    I gruppi che non fanno in tempo a finire, concluderanno a casa il lavoro di integrazione del testo.


    4. Esempi

    A seguire, un paio di esempi già svolti su come i gruppi dovrebbero costruire tale apparato critico.

    Gli esempi qui proposti non devono in alcun modo essere considerato l’unica soluzione possibile; al contrario, ce ne possono essere diverse plausibili. E’ ad esempio legittimo che un gruppo inserisca molte note (non più di una ogni due-tre righe, però), e un altro poche ma più ampie: l’importante è che siano pertinenti e sensate.


    Formule di apertura che potrebbe essere utile consigliare, per iniziare il testo della nota a piè di pagina, sono:
    “Ad esempio in alcuni casi, come a Griliano, accadeva che…”; “C’erano differenze anche notevoli tra corti diverse: talora, come a Griliano, la situazione era…., mentre in altre corti, come in quella di Enzola, ….”.

     

    Primo esempio, riferito all’inizio del secondo capoverso del primo paragrafo:
    «Per capire il funzionamento della corte, dobbiamo immaginare il paesaggio dell’Europa nei secoli prima del Mille, dominato dall’incolto e con una popolazione molto scarsa» (1)

    A questa nota, corrisponde a fondo pagina un testo come il seguente:

     1)    Che la popolazione fosse molto scarsa, lo si ricava dal fatto che in diverse corti c’erano molti mansi disabitati: ad esempio a Griliano, una corte dipendente dal monastero di Santa Giulia di Brescia, ben 17 mansi erano vuoti, rispetto ai 28 affidati a famiglie contadine. In altri casi, però, come a Enzola nella bassa pianura reggiana, tutti i mansi erano occupati, per cui il popolamento doveva essere piuttosto disomogeneo.

    Secondo esempio, riferito all’inizio dell’ultimo capoverso dello stesso paragrafo:
    «I campi davano magri raccolti: il rendimento dei cereali (= il rapporto …e seminati), oscillava  tra 2:1 e 3:1»(2)

    A questa nota, corrisponde a fondo pagina un testo come il seguente (o anche molto più breve di questo):

     2)    Non sempre gli inventari indicavano il rapporto tra raccolto e semina, perciò non sempre è possibile ricavare il rendimento dei cereali, ad esempio a Griliano. In alcuni casi, invece, si indica espressamente tale rapporto, ad esempio ad Enzola, dove era di 50 moggi di grano su 15 seminati, perciò con un rendimento di 3,3 : 1, che rispetto alle medie del tempo si può giudicare abbastanza alto [la parte seguente non è alla portata degli studenti: forse a causa della posizione favorevole di questa corte, nella bassa pianura, più fertile delle zone collinari o montagnose].

    E’ opportuno che un esempio già svolto (uno di questi due, o altri) venga fornito alla classe come modello da seguire.

  • Via Francigena. Uso pubblico e realtà storica *

    Autore: Giuseppe Sergi


     
    Di quello che si de’ astenere il pellegrino e quello che de’ prendere
    Giovanni Sercambi, Cronache delle cose di Lucca, dal 1164 al 1424, A.S.L., Biblioteca Manoscritti, n. 107, c. 352r

     

    "Viae Francigenae" al plurale

    Secondo Abelardo -   lo ha ricordato Umberto Eco negli anni Ottanta del Novecento  -  le parole non si limitano a rispecchiare la realtà, ma danno anche corpo sia alle cose scomparse sia a quelle inesistenti (Postille a Il nome della rosa, in "Alfabeta", 49,giugno 1983, p. 19). La definizione di "via Francigena" si riferisce di sicuro a una cosa oggi scomparsa. Possiamo domandarci: c'è anche il rischio che si riferisca a una cosa inesistente?

    No, il rischio non è così alto: ma certo il Consiglio d'Europa con il suo progetto di itinerario europeo, gli assessorati delle regioni italiane con i loro materiali, le numerose associazioni nate per valorizzare culturalmente o turisticamente la “Via Francigena”, tutti rischiano davvero di dare una consistenza troppo precisa a questa parola, quasi che indichi una grande identificabile e ben tracciata autostrada che percorreva in diagonale l'Europa medievale.

    Non era così: le vie "Francigenae" erano molte, o addirittura moltissime, e non si può neppure parlare di varianti di un percorso principale perché per lo più si trattava di percorsi di pari dignità e pari anche per intensità di transiti. L'esempio lo offre proprio il Piemonte che ha due grandi valichi "Francigeni" alla pari (il Gran S. Bernardo e il Moncenisio) di cui sarebbe assurdo tentare di stabilire quale sia il più 'vero' o il più importante. Non solo, ma molte attestazioni documentarie designano strade di cui noi non riusciamo a tener conto, perché se lo facessimo ci avvieremmo a cartografare gran parte del reticolo viario europeo: valle per valle, zona per zona. Sono le strade di cui le popolazioni locali volevano semplicemente dire che arrivavano dalle Alpi o verso le Alpi si dirigevano.


    Calarsi nella mentalità medievale

    Allora il medievista non deve discutere di via Francigena come se si trovasse sempre di fronte a una carta dell'Europa o comportandosi da uomo attuale che ha istintivamente una mentalità da carta europea: deve, invece, calarsi nella mentalità e nella concezione proprie degli anni in cui la "via" o meglio le "viae Francigenae" erano usate e non erano una lodevole ma artificiale ricostruzione culturale.

    Lo storico ha gli strumenti per valutare tutti quei percorsi alla luce di una completa carta d'Europa (ciò che ben pochi nel medioevo si avvicinavano a poter fare) e, al tempo stesso, per non cadere negli anacronismi un po' frettolosi in cui  cadono facilmente gli enti turistici di oggi. Può essere utile, in questa sede, accennare al potenziale perenne rapporto dialettico fra Ministero dei Beni culturali e del Turismo e le singole Pro Loco: il primo ha l'istinto di cercare il vero percorso di una grande strada medievale (perché sia più semplice da cartografare e da proporre al turismo internazionale); le seconde sono pronte ad applaudire se quell'unico percorso individuato passa sul  territorio  dei  loro  comuni  e  a  mandare  telegrammi  indignati  se  ciò  non avviene.

    Avrebbero torto l'uno e le altre, sia il Ministero sia le Pro Loco: è come se pensassero davanti a carte di scala molto diversa.

    Per fortuna la via Francigena non è Cristoforo Colombo: perché Cristoforo Colombo è uno solo, da qualche parte sarà pur nato, ed è difficile sottrarsi a quella  vera  (in  questo  caso  non  immaginaria)  guerra  di  Pro  Loco  che  si contendono i natali dello scopritore dell'America. Di "viae Francigenae" invece ne possono esistere varie, e se aggiungiamo anche le attestazioni di "Romea", "pellerina" e, in qualche caso, "regia", ne esistono in numero ancora maggiore.

    Il linguaggio della sentenza iniziale di Abelardo, dunque, il linguaggio che parla di cose che non ci sono più, riflette anche il lungo travaglio che avevano avuto quelle stesse cose mentre c'erano ancora. Rivela che ci sono state culture locali e regionali (gli orgogli municipalistici, le tradizioni, ciò che corrisponde, nel passato più lontano, alle Pro Loco di oggi) che si sono comportante in modi diversi.


    Locale,  non localistico

    Attenzione, non sto suggerendo una lettura tutta localista. Non sto dicendo che l'uomo del medioevo aveva solo orizzonti spaziali circoscritti. Non voglio proporre mille piccoli paesaggi mentali al posto dell'unica grande carta d'Europa dell'uomo  contemporaneo.  Sto  dicendo  che  allora  c'erano,  e  convivevano, concezioni dello spazio molte diverse e che ognuna di queste concezioni determinò diverse sedimentazioni documentarie del termine "via Francigena".

    Per gli abitanti di Alessandria, la via Francigena era quella che passava vicino alla loro città. Non si ponevano il problema che ne esistessero altre; così per gli abitanti della valle di Susa, del Torinese o addirittura del Novarese. E' proprio un problema di toponomastica locale, come il nostro dare nome alle vie: nella toponomastica locale la "via Francisca" o "Francigena" era quella che suggeriva il percorso transalpino; non creava alcun disturbo che altre zone avessero pure la loro, diversissima e diversamente direzionata, via Francigena.

    Certo i poteri di dimensione regionale, come i Savoia, sapevano che la loro regione conteneva una pluralità di percorsi, ma non si preoccupavano di gerarchizzarli, né potevano sensatamente tentare (non avrebbero avuto alcun successo) di cambiare a favore di un percorso unico gli usi toponomastici locali.

    I grandi poteri poi, nel medioevo, non erano in grado di costruire grandi percorsi sovraregionali come le strade romane, imponendo nomi appositi del tipo di "via Aurelia" o "via Aemilia". Non potevano farlo, non tentavano neppure, e neanche tentavano di denominare in modo unitario percorsi già esistenti. Ecco, noi in un certo senso siamo deformati dall'idea delle grandi vie romane: perché la nostra odierna concezione - dello spazio ma anche dello stato - è in realtà vicina più a quella romana che a quella medievale. Quindi rischiamo di cercare sulla carta la via Francigena   un po' come si cerca la via Aurelia: e, se lo facciamo, sbagliamo.


     
    Tabula peutingeriana, I-IV secolo, edizione Konrad Miller, 1887-1888 (segmento VII)

    La tabula peutingeriana è una lunga striscia di pergamena, divisa in 11 segmenti, che riporta la mappa del mondo conosciuto e conquistato da Roma. La mappa è conservata presso la Biblioteca Nazionale di Vienna (Codex Vindobonensis). Essa fu rinvenuta nel 1507 in una biblioteca di Worms da Konrad Celtes, bibliotecario dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, che la fece pervenire all’umanista Konrad Peutinger. Nel documento giunto sino a noi manca la parte estrema  occidentale dell'impero, ovvero parte della Britannia e della Penisola Iberica

     

     

    Leggere storicamente le fonti

    Dobbiamo invece tener conto del pensiero degli uomini e storicizzarlo: il pensiero diverso, come abbiamo visto, di chi intraprendeva un viaggio, di chi dalla sua reggia considerava i suoi domìni dall'alto  -  in modo statico ma senza i mezzi per modificare troppo il paesaggio  - e infine il pensiero di chi (il contadino, ma soprattutto il notaio che redigeva i documenti) nei luoghi ci abitava. Per gran parte del medioevo coloro che principalmente incidono sulla toponomastica locale sono questi ultimi, cioè gli abitanti locali.

    Gli  storici  hanno,  in  passato,  lavorato  sui  grandi  itinerari  (quelli  degli eserciti, raccontati dai cronisti) ma anche quelli dei pellegrini colti che, come Sigerico, ce li raccontano in prima persona. Ma ora  - se cercano in ogni regione dove nei documenti notarili locali è rimasta traccia di un nome di strada che di quella strada vuole sottolineare l'internazionalità  - essi si imbattono quasi esclusivamente nella concezione locale dello spazio. Quindi si imbattono in varie e diverse "viae Francigenae", o scoprono che lo stesso percorso che al quinto chilometro si chiama "via Francigena", al ventesimo chilometro si chiama "via regia", oppure "via Romea".  In Piemonte non c'è dubbio che la "strata pellegrina" o "pellerina" (presso Torino) è un percorso di quella che un po' più a nord e un po' più a sud si chiama "Franca" o "Francorum" o "Francisca" o "Francigena", ma che, procedendo verso Vercelli, può anche chiamarsi "strata Lombarda". In Valle d'Aosta la strada percorsa da Sigerico non si chiama via Francigena, bensì "via publica domini comitis": ma avremmo il coraggio di dire che si trattava di una strada diversa? Evidentemente no.


    Lo spazio dei viaggiatori

    A quella locale e a quella regionale possiamo aggiungere almeno altre due concezioni dello spazio: quella dei grandi viaggiatori (mercanti, pellegrini, intellettuali, militari) e quella dei grandi poteri centrali (i re, i papi).

    I grandi viaggiatori, all'inizio del loro viaggio (un mercante astigiano verso le fiere della Champagne, il monaco  che da S. Giusto di Susa si accinge a fare un viaggio religioso-culturale attraverso i principali monasteri europei, il pellegrino diretto a Roma, il principe che avvia una spedizione militare verso la pianura padana) progettavano - insisto, "progettavano" - il loro percorso volta per volta, a seconda di mete e obiettivi e, qualunque fosse la loro scelta (sapevano benissimo di non avere una sola scelta possibile), dovunque transitassero, avevano   buone possibilità di essere percepiti come "viandanti della via Francigena" dagli abitanti delle zone in cui passavano, perché in ogni singola zona non usavano se non raramente percorsi secondari, ma usavano la strada che, per la cultura locale, era quella pubblica, internazionale e dei grandi viaggiatori.

    Il fatto che, sempre nella zona di Torino, sia documentata la "strata publica peregrinorum et mercatorum", elimina poi ogni dubbio sulla possibilità che vi fossero percorsi preferenziali diversi per i pellegrini o per i mercanti: non erano diversi. Le modalità dei viaggi potevano essere differenziate non solo dalle mete, ma anche dalle soste intermedie: monasteri e luoghi di culto nel caso dei pellegrini, mercati e città nel caso dei mercanti, ma senza escludere, perché c'erano, i viaggi misti, con intreccio di motivazioni religiose e commerciali.

    Ciò  che  ho  appena  detto  segna  una  differenza  importante  della  via Francigena rispetto al percorso per Santiago di Compostella: quest'ultimo era infatti un percorso specializzato di pellegrinaggio, all'interno di singoli tratti del quale si innestava poi ogni altro tipo di uso, ma che rimaneva molto caratterizzato. Questa specializzazione d'uso determina anche una maggiore precisabilità del suo percorso, perché ogni tappa aveva acquisito un valore rituale che, per la sua stessa natura, tollerava meno le deviazioni.

     
    Teodomiro davanti alla tomba di San Giacomo, la data dell’invenzione è fatta tradizionalmente risalire all’anno 829.
    Archivo della Cattedrale di Santiago de Compostela, Ms. Tumbo A (1129-1255), c 1v

     

    A fronte di un comune medievale di Torino che poteva imporre ai viaggiatori di sostare almeno una notte in città, ed essenzialmente a questo badava, ci sono stati i numerosi  comuni toscani che, nell'insieme,  hanno  preferito già nel medioevo l'aggettivo "Francigena" rispetto ad altri aggettivi e hanno anche propagandisticamente determinato la maggiore notorietà di un percorso rispetto ad altri, come dichiarò candidamente un assessore regionale al Turismo (in "Su & Giù per la Val di Susa e la Val Sangone", 19 (ottobre 1994, p. 11).

    Da quel nome e da quella notorietà deriva un atteggiamento d'indagine (l'individuazione del "vero" percorso medievale, la distinzione d'uso fra diversi percorsi) che ha forse per la Toscana maggiore giustificazione. Ma per le altre regioni non dobbiamo compiere noi, oggi, le operazioni che il medioevo non aveva compiute. La riapertura e la pubblicizzazione in valle di Susa, qualche anno fa, del "sentiero dei Franchi", deve essere salutata come la lodevole valorizzazione turistico-culturale di uno degli interessanti percorsi medievali - sopravvissuti solo nella memoria popolare e non nell'uso - ma non si devono, come purtroppo è stato fatto, accogliere anche le deformazioni di quella memoria popolare: ad esempio la convinzione che fosse il percorso compiuto da Carlo Magno per sconfiggere i Longobardi, oppure che fosse una strada tutta speciale con cui i pellegrini toccavano i principali monasteri della valle.


    Tanti nomi per tante vie

    Perché il nome "Francigena"? Alcuni studiosi, rispetto a una certa  spiegazione  spontanea  (Francigena  come  strada  "generata,  proveniente" dalla Francia), preferiscono un'altra spiegazione, che considera via Francigena equivalente dell'altrettanto documentato "via Francigenarum" (cioè via percorsa da coloro che sono nati in Francia). Forse entrambe sono spiegazioni accettabili: l'importante è aver chiaro che la "regione di Franchi" nel medioevo non coincideva con l'attuale Francia. Il regno dei Franchi occidentali era diverso dal "regno dei Burgundi" - la grande Borgogna di allora - e ciò spiega perché anche in Savoia e nella Borgogna attuale, pur di là dalle Alpi, si trovano attestazioni di "via Francigena".

    Di tutti i nomi possibili della via (abbiamo visto Francorum, Franca, Francisca, Francexia, Pellerina, Romea e altre varianti più generiche), questo è quello che suona più originale ed esotico sia alle orecchie medievali sia alle nostre: ciò che è più esotico è anche più connotante. Di qui la fortuna storica sull'Appennino tosco-emiliano e nelle aree più vicine a Roma (dove "Romea" rischiava di essere troppo normale). Di qui, anche, la fortuna odierna.

     

    Le strade, le chiese, la Chiesa, il Giubileo

    Chiesa e poteri: un singolare inesatto e un plurale da spiegare. Su questi argomenti il medioevo è una storia di singolari e di plurali da definire. Vediamo perché e incominciamo dalla chiesa. Fino agli anni di passaggio fra i secoli XI e XII, fino a Gregorio VII, a Canossa, al notissimo concordato di Worms, sarebbe anacronistico e sbagliato attribuire alla sede papale la funzione che i secoli successivi ci hanno abituato a riconoscerle.
    Fin oltre l'anno Mille il vescovo di Roma aveva solo un generico primato d'onore, aveva forza dirimente in questioni teologiche, ma non decisionalità centralizzata, superiorità gerarchica rispetto alle sedi arcivescovili e vescovili. Per grandi ambiti regionali avevano più peso le decisioni dei concili dei vescovi di quella certa regione: era così ad esempio per le notissime paci di Dio, che erano appunto decise da assemblee di vescovi e non da Roma.

    Non a caso il primo anno santo - con connessa indulgenza plenaria per chi si recasse a Roma in pellegrinaggio alle quattro basiliche di S. Pietro, S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore e S. Paolo - fu soltanto del 1300 a opera di papa Bonifacio VIII: iniziativa di una chiesa ormai davvero, a quel punto, centralizzata e monarchica.

    L'anno santo, inizialmente ogni 100 anni, fu reso più frequente da papi successivi: ogni 50 da Clemente VI, ogni 33 da Urbano VI, ogni 25 da Paolo II, alla fine del secolo XV.  All'indulgenza, e poi all'insieme nell'anno in cui si poteva conseguire, fu applicata la definizione giubileo (dal corno di montone, chiamato jovèl, con il cui suono i sacerdoti ebraici annunciavano l'anno sabbatico).

     
    Come fu lo perdono di Roma
    Giovanni Sercambi,Cronache delle cose di Lucca, dal 1164 al 1424, A.S.L., Biblioteca Manoscritti, n. 107, c. 351r

     

    Senza dubbio l'anno 1300 registrò un gran numero di transiti dall'Europa settentrionale verso Roma. Ma dobbiamo prendere atto che dei dieci-undici secoli che corrispondono alla durata convenzionalmente attribuita al medioevo, solo gli ultimi due secoli medievali ci mostrano un pellegrinaggio romeo deciso dal centro della chiesa occidentale e con questo livello di formalizzazione. La chiesa di Roma raccolse e ufficializzò tendenze spontanee dei secoli precedenti della cristianità, in particolare dei movimenti penitenziali di ispirazione gioachimita del secolo XIII.

    Il pellegrinaggio di gran parte del medioevo deve dunque essere interpretato in chiave policentrica, differenziando le mete terminali e quelle intermedie, i promotori, gli impulsi spontanei. Sul medesimo asse viario coincidevano pellegrinaggi lunghi e pellegrinaggi brevi, legati a culti locali. Su gran parte del percorso potevano incontrarsi i romei (pellegrini diretti a Roma), quelli diretti al Santo Sepolcro a Gerusalemme, quelli che coprivano in pellegrinaggio la distanza fra i due grandi centri di culto dedicati a S. Michele (Mont-Saint-Michel in Normandia e S. Michele del Gargano).

    Tre tipi di pellegrini che percorrevano la stessa strada, ma ne facevano un uso diverso a seconda dei loro scopi: è sicuro, ad esempio, che il pellegrino devoto al culto di S. Michele non rinunciava mai a una sosta rituale al monastero di S. Michele della Chiusa - presso Torino - mentre quello diretto a Gerusalemme poteva fare altre scelte. Senza escludere che il devoto di S. Michele si desse una duplice meta italiana, sia Roma sia S. Michele del Gargano.

    Pellegrini cristiani entrano al Santo Sepolcro, Riccoldo da Montecroce, Liber peregrinationis, Bibliothèque Nationale, Paris, ms. fr 2810, c.274r

     

    Pellegrinaggi in linea e pellegrinaggi concentrici

    Uno storico e antropologo francese, Alain Guerreau, ha distinto concettualmente  i  grandi  pellegrinaggi  "in  linea"     dai  più  locali  e  brevi pellegrinaggi concentrici.  La grande linea della via Francigena incontra nel suo percorso i molti cerchi ideali disegnati da quelli che potremmo definire "imbuti di devozione" dei pellegrinaggi più locali. Fra gli esempi: S. Michele e S. Giovanni Vincenzo (europeo l'uno, valsusino l'altro; con salita a S. Michele l'uno, con meta al sepolcro di S. Giovanni nella località di S. Ambrogio, ai piedi del monte Pirchiriano su cui sorgeva la grande abbazia, l'altro).  I pellegrinaggi concentrici potevano  non  avere  alcuna  influenza  sui  grandi  pellegrinaggi  in  linea,  ma potevano anche determinare interferenze, sovrapposizioni, piccole deviazioni: un culto locale poteva essere promosso a una dimensione sovraregionale proprio per il fatto di avere un punto di focalizzazione collocato sull'asse di un grande pellegrinaggio.

    L'esempio di S. Michele, appena fatto, continua a invitarci a spostarci dal singolare "chiesa", troppo moderno o almeno bassomedievale, al plurale di chiese, monasteri, centri canonicali, ospizi retti da religiosi. Questi, grazie alla loro collocazione nell'area della via Francigena, prosperavano e garantivano servizi. Per molti di questi centri - che siano centri di preghiera, di cura d'anime o d'assistenza - la via Francigena fu addirittura la ragione principale della loro fondazione: e non solo nel caso degli ospizi, antichissimi, del Moncenisio e del Gran  S.  Bernardo,  ma  anche  nel  caso  di  monasteri  come  Novalesa  in  val Cenischia e S. Giacomo di Stura alle porte di Torino, di collegi canonicali come S. Lorenzo d'Oulx e S. Antonio di Ranverso.


    La concorrenza fra i monasteri

    Fra le moltissime osservazioni che occorrerebbe fare sulla presenza stradale di questi enti, segnalo le tre meno ovvie.

    La prima: fra i secoli XII e XIII si ebbe il passaggio, graduale e diversamente datato a seconda delle zone, dalle presenze religiose miste  - in cui i monasteri si assumevano sia funzioni di preghiera sia funzioni di assistenza  - alle presenze religiose specializzate. Queste ebbero maggior fortuna (anche sotto il rispetto delle donazioni ricevute dalle popolazioni  locali e dell'appoggio garantito  dall'aristocrazia)  dei centri assistenziali e ospedalieri, adatti a una  società medievale più  matura che avvertiva in minor misura i problemi antichi della cristianizzazione e sviluppava invece la dimensione sociale dell'esperienza religiosa.

     
    L'ospitalità dei pellegrini e dei poveri come opera di misericordia  Affresco del refettorio della cattedrale di Santa Maria de la Seu Vella, Lleida, Spagna - XIII sec


    La seconda: questi enti religiosi erano punti di riferimento per i livelli alti della società, e reclutavano i propri membri fra l'aristocrazia e, in qualche caso, fra i borghesi. Ma quelli collocati lungo la via Francigena erano nelle condizioni di differenziarsi nettamente per i loro àmbiti di reclutamento dei monaci, che potevano essere cittadini o regionali nonostante la collocazione stradale. Potevano essere addirittura estranei alla dimensione locale, legati alle origini privilegiate del pellegrinaggio (è il caso di S. Michele della Chiusa, che per molto tempo ebbe monaci prevalentemente alverniati e aquitani, e scarsi coinvolgimenti con la realtà locale della valle di Susa).

    La terza: fra questi centri c'era un'accentuata competizione, la "concorrenza monastica" ben definita  da Bernard Bligny in ricerche di oltre trent'anni fa. E' un'altra conferma che la coscienza della comune appartenenza alla societas Christiana non li induceva a comportamenti unitari, concordati e complementari: perché era naturale contendersi i favori della religiosità popolare; contendersi le soste dei pellegrini più nobili, più ricchi e più generosi; costruire dentro e a margine dei tracciati della strada signorie fondiarie e politiche, coltivate da rustici e attrezzate con castelli: e  i confini di queste signorie erano ovviamente oggetto di frequenti controversie.


    Il potere “generatore” della via Francigena

    Siamo già dunque passati, se pur attraverso gli sviluppi signorili degli enti religiosi, al tema dei poteri. E dobbiamo prendere atto che la via Francigena, a seconda che si snodasse in aree più o meno vicine   ai grandi valichi alpini, determinava interventi diversi del potere. Presso i valichi più obbligati delle Alpi Cozie e Graie  si aveva la massima concentrazione di un intervento umano di alto livello, che possiamo definire politico-concorrenziale: su questi percorsi i diversi poteri medievali potevano solo  realizzare o sottrarre ad altri il controllo di strade poco modificabili e occuparsi della loro manutenzione e attrezzatura.

    Nelle ramificazioni verso la pianura - quindi sulla via Francigena più a valle - si aveva invece un intervento umano più concretamente operante, che possiamo definire politico-progettuale,  perché i poteri qui incidevano non su percorsi obbligati, ma su aree di strada con diverse opzioni possibili.  Sono constatazioni che si possono fare sia per il livello massimo del potere, il potere dei re -  che dall'età carolingia in poi si erano sempre occupati più della transitabilità alpina che della rete stradale  nel  suo  complesso - sia  per poteri  intermedi  come  i  principati territoriali, sia per i poteri signorili più locali.

    La  via  Francigena,  come  le  altre  grandi  strade  del  medioevo,  era  un importante "generatore". Generatore di concorrenze e di conflitti, che a volte determinarono tensioni   inimmaginabili per ospedali rurali piccoli e marginali. Le dispute confinarie fra diocesi di Torino e di St. Jean-de-Maurienne furono accesissime intorno al valico del Moncenisio e sulla striscia stradale corrispondente alla val Cenischia.

    Ma la strada fu anche generatore di strutture politiche. La strada non generava soltanto formazioni politiche ampie ma anche nuclei signorili. Spesso le  famiglie valorizzavano il controllo di un transito o per aumentare la loro forza contrattuale rispetto a poteri superiori o per sfruttare a fondo la loro collocazione attraverso la riscossione di pedaggi. Nei tratti alpini la via Francigena fu sfruttata soprattutto da un’aristocrazia intermedia che, al seguito dei Savoia, individuò nella strada il modo per trovare nuovi ambiti d’affermazione. Famiglie come i “de Aprili”  e i "de Toveto" seguirono i Savoia di qua dal Moncenisio, operarono assiduamente al loro seguito, accettarono incarichi di vario prestigio, soprattutto espressero personaggi adatti per diventare “castellani”, cioè ufficiali preposti alle nuove circoscrizioni.

    Tuttavia, è indispensabile (per quanto difficile) muoversi con grande prudenza, nell'usare questa categoria concettuale della strada-generatore,: perché in passato l’erudizione ha fatto della strada la molla obbligata di ogni processo storico, non solo con spiegazioni monocausali che oggi sarebbero inaccettabili, ma anche presupponendo quelle fissità e inevitabilità dei percorsi che mi sono impegnato a smentire nella prima parte della relazione.


    La strada come “acceleratore”  e “regolatore” di processi

    Più nuova e meno densa di insidie è, sul piano politico, la categoria della strada come "acceleratore" di processi storici. All'interno delle Alpi distinguiamo le zone  marginali  da  quelle  di  grande  transito. Constatiamo  che  nelle  valli  più ‘stradali’  non solo le novità avevano tempi uguali rispetto a quelli (di solito veloci) della pianura, ma realizzavano con un’alta concentrazione (dato il territorio relativamente limitato interessato dai transiti) una sintesi spesso originale fra culture, schemi politici e modelli sociali diversi. La dinastia dei marchesi di Torino nel secolo XI realizzò in valle di Susa, prima che altrove, la  trasformazione del  proprio  ufficio  pubblico  in  potere  dinastico-signorile;  il  modello  delle franchigie per comunità rurali fu adottato nelle valli di Susa e di Aosta prima che altrove.

    Ma la via Francigena era anche un "regolatore". La strada-generatore aveva fatto nascere con facilità lungo il proprio asse la vera novità istituzionale successiva al Mille, cioè la signoria "di banno": la signoria di castello di famiglie ricche di terra e di intraprendenza militare. La strada-acceleratore poteva determinare un precoce  sviluppo di questi nuclei di potere, che per altro erano un modello politico comune alla generalità delle campagne medievali. Tutto questo è vero, ma lungo una via come la Francigena i poteri di grandi dimensioni, i re e i principi territoriali,  si affrettavano a  regolare i loro rapporti con le autonomie signorili, riservando a sé l’alta giustizia, accettando autonomie locali solo in quanto formalmente subordinate, sforzandosi di inquadrarle in ordinamenti di tipo precocemente statale. Lungo la via Francigena le novità signorili nascevano prima ma, poiché non passavano inosservate, dovevano regolare la loro coesistenza con i grandi poteri regionali e sovraregionali.

     
    Affreschi di Llida (citato sopra). Pellegrini che si ristorano

     

    I comuni e le città

    Un fugace cenno precedente ci ha introdotti a un ultimo protagonista politico dell'area di strada, i comuni. Sia per comuni di un certo livello (Asti, Chieri, Torino, Ivrea), sia per comuni medi (come Susa o Aosta), sia per le numerose comunità rurali, la grande strada si poneva come alternativa concreta e preziosa all'agricoltura, alla pastorizia, all'esercizio di diritti locali. Questa alternativa consisteva nello sfruttamento dei transiti, nei suggerimenti commerciali che provenivano dalla collocazione delle comunità e nelle agevolazioni connesse.

    Anche le comunità più piccole che occupavano luoghi cruciali lungo la via Francigena avevano  buona forza contrattuale nei rapporti con il potere.

    Tra Moncenisio e Chambéry la strada era, contemporaneamente, elemento di stabilizzazione e di mobilità. Di stabilizzazione perché costituiva la discriminante intorno a cui si organizzavano le gerarchie politiche, si regolava la coesistenza fra conti, vescovi e signori, si definiva l’identità politica delle comunità. Di mobilità perché non solo innescava la circolazione di modelli istituzionali - notarili, cancellereschi, giuridici -,  non solo suggeriva l’impegno nei commerci di nuovi ceti emergenti, ma stimolava anche la proiezione verso l’Italia e verso sud-est di un’aristocrazia intermedia alla ricerca di nuovi campi d’affermazione.

    Di qua dalle Alpi la strada agiva invece in modo più frastagliato. Suggeriva direzioni  d’espansione  ai  Savoia ma dava anche forza  ai  suoi  concorrenti; garantiva da molti anni l’autonomia e il prestigio di enti religiosi impegnati a costruire dominazioni signorili ma li spingeva anche verso il coordinamento; stimolava da un lato nei Torinesi uno sfruttamento in certo senso ‘passivo’ della strada (controllo di pedaggi, “custodie” di castelli loro affidate dalla signoria vescovile) ma sviluppava d'altra parte nei Chieresi una delle più interessanti vocazioni imprenditoriali e mercantili della regione. E in questa situazione l’aristocrazia  militare  maggiore, invece di rassegnarsi come in Borgogna a un inevitabile superiore coordinamento, poteva giocare con una pluralità di alleanze per tutelare i propri spazi di autonomia.

    In conclusione: se in tema ecclesiastico la via Francigena ci fa assistere a un disseminatissimo plurale (le chiese) che diventa singolare (la chiesa di Roma come promotrice massima dei grandi pellegrinaggi), in tema politico il plurale dei numerosi poteri continua a imporsi, e di singolare troviamo soltanto la costrizione al coordinamento che una grande strada europea imponeva a chi voleva sfruttarne i vantaggi.

     

    *Adattamento da La via Francigena. Chiesa e poteri, in La via Francigena. Itinerario culturale del Consiglio d’Europa, Atti del Seminario di Torino, 20 ottobre 1994, pp. 12-23
    Ricerca iconografica di ARVO (Archivio del volto santo) a cura di Ilaria Sabbatini

     

    Nota bibliografica

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  • Young Historians Festival, il festival dei giovani storici a Lucca

    di Ilaria Sabbatini

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    Young Historians Festival è il primo festival italiano di storia rivolto ai ragazzi in età scolare, dalle elementari alla scuola superiore: un festival di storia per ragazzi fatto dai ragazzi. Quella che viene proposta per il 2018 è un'edizione zero. Abbiamo l'intenzione di farlo diventare un appuntamento fisso che qualifichi la città di Lucca nel senso dell'attenzione alla storia, alla formazione e alla didattica.

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