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  • “La storia con la memoria”. Appunti sul rapporto fra storia e memoria

    Autore: Antonio Brusa

     

    Indice

    1. Nebraska
    2. Storia con memoria
    3. La dimensione individuale della memoria
    4. La dimensione sociale della memoria
    5. La dimensione storica della memoria
    6. La memoria conflittuale
    7. La memoria selettiva

     

    Interno del Caffè Nebraska, a Madrid

     

    1. Nebraska
    Nebraska è un caffé di Madrid, luogo di ritrovo di un piccolo gruppo di studiosi di didattica, troppo radicali per essere amati dall’accademia pedagogica, troppo impegnati e bravi per non essere conosciuti e letti dagli insegnanti che ci tengono al loro mestiere. In omaggio a quel bar, il gruppo si chiama Nebraska. La loro guida è Raimundo Cuesta.

     

     

     

    L’ho conosciuto venti anni fa, in una summer school di Valencia, organizzata da Rafael Valls, che vi insegna storia contemporanea e didattica della storia. Mi impressionò per la profondità culturale con la quale leggeva le questioni didattiche. Ha scritto un’opera che considero fondamentale, Sociogenesis de una disciplina escolar: la historia,nella quale racconta come si è formata la “disciplina storia”. Usa, come fonti, i programmi, i testi storici e didattici, i libri di testo, ma anche l’aula e il suo arredo (la cattedra, i banchi, la bandiera, la carta geografica e il crocifisso alla parete). Questo gruppo pubblica da quasi venti anni una rivista “Con-ciencia social”,  nella quale affronta le questioni di fondo dell’insegnamento storico e, soprattutto, promuove quella che il gruppo chiama “pedagogia critica”. Qui potete leggere il suo editoriale

     

    Con questo titolo/slogan, quegli studiosi (tutti professori di scuola e, al tempo stesso, ricercatori apprezzati) sostengono che una buona didattica deve studiare gli aspetti pedagogici e psicologici, le questioni storiche e storiografiche, alla luce dell’analisi approfondita del contesto sociale e storico, nel quale si realizza il lavoro scolastico. E, siccome sono radicali, sostengono che la pedagogia o è critica, o è malapedagogia.

     

    Leggo con avidità i loro scritti. Non sempre sono d’accordo, ovvio (mi sembra che a volte si divertano a fare gli estremisti). Ma quello che scrivono mi obbliga a pensare e mi allarga la mente, quasi sempre. Così ho pensato di condividere con i lettori di HL gli appunti che ho preso da un articolo di Raimundo su un tema che tutti consideriamo fondamentale, quello del rapporto fra storia e memoria. Il testo che segue, dunque, è un collage di frasi e di sintesi. Come tale non potrà essere attribuito al collega spagnolo, al quale chiedo scusa per la mia infedeltà, ma nemmeno a me, che in larga parte ricopio, sintetizzo e interpreto. Questo lavoro parte dalla critica con la quale oggi si imposta la questione del rapporto fra storia e memoria. Molti, soprattutto i gestori della politica, puntano sulla memoria a danno della storia. Ce ne siamo accorti noi italiani, che abbiamo visto negli ultimi anni diminuire le ore di storia e incrementarsi le giornate della memoria. Altri, soprattutto fra gli storici (e io mi metto fra questi) mettono in rilievo la differenza che esiste fra storia e memoria, la loro opposizione, e sottolineano, di conseguenza, il dovere dello storico di “criticare la memoria”. Raimundo Cuesta propone una “storia con memoria”. Dice che questa è utilissima nell’apprendimento e che, anzi, la relazione stretta fra storia e memoria è un ingrediente essenziale di una “pedagogia critica”, strumento vitale di una società democratica.

     

    2. Storia con memoria

    Scrive Cuesta che un errore della pedagogia della memoria è quello di presumere che esista una “buona memoria” e una “cattiva memoria”, e immaginare che il compito dell’educatore sia quello di scoprire la prima e sradicare dalla testa degli allievi la seconda. Questa concezione “reificata” della memoria deriva da una mescolanza di dogmatismo storico politico e di ingenuo idealismo pedagogico. Essa promuove la costruzione di una memoria comune e consensuale, una sorta di impiastro benintenzionato dalle virtù taumaturgiche e terapeutiche, capaci di guarire le ferite  che il passato ha inferto al tessuto sociale.

    Queste ferite, però, non sono soltanto la conseguenza di esperienze vissute, ma sono anche il prodotto di situazioni storiche, che, anche quando non sono state vissute, vengono ricordate collettivamente. Esse, trasmesse di generazione in generazione, si incarnano nella vita degli individui.

    La storia, quindi, trova nella memoria una sorta di palestra critica che è importante saper utilizzare in una strategia di formazione alla democrazia. Naturalmente, chi voglia approfondire l’argomento, deve ricorrere al testo originale di Cuesta (citato in fondo). Qui riporto, a uso degli insegnanti, i cinque aspetti strategici nella memoria. Ne riassumo le caratteristiche essenziali e le piste di riflessione pedagogico/didattica che possono aprire.

     

    3. La dimensione individuale della memoria

    Da un certo punto di vista estremo, la memoria è solo individuale. Un’espressione come “memoria storica” è un ossimoro, un’autentica contraddizione in termini. Ora, il soggetto è un sistema risultante di un amplissimo ventaglio di “ego”, costruiti in contesti/ambienti molto vari. Il mio “io attuale” è il frutto di questa lunga e variegata interazione.

    Poste queste premesse, il compito educativo potrebbe essere quello di costruire situazioni di apprendimento a partire dalla elaborazione della propria autobiografia, per passare al confronto fra autobiografie, alla realizzazione di inchieste sulla vita personale degli individui. Questa riflessione – sulla propria memoria e sulla memoria degli altri, potrebbe permettere una straordinaria operazione: “distanziarsi dal soggettivo attraverso la soggettività”. Si comincerebbe, in questo modo, a comprendere quanto le memorie individuali siano debitrici di una “filiazione reificata e ideologica della vita sociale”. Si imparerebbe, attraverso questo lavoro, a svelare la falsa tra speranza dei ricordi. Si imparerebbe a coniugare il piacere estetico di raccontarsi con il vaglio critico, alla ricerca delle relazioni reali fra soggetto e società.


    4. La dimensione sociale della memoria

    In questo campo, il riferimento a Maurice Halbwachs è obbligatorio. Secondo lo storico francese, “la memoria è un ente sociale costruito attraverso le interazioni fra i gruppi sociali, la cui gestazione e manifestazione può essere conosciuta con i metodi delle nuove scienze sociali”. In questa opzione interpretativa, il “politico” entra prepotentemente nella costruzione della memoria sociale, dal momento che questa memoria è uno strumento essenziale per la tenuta della collettività. Osservata da questo punto di vista, la memoria individuale, che prima avevamo considerato nella sua dimensione narrativa e quindi continua, si frammenta in un complesso a volte caotico di rappresentazioni variamente vincolate al genere, alla classe sociale, alla identità etnica, politica religiosa ecc.

    Una didattica critica, in questa dimensione, non può che lavorare a mettere in rilievo il marchio di provenienza dei diversi ricordi.

     

    5. La dimensione storica della memoria

    E’ un aspetto specifico (e interessante) della dimensione sociale. Si riferisce al fatto che la memoria non è mai fissa, ma è un flusso indistinto e mobile, in costante divenire. E’ un enciclopedia di racconti e di rappresentazioni sempre  suscettibile di interpretazioni. Questa dimensione storica della memoria ci avverte che non possiamo limitarci a studiare il passato in quanto tale, ma occorre comprendere le forme in cui questo passato è stato tramandato fino a noi. Una dimensione essenziale per la comprensione del presente, perché il passato non è un oggetto che è presente fra di noi per una sua certa inerzia (perché c’è e basta). Al contrario è qualcosa che costruiamo ogni volta che lo evochiamo nel presente. Perciò, dall’analisi del modo con il quale pensiamo il passato, noi possiamo scoprire la mitogenesi dei valori dominanti nell’attualità.

    Da questo punto di vista, lo studio scolastico di quei momenti che, J. Aròstegui chiama “I momenti matrice della storia di un paese” (come la guerra civile per la Spagna, ma per noi potrebbe essere la Resistenza o Mani Pulite) implica un certo dovere di memoria. Spinge a osservare le interazioni fra la ricostruzione storica e la memoria, e favorisce la nascita di una coscienza storica e di un’educazione alla democrazia dentro lo spazio pubblico scolastico. Al dire di Walter Benjamin, questo studio permette di fondere il passato assente con il presente, per immaginare il futuro.


    6. La memoria conflittuale

    Il ricordo del passato non è univoco. Il ricordo del passato si realizza sempre in un campo di forze. Ancora Benjamin ci aiuta a comprendere la memoria come uno spazio di tensioni contrapposte che riguardano sia il passato, sia il presente, ma soprattutto il futuro: perché è questo essenzialmente che interviene quando problematizziamo il presente e ci rivolgiamo al passato. Questo campo di forze impedisce in modo definitivo la costruzione di una memoria consensuale.

    La finalità educativa dell’insegnamento della storia non è quella di condurre, attraverso il dialogo e la deliberazione habermasiana, a un consenso basato sulla forza dell’argomento più convincente, ma, se seguiamo la posizione critica di Benjamin, l’aspetto pedagogico risiede nella impossibile concertazione delle memorie. Inoltre, la dimensione educativa della storia non risiede nell’insegnare agli allievi una storia che sia la media di tutte le interpretazioni, una “buona memoria” che sia il frutto di una conformità uniforme. Al contrario lo scopo fondamentale è quello di interpretare la memoria come un conflitto, come un problema senza lieto fine. Qui si vede l’apporto principale che l’uso pubblico della storia da nel campo di una didattica critica, in una società che aspira a costruire luoghi e spazi di pratiche democratiche, libere dalle logiche funzionali delle democrazie di mercato. Non dobbiamo aver paura del conflitto fra le interpretazioni del passato. Questo, anzi, è un dato positivo se lo vediamo nella prospettiva della formazione critica degli allievi.


    7. La dimensione selettiva della memoria

    Un atto di memoria individuale implica immediatamente un atto di oblio. Fernando Pessoa diceva che “ricordare è dimenticare”. Lo stesso accade nella vita sociale. E il desiderio di ricordare tutto non può che essere una patologia, come si mostra in Funes el memorioso, il celebre personaggio di Borges che aveva la facoltà/dannazione di non dimenticare nulla.

    Per definizione, la educazione critica contiene una volontà di discernere e di discriminare. Per tanto, essa invita sempre a praticare l’accurata arte di separare, scegliere e selezionare.  Occorre riflettere che questa attività dipende direttamente dal desiderio (è ciò che vogliamo, quindi il nostro futuro, che ci suggerisce cosa selezionare). Ogni ricordo cosciente, dunque, implica una ricerca di qualcosa che previamente abbiamo pre-sentito, intuito o desiderato sapere. Insomma, la didattica critica è selettiva e educa al desiderio attraverso la memoria. Di tale esmeraldo cultivo trata la historia con memoria, ossia il desiderio del futuro e il futuro del desiderio.

    E se a questo punto vi è venuto il desiderio di leggerlo direttamente, ecco l’articolo dal quale ho preso questi appunti: Raimundo Cuesta, La “Storia con Memoria” y la didattica critica, in “Con-ciencia social”, 15, 2011, pp. 15-30.

  • Aggiornarsi online come possibilità

    Didattica della storia e DaD: problemi, proposte e materiali per l’insegnamento

     di Angela Petruzzelli

     

    instagram foto La proposta di partecipare all’ennesimo corso di formazione/aggiornamento è arrivata mentre ero nel pieno della disintossicazione da web: l’esperienza della DAD mi aveva messa a dura prova e avevo imposto a me stessa di tenermi lontana da tutto il virtuale del mondo.

    Però l’invito era interessante perché non ho ancora smesso di cercare spunti di innovazione didattica realmente realizzabili, e sono convinta che la formula migliore per l’aggiornamento sia la peer education, cioè lo scambio di esperienze fra colleghi, finalizzato alla socializzazione ed alla condivisione delle buone pratiche che possono essere ripetute e magari anche ulteriormente migliorate.

    Per questo ho deciso di iscrivermi al Corso “Didattica della storia e DaD: problemi, proposte e strategie”, dove avevo buone speranze di trovare quello che volevo e di cui si troveranno i materiali come allegato a questo contributo. Qui ho trovato più che delle buone pratiche, i risultati di una buona ricerca in didattica della storia.

     

     

    "L’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo"

     

    La formula manzoniana rivolta alla poesia ed alla letteratura, - anche in considerazione del fatto che dopo essersi cimentato per quasi 15 anni con la scrittura del romanzo italiano per antonomasia, Manzoni decise di dedicarsi alla ricerca storica, allontanandosi per sempre dal verosimile, - mi pare calzante anche per la Storia e per questo Percorso innovativo per una didattica della storia a distanza.

     

    L’utile per iscopo

     

    Il fine dichiarato dai relatori è stato di raccontare come sono riusciti a innescare la miccia della curiosità nei loro studenti, nonostante la distanza non solo fisica che li separava, e quindi recuperare in ciascuno di noi, colleghi partecipanti agli incontri, il desiderio di attivare le nostre energie creative per continuare ad essere efficaci tutor dei nostri studenti.

     

    La veloce rappresentazione di ogni Modulo ha saputo mostrare come i ragazzi hanno individuato strategie e modelli conoscitivi praticando giochi, osservazioni, e/o ricerche. La possibilità (o il dovere) di valutare il loro operato, con il carico di conoscenze, abilità, competenze relativo, è stata offerta dagli interessanti spunti di Cesare Grazioli, che ha ridimensionato il peso della querelle valutazione formativa/valutazione sommativa, restituendo il credito dovuto alla partecipazione motivata allo sforzo di comprensione.

    Il corso, infatti, ha reso conto di esperienze concrete e di laboratori didattici (come quello legato al progetto Learning to Disagree) che erano stati concepiti sia per la didattica in presenza che per quella a distanza.

     

    L’interessante per mezzo

     

    Scegliere gli argomenti pei quali la massa dei lettori ha o avrà […] una disposizione di curiosità e di affezione, nata da rapporti reali”: Gli interventi hanno evidenziato i collegamenti non pretestuosi fra passato e presente, per esempio sollecitando ad indagare senza pregiudizi sulle ragioni e sugli effetti delle migrazioni da est degli ultimi cinquant’anni o a leggere criticamente i documenti fotografici e i video che illustrano momenti rappresentativi della storia più recente. Si può partire da avvenimenti del passato e ritrovarli nella realtà più vicina a noi, o viceversa, per avvicinare gli adolescenti alla lettura consapevole del presente.

     

    Il vero per soggetto

     

    “…il vero storico […] genera […] un diletto, e questo diletto è tanto più vivo e tanto più stabile, quanto più la mente che lo gusta è avanzata nella cognizione del vero”.

     

    e della scoperta, unito al desiderio di comprendere le ragioni delle azioni umane, è il volano che può favorire la riscoperta dello studio della storia, per imparare a non essere d’accordo, motivando con arguzia e competenza il proprio dissenso ed allontanandosi dai facili luoghi comuni, dalla iconoclastia fintamente rivoluzionaria e dalle fakes offensive della dignità di uomini e popolazioni sconfitte: è questa la lezione che deriva dal dibattito passionale che ha fatto da sottofondo a tutti gli incontri, per trovare la sua più chiara definizione nella parte conclusiva del percorso.

    Antonio Brusa, Roberto Maragliano e Cesare Grazioli hanno proposto il loro bagaglio, pieno di sperimentazioni riuscite ma ancora poco praticate, forse perché l’impianto evoluzionista su cui si poggiano molti racconti delle vicende plurimillenarie dell’uomo è sicuramente più rassicurante e meno complesso. E tuttavia il senso ed il valore di questo tracciato è nell’intervento introduttivo di Paolo Ceccoli, “Euroclio: per una didattica della storia critica e transnazionale”, che rincuora con la constatazione che il nostro bisogno di capire ed agire per una educazione civile e morale è un’urgenza di molti come noi.

    Chi voglia usufruire delle attività e dei lavori che, nonostante la “distanza”, sono stati proficui, potrà usufruirne attingendo dagli allegati qui presentati.

     

    Registrazioni degli interventi e materiali

     

    Paolo Ceccoli, Euroclio. Per una didattica della storia critica e transnazionale

    Presentazione della storia e delle attività dell’Associazione europea degli insegnanti di storia, Euroclio. L’Associazione è impegnata dall’inizio degli anni Novanta nella creazione di una rete tra gli insegnanti europei, ai quali propone occasioni di scambio e sollecitazioni relative ai contenuti e ai metodi.

     

    Lucia Boschetti, Dal digitale in classe al digitale a casa: adattamenti ed espansioni

     

     A partire dal caso di studio della Venezia nel XVI secolo, laboratorio sulle dimensioni economiche, sociali e politiche della cittadinanza. Articolato in tre incontri, dedica l’ultimo alla cittadinanza nell’Unione europea; qui HL ha presentato l’utilizzo del software Pear Deck, utilizzato per la presentazione interattiva che può essere riutilizzata in classe.

     

    Valerio Bernardi, Il progetto Learning to Disagree: La didattica - Le attività di Learning to Disagree: Migrazione e il caso della Vlora

    Il progetto Learning to Disagree (imparare ad essere in disaccordo), finanziato con fondi Erasmus+, ha visto la partecipazione di cinque diversi partner impegnati nella sfera educativa: Euroclio era il partner principale. Hanno partecipato all'attività una ventina di docenti proveniente da 13 diversi paesi europei, che hanno prodotto, insieme con gli esperti delle istituzioni, nel corso di un paio di anni, una guida didattica e sulla valutazione ed una serie di attività didattiche in lingua inglese su argomenti storici (e di educazione civica) su cui non si è sempre d'accordo sul lato interpretativo, ma anche su quello emotivo e sociale. Gli argomenti sono stati organizzati in aree tematiche: Migrazioni, Vivere sotto pressione, Confini e Patrimonio Culturale.

    Sul sito di Euroclio sono disponibili i materiali in inglese. Dalla presentazione possono essere scaricati i materiali in italiano, mentre la Guida per l'insegnante è pubblicata a parte in italiano.

     

    Video della prima giornata

     

    Cesare Grazioli, La sfida della valutazione: modelli di verifica per il triennio delle superiori, a distanza e in presenza

    Presentazione e discussione delle prove di verifica elaborate e sperimentate nel corso del lockdown. I materiali si riferiscono all’insegnamento della storia della seconda metà del Novecento per la classe 5°  e alla Rivoluzione francese per la classe 4°.

     

    Lucia Boschetti, La creatività digitale e l'apprendimento della storia: due esempi di sostegno reciproco

     

    Considerazioni su alcuni programmi che possono essere applicati ad attività laboratoriali di storia. Alcuni esempi: 1. mappe concettuali con C-Map; 2. selezione e manipolazione di fonti iconografiche; 3. costruzione di modelli storici con il linguaggio di programmazione Scratch (crisi del XIV secolo).

     

       

     

      

    Video della seconda giornata

     

    Claudia Villani, Antonio Brusa, Roberto Maragliano, Scuola, educazione e saperi “visti” a distanza

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    Confronto a partire da alcune domande chiave per ripensare l’azione didattica uscendo dalla logica dell’emergenza: quale concezione dell’educazione e dei saperi, quale modello di scuola è in crisi?

    Seguono alcune riflessioni conclusive dei relatori delle giornate precedenti.

     

     

     

     

    Video della terza giornata 

  • Educazione “della” memoria contro educazione “alla” memoria.

    di Antonio Brusa

    01 Non è una questione di preposizioni articolate

    Negli ultimi decenni le scuole di tutto il mondo - investite da uno tzunami di “Giornate della Memoria” e del conseguente compito di promuovere l’educazione “alla” memoria - sono diventate uno dei campi di battaglia delle politiche identitarie degli stati. Noi – insegnanti e ricercatori di storia – dovremmo batterci perché, al contrario, diventino il luogo dell’educazione “della” memoria. Un luogo dove gli allievi apprendano a valutare criticamente le politiche memoriali – nazionali e sovranazionali -, apprendano che il ricordo sociale - la memoria pubblica - è un aspetto fondamentale della vita democratica e che, perciò, la discussione di ciò che conviene ricordare, e degli scopi per i quali occorre ricordare, fa parte dei diritti-doveri di un cittadino.

    La memoria dei fatti del passato, soprattutto di quello vissuto, ossia la capacità di selezionarne alcuni e di fissarli nel ricordo extrascolastico, e la memoria collettiva, ossia la selezione degli eventi attorno ai quali la comunità dei cittadini è convocata, sono gestite principalmente dalla politica e dal dispositivo dei media. Sono questi che decidono i fatti da ricordare e, quindi, sollecitano i cittadini “a” ricordarli. Sono questi, dunque, che concretamente ne plasmano la memoria. La scuola pubblica, istituzione preposta alla formazione dei cittadini, dovrebbe rivendicare il proprio ruolo. Dovrebbe denunciare il fatto che un’educazione intellettuale che ubbidisca a regole esterne al mondo scientifico/didattico contraddice il dettato costituzionale, che affida tale compito alla scuola e all’Università, luoghi garanti della libertà dell’insegnamento/apprendimento. E, per contro, dovrebbe promuovere la formazione di una “memoria educata”.

    Quali sono le condizioni per questa educazione “della” memoria? Ecco quelle che mi sembrano fondamentali: la contestualizzazione, l’inserimento nel curricolo, il rapporto fra storia e memoria e il rapporto con l’educazione civica.

    La contestualizzazione

    Quali che siano le attività e i materiali che vengono preparati per la Giornata della Memoria e la competenza e la passione che li caratterizzano, molti insegnanti si accingono ad affrontarla con l’idea che essa riguardi il rapporto fra i propri ragazzi e un evento estremamente tragico del passato. Questa è solo una parte della storia. A più di due decenni dall’istituzione della prima Giornata della Memoria, oggi constatiamo che questa è un frammento di un universo di iniziative politiche volte a utilizzare il passato come marcatore identitario. I soggetti di queste iniziative non sono soltanto gli stati, ma anche singoli gruppi politici e gruppi sociali emergenti (di genere, etnici, localistici ecc.). Spesso queste memorie rivendicate o imposte sono in conflitto, a volte si elidono vicendevolmente. La conoscenza di questo scontro è la prima condizione per evitare che la scuola ne diventi lo scenario inconsapevole. L’analisi dei motivi che hanno trasformato la memoria del passato in un terreno di azione politica aggiunge agli obiettivi più consolidati dello studio – ad esempio - della Shoah (l’antisemitismo, il genocidio, il nazismo e i perpetratori del genocidio, il rapporto con gli altri), quelli relativi al rapporto “verticale” fra cittadini e stato (perché i governi vogliono agire sulla memoria, individuale e collettiva?) e “orizzontale” fra stati e gruppi sociali (perché il passato viene usato in chiave identitaria?). La maggior parte delle risposte che riusciamo a dare a queste domande ci riportano alla mente un proverbio arabo, ricordato volentieri da Marc Bloch, che “siamo figli più del presente che del passato”, e, quindi, ci conducono, direttamente o indirettamente, alla realtà della globalizzazione. Mettono in evidenza la necessità di contestualizzare l’atto del ricordo. Studiare a scuola la Shoah è un fatto molto diverso, oggi, da ciò che poté essere negli anni ’60 o al tornante del secolo, quando ne venne istituita la Giornata commemorativa. Una conseguenza non secondaria di questo cambiamento è il deperimento delle riflessioni didattiche e dei materiali messi a punto nel corso del tempo, o, quanto meno, la necessità di una loro attenta revisione.

    02 L'inserimento nel curricolo

    La ricchezza degli spunti didattici che offre la Shoah, e la sua complessità, fanno sì che raramente essa venga affrontata in classe in una completezza enciclopedica. Si sceglie, di volta in volta, questo o quell’aspetto che al momento appare al docente più efficace. La necessità di una contestualizzazione, che qui proponiamo, accresce certamente questa complessità. Per di più, questa andrebbe moltiplicata per le giornate memoriali più accorsate che mi sembrano - oltre a quella della Memoria - la Giornata del Ricordo, quella della Legalità e quella delle Vittime del mare (non sono a conoscenza di ricerche sulla loro frequentazione nelle classi italiane. Sulla deprimente corsa alla commemorazione si veda qui).

    Ovvia, quindi, l’urgenza di un’organizzazione curricolare, nella quale le varie esigenze formative trovino il loro posto e si possano accumulare nel tempo. Altrettanto ovvia la necessità di “agganciare” i diversi aspetti, messi in evidenza negli oggetti della commemorazione, a temi che dovrebbero essere sviluppati in un curricolo di storia attento ai problemi che si incontrano studiando i vari periodi storici, più che al dettaglio degli eventi. Ad esempio: la formazione dello stato, il rapporto fra stato e cittadini, le pedagogie dello stato e, andando verso i nostri giorni, l’emergere delle questioni identitarie e la loro rilevanza politica e sociale. Le ricorrenze memoriali, in questo modo, diventerebbero “casi di studio” ben acclimatati nel curricolo, e non eventi eccezionali che vi irrompono dall’esterno. Andrebbero a far parte di quel “laboratorio del tempo presente”, autentico banco di prova delle capacità di ragionamento storico acquisite dagli allievi.

    Alla complessità dell’oggetto va aggiunta la complessità del bagaglio epistemologico e metodologico che occorre possedere per affrontarlo in modo maturo. Jörn Rüsen ce ne fornisce un quadro schematico in tre fasi:
    a. L’insieme delle capacità che permettono all’allievo di analizzare un dato fatto storico (analisi dell’evento, comparazione con altri eventi, classificazione ecc.)
    b. L’insieme delle capacità che gli permettono di confrontare le ricostruzioni storiografiche con quelle del senso comune.
    c. La capacità di osservare in parallelo una doppia evoluzione interpretativa: quella storiografica e quella della memoria pubblica o del senso comune. *

    È chiaro che non si può mettere in pista questo complesso di sapere e di saper fare in una sola giornata. Se ne devono “spalmare” le singole operazioni in un curricolo che parta dalle più semplici (non necessariamente incluse nel punto a) e giunga a quelle più complesse, che non saranno sempre quelle del punto c. Come spesso accade nell’insegnamento, la realizzabilità di un obiettivo in classe dipende anche dalla strategia didattica e dai mediatori adoperati. Giusto per fare un esempio che mostri come anche in una scuola media si può praticare qualcosa del livello medio-alto, si pensi al confronto che si può instaurare fra il risultato di una rapida inchiesta su che cosa pensano i familiari degli allievi a proposito della Shoah e una ricostruzione storiografica.

    Solitamente, la programmazione degli eventi memoriali si limita alla ricerca di “qualcosa che non si è fatto l’anno scorso”, o di “qualcosa che sia adatto a quella certa classe”. E ciò è in armonia con una “educazione alla memoria”, il cui problema principale è interessare gli allievi, coinvolgerli, suscitare le loro emozioni o trovare quegli argomenti talmente efficaci da scolpire quel dato evento nella loro memoria. Strategie sempre utili, ma che sono altra cosa rispetto a quel processo di crescita coerente che dovrebbe portare all’educazione della memoria, cioè alla progressiva autonomia degli allievi nella valutazione e nella scelta degli eventi degni di essere ricordati.

    Il rapporto fra storia e memoria

    È impossibile riassumere in poche battute l’imponente dibattito sul rapporto fra storia e memoria che ha coinvolto negli ultimi decenni parti significative della comunità storiografica mondiale. Per quanto concerne l’educazione della memoria, credo che occorra tenere conto di due aspetti, che riguardano rispettivamente la memoria individuale e quella collettiva.

    Il primo è relativo all’esplosione della “società della conoscenza”, intendendo con questa espressione una società nella quale i media mettono a disposizione delle masse l’intero sapere umano, e, al tempo stesso, costituiscono per queste masse il mezzo per rendere pubblico il “proprio” sapere. Si crea, in questo modo, una platea universale nella quale ciascuno esprime la propria opinione su qualsiasi argomento e, per quello che ci riguarda, sul passato. A differenza dei contadini del Seicento, che probabilmente avevano una visione del mondo, presente e passato, circoscritta al loro ambiente di vita, il cittadino odierno iscrive nella propria memoria fatti che un tempo si sarebbero letti solo nei libri. Il fascismo e il genocidio degli ebrei, le foibe, l’uccisione di Falcone e Borsellino, il naufragio di Lampedusa del 2013, quindi, possono far parte dell’idea di passato del cittadino comune. Con quale criterio e con quali accortezze questi eventi sono stati selezionati, e vengono richiamati e reinterpretati nel discorso comune? Rispondendo a questa domanda, Stefano Pivato ha espresso il suo – e nostro - sconcerto in un aureo libretto dal titolo emblematico Vuoti di memoria (Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana, Laterza 2007). Potremmo aggiungere che quelle memorie che appaiono allo storico così “vuote”, in realtà sono “selvagge”, essendosi formate in modo spontaneo, senza alcuna assistenza esperta, nel vorticare tumultuoso delle conoscenze.
    Il secondo aspetto è quello - che ho già richiamato - della scoperta del passato da parte della politica. È una sorta di ripresa di politiche culturali, già sperimentate dagli stati europei ottocenteschi e primo novecenteschi. Nel nuovo scenario della globalizzazione, tuttavia, occorre legittimarsi non più al cospetto di pochi stati europei, ma di fronte alla massa enorme di otto miliardi di persone. Il passato cessa di essere (solo) un terreno da studiare, per diventare l’inesauribile repertorio di argomenti, fatti, personaggi da utilizzare a supporto delle proprie richieste di riconoscimento. Si creano così quadri memoriali composti da primati, che magnificano la grandezza del soggetto, e da torti subiti, che ne motivano le pretese di risarcimento. I soggetti (stati, gruppi politici o sociali) premono sulle scuole per riformulare i programmi di storia in chiave nazionalistica, di genere, etnica o localistica, e si agitano nel pubblico per nuove iniziative monumentarie o commemorative (Sul conflitto mondiale della memoria). E, a conti fatti, tutti constatano che l’intervento pubblico è più remunerativo di quello scolastico: dà risultati immediati e apprezzabili dagli elettori, dalle famiglie e dai membri del gruppo, e ottiene riscontri amplissimi nei media. Al contrario, l’apprendimento storico è lento, chiuso nelle aule, se ne vedono (forse) gli effetti dopo anni di studio, e ad ogni sondaggio dà risultati deludenti. Per giunta, più è aggiornato, meno è capito in famiglia. Ecco alcune buone ragioni per un progressivo disinvestimento nell’insegnamento storico, controbilanciato dal parallelo aumento di giornate commemorative.

    In questo quadro, l’educazione della memoria si propone come un lavoro sociale di civilizzazione delle memorie individuali, indispensabile in una società democratica che richieda ai cittadini scelte e orientamenti che tengono conto di fatti e non di “fattoidi”. Al tempo stesso costituisce una buona reazione alla deriva de-disciplinarizzante della formazione, dal momento che richiama e reinterpreta le istanze formative memoriali all’interno del curricolo.

    03 Storia, memoria, educazione civica

    La Legge sull’educazione civica (92/2019) e la più recente proposta di legge sull’introduzione delle competenze non cognitive (A.S. 2372) sono legate dal filo rosso della de-disciplinarizzazione della formazione. Il dibattito parlamentare, che in tempi rapidissimi portò alla reintroduzione dell’educazione civica come materia a sé stante, si è rivelato un sondaggio di opinione fra i parlamentari sul rapporto fra discipline e formazione. Tutti, infatti, senza distinzione politica, hanno approvato entusiasticamente questa nuova materia che finalmente non si sarebbe studiata sui libri e che avrebbe riguardato la vita reale. Una materia utile e non da aula scolastica (le citazioni sono quasi letterali: controllate il resoconto che ho pubblicato su HL). Nel corso del dibattito, si è sollecitata l’introduzione dell’educazione dei sentimenti, degli atteggiamenti e di una quantità di altri buoni comportamenti – rigorosamente non cognitivi - puntualmente ripresi nella proposta di legge sulle competenze non disciplinari. Proposta di legge anch’essa approvata a larghissima maggioranza.

    Sul perché di questa ondata di consensi anti-disciplinari, i commenti si orientano su due interpretazioni: da una parte c’è chi sostiene che siano il frutto del pensiero unico liberal-capitalista; dall’altra, si argomenta intorno alla perdita di interesse verso le discipline umanistiche, a favore delle discipline Stem, quelle che la società apprezza come utili. Almeno per quanto riguarda l’Italia, le fonti parlamentari smentirebbero entrambe le ipotesi, dal momento che fra i cordiali sostenitori di entrambe le leggi troviamo esponenti della sinistra anticapitalista, e le discipline condannate perché “troppo scolastiche” sono tutte, senza distinzioni.

    Credo che l’unica spiegazione consista nel fatto che il mondo politico, non solo quello italiano, richiede un riscontro visibile dell’investimento formativo. Un riscontro visibile alle famiglie, al cittadino comune. Sono questi, in ultima analisi, che negano alla politica il tempo della lunga formazione disciplinare. E le competenze non disciplinari hanno giusto questo vantaggio: il buon rapporto con i compagni, la partecipazione a iniziative ambientali, il sostegno a una campagna umanitaria, la denuncia del bulletto non hanno bisogno dei lunghi allenamenti delle discipline, per produrre un gesto, un comportamento, un qualcosa che tranquillizzerà le famiglie sul buon funzionamento della scuola.

    La legge sull’Educazione civica non fa cenno alle questioni memoriali che, come abbiamo appena visto, sono parte costitutiva di una cittadinanza democratica. Noi ci abbiamo provato, invece. Con l’Istituto Comprensivo n.6 di Modena (all’interno della rete di scuole LabSto21), abbiamo prodotto un curricolo di educazione civica multidisciplinare che contempla, fra le sue attività, anche quella dell’educazione della memoria, nel quale la Giornata della Memoria diventa un segmento normale della programmazione. Avremo modo di parlarne su HL, a sperimentazione terminata. Per il momento, lanciamo la questione: educazione alla memoria, o educazione della memoria?


    * Il testo citato è J. Rüsen, What is Historical Consciousness? A Theoretical Approach to Empirical Evidence, University of British Columbia, Vancouver, 2001.

    * I disegni delle ragazze e dei ragazzi della scuola primaria “Montessori” di Bollate, prodotti in occasione del Giorno della Memoria, pubblicati in Ti prometto che non dimenticherò mai. SHOAH: Il buio e la luce della speranza, edizione Kindle e Il Melograno, 2017, sono ricavati da Gariwo. La foresta dei giusti:
    https://it.gariwo.net/gallerie-fotografiche/altro/progetto-memoria-i-disegni-dei-ragazzi-18631.html

  • Historia Ludens

    Historia Ludens è una associazione che si occupa di didattica della storia.

    Fondata a Bari nell'estate del 1995 da docenti e laureati in Didattica della Storia e in discipline storiche.

    Oggi è questo sito che si propone di raccogliere professori, studenti e ricercatori per discutere di didattica, scambiarsi materiali, comunicare soluzioni didattiche e analisi sull'insegnamento della storia.

     

    HISTORIA LUDENS

    Direttore: Antonio Brusa

    Redazione: Antonio Brusa, Beniamino Caputo, Valentina Ventura

    Comitato Scientifico: Luigi Cajani, Alessandra Ferraresi, Romana Scandolari, Rafael Valls,Andrea Zannini

  • La didattica della schiavitù. Le risorse in rete.

    di Antonio Prampolini

    (con una prefazione di Antonio Brusa)

     

    Perché studiare la schiavitù?
    1ImmagineFig.1: Alessandro Magnasco, L'imbarco dei galeotti nel porto di Genova (1740). Da G. Bonazza, Essere Schiavi. Il dibattito abolizionista e le persistenze della schiavitù negli Stati Italiani preunitari (1750-1850), tesi dottorale (Ca’ Foscari e Ecoles des Hautes Etudes), 2016, p. 165).

    Roba da scuole americane, inglesi o francesi, nelle cui classi i discendenti dei vecchi padroni e dei vecchi schiavi si confrontano. Ma in Italia? L’Italia moderna è stata un “paese con gli schiavi”, ha scritto Salvatore Bono (il nostro più importante studioso di questo problema), non un “paese schiavista”. Da noi, la schiavitù non è un “argomento sensibile”. Un tema interessante, ma non indispensabile in un curricolo già troppo affollato.

    Discorsi sbagliati. E per vari motivi.

    Il primo è che la schiavitù è un fenomeno mondiale che ha riguardato tutte le società nel corso della loro storia, assente, probabilmente, solo presso le popolazioni native australiane. Possedere un uomo è stata una delle ambizioni coltivate da sempre dagli umani, motivata non solo dall’economia (secondo Marziale uno schiavo e una casetta con l’orticello non si potevano negare a nessun uomo civile), ma anche dal prestigio sociale e dal piacere del dominio sul proprio simile. Questa storia universale si è interrotta nel XIX secolo ad opera del composito movimento abolizionista europeo. Una rivoluzione autentica, che ha riguardato uomini e donne di tutto il mondo e che, perciò, andrebbe ricordata nei nostri libri di testo.

    Il secondo motivo è nella contraddittorietà del processo dell’abolizione della schiavitù, che si afferma di pari passo con lo sviluppo dell’imperialismo europeo. Gli europei si danno da fare per eliminare la schiavitù in ogni angolo del mondo, proprio mentre i loro eserciti se ne impadroniscono brutalmente. Questa contraddittorietà alimenta in alcuni una memoria rivendicativa - quella che vediamo esplodere nell’abbattimento delle statue del Black Lives Matter - e infiamma, in altri, sentimenti suprematisti e di difesa di antiche identità. In effetti (lo diceva già Olivier Grenouilleau) dentro il problema della memoria di quei fatti si nasconde una questione identitaria che vale la pena di esplicitare: perché gli uomini non “discendono”, ma “scelgono di discendere”. E questa scelta dipende da cosa vogliono essere.

    Geerte M. Savenije, Carla van Boxtel e Maria Grever, tre studiose di didattica della storia olandesi (nazione dove la questione della schiavitù è fortemente sentita) esaminano come i resti di quel passato terribile si trasformano in una eredità storica.  Questa, infatti, è sempre una scelta del presente. Siamo noi che decidiamo di patrimonializzare questo o quell’aspetto del passato. Ecco la questione identitaria: chi decidiamo di essere? Le repliche moderne degli antichi, riportando sulla scena contemporanea il dualismo fra oppressi e oppressori, magari nella speranza di un ribaltamento dei ruoli? Oppure decidiamo di “essere altro”? uomini e donne che hanno fatto propri quei diritti umani, nati anche da quelle sofferenze passate, e che, insieme, condannano la schiavitù e progettano un futuro di ulteriore avanzamento della giustizia sociale? (Learning About Sensitive History: “Heritage” of Slavery as a Resource, in “Theory & Research in Social Education”, 42,4, 2014, pp. 516-547)

    Ma, se pensiamo al rapporto fra memoria e storia, c’è qualcosa che riguarda l’Italia. Come abbiamo accennato sopra, in età moderna questa fu un “paese con gli schiavi”, che non dette vita a nessun sistema schiavistico, come nei paesi atlantici. Ma ciò non toglie che gli schiavi c’erano, ed erano tanti. In alcune località raggiunsero il 10% della popolazione. Giulia Bonazza, che ha studiato le fasi finali della schiavitù nel nostro paese, ci racconta che – ancora all’inizio dell’Ottocento – si potevano incontrare schiavi a Palermo, Napoli, Roma, Cagliari, dove un centinaio di schiavi lavoravano per le strade. Nella reggia di Caserta vi era un reparto destinato a loro, con una cappella apposita. A Livorno, di dove le navi dell’ordine di Santo Stefano partivano per razziare umani, ce n’erano tanti da giustificare la presenza di quattro moschee. Venivano dai paesi del Maghreb, dalla Turchia, dalle isole greche, dal Caucaso. Ma anche da fuori il Mediterraneo, come Pasquale, schiavo napoletano nato da una donna della Guinea, o Carlo, “selvaggio della Patagonia”, anche lui suddito dei Borboni. Questa folla si dilegua in silenzio. L’ultimo schiavo registrato dalla Bonazza è del 1845, a Napoli. La schiavitù non finisce, negli Stati Italiani, per qualche decisione politica, per un dibattito. La sua fine non è accompagnata da proteste o scene di giubilo. Finisce per interventi esterni: dei francesi, degli inglesi; per le decisioni del Congresso di Parigi del 1856, con il quale si chiuse la guerra di Crimea e si sancì l’illegalità della schiavitù nel Mediterraneo. Sparisce e viene dimenticata. Quando si parlò, nel parlamento italiano, di fare una legge contro la schiavitù, c’era chi cadde dalle nuvole: gli schiavi? Ma in Italia non se ne trovano. Forse in Russia …

    Come tante cose italiane – pensiamo alla nostra storia coloniale - la rimozione sembra la strategia vincente per fare i conti con il passato.  E questo è un buon terzo motivo per parlare di schiavitù nelle nostre classi.


     

    Dalla sitografia Schiavitù per temi sono state estratte le “risorse didattiche” creando una nuova sitografia ad hoc. Le risorse sono state raggruppate collegandole ai siti delle istituzioni/enti di ricerca/piattaforme digitali che le hanno prodotte o pubblicate. I siti selezionati (con l’eccezione di due, emanazione di organizzazioni ed enti di ricerca internazionali) appartengono a tre paesi: Stati Uniti, Inghilterra, Francia; e questo perché le risorse pensate specificatamente per la didattica disponibili in rete (quelle più interessanti e significative) fanno prevalentemente riferimento a queste tre realtà nazionali.

     

    SCHIAVITU DIDATTICA IMMAGINI 1Fig.2: Mani incatenate Fonte

     

    Indice

    1. Stati Uniti 3

    2. Inghilterra.5

    3. Francia.7

    4. Organizzazioni ed enti di ricerca internazionali 8

     

     

    1. Stati Uniti

    SCHIAVITU DIDATTICA IMMAGINI 2Fig.3: : Commercio degli schiavi in Virginia – “The Last Daughter” (L’ultima figlia), stampa di Richard Hildreth (1807-1865). Fonte

    The Varieties of Slave Labor (Guiding Student Discussion, Historians Debate) di Littlefield Daniel C.;How Slavery Affected African American Families (Guiding Student Discussion, Scholars Debate) di Williams Heather Andrea;Slave Resistance (Guiding Student Discussion, Historians Debate) di Sweet James H.;The Demise of Slavery (Guiding Student Discussion, Historians and the end of slavery) di Harris J. William, Freedom’s Story, TeacherServe, National Humanities Center.

    National Humanities Center (NHC) <https://nationalhumanitiescenter.org> è una organizzazione privata statunitense senza scopo di lucro, con sede in North Carolina, che promuove lo studio e l'insegnamento delle discipline umanistiche.

    Slavery in New York -Individual Classroom Materials for Teachers (Teacher’s Guide,Buried Stories Lessons from the African Burial Ground,White New Yorkers in Slave Times,Laws Affecting Blacks in Manhattan,Fact Sheet,Glossary,Photo Cards, Life Stories: Profiles of Black New Yorkers During Slavery and Emancipation),New York Historical Society.

    La New York Historical Society <https://www.nyhistory.org/>, fondata nel 1804, come primo museo di New York, raccoglie, conserva e studia materiali rilevanti per la storia della città e dello Stato di New York.

    Slavery, Manumission, and Freedom: Free Blacks in Charleston before the Civil War (Grade Level 8th: Academic Standards, Historical Background, Materials, Lesson Plans, Reflections, Assessment, Examples);Slave Auctions in South Carolina (Grade Level 8th: Academic Standards, Historical Background, Materials, Lesson Plans, Reflections, Assessment, Examples);Examining Slave Auction Documents (Grade Level High School: Academic Standards, Historical Background, Materials, Lesson Plans, Reflections, Assessment, Examples);From Slave to Entrepreneur:The Life and Times of William Ellison (rade Level 8th: Academic Standards, Historical Background, Materials, Lesson Plans, Reflections, Assessment, Examples), Teaching American History in South Carolina.

    Teaching American History in South Carolina <https://digital.scetv.org/teachingAmerhistory/index.html> fa parte di unprogramma di sovvenzioni federali per l'insegnamento della storia americana finanziato da U.S. Department of Education - Office of Innovation and Improvement.

    A Framework for Teaching American Slavery (Key Concepts,Essential Knowledge,Student Texts,Teaching Tools,Student Quizzes,Podcast,Videos,Online Archives and Databases,Webinar,Printable Cards),Teaching Tolerance, Risorse didattiche per insegnare e apprendere il ruolo svolto dalla schiavitù nella storia degli Stati Uniti come pure le sue eredità nel presente.

    Teaching Tolerance <https://www.tolerance.org/> è un progetto del Southern Poverty Law Center(ente morale con sede a Montgomery - Alabama)  per prevenire la crescita dell'odio razziale eche fornisce gratuitamente risorse didattiche agli insegnanti (dalla scuola materna alla scuola superiore) e agli altri professionisti impegnati nel sociale.

    ► Il sito web dellaKhan Academy <https://www.khanacademy.org> propone a insegnanti e studenti numerose risorse digitali sulla storia della schiavitùche vengono indicizzate dal motore di ricerca interno digitando la parolaslavery. Tra queste segnaliamo:Slavery in the British colonies;The slave economy;The Cotton Kingdom;The Emancipation Proclamation;Why Was Slavery Abolished? Three Theories;Life after slavery for African Americans.

    Khan Academy è un'organizzazione educativa senza scopo di lucro creata nel 2006 da Salman Khan, ingegnere statunitense originario del Bangladesh, che ha lo scopo di offrire servizi, materiali e tutorialgratuiti per l'istruzione e l'apprendimento a distanzaattraverso tecnologie di e-learning.Le sue risorse coprono tutti i livelli di istruzione, dalla scuola materna fino all'università.

    Per maggiori informazioni:Salman Khan.

    The 1619 Project,New York Times Magazine,August 2019.

    Il Progetto, ideato e curato da Hannah-Jones, è un'iniziativa del New York Times Magazine dell'agosto 2019, il 400° anniversario dell'inizio della schiavitù americana. Il Progetto mira a riformulare la storia del paese ponendo le conseguenze della schiavitù e i contributi dei neri americani al centro di una nuova narrativa (e anche di una nuova didattica) nazionale. Per maggiori informazioni sul progetto:Jake Silverstein,Why We Published The 1619 Project, in «The New York Times Magazine,20/12/2019; Maayke De Vries,The 1619 Project: a very European history, in «EuroClio», 06/11/2019;Nicola Nosengo,Raccontare la nascita della schiavitù negli Stati Uniti, in «Il Tascabile», 07/07/2020.

    The American Abolitionist Movement (1801-1861):Source Set,Additional Resources,Teaching Guide, Digital Public Library of America – DPLA.

    Set di fonti primarie, Risorse aggiuntive e Guida didattica per l'insegnamento del movimento abolizionista americano nelle scuole statunitensi a cura di Kerry Dunne, (Weston Public Schools, Massachusetts, 2015).

    La Digital Public Library of America (DPLA) <https://dp.la/> è una biblioteca digitale statunitenseche unifica in un solo portale l'accesso a risorse digitalizzate da diverse istituzioni. Comprende testi, documenti, immagini e materiali d'archivio di varia natura.

    ► Anti-Slavery Resistance Movements (Slavery in the Antebellum U.S., 1820–1840):Learning Objectives, Key Takeaways, Lumen Learning- Boundless US History.

    Lumen Learning <https://courses.lumenlearning.com> è una piattaforma digitale che vuole offrire ai docenti un percorso conoscitivo incentrato sulle comunità afroamericane e i movimenti di resistenza e di lotta contro la schiavitù utilizzando in modo efficace le risorse didattiche open access.

     

    2. Inghilterra

    SCHIAVITU DIDATTICA IMMAGINI 3Fig.4: "To the friends of Negro Emancipation", celebrazione dell’abolizione della schiavitù nell'Impero britannico, Alexander Rippingille (1796-1858). Fonte

    Transatlantic Teachers resources 2011, The National Archives – Education.

    I National Archives in collaborazione con l’Università della Virgina hanno organizzato nel 2011 un programma di formazione per gli insegnanti sulla tratta transatlantica degli schiavi. Gli insegnanti che hanno partecipato al programma hanno prodotto una serie di risorse didattiche per gli studenti:Witnessing the African slave trade (lesson plan a cura di Stephen John Roberts della Queen Katherine School di Kendal),What does a slave rebellion look like? (lesson plan a cura di Ian Marshall della Oxclose Community School, Sunderland),Was 1807 really the end of the slave trade? (lesson plan a cura di Jennifer Gridley della Brentside High School in Ealing),Remembering victims of the slave trade (lesson plan a cura di Lauren Winters della St Robert of Newminster Catholic School in Washington, Tyne & Wear),Lick and lock up done wid (lesson plan a cura di Hannah Wallace della Notre Dame RC Girls School in Southwark),How proud can Britain be? (lesson plan a cura di Steven Howarth della  Ermysted’s Grammar School in Skipton),How powerful were slaves? (lesson plan a cura di Sarah Murphy della Hayes School in Bromley),How important were Africans to the Atlantic slave trade? (lesson plan a cura di Caroline Gilmour della St Columba’s School in Kilmacolm),Childhood slavery in North Africa(lesson plan a cura di Scott Harper della Pen-Y-Bryn Senior Special School in Swansea),3 doors into 33,000 voyages (lesson plan a cura di Katie Hunter from St Thomas of Aquin’s High School in Edinburgh).

     Slavery – Supporting the teaching and learning of transatlantic histories and legacies,Risorse didattiche digitali per insegnanti e studenti sulla storia della schiavitù transatlantica e sulle sue eredità proposte da USI – Understanding Slavery Initiative.

    The Understanding Slavery Initiative (USI) è un progetto pubblico inglese che utilizza in particolare i materiali provenienti dai musei britannici, con la  consapevolezza che la storia della schiavitù transatlantica è una “storia globale” che, come tale, non appartiene a singole nazioni o gruppi etnici ma al mondo intero e a tutta l’umanità.

    ► Il sito web della Spartacus Educational <https://spartacus-educational.com>offre a insegnanti e studenti numerose schede informative sulla storia della schiavitù che vengono opportunamente indicizzate dal motore di ricerca interno digitando la parolaslavery. Tra queste segnaliamo:Slavery in the Roman Empire - Primary Sources;The British Empire and Slavery;Society for the Mitigation and Gradual Abolition of Slavery.

    Spartacus Educational è una piattaforma digitale ad accesso gratuito che propone materiale didattico su un'ampia gamma di argomenti storici. E' stata fondata in Inghilterra, inizialmente come casa editrice, nel 1984 da un insegnante di storia, John Simkin, per poi migrare in rete nel settembre del 1997.

    Per maggiori informazioni:John Simkin.

    Slave Rebellions, Le ribellioni degli schiavi: una proposta didattica Collaborative Learning Project, che, servendosi di tabelle, enfatizza le due forze che portarono nelle Americhe alla fine della schiavitù: la resistenza degli schiavi e l'azione politica degli abolizionisti.

    Collaborative Learning Project <http://www.collaborativelearning.org/> è una piattaforma digitale per l’apprendimento collettivo rivolta al mondo della scuola con sede a Londra e a cui collaborano, in particolare, insegnanti che operano in classi multilingue.

    Abolition of slavery,The National Archives – Education. Set di risorse digitali dei National Archives inglesi sull’abolizione della schiavitù: About the abolition (Background e informazioni sulla Gran Bretagna e sulla tratta degli schiavi transatlantica e documenti rilevanti detenuti dagli Archivi nazionali), Learn more (documenti digitalizzati relativi alla tratta transatlantica degli schiavi, dai registri delle navi negriere ai testamenti degli abolizionisti),Education (Teaching and learning resources:How did the Abolition Acts of 1807 and 1833 affect the slave trade?,Why did the British become empire builders in Africa?,Bussa’s rebellion),Research guides (guide di ricerca complete),Online resources (mostre online sul sito dei National Archives relative alla tratta degli schiavi, alla storia dei Caraibi e alle migrazioni in Gran Bretagna).

    The National Archives <https://www.nationalarchives.gov.uk>, con sede a Londra, sonol’Archivio di Stato del Regno Unito e custodiscono un vasto patrimonio documentale sulla schiavitù nell’Impero britannico.

    ► Il sito webThe Abolition Project è interamente dedicato (come segnala il nome) alla storia della schiavitù e della sua abolizione. È stato progettato per fornire agli insegnanti e agli studenti delle scuole inglesi informazioni di base, idee per le lezioni e strumenti di ricerca. Il sito è suddiviso in sette sezioni:Slavery,Resistance to Slavery,The Campaign to Abolish Slavery,The Abolitionists,Thomas Clarkson,Sources,Teaching.

    Per maggiori informazioni:The Abolition Project.

     

    3. Francia

    SCHIAVITU DIDATTICA IMMAGINI 4Fig.5: Proclama celebrativo dell’abolizione della schiavitù a Guadalupa – Antille francesi (1° novembre 1794). Fonte

    Ressources pour l'enseignement de l'histoire des esclavages et de leurs abolitions (Des ressources synthétiques sur la traite et l’esclavage, La traite négrière par le biais des ports européens et des navires de traite, Une histoire africaine de la traite, Des ressources centrées sur les Antilles, Les abolitions successives de l’esclavage), Risorse digitali sulla storia della schiavitù e della sua abolizione consistenti in testi/documenti/carte geografiche/immagini;Enseigner l’histoire de l’esclavage et des abolitions (inLa traite négrière, l’esclavage et leurs abolitions: mémoire et histoire, Paris, 2006, pp. 55-67), Éduscol- Ministère de l’Éducation Nationale.

    L’esclavage, les traites négrières et leurs abolitions dans les programmes scolaires d’enseignement (Document IGÉSR- DGESCO, 17 Septembre 2020), Ministère de l’Éducation Nationale.

    Éduscol <https://eduscol.education.fr/> è il sito ufficiale francese che contiene informazioni e materiali didattici a supporto dell’attività dei professionisti dell'istruzione. Fondato nel 2000, è curato dalla Direzione Generale dell'Istruzione Scolastica delMinistero dell’Educazione Nazionale.

    L'esclavage, comprendre son histoire: Qu'est-ce que l'esclavage?, L'esclavage: de ses origines à son abolition définitive en France en 1848, De l'abolition à l'esclavage contemporain, Reconnaissance et mémoire  de l'esclavage, Textes de référence sur l'esclavage, Lumni (Enseignement – Éducateurs & Médiateurs).

    Lumni <https://www.lumni.fr/> è un’offerta audiovisiva pubblica rivolta agli studenti, agli insegnanti e agli educatori, che copre tutte le discipline scolastiche dalla scuola materna alle superiori. Un’offerta che comprende video, programmi web nativi, corsi, giochi, quiz.

    Les mémoires des esclavages et de leurs abolitions (Introduction, Parcours Historique, Livret Pédagogique, Médiathèque, Projet du Centre),sito web dell’Institut du Tout-Mond che vuole offrire, in particolare al mondo della scuola, una piattaforma digitale per la storia della schiavitù e della sua abolizione, fornendo l’accesso a una vasta serie di risorse documentarie online.

    Dal 2015 il sito ospita un nuovo strumento digitale MOOC «Connaître l’esclavage» (Présentation,Programme). La formula MOOC (Massive Open Online Course), ovvero corso online aperto a tutti, rappresenta un profondo cambiamento nel contesto della rivoluzione digitale dell'istruzione. I MOOC si caratterizzano per due vantaggi innovativi: 1) Presentano in forma accattivante, con il supporto di strumenti multimediali, veri e propri corsi online che sintetizzano le conoscenze su determinate materie. I corsi sono organizzati intorno a curricula specifici e sono rivolti a diversi livelli di istruzione; 2) Consentono l'autovalutazione degli utenti dei corsi mediante un'operazione interattiva di verifica dell'acquisizione delle conoscenze.

    Per maggiori informazioni sulla formula MOOC: <https://www.mooc.org/about-moocs>.

     

    4. Organizzazioni ed enti di ricerca internazionali

    SCHIAVITU DIDATTICA IMMAGINI 5Fig.6: Spezzare le catene della schiavitù. Fonte

    Slavery To Day – Human Rights In The Curriculum,Amnesty International.

    A human rights resource for teachers of Citizenship, History and related subjects: Activity 1 (Visualisation Exercise), Activity 2 (What is a slave?), Activity 3 (Examples of modern slavery, Definitions of modern slavery), Activity 4 (Trafficking Case Studies), Activity 5 (Breaking The Chain)  Activity 6 (Extension/Homework, Case Studies).

    Amnesty International <https://www.amnesty.org.uk/>, come è noto, è un'organizzazione non governativacon sede nel Regno Unitoimpegnata nella difesa dei diritti umani.

    Slavery: unfinished business (A slaving past, The abolitionist movement in England, Touching history: a hands-on workshop, Students presenting history, The Wilberforce House Museum guided tour, Sites of slavery through the ages, Life in West Africa today, Fairtrade food for thought, Why does slavery persist today?, Student campaign workshop, Suggestion for a follow-up activity);  Slave Trade, Slavery Abolitions and their legacies in European Histories and Identities (Workpackages:Workpackage graphic;WP1- Frontiers, nationalism and feelings of belonging;WP2 - Atlantic Slave Trade, Trade Connections and Forced Labour;WP3 - Law, regulations, practices and social connections;WP4 - Constructing Otherness: Circulation and Identity in Europe;WP5 - Slavery and Slaves in continental Europe;WP6 - Interaction between research and education;WP7 - Dissemination and transfer of knowledge),Esclavage colonial,  Risorse educativeper insegnare la storia della tratta degli schiavi, della schiavitù coloniale e della loro abolizione, Eurescl - Site pédagogique.

    Eurescl è un progetto di ricerca finanziato dalla Commissione europea sulla schiavitù e sulla sua rilevanza nella storia dell'Europa. Il sito web <http://www.eurescl.eu/> è destinato agli insegnanti della scuola primaria e secondaria, nonché agli studenti e a chiunque sia interessato all'argomento. Al sito collaborano insegnanti, formatori, ricercatori provenienti daFrancia, Gran Bretagna, Haiti e Senegal.

  • La storia come Powerful Knowledge.

    Per uscire dal dibattito fra competenze e conoscenze*

    di Claudia Villani

     

    Dalle competenze alle conoscenze, andata e ritorno?

    Pare che nelle teorie dell’educazione stia maturando un cambiamento di rotta, rispetto alla filosofia delle competenze che ci ha accompagnato negli ultimi due decenni. Ne è convinto Arthur Chapman, docente di didattica della storia presso l'UCL Institute of Education (University College, London), curatore del volume Knowing History in Schools: Powerful knowledge and the powers of knowledge1.

    Chapman, che sviluppa la sua riflessione soprattutto a partire dai “curriculum studies”, sostiene che si sarebbe verificato un vero e proprio knowledge turn sia a livello internazionale (OCSE 20192), sia in Inghilterra (20113). Mentre nel primo decennio del XXI secolo, in diversi contesti nazionali e internazionali i curricola scolastici vengono indirizzati verso la valorizzazione di competenze trasversali e transdisciplinari, si sarebbe prodotta recentemente una inversione di tendenza, con il ritorno alla centralità delle conoscenze e delle singole discipline. Questo cambiamento secondo Champan è favorito da un insieme di elementi: l’emergere delle nuove teorie sul “Powerful knowledge”, il fallimento in alcuni paesi dell’approccio delle competenze trasversali, l’affermazione di governi conservatori favorevoli a politiche educative neo-tradizionali. Questa svolta verso curricola basati sulle conoscenze può essere interpretata, infatti, in modi radicalmente diversi: come restaurazione della didattica tradizionale fondata sulla trasmissione delle conoscenze disciplinari, come aggiornamento o revisione radicale del rapporto tra conoscenze e competenze.

    Cerchiamo di capire meglio analizzando le due principali novità segnalate da Chapman: 1) la teoria del powerful knowledge; 2) il Learning Compass 2030 dell’OCSE, che introduce il nuovo concetto di competenze trasformative e dedica una sezione apposita alle conoscenze.

     

    Curriculum e "powerful knowledge"

    Nella riflessione di Michael Young, sociologo dell’educazione, il “Powerful knowledge”4 è inteso come principio guida per l’organizzazione delle conoscenze e delle risorse (materiali e umane) nei curricola scolastici. Un curriculum ispirato al Powerful knowledge5, secondo questa teoria, deve avere alcune caratteristiche fondamentali:

    • rispettare due tipi di confini: 1) tra le discipline all'interno del curriculum; 2) tra discipline insegnate e conoscenze spontanee provenienti dalla “vita quotidiana”;
    • questi confini non limitano l'apprendimento, anzi sono importanti per permettere agli studenti di costruire consapevolmente i loro percorsi di conoscenza;
    • a differenza della conoscenza che gli studenti acquisiscono spontaneamente mentre crescono, la conoscenza potente deve essere acquisita volontariamente dagli studenti a scuola, grazie alle conoscenze specialistiche degli insegnanti;
    • questa conoscenza è specializzata e prende la forma delle singole discipline, che tendono ad essere coerenti con la produzione di nuove conoscenze nelle università;
    • tutti gli studenti devono avere il diritto di acquisire la migliore conoscenza offerta dalle singole discipline durante il loro percorso scolastico, consentendogli di colmare le differenze dovute alla provenienza sociale e al background culturale, che possono aumentare la distanza tra scuola e vita familiare, tra saperi specialistici e sapere comune.

     

    Powerful knowledge and Powerful historical knowledge

    Young riconosce che la sua teoria deve molto al lavoro di Peter Lee ed altri ricercatori sulla didattica della storia, interessati a capire come gli studenti possano diventare “historically literate”. Da qui proviene l’intuizione fondamentale:

    Sebbene un curriculum sia analiticamente distinto dalle relazioni pedagogiche che gli insegnanti sviluppano con i loro studenti, non può essere separato da esse senza diventare un corpo inerte di conoscenze che, nella migliore delle ipotesi, gli studenti potranno solo memorizzare e rigurgitare. Per un curriculum trascurare il suo scopo di trasformare la coscienza degli studenti significa permettere che l'acquisizione della conoscenza sia poco più che una memorizzazione6.

    Un curriculum basato sul Powerful knowledge, insomma, è un curriculum capace di consegnare le grammatiche dei saperi nelle mani degli studenti. Ma per fare questo, non si può non partire dal modo specifico in un cui le conoscenze vengono prodotte, validate, costruite, revisionate nelle diverse discipline, come mostra chiaramente la tabella 1, che Chapman ricava dai lavori di Young:

    Tabella 1: caratteristiche del powerful knowledge

     

    Una conoscenza è powerful knowledge se:

    distinta dal senso comune e dalle conoscenze spontanee derivate dall'esperienza quotidiana;
    sistematica: nei diversi ambiti del sapere i singoli casi e i concetti non sono mai isolati tra loro, ma collegati secondo procedure specifiche (inferenze, deduzioni, confronti, interpretazioni, ecc.);
    specializzata: prodotta in comunità epistemiche disciplinari;
    obiettiva e affidabile: la revisione tra pari e altri controlli procedurali vengono esercitati nelle comunità disciplinari.

     

    Poiché ha queste caratteristiche, il powerful knowledge:

    • ha migliori pretese di verità rispetto ad altre tipologie di conoscenza sulle questioni e i problemi che affronta;
    • può dare a coloro che la conoscono e la comprendono il potere di agire nel e sul mondo, in specifici e rilevanti ambiti e campi d’azione7.

     

    Ecco perché la riflessione teorica e la ricerca didattica sull’insegnamento della storia costituiscono un esempio tipico dei problemi affrontati nella teoria del Powerful knowledge. Nelle maggiori scuole di didattica della storia, infatti, da qualche decennio si lavora su tutti gli aspetti della conoscenza storica, dai curricoli all’alfabetizzazione storica, dagli strumenti didattici alla capacità di pensare storicamente, all’acquisizione di una coscienza storica all’altezza dei tempi in cui viviamo8. In comune tutti gli approcci hanno sicuramente l’attenzione al modo con cui vengono costruite le conoscenze storiche (le procedure, il metodo), ritenendolo parte essenziale e necessaria dell’insegnamento della storia.

     

    Le condizioni per il Powerful knowledge

    Siccome in genere la conoscenza è distribuita nella società in modo diseguale e l’accesso ad una educazione di qualità spesso dipende dalle diseguaglianze sociali, secondo Young occorre compiere scelte politiche chiare per espandere e redistribuire le risorse dedicate all'istruzione pubblica, alla formazione degli insegnanti, alla costruzione di comunità epistemiche che mettano in comunicazione scuole e università, per migliorare l'apprendimento e l'accesso alla conoscenza. Senza queste scelte non si può veramente parlare di una democratizzazione dell’accesso al potere della conoscenza, cioè dell’uguaglianza nell’accesso alle risorse epistemologiche delle diverse discipline.

    I curricula che mirano a sviluppare una conoscenza potente richiedono dunque insegnanti esperti, consapevoli delle forme della conoscenza e dello stato attuale della conoscenza nei diversi ambiti del sapere, oltre che della storia dello sviluppo di quei saperi; e una pianificazione complessa per fornire progressione nella comprensione di un certo numero di dimensioni della conoscenza:

    • conoscenza del contenuto di ciò che è noto nei domini;
    • conoscenza concettuale e comprensione delle idee organizzative che strutturano il contenuto in insiemi o sistemi significativi e dinamici;
    • conoscenza procedurale: comprensione di come le conoscenze sono convalidate e sviluppate (epistemologia);
    • abilità rilevanti necessarie per implementare le procedure, gestire le informazioni e organizzare il proprio apprendimento nel dominio9.

    Secondo questo approccio non avrebbe senso una politica educativa orientata alle competenze trasversali e generiche, poiché fallirebbe proprio l’obiettivo di fondo: consegnare le chiavi con cui si costruiscono effettivamente le conoscenze in ogni singolo e specifico ambito disciplinare, secondo le procedure (l’epistemologia) e i contenuti propri di ogni disciplina.

    Diventa centrale, in quest’ottica, l’investimento nella formazione degli insegnanti e la costruzione delle cosiddette “comunità epistemiche”, per mantenere un collegamento costante con i luoghi dove si continuano a costruire le conoscenze (le università), dove cioè le singole discipline raggiungono la massima vicinanza possibile alla “verità” nei diversi ambiti del sapere.

    Ha ragione quindi Chapman a mettere in evidenza la distanza con l’approccio delle competenze maturato in Europa tra fine anni Novanta e primi anni del XXI secolo. Non rimane che verificare se e in quale misura le recenti politiche educative, a livello nazionale e internazionale, si stiano muovendo a favore delle conoscenze, per quali conoscenze e se questo indichi un effettivo superamento della “filosofia delle competenze chiave”10, trasversali, generali, che ci accompagna dall’inizio del secolo.

     

    La filosofia delle competenze generali

    Nel 2005 l’OCSE varava il noto rapporto sulla definizione e selezione delle competenze chiave11 (progetto DESECO) for a Succesful Life and Well-Functioning Society, approdo di un decennio di indagini sui sistemi educativi nazionali, sulla confrontabilità dei titoli di studio, nell’ambito del successo delle teorie sulla cosiddetta learning society, la società del Terzo millennio, fondata sulla valorizzazione del capitale umano, delle conoscenze e dell’apprendimento permanente, essenziali nel mondo complesso, plurale, accelerato, globalizzato in cui viviamo.

    Si tratta di uno snodo importante, non tanto per l’elenco delle competenze chiave che contiene (tra l’altro costantemente rivisto e aggiornato), ma per la filosofia delle competenze che contiene: per avere successo e per il benessere della società nel suo insieme occorre acquisire competenze generali che richiedono più della semplice capacità di maneggiare ristretti ambiti del sapere.

    La svolta verso una formazione per competenze generali viene motivata partendo dal bisogno di maneggiare una società che cambia rapidamente, sempre più multiculturale, digitale e globalizzata; in cui l’istruzione e il lavoro devono essere capaci di cambiare e rinnovarsi altrettanto rapidamente, lungo tutta la vita; in cui – di conseguenza – nei curricula personali standardizzati diventa importante segnalare quali abilità generali si possiedono, piuttosto che le conoscenze specifiche in ambiti particolari.

    Sarebbe interessante esaminare i “ricettari” di competenze chiave prodotti dai vari organismi internazionali e nazionali, ripetutamente aggiornati, che creano combinazioni sempre diverse e inventano neologismi presi a prestito dalle più disparate discipline. Ci limitiamo a suggerire di indagare questi elenchi come documenti che rivelano un modo di analizzare il presente e concepire le sfide per il futuro. Ad esempio: registro una crisi di legittimità della politica nei sistemi democratici? Manca il senso di cittadinanza? Allora serve una competenza chiave (generale): la competenza di cittadinanza, o competenza civica. Esiste una mancanza di competitività delle imprese? Allora serve la competenza chiave dell’imprenditorialità. Siamo cascati nell’ennesima crisi finanziaria? Senza esserne consapevoli? Allora serve la competenza finanziaria, magari spiegando fin dalle elementari i meccanismi del risparmio e dell’investimento, come avrebbe detto il signor Banks a Michael, cercando di convincerlo a depositare i suoi due penny in un conto bancario nell’indimenticabile Mary Poppins, film del 1964. E si potrebbe continuare all’infinito.

     

    01Fig.1: Il signor Banks istruisce Michael sull’importanza del risparmio bancario (Mary Poppins, Walt Disney Production 1964)

     

    È evidente il circolo vizioso prodotto da questa filosofia delle competenze: invece che investire nella capacità di costruire conoscenze specifiche che possano aiutare ad affrontare problemi, si decide di investire nella capacità generica di risolvere i problemi.

    Nella stessa direzione si muovono purtroppo anche le Raccomandazioni dell’Unione Europea12.

     

    Scenari possibili

    Applicata in senso letterale, questa politica educativa produrrebbe uno dei tre scenari che Chapman discute nel libro, sempre ispirandosi ai lavori di Young:

     

    Scenario 1 (o delle competenze generali)
    • Integrazione delle materie scolastiche
    • Confini deboli tra le materie, come tra conoscenza scolastica e conoscenza spontanea
    • Organizzazione del contenuto dei curricula in termini generici, di solito basati su abilità e attività generiche (competenze trasversali)

      

    Lo scenario 1 indica una possibile evoluzione dei sistemi educativi che interpreti alla lettera la filosofia delle competenze chiave. Secondo Chapman, in Inghilterra, con la revisione del Curricolo Nazionale nel 2013, e nell’OCSE, con il Learning Compass 2030, ci sarebbero importanti segnali di inversione di tendenza, ma bisognerebbe evitare che la “rivincita” delle conoscenze sulle competenze si traduca, all’opposto, nello scenario 2. Una delle reazioni possibili alla filosofia delle competenze, alimentata dalle paure e dalle incertezze in cui navighiamo ormai da un decennio, potrebbe essere infatti quella di tornare al passato, recuperando le conoscenze disciplinari in uno scenario di questo tipo:

     

    Scenario 2 (o del content knowledge)
    • Separazione delle materie scolastiche
    • Confini stabili tra le materie scolastiche, la cui natura e il cui contenuto è inteso come dato, e tra la conoscenza la conoscenza scolastica e la conoscenza quotidiana
    • Organizzazione del contenuto curricolare in termini di materie e contenuti

     

    Nel caso dell’insegnamento della storia, ad esempio, sono forti le spinte verso il ritorno ad una storia identitaria, di derivazione ottocentesca, tesa a costruire, rinsaldare, difendere l’identità nazionale (ed europea, intesa sempre in senso identitario). Basti fare l’esempio del recente canone storico olandese, voluto dal governo per difendere il patrimonio e l’identità della nazione, in risposta alle preoccupazioni sulle lacune e sull’eclettismo delle conoscenze storiche degli studenti olandesi. Così si abbandona però ogni Powerful historical knowledge, spezzando il legame con la ricerca storica e con l’università e riaprendo la porta ad una conoscenza al servizio delle ideologie13, pericolosamente divisiva. Queste ed altre preoccupazioni hanno spinto infatti il Consiglio d’Europa a promuovere nel novembre del 2020 un Osservatorio internazionale sull’insegnamento della storia14.

    Rispetto a questo modello, come abbiamo visto, lo scenario del Powerful knowledge, condiviso da Chapman, pur recuperando l’accento sulle discipline, le intende in modo diverso, come insieme sistematico di contenuti, concetti, abilità e attività:

     

    Scenario 3 (o del poweful knowledge)
    • Separazione delle materie scolastiche
    • Confini stabili e non fissi tra le materie scolastiche, la cui natura e il cui contenuto è inteso variare con il progresso della conoscenza e con il cambiamento del rapporto tra conoscenza scolastica e conoscenza quotidiana
    • Organizzazione del contenuto curricolare in termini di materie, coinvolgendo contenuti, concetti, abilità e attività

     

    Se in questo scenario si muovono già – come abbiamo detto - le maggiori scuole di ricerca sull’insegnamento e sull’apprendimento della storia, secondo Chapman andrebbe in questa direzione anche il recente rapporto dell’OCSE sul futuro dell’educazione e delle competenze, il Learning Compass 2030, esito di un progetto avviato nel 2015 con lo scopo di aggiornare e rivedere le proposte del DESECO. È davvero così? Proviamo ad esaminare alcune parti di questo recente documento dell’OCSE.

     

    L'OCSE e l'Agenda 2030

    02

     

    Questo è l’incipit del lungo e ambizioso documento dell’OCSE chiamato LEARNING COMPASS 2030, strutturato in un capitolo introduttivo (Background del Progetto Future of Education and Skills 2030 dell'OCSE) e 8 capitoli tematici (Concept Note):

    1. Learning Compass 2030
    2. Agency degli studenti per il 2030
    3. Fondamenti per il 2030
    4. Competenze trasformative per il 2030
    5. Conoscenze per il 2030
    6. Competenze per il 2030
    7. Atteggiamenti e valori per il 2030
    8. Ciclo anticipazione-azione-riflessione per il 2030

    Proprio come una bussola orienta un viaggiatore, il Learning Compass 2030 dell'OCSE ha l’ambizione di fornire un sistema di orientamento internazionale per le politiche educative, indicando conoscenze, competenze, atteggiamenti e valori ritenuti fondamentali per “navigare” nelle incertezze del presente e per contribuire a plasmare il futuro coerentemente con gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, nell’ottica della formazione permanente.

     

    03

     

    Non è questa la sede per analizzare l’intero rapporto, che rivede tanti aspetti del documento del 2005, su cui sarebbe interessante ragionare (come la distinzione tra core foundations, transformative competences, skills, knowledge e attitudes). E’ utile però riflettere sulle premesse e sull’approccio dell’intero progetto Future of Education and Skills 2030, di cui attualmente è in corso la seconda fase, dedicata alle strategie e metodologie didattiche. L’intero progetto, infatti, parte da un’analisi del passato, dei sistemi educativi del XIX e del XX secolo, e propone una “visione per il XXI secolo” (Background del progetto Future of Education and Skills 2030 dell'OCSE).

    04jpg

     

    Un sistema educativo per il XXI secolo

    L’intero progetto adotta l’Agenda ONU 2030 come migliore approssimazione delle idee di benessere e sostenibilità verso cui orientare le politiche educative. L’apprendimento è considerato efficace se è in grado di promuovere capacità e senso di responsabilità, individuali e collettive, in questa direzione. L’ambizione è quindi quella di ripensare l’intero sistema educativo, guardando oltre i modelli che si sono affermati nel XIX e nel XX secolo. Nella tabella 2 viene riassunta l’analisi sviluppata nel capitolo introduttivo del Learning Compass15.

     

    Tabella 2: mutamenti storici e didattici fra XIX e XXI secolo

      XIX secolo XX secolo Visioni per il XXI secolo
    Eventi mondiali Guerre civili, segregazione razziale,
    colonialismo e imperialismo
    Prima e Seconda guerra mondiale, indipendenza degli
    stati nazionali, guerra fredda
    Interdipendenza tra gli stati nazionali,
    decentralizzazione del potere, attacchi terroristici,
    nazionalismo
    Innovazioni tecnologiche Elettricità, telefono Internet Tecnologia cibernetica (social media, AI, 3-D stampa, robotica)
    Industria principale e business climate • Industria petrolifera, Industria tessile
    • Produzione di massa a macchina
    • Focus sul profitto
    • Computer, elettronica, finanza
    • Passaggio dal manuale alle macchine -automazione
    • Produzione su misura di beni e servizi; servizi per i singoli consumatori
    • Responsabilità sociale delle imprese
    • Social media, Internet delle cose, big data, digitalizzazione, post-verità (fake news)
    • Economia condivisa, imprenditoria sociale
    • I consumatori partecipano alla produzione di beni e servizi
    • Focus sulla creazione di valore e di significato
    • Passaggio aziendale alla creazione di valore condiviso; anche per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile
    Rapporto con l'ambiente • Gli uomini conquistano la natura
    • Gli esseri umani possiedono la natura (in particolare,
    terra) oltre al lavoro e al capitale come fattori
    di produzione
    • Gli uomini cominciano a realizzare la necessità di proteggere la natura (conservazione ambientale
    conservazione/protezione)
    • Concentrarsi sul capitale umano
    • Gli uomini coesistono con la natura; gli uomini sono parte della madre natura
    • Concentrarsi sullo sviluppo sostenibile
    • Sostenere la crescita verde
    • La natura è considerata come uno degli importanti
    capitali - capitale naturale, capitale umano, capitale culturale e sociale
    Cambiamenti nella società Miglioramento degli standard di vita e reddito medio Globalizzazione, baby boom, aumento dell’accesso alle informazioni Migrazione accelerata, urbanizzazione, maggiore aspettativa di vita, diminuzione del tasso di fertilità, crescente disuguaglianza, esaurimento delle risorse naturali, cambiamento climatico
    Organizzazione del lavoro • Divisione del lavoro - per esempio, assemblaggio in
    • fabbriche - linee di assemblaggio
    • Organizzazione gerarchica
    • Trasparenza nell'organizzazione
    • Organizzazione con delega di
    responsabilità e rendicontazione
    • Trasparenza nell'organizzazione
    • Organizzazione con delega di responsabilità e
    responsabilità condivisa
    • Organizzazione orizzontale, aperta, flessibile, trasparente e orientata al lavoro di squadra
    Organizzazione del lavoro e cambiamenti nella scuola dell'obbligo • Scuola pubblica universale (istruzione primaria
    e secondaria)
    • Divergenza emergente nella scolarizzazione (per esempio, scuola privata e a domicilio)
    • Competizione tra scuole
    • Reti/partnership emergenti tra scuole
    • Collaborazione emergente tra le scuole
    • Collaborazione emergente tra scuole e
    • comunità a tutti i livelli (meta-, meso-, micro), dentro una visione del sistema educativo come parte di un ecosistema più ampio
    Curriculum • Prepararsi al mercato del lavoro; educazione per il lavoro
    • Solo discipline accademiche (matematica, lingua)
    • Statico, lineare e standardizzato
    • Preparare all'indipendenza; educazione per la realizzazione individuale
    • Allargamento (aggiunta di educazione fisica, altri campi);
    • Ancora statico, lineare e standardizzato
    • Preparare all'interdipendenza; educazione alla
    cittadinanza
    • Riequilibrio delle discipline in ampiezza e in profondità
    • Curricoli non lineari, dinamici e flessibili; focus su apprendimento più personalizzato
    Fonte: www.youtube.com/watch?v=mlXvQKUS-Q

     

    Un curricolo non lineare, dinamico e flessibile

    Soffermiamoci sull’ultima riga della tabella, quella dedicata al modello di curricolo scolastico. Sorvoliamo per ora sul dato curioso per cui l’educazione alla cittadinanza figurerebbe solo nella “visione per il XXI” secolo mentre nei secoli precedenti lo scopo dei curricola sarebbe l’educazione al lavoro (XIX secolo) e la realizzazione individuale (XX secolo)16. Gli altri principi per i curricola del XXI secolo sono quelli della personalizzazione, flessibilità e non linearità. Basterebbero questi elementi per fare un confronto con il modello del Powerful Knowledge (tabella 3). Ma per comprendere cosa si intenda nel documento per “riequilibrio tra gli ambiti disciplinari in ampiezza e profondità” anticiperò qui una serie di elementi ricavati dal capitolo 5 del Learning Compass (Conoscenze per il 2030), che vedremo più in dettaglio dopo.

     

    POWERFUL KNOWLEDGE LEARNING COMPASS
       

    - flessibilità come aggiornamento coerente con i progressi delle conoscenze nelle università (confini stabili tra le materie, anche se non immobili)

    - personalizzazione dell’apprendimento come garanzia che tutti gli studenti possano acquisire la “migliore conoscenza” offerta dalle singole discipline durante il loro percorso scolastico, colmando le differenze che possono aumentare la distanza tra scuola e vita

    - valorizzazione della sistematicità, specializzazione, dell’epistemologia propria delle singole discipline, rispettando la distinzione tra le materie scolastiche

    - flessibilità, non linearità e dinamicità del curricolo, in nome di obiettivi generali (educazione alla cittadinanza e all’interdipendenza) e della

    - personalizzazione dell’apprendimento, inteso come adeguamento alle differenze tra i singoli studenti (conoscenze e abilità precedenti, diversi atteggiamenti e valori), per consentire di “imparare in modo diverso”

    - valorizzazione delle conoscenze interdisciplinari, epistemiche e procedurali; valorizzazione delle conoscenze disciplinari in quanto trasferibili in altri contesti e ambiti del sapere17

     

    La non linearità, flessibilità e personalizzazione del curriculum, come viene chiarito in altri capitoli del documento, viene intesa come una garanzia di maggiore aderenza alle condizioni dell’apprendimento in tempi di accelerazione e complessità crescenti. Le scuole dell’obbligo rappresentano uno dei tasselli di un sistema educativo allargato, che deve attivare e promuovere feedback a tutti i livelli (stakeholders, territori, ecc.).

    Bastano queste poche righe per capire come il Learning Compass contenga importanti differenze rispetto all’approccio del Powerful knowledge, ma ciò risulterà ancora più chiaro se si considerano la riclassificazione delle conoscenze (che in parte riassorbono ex-competenze trasversali) e delle competenze.

     

    06Learning Compass, p. 73

     

    Le conoscenze si fanno in 4: disciplinari, interdisciplinari, epistemiche, procedurali

    Dei quattro tipi di conoscenze descritti nel documento vengono messe in rilievo le potenzialità generali e generalizzabili, poiché, si legge testualmente, “i sistemi educativi di tutto il mondo stanno passando dalla definizione di materie e conoscenze curricolari come collezioni di fatti, verso la comprensione delle discipline come sistemi interrelati”. Perciò le conoscenze che possono essere trasferite e adattate a diversi contesti sono considerate fondamentali per migliorare la qualità dell’apprendimento. Le possibili relazioni con altri domini del sapere sono meno evidenti nel caso delle conoscenze disciplinari in senso stretto, più evidenti ed esplicite nelle altre tipologie di conoscenza.

    In una società in continuo cambiamento, quindi, si riconosce una parziale utilità delle conoscenze disciplinari (“concetti specifici della materia e contenuti dettagliati”), ma non c’è partita rispetto alle conoscenze interdisciplinari, epistemiche e procedurali, di cui si sottolineano proprio le ricadute generali sulla capacità di adattare, applicare, dare significato, praticare, ciò che si apprende.

    Se consideriamo più da vicino le conoscenze epistemiche e procedurali, nel documento dell’OCSE assumono un significato molto diverso dal Powerful knowledge. Il confronto tra i due modelli appare evidente nella tabella 418:

    Tabella 4: Le conoscenze secondo il Powerful Knowledge e il Learning Compass

     

    POWERFUL KNOWLEDGE LEARNING COMPASS
      Conoscenze epistemiche

    • distinta dall'esperienza quotidiana, dotata di una sua sistematicità ed epistemologia

    • prodotta in comunità epistemiche disciplinari, in cui la revisione avviene tra pari

    • conoscenza delle diverse forme e usi della conoscenza, per capire lo scopo dell'apprendimento, l'applicazione dell'apprendimento

    • comprendere come i professionisti pensano, agiscono, lavorano

      Conoscenze procedurali

    • comprensione di come le conoscenze sono convalidate e sviluppate (epistemologia);

    • può dare a coloro che la conoscono e la comprendono il potere di agire nel e sul mondo, in specifici ambiti e campi d’azione

    • comprensione di come si fa qualcosa per raggiungere un obiettivo;

    • valorizzando soprattutto quelle conoscenze procedurali che sono trasferibili, utilizzabili in diversi contesti e situazioni

    Come divento capace di implementare le procedure, gestire le informazioni e organizzare il mio apprendimento nel dominio?
    Come costruire conoscenze sistematiche, affidabili e oggettive in questo ambito?
    Come pensano, agiscono, lavorano i professionisti in questo ambito? Che tipo di codici etici di condotta hanno? Cosa imparano e perché? Per cosa posso usare questa conoscenza nella mia vita?

     

    L’unica volta in cui nel documento viene nominata la teoria di Young è per invitare a prestare attenzione ai curricoli e alle metodologie di insegnamento delle singole discipline, per essere sicuri di riuscire a collegare ciò che si impara in un ambito disciplinare alle possibili applicazioni pratiche: “Per esempio, gli ingegneri imparano a risolvere problemi di ingegneria, ma i loro curricula raramente insegnano a pensare quali problemi gli ingegneri dovrebbero cercare di risolvere”. Sembra evidente che il tipo di conoscenza che interessa nel Learning Compass è, ancora una volta, quella estraibile dai contesti disciplinari nella forma generica di abilità, procedure, capacità.

     

    Conoscenze trasformative o competenze trasformative?

    07Learning Compass, p. 61

     

    Ancora più chiaramente si conferma questo tipo di approccio nel capitolo 4 del Learning Compass, dedicato al tema delle competenze. Chiarita la visione per il XXI secolo, allineati gli obiettivi all’agenda ONU 2030, il documento dell’OCSE rilancia la filosofia delle competenze generali: in società sempre più multiculturali e interdipendenti e in economie in cui l'impatto delle nuove tecnologie richiede nuovi livelli di abilità e comprensione, occorre orientare il sistema allargato dell’apprendimento all’acquisizione di quel tipo di abilità e attitudini che servono per fronteggiare i problemi e ”modellare il futuro per una vita migliore”. Queste abilità – chiamate competenze trasformative – sono proprie degli esseri umani (nessuna tecnologia può sostituirle!); possono essere usate in contesti e ambiti diversi; consentono di navigare attraverso diverse esperienze e situazioni, per tutta la vita, fronteggiando cambiamenti, incertezze, sfide sempre nuove.

    All’opposto, come abbiamo visto sopra, Young parla di conoscenze trasformative, se mi passate il termine, cioè di conoscenze in grado di “trasformare la coscienza stessa” degli studenti. Le competenze trasformative nel Learning Compass 2030 sono tre: creare nuovo valore, saper fronteggiare tensioni e dilemmi, essere responsabili. Cambia il “ricettario”, ma non cambia la filosofia delle competenze, come mostra la tabella 5, che riassume i contenuti del capitolo e richiama alcuni degli esempi forniti.

     

    Tabella 5: le tre competenze trasformative del Learning Compass 2030 

    COMPETENZE TRASFORMATIVE
      Filosofia delle competenze Esempi
    CREARE NUOVO VALORE

    Siccome per affrontare le sfide globali serve essere capaci di innovazione,
    bisogna promuovere la capacità di creare nuove conoscenze, idee, tecniche, strategie e soluzioni:

    saper creare nuovi valori culturali e sociali

    • Thames Valley District School Board, Ontario, Canada. Si cita il manifesto educativo ma anche la Greenhouse Academy, un'attività in serra gestita dagli studenti, che implica: far fronte a scelte complicate, senso di responsabilità nei vari aspetti dell'attività, agency e co-agency, creazione di nuovo valore per se stessi, per l'azienda e per le comunità che servono.

    Singing with Friends, un'attività di service learning in cui dal 2014 studenti di 16-17 anni del United World College of South East Asia si incontrano settimanalmente con dieci membri della Down Syndrome Association of Singapore. La musica ha il potere di riunire le persone, rafforzare la fiducia, trasmettendo l'importanza di ascoltare e imparare dalle esperienze degli altri.

    Tokyo Gakugei University International Secondary School: laboratorio di economia domestica su come scegliere e usare un detersivo in modo responsabile, determinandone l’impatto ambientale ed economico; studiando un imballaggio che informi il consumatore responsabile.

    GESTIRE TENSIONI E DILEMMI

    Siccome per affrontare le sfide del futuro serve essere capaci di gestire tensioni conflitti, dilemmi tra una pluralità di punti di vista diversi,
    bisogna promuovere la capacità di:
    -riconoscere e riconciliare bisogni, prospettive, interessi, idee diverse;
    -risolvere dilemmi (per esempio, tra equità e libertà; diversità e universalità):

    saper gestire tensioni e dilemmi

    ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA'

    Siccome per avere a che fare con il cambiamento, le novità, la diversità, l’incertezza, la complessità bisogna essere capaci di fare scelte responsabili,
    occorre promuovere la capacità di
    lavorare con altri e considerare le conseguenze delle proprie scelte attraverso una lente etica:

    saper agire con responsabilità

     

    Se ancora ci fossero dubbi sul carattere generale, generico e trasversale delle competenze trasformative basta aggiungere che nel Learning Compass si sottolinea come debbano essere insegnate e apprese incorporandole nei curricula e nell’approccio formativo di tutte le discipline: “Per esempio – si legge nel documento - i paesi possono incorporare la competenza di "creare nuovo valore" in materie come le arti, il linguaggio, la tecnologia, l’economia domestica, la matematica e le scienze, usando un approccio interdisciplinare”.

     

    Una scuola senza bussola

    In un bel saggio Baldacci delinea due prospettive molto diverse per le politiche educative e per la scuola: da una parte sintonizzarsi con le esigenze (esterne) dell’economia e dello sviluppo, dall’altra con quelle (interne) della formazione di cittadini consapevoli e non subalterni19. Spesso e volentieri il dibattito sulle competenze chiave dai primi anni 2000 in poi è stato schiacciato su questa contrapposizione20, ma è indubbio che nella sua prima formulazione la filosofia delle competenze rispondeva ad una visione della società e delle sfide per il futuro più angusta, più economicista, di quella del Learning Compass.

    È sicuramente un pregio del recente documento dell’OCSE aver agganciato all’Agenda ONU 2030 la propria visione per il XXI secolo per il sistema educativo allargato e per la scuola dell’obbligo. Rimane però il circolo vizioso della filosofia delle competenze: siccome la società è sempre più complessa, accelerata, plurale, occorre far apprendere le capacità di agire (responsabilmente) per gestire la complessità, il cambiamento, la pluralità. Il problema (educativo) coincide con la soluzione (educativa) proposta. E quindi: competenze generali per tutti, competenze context-specific21 in risposta alle emergenze del presente.

    D’altra parte, se il modello del Powerful knowledge indica una strategia efficace per consegnare nelle mani degli studenti le chiavi della conoscenza in ogni specifico ambito del sapere, manca forse una chiara analisi delle condizioni e del contesto in cui si realizza il percorso di apprendimento: il “qui ed ora” di studenti e insegnanti. Manca il coraggio di una “visione per il XXI secolo”. Ogni sapere e ogni epistemologia vengono sollecitati infatti in modo specifico dalle sfide e dai dilemmi del presente. Insomma, come intendere un Powerful knowledge per il XXI secolo? Powerful knowledge: for what?22

    In bilico tra spinte diverse la scuola rischia in verità di perdere la bussola, piuttosto che trovarla. In Italia, ad esempio, la ricezione del modello delle competenze chiave è stata meno radicale rispetto al caso inglese da cui parte Chapman. Ma anche da noi si sono levati gli scudi e si è aperta una discussione a tratti molto aspra sulla filosofia delle competenze. Che succederà ora, di fronte agli scenari presentati da Chapman, di fronte al Learning Compass, al Powerful Knowledge, alla tentazione di tornare a modelli più tradizionali? Si riaprirà la diatriba su conoscenze e competenze?

    Sicuramente assisteremo nuovamente ad appelli in difesa della scuola “vera”, quella dello scenario 1, quella delle discipline di una volta, che presidiano il “retaggio culturale” degli italiani23. Oppure, magari, potremo finalmente investire nella creazione di comunità epistemiche (scuole-università) per offrire conoscenze radicate nelle epistemologie disciplinari, ma anche adeguate alle domande, ai percorsi, agli sguardi diversi di studenti, insegnanti e cittadini di questo inizio secolo.

     

    La storia come Powerful knowledge

    L’esempio della storia è chiarissimo. Siamo circondati da narrazioni e usi del passato che in parte soddisfano bisogni di svago e intrattenimento, in parte rispondono ad un più profondo bisogno di orientamento nel tempo. Intanto “la storia che conta”, la storia da tramandare alle future generazioni, è tornata ad essere una questione sensibile. Di fronte alla moltiplicazione degli usi e degli abusi del passato, di fronte al rimescolamento e alla ridefinizione delle identità collettive, di fronte alle guerre della memoria e all’abbattimento delle statue, le istituzioni e la politica intervengono, come sempre hanno fatto, per presidiare “la storia da ricordare, tramandare, insegnare”, in ragione della propria visione della cittadinanza e dei suoi valori fondanti. Il calendario civile nelle scuole, di aggiunta in aggiunta, non ha quasi più spazi liberi e nemmeno produce gli effetti sperati.

    Difficile orientarsi. L’insegnamento della storia perde non solo ore, ma viene schiacciato tra i tempi delle giornate della memoria, gli obiettivi delle competenze trasversali (di cittadinanza, ambientale, ecc.) e l’inerzia dei curricoli. In Italia ci lavorano in pochi, Historia Ludens fra questi. Mentre gli storici sembrano disinteressati, nonostante l’epistemologia storica abbia sviluppato raffinati strumenti di analisi, di interpretazione, di revisione e confronto, proprio a partire da sguardi nuovi sul passato e nonostante la necessità di far fronte alla continua perdita di importanza che la storia ha nelle nostre scuole.

    Si può disegnare un curricolo di storia all’altezza dei tempi in cui viviamo: un curricolo “ricco di conoscenze”, “potente” negli strumenti epistemologici, in grado di aiutarci a navigare consapevolmente nel presente globalizzato e iper-mediatizzato in cui viviamo, “aperto” al futuro e non custode di tradizioni. Altrimenti il rischio è grande, come scrive Young, nell’intervento di chiusura del libro su citato:

     

     

    Il potere dei concetti storici non risiede, come nelle scienze, nella loro capacità di sostituire concetti quotidiani, ma nel loro uso per sfidare le visioni convenzionali del passato e del presente (…). Senza l'opportunità di acquisire concetti storici, la capacità intellettuale degli studenti può essere impoverita; potrebbero non essere in grado di prendere le migliori decisioni per plasmare il loro futuro, perché i futuri sono sempre estrapolazioni dal presente e il presente ha sempre un passato incorporato24

     


     

    Breve bibliografia

     

    -  Adorno S., Ambrosi L., Angelini M., a cura di, Pensare storicamente: didattica, laboratori, manuali, 2020, Franco Angeli.

    - Cajani L., Lässig S., Repoussi M., eds., The Palgrave Handbook of Conflict and History Education in the Post-Cold War Era, 2019, Palgrave Macmillan.

    - Thünemann H., Köster M., Zülsdorf-Kersting M., eds., Researching History Education. International Perspectives and Disciplinary Traditions, 2019, Wochenshau Verlag.

    - Valseriati E., Prospettive per la Didattica della Storia in Italia e in Europa (2019); https://www.newdigitalfrontiers.com/it/book/prospettive-per-la-didattica-della-storia-in-italia-e-in-europa_116/

    - Brusa.A, Corso di Didattica della storai. Lezione 4b. Il manuale e l’alfabetizzazione storica.
    http://www.historialudens.it/ricerca.html?searchword=lezione%204b&searchphrase=all

    - Cajani L., a cura di,

     

    Note

      * Note a partire da Chapman, Arthur, ed. Knowing History in Schools: Powerful knowledge and the powers of knowledge. UCL Press, 2021.

     

    1 A. Chapman, ed., Knowing History in Schools: Powerful knowledge and the powers of knowledge, UCL Press, 2021.

    2 OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) (2019) OECD Future of Education and Skills 2030: Conceptual learning framework. OECD Learning Compass 2030. OECD.
    https://www.oecd.org/education/2030-project/teaching-and-learning/learning/ - [ultimo accesso per tutti i link: 4 maggio 2021].

    3 DfE (Department for Education) (2011) Framework for the National Curriculum: A report by the expert panel for the national curriculum review. London: Department for Education.
    https://www.gov.uk/government/publications/framework-for-the-national-curriculum-a-report-by-the-expert-panel-for-the-national-curriculum-review.

    4 Difficile proporre una traduzione in italiano di “powerful knowledge”, poiché bisognerebbe mettere insieme l’idea di una conoscenza forte, sistematica, approfondita, ricca, con quella del suo radicamento in un consolidato ambito disciplinare, dotato di procedute epistemologiche sorvegliate e vagliate tra pari. Solo questo tipo di conoscenza nelle mani degli studenti costituisce, secondo questo approccio, uno strumento potente.

    5 M. Young, Powerful knowledge or the powers of knowledge: A dialogue with history educators, in Knowing History cit., pp.234-259.

    6 Ivi, p.245.

    7 Schema tratto da M. Young, Powerful knowledge as a curriculum principle, cit. in A. Chapman, Introduction: Historical knowledge and the “knowledge turn”, in Knowing History cit. p. 9.

    8 Si rimanda alle breve rassegna bibliografica.

    9 Ivi, p.8.

    10 Forse varrebbe veramente la pena rileggere l’intera questione della “società della conoscenza”, e delle sue varie traduzioni politiche e sociali, come “società delle competenze”, o meglio, come “key competencies society”. Cfr A. Caputo, Ripensare le competenze filosofiche a scuola. Problemi e prospettive, Carocci 2019, pp. 21-48.

    11 OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), The Definition and Selection Key Competencies: Executive summary, 2005 http://www.oecd.org/pisa/35070367.pdf.

    12 Come è noto, in linea con la Strategia di Lisbona, anche l’UE si è mossa su questi temi, in particolare con la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, rivista poi nel 2018. In entrambi i casi cambiano le ricette, ma l’approccio rimane quello descritto sopra, rimane il circolo vizioso tra emergenze individuate politicamente e competenze generiche chiamate a rispondervi.

    13 Cfr. M. Grever, The Netherlands, in Cajani, Lässig, Repoussi, 2019, pp. 385-402.

    14 “Nel contesto dell'ascesa del populismo, un insegnamento della storia che favorisca molteplici punti di vista e un pensiero critico è essenziale per lo sviluppo di una cultura della democrazia. Nel mettere in risalto le pratiche che incoraggiano un insegnamento della storia in linea con i valori del Consiglio d'Europa, l'Osservatorio contribuirà a rafforzare la resistenza contro la manipolazione e il travisamento della storia e favorirà la promozione della pace e del dialogo”. 
    https://search.coe.int/directorate_of_communications/Pages/result_details.aspx?ObjectId=0900001680a07d8c

    15 OECD Future of Education and Skills 2030 cit., p.12. Anche le immagini sulle tre tipologie di aule scolastiche sono tratte dal capitolo introduttivo del rapporto.

    16 Quali discipline avevano in mente gli estensori del rapporto? Non certo le discipline umanistiche, la storia, la letteratura, ecc. Basti pensare agli studi sul rapporto tra nazionalizzazione delle masse e scuola pubblica dal XIX ai giorni nostri.

    17 Vedi il paragrafo “Le conoscenze si fanno in 4”.

    18 La colonna del Learning Compass riprende le definizioni contenute nel capitolo 5 del documento dell’OCSE.

    19 Baldacci M., La scuola al bivio. Mercato o democrazia?, 2019, Franco Angeli.

    20 La filosofia delle competenze chiave, proprio per la sua approssimazione e derivazione da teorie, bisogni, interessi diversi, è stata teatro di battaglia e di competizione tra visioni anche molto distanti tra loro.

    21 Pag. 46, Capitolo 3 (Fondamenti per il 2030).

    22 È l’interessante domanda che si pone K. Nordgren nel suo saggio contenuto nel volume curato da Chapman da cui siamo partiti: Powerful knowledge for what? History education and 45-degree, in Knowing History cit., pp. 177-201.

    23 Accenti di questo tipo si leggono anche nell’appello per le scienze umane di tre illustri intellettuali italiani, Alberto Asor Rosa Ernesto Galli della Loggia e Roberto Esposito.
    https://www.rivistailmulino.it/a/un-appello-per-le-scienze-umane.

    24 Knowing History cit., p.250.

  • LE QUESTIONI SENSIBILI. Un invito a collaborare

    Autore: Antonio Brusa

    Per chi insegna storia, ci sono degli argomenti più difficili di altri, perché coinvolgono i sentimenti, le passioni politiche, il senso di appartenenza, o fanno semplicemente orrore. Sono le “Questioni sensibili”. Ogni insegnante ha le proprie. Ma quali sono quelle condivise dagli insegnanti nel loro complesso? Se lo è chiesto un gruppo di ricercatori (storici e psicologi sociali di varie nazionalità), che hanno avviato una ricerca empirica presso i colleghi delle rispettive nazioni.

    Chiediamo agli insegnanti di collaborare a questa ricerca, compilando il questionario che troverà allegato. Il numero dei docenti che parteciperanno sarà fondamentale per la validità dei risultati. Capire quali sono le Questioni sensibili più sentite dai docenti è un dato essenziale, per cercare i modi più efficaci di trattarle in classe. Chi vuole collaborare, può scaricare il questionario da questo indirizzo:

    https://docs.google.com/forms/d/1jAsqcOxZZLfcZGIpci6VS2QxCixEMxQltrKJHtPeC7g/viewform?c=0&w=1&usp=mail_form_link

    Il questionario è anonimo e la compilazione è del tutto libera, nel senso che è possibile saltare delle domande o interromperne la compilazione in qualunque momento, avendo comunque cura di cliccare poi il bottone finale, per inviarlo. La compilazione dell'intero questionario richiede circa trenta minuti. Responsabili della parte italiana della ricerca sono Giovanna Leone e Luigi Cajani, della Sapienza Università di Roma (troverete i loro indirizzi nel link). Chi desidererà conoscere i risultati della ricerca potrà rivolgersi a loro.

  • Le riviste di storia in rete

    Sitografia delle riviste italiane ad accesso libero e gratuito

    di Antonio Prampolini

     

     

    Historia Ludens aveva pubblicato nell’aprile del 2013 una rassegna delleRiviste storiche gratuite online a cura di Gabriella Lobuono. È l’articolo di HL più consultato. A distanza di otto anni, questo è un aggiornamento doveroso. HL si augura che sia utile quanto il primo.

    Da qualche tempo, le riviste elettroniche di storia sono oggetto di studio da parte degli storici italiani. Rolando Minuti, in una sua relazione ad un convegno organizzato dalla SISSCO (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea) nell’aprile del 2000 (Storiografia, riviste e reti: una transizione avviata), elencava i vantaggi, rispetto alle tradizionali edizioni cartacee, delle riviste elettroniche di storia (e non solo): 1) circolazione incomparabilmente più potente; 2) aggiornabilità, modificabilità/estensibilità pressoché illimitate dei risultati della ricerca; 3) interattività con gli autori [ed anche con i lettori] mediante l’apertura di tribune di discussione e di forum su temi/contributi specifici; 4) contenimento sostanziale dei costi di produzione e di gestione.

    Da canto suo, Stefano Vitali distingueva, con riferimento alle modalità di produzione e distribuzione, tre tipologie di riviste elettroniche: a) con o senza un ente promotore o un editore,b) gratuite o a pagamento, c) ad accesso libero o ristretto; e notava come in Italia, dal 2003 al 2006, fossero diminuite le “riviste amatoriali” (sia per non sottostare alle incombenze per la registrazione delle pubblicazioni online previste dalla recente legislazione in materia che per la difficoltà a mantenere un cadenza periodica) e, invece, fossero aumentate le “riviste scientifiche” che facevano, in particolare, riferimento a istituzioni universitarie (Le riviste elettroniche,relazione tenuta al Convegno internazionaleLa storia contemporanea attraverso le riviste, organizzato dall’Università della Tuscia di Viterbo insieme alla SISSCO nel maggio 2006).

    Pochi anni dopo, siamo nel 2013, nella presentazione del ConvegnoUna “nuova” storia contemporanea? Le riviste digitali e lo studio del passato (Università della Tuscia di Viterbo insieme alla SISSCO), si constatava come fossero «venute meno molte pregiudiziali che in passato erano sorte intorno alle riviste digitali [di storia], non di rado contrapposte a quelle cartacee», e come, nel panorama nazionale, fosse cresciuta sensibilmente la loro presenza sia in termini numerici che qualitativi.

    Questa sitografia segnala solo riviste italiane online di storia, con accesso libero e gratuito ai testi degli articoli, e attive alla data del 31/12/2020. Sono incluse anche le riviste che, avendo un’edizione cartacea, mettono in rete solo gli arretrati. Sono invece escluse quelle riviste che si limitano a pubblicare gli indici dei fascicoli e/o gli abstract degli articoli. In tutto sono 29 riviste. Come si noterà subito a una prima scorsa, sono in prevalenza di storia contemporanea. Ci sono però due riviste didattiche e, sfogliando le altre riviste, è possibile scoprire qualche articolo di interesse per le scuole.

    Le riviste, elencate in ordine alfabetico, erano tutte consultabili in rete alla data del 31/12/2020.

    N.B. Le immagini sono le copertine e/o i loghi delle riviste elencate nella sitografia.

     

    Sommario

    Clio '92. Associazione di insegnanti e ricercatori sulla didattica della storia

    Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi 2

    Cromohs. Cyber review of modern historiography.3

    Diacronie. Studi di Storia Contemporanea.4

    Didattica della Storia. Journal of Research and Didactics of History.5

    E-Review..5

    EuroStudium..7

    Giornale di Storia.7

    Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee.7

    InStoria.8

    Italia contemporanea
    .8

    Itinerari di ricerca storica.1

    Laboratorio dell’ISPF.9

    Mediterranea. Ricerche storiche.9

    Memoria e Ricerca.10

    Novecento.org. Didattica della storia in rete.10

    Officina della Storia.10

    Popolazione e storia.11

    Reti Medievali Rivista.12

    Rivista di Storia dell’Agricoltura.13

    Rivista di Storia dell’Educazione. Journal of History of Education.13

    Rivista di Storia dell’Università di Torino.13

    Storia del mondo.14

    Storia delle Donne.14

    Storia dello Sport. Rivista di Studi Contemporanei 14

    Storia e Futuro.15

    Storia in Network.16

    Storicamente. Laboratorio di Storia

    Studi di Storia Medioevale e di Diplomatica 1

     

     

    unnamed Clio '92. Bollettino di Clio 

    Periodico online dell'Associazione di insegnanti e ricercatori sulla didattica della storia Clio '92. Il bollettino contiene «informazioni, idee, materiali che possono contribuire a formare la professionalità e la condivisione di prospettive rispetto all'insegnamento della storia». E' scaricabile dal sito dell'Associazione a partire dal numero 1 - Anno I, Aprile 2000 (Prima serie).

    L'ultimo numero pubblicato è ad oggi il Numero 14, Dicembre 2020 (Nuova Serie): "Epidemie e storia".

     

    Clionet.Per un senso del tempo e dei luoghi 01. clionet

    Rivista di Public Historycon aggiornamenti trimestrali i cui contenuti sono organizzati in volumi annuali. La rivista, come l’omonima associazione che la promuove (un network nato nel 2011 fra ricercatori, docenti e liberi professionisti, che svolgono la propria attività di lavoro nell’ambito delle discipline storiche e della comunicazione) vuole «favorire il racconto, l’interpretazione e la comprensione del contemporaneo, facendo da "ponte" tra sensibilità e curiosità diverse». L’attuale direttore della rivista è Carlo De Maria.

    Lahomepage del sito presenta il sommario dell’ultimo volume annuale (ad oggi, il n.4/2020) con i relativi aggiornamenti. Nell’Archivio vengono visualizzati i volumi disponibili, dal n.1/2017 al più recente. Cliccando sui singoli volumi è possibile accedere agli indici completi e da questi agli articoli. Ogni volume è suddiviso in tre sezioni dedicate rispettivamente alle Interviste, ai Dossier, agli studi su Società e cultura.

    L’ultimo volume (n.4/2020), oltre a numerosi articoli/contributi su musica, teatro, cinema, narrativa, sport, cibo e cultura, scuola e lavoro, contiene due interessanti interviste e dossier:

     

    Intervista a Marco De Paolis, Tra giustizia e storia: la “riscoperta” delle stragi nazi-fasciste, le indagini e i processi;

     

     

    Intervista a Serge Noiret, La Public History: una storia col PH maiuscolo;

     

    Un miracolo economico di celluloide. Cinema e società italiana negli anni del boom, dossier a cura di Gianfranco Miro Gori e Carlo De Maria (Gianfranco Miro Gori, Cronache degli anni del boom. Il cinema racconta il miracolo economico (1959-1965; Ivelise Perniola, Zona Pericolosa: il documentario del boom economico tra progresso e regresso; Giuseppe Muroni, Le tortuose strade del cinema italiano negli anni del boom. La commedia all’italiana: autobiografia di una nazione);

     

     

    Carte e biografie del Novecento: il caso di Ugo Fedeli, dossier a cura di Antonio Senta(Luigi Balsamini, Archivi, biblioteche e reti per la documentazione anarchica in Italia).

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo:

     

    -  Donne e Grande Guerra: narrazioni, limiti, possibilità tra ricerca e didattica di Silvia Serini (Vol. 1 – 2017);

     

    Senti che storia! Educazione civica e Public History alla scuola primariadi Paola Gemelli, Daniel Degli Esposti (Vol. 2 – 2018);

     

    Note su educazione in natura e pedagogia del bosco, oggi, in Italia di Luigi Balsamini (Vol. 2 – 2018);

     

    Musica e Storia. Un esperimento di laboratorio radiofonico di Francesco Di Bartolo (Vol. 4 – 2020);

     

    Public History e Didattica della storia, un dialogo ancora da costruire di Chiara Martinelli (Vol. 4 – 2020);

     

    La didattica a distanza in emergenza: esperienze e spunti per l’innovazione della scuola di Francesca Cozza (Vol. 4 – 2020);

     

     

    02. chronos  Cromohs. Cyber review of modern historiography

    Rivista edita dalla Firenze University Press (FUP), aperta a contributi internazionali, che pubblica con cadenza annuale articoli in lingua inglese, peer-reviewed,riguardanti in particolare la storia sociale e culturale dal XIV al XX secolo, non solo europea ma globale. Dal sito della rivista è possibile accedere oltre che agliarticoli dell’ultimo numero (ad oggi il volume 22/2019) a quelli pubblicati neinumeri precedenti a partire dal primo (volume 1/1996).

    Tra gli articoli pubblicati nell’ultimo numero:

     

     

    Francesco Adami, un giovane mercante livornese a Londra, 1673-1674 (Francesco Adami, a Young Livornese Merchant in London, 1673–1674) di Matteo Calcagni.

     

     

    Dalla storia universale alla storia del mondo. Carroll Quigley (1910-1977) e la formazione di nuovi paradigmi storici (From Universal History to World History. Carroll Quigley (1910-1977) and the Shaping of New Historical Paradigms) di Filippo Chiocchetti;

     

    - L'illustratore e le guerre globali a venire: Albert Robida, “La guerre infernale” e la lunga storia della guerra immaginata(The Illustrator and the Global Wars to Come: Albert Robida, La guerre infernale, and the Long History of Imagined Warfare) di Giulia Iannuzzi.

     

     

     

    03. Diacronie  Diacronie. Studi di Storia Contemporanea

    Rivista trimestrale edita, a partire dall’ottobre 2009, a cura dell’omonima associazione nata nel 2008 per iniziativa di un gruppo di studenti di storia contemporanea dell’Università di Bologna. La rivista, come l’associazione, si prefigge di contribuire «all’esplorazione delle possibilità che il web offre alla ricerca storica, soprattutto per quanto riguarda la legittimazione di studi, materiali e fonti che non sempre ottengono pieno riconoscimento attraverso i circuiti di diffusione più tradizionali».

    Gli articoli dell’ultimo numero diDiacronie pubblicato ad oggi (n. 43, 3/2020) spaziano dalla Cina all’Algeria e riservano una particolare attenzione al tema dell’informazione digitale:

     

    L’esperienza giornalistica di Tiziano Terzani in Cina, 1980-1984 (The Journalistic Experience of Tiziano Terzani in China, 1980-1984) di Lorenzo M.  Capisani;

     

    Villaggi improvvisati per gli algerini nel XIX secolo. Diagnosi di un fallimento (Villages hâtifs pour Algériens au XIXe siècle. Diagnostic d’un échec) di Sami Boufassa;

     

    Storia, caos informativo e postverità: tra propaganda sovranista e uso pubblico della storia di Michele Sgobio.

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo:

     

    Insegnare “in cravatta e ciabatte”. Problemi, riflessioni e proposte intorno alla didattica online a cura di Deborah Paci e Elisa Tizzoni (n. 43, 3/2020)

     

     

    04. Didattica della Storia  Didattica della Storia. Journal of Research and Didactics of History

    Rivista a cadenza annuale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione «Giovanni Maria Bertin» - Alma Mater Studiorum (Università di Bologna). La rivista, attualmente diretta da Beatrice Borghi, si proponecome«strumento di approfondimento e di diffusione delle ricerche ed esperienze nell'ambito della didattica della storia, anche in chiave multidisciplinare». Ad oggi, ha pubblicatodue fascicoli (1/2019 e 2/2020). L’ultimo è un numero monografico dedicato al Convegno internazionaleOrizzonti della Didattica della Storia tenutosi presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna nel  novembre 2019.

     

     

    05. E Review  E-Review

    Rivista di storia contemporaneacon periodicità annualedegli Istituti Storici dell’Emilia Romagna in Rete realizzata a partire dal 2013. La rivista «intende rivolgersi a un pubblico nazionale e internazionale di studiosi, insegnanti, cultori e appassionati della materia, con l’obiettivo di aprire un canale di comunicazione storiografica che superi i confini accademici e favorisca la costruzione di un dialogo con la società».

    La rivista prevede un Dossier monografico e una serie di rubriche fisse: Formazione, Patrimonio, Uso pubblico della storia, Corrispondenze.

    Dal 2013 ad oggi sono stati pubblicati i seguenti Dossier:

     

     

    La crisi dei partiti in Emilia Romagna negli anni '70/'80, a cura di Mirco Carrattieri e Carlo De Maria (Vol. 1, 2013);

     

    La Grande guerra in retrovia, a cura di Luca Gorgolini e Fabio Montella (Vol. 2, 2014);

     

    «Il paradosso dello Stato nello Stato». Realtà e rappresentazione delle zone libere partigiane in Emilia Romagna a cura di Roberta Mira e Toni Rovatti (Vol. 3, 2015);

     

    Made in Emilia Romagna. Produzione e consumo alimentare tra frugalità e abbondanza, a cura di Stefano Magagnoli e Agnese Portincasa (Vol. 4, 2016);

     

    Le Università in Emilia Romagna dal dopoguerra alla contestazione del ’68, a cura di Alessandro Breccia e Simona Salustri (Vol. 5, 2017);

     

    I molti territori della Repubblica fascista. Amministrazione e società nella RSI, a cura di Roberto Parisini, Roberta Mira e Toni Rovatti (Vol. 6, 2018);

     

    Spostarsi nel tempo. Esperienze emiliano-romagnole di viaggi della e nella memoria, a cura di Davide Bagnaresi e Mirco Carrattieri (Vol. 7, 2019_2020).

     

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo:

     

     

    Nei luoghi della Guerra e della Resistenza a Parma. Un itinerario di studio condotto da studenti per studenti di Tommaso Ferrari (vol. 2/2014);

     

     

    Giornata del ricordo. Superare le letture ideologiche attraverso lo studio di storie sovranazionali di Josè Carrasso (vol. 2/2014);

     

     

    Un ponte culturale tra memoria e storia: la biografia di comunità di Lorena Mussini (vol. 3/2015);

     

     

    Fare storia: il laboratorio didattico sull’eccidio di La Bettola diRoberto Bortoluzzi, Stefania Guglielmino(vol. 3/2015);

     

     

    “Partigiani...” Storie di resistenza nel Parmense: gli studenti raccontano di Chiara Nizzoli (vol. 3/2015);

     

     

    “Vite ritrovate”. Un progetto storico-didattico per il 70° anniversario della Liberazione di Marco Minardi (vol. 3/2015);

     

     

    “Il tempo non guarisce le ferite”: un laboratorio didattico su guerra, occupazione e Resistenza a Collecchio (1943-45) diTeresa Malice(vol. 4/2016);

     

     

    Cibi di pace, cibi di guerra: la storia dell’alimentazione al liceo di Maria Raffaella Cornacchia (vol. 4/2016);

     

     

    Filande, operaie e corsi d’acqua. La passeggiata patrimoniale come strumento didattico di Tania Flamigni (vol. 5/2017);

     

     

    Calendario civile: gli studenti raccontano gli anni Settanta. Un progetto di alternanza scuola-lavoro di Carlo Ugolotti (vol. 6/2018).

     

     

     

    06. Eurostudium  EuroStudium

    Rivista trimestrale online del Dipartimento Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo (SARAS) dell’Università “La Sapienza” di Roma. Pubblicata a partire dal 2006 (numero 1/Ottobre-Dicembre 2006) è attualmente diretta da Francesco Gui.

    Come si può desumere dallo stesso titolo, la rivista pubblica articoli/contributi attinenti alla storia dell’Europa nelle diverse epoche.

    Dal sito è possibile consultare l’ultimo numero (ad oggi, il numero 54/gennaio-giugno 2020) che contiene gliAtti della Giornata della Cultura Europea(Roma, 29/10/2019) dedicata al tema: Libertà, pace e federalismo.Il contributo francese e italiano all'idea dell'unità europeanel XIX secolo.

    Nella sezioneArchivio sono reperibili tutti i numeri della rivista antecedenti l’ultimo (dal numero 1/ottobre-dicembre 2006 ai numeri 52-53/luglio-dicembre 2019).

     

     

     

    07. Giornale di storia  Giornale di Storia

    Nasce nel 2009 per iniziativa di Marina Caffiero e pubblica con periodicità variabile articoli sulla storia moderna e contemporanea con l’obiettivo di offrire i risultati delle nuove ricerche ad un pubblico più vasto di quello specialistico degli studiosi.

    La sezioneArchivio del sito permette di accedere ai numeri del Giornale (ad oggi, 33), che comprendono le Rubriche:Scritture Femminili,Fonti per la storia del razzismo italiano,Fotografie della storia,Storia per fiction,Storia e Storie,Contrappunto,Recensioni.

    Il numero 33 del Giornale (pubblicato il 19 ottobre 2020) è dedicato aPercorsi individuali e identità collettive della storia.

     

     

     

    08. Il pensiero storico Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee

    Nasce nel 2016 come frutto di un progetto di ricerca multidisciplinare per lo studio e la divulgazione della Storia delle Idee, finalizzato alla pubblicazione di un semestrale in formato sia cartaceo che digitale. La rivista, fondata da Antonio Messina e attualmente diretta da Danilo Breschi, è suddivisa in sezioni: Saggi, Interviste, Riflessioni, Recensioni/Rassegne, Classici.

    Dal sito della rivista si possono consultare full-texttutti i numeri pubblicati a partire dal primo (n.1, Anno I, dicembre 2016).

    L’ultimo numero della rivista pubblicato online è, ad oggi, il numero 7/giugno 2020 dedicato al tema Conservatorismi vecchi e nuovi.

     

     

     

    09. In Storia  InStoria

    Rivista mensile online di storia e informazione presente in rete dal giugno 2005, edita da Ginevra Bentivoglio Editoria e attualmente diretta da Matteo Liberti. Si propone come punto di riferimento per ricercatori, studenti e appassionati di storia, dall’antichità alla contemporaneità. La rivista comprende diverse rubriche: Attualità, Ambiente, Arte, Filosofia & Religione, Storia & Sport, Turismo storico. Dall’Archivio del sito è possibile accedere ai numeri precedenti l’ultimo, che viene visualizzato nellahomepage (ad oggi, il numero 156/dicembre 2020).

    Tra gli articoli pubblicati nell’ultimo numero:

     

    Stalingrado. Obiettivo strategico o simbolico? di Federico Toscano;

     

    Lawrence d’Arabia. Breve ritratto di una poliedrica leggenda di Antonino Cambria;

     

     

    Il reclutamento nel mondo romano tra III e IV Secolo. Modalità e Innovazioni di Giulio Vescia;

     

    Traiano. Il Princeps che portò Roma alla massima grandezza di Giacomo Sabbatini.

     

     

     

    10. Italia contemporanea Italia contemporanea

    Periodico quadrimestrale(trimestrale fino al 2013) dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri - Rete degli istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, attualmente diretto da Nicola Labanca. Viene pubblicato sia in formato cartaceo che digitale (limitatamente ai numeri arretrati).

    Dal sito dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri è possibile consultare integralmente i fascicoli dal numero 1/1949 al numero 213/1998 e gli indici con gli abstract degli articoli (più eventuali testi open access) dei fascicoli successivi (ad oggi, dal numero 214/1999 al numero 293/agosto 2020.

    Nel corso degli anni, il nucleo centrale degli interessi della rivista si è progressivamente allargato, includendo non solo la storia del fascismo, della Seconda guerra mondiale e della Resistenza, ma l’intera storia del Novecento.

     

     

     

    27. itinerari di ricerca storica Itinerari di ricerca storica

    È una rivista nata nel 1987 come pubblicazione periodica con cadenza annuale dell'allora Dipartimento di Studi Storici dal Medioevo all'Età Contemporanea dell'Università di Lecce.Oggi si ripropone in una nuova veste profondamente rinnovata, offrendo online i contributidi studiosi italiani e stranieri su vari argomenti della storia medievale, moderna e contemporanea italiana, europea ed extraeuropea. In rete è oggi disponibile il fascicoloa. XXXIV - 2020, numero 1 n.s. Nella sezioneArchivio del sito della rivista è possibile consultare i fascicoli precedenti a partire dal 2013.

    Tra gli articoli pubblicati nell’ultimo numero:

     

     

    Il dominio spagnolo nel regno di Napoli (secoli XVI-XVII). Istituzioni, economia e cultura di una storia antimoderna di Saverio Di Franco;

     

    Poteri locali e interesse centrale. L'amministrazione a Napoli dall'unità alle leggi speciali di Gianluca Luise;

     

    Aldo Moro: la difficile nascita del centro-sinistra e le istituzioni di Franco Vittoria.

     

     

     

    11. Laboratorio dellISPF  Laboratorio dell’ISPF

    Rivista dell’Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno (ISPF) del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Dal 2004 pubblica con cadenza annuale (semestrale dal 2005 al 2007) testi classici e contributi originali (saggi e strumenti per la ricerca) nei campi della filosofia e delle scienze umane. L’ultimo numero disponibile online è, ad oggi, il XVII/2020. Inumeri precedenti sono tutti consultabili dal sito della rivista a partire dal primo (2004).

    Sulla didattica della storia segnaliamo lo “Speciale”: L’insegnamento della storia oggi,a cura di Maria Pia Donato (n. XI, 2014), che comprende:

     

     

    L’insegnamento della storia, la riforma perenne della scuola e un passato che non passa di Maria Pia Donato;

     

     

    I recenti programmi di storia per la scuola italiana di Luigi Cajani;

     

     

    Storia globale e storia nazionale tra ricerca e didattica. La questione vista dalla Francia di Christophe Charle;

     

     

    Storia e il suo insegnamento: andata e ritorno di Elvira Valleri.

     

     

     

    12. Mediterranea  Mediterranea. Ricerche storiche

    Rivista quadrimestrale edita dall’Associazione noprofit “Mediterranea”con sede a Palermo, e diretta attualmente daOrazio Cancila (direzione e redazione: Cattedra di Storia Moderna c/o Dipartimento Culture e Società Università degli Studi di Palermo). La rivista non intende «chiudersi nel ristretto ambito siciliano, ma, come si evince dal nome stesso, si considera aperta all’intera area mediterranea, nella consapevolezza che la storia della Sicilia non è avulsa da quella dei paesi europei e delle sponde dell’Africa e dell’Asia Minore».

    Dal sito è possibile accedere atutti i numeri della rivista dal giugno 2004 (primo numero) ad oggi (dicembre 2020).

    Tra gli articoli pubblicati nell’ultimo numero:

     

     

    Resistenza, adesione e frode fiscale nell’Europa della prima età moderna di Luciano Pezzolo;

     

     

    Sudditi milanesi schiavi dei barbareschi. Riscatti, procedure, profili (secc. XVI-XVIII) di Emanuele Pagano.

     

     

     

    13. Memoria e ricerca  Memoria e Ricerca

    Rivista quadrimestrale di storia contemporanea della Fondazione Casa di Oriani (Ravenna). La rivista affronta argomenti di storia sociale, politica e culturale con un taglio comparativo internazionale e con un approccio interdisciplinare. Fanno parte dell’attuale Comitato di direzione, in qualità di coordinatori, Fulvio Conti e Maurizio Ridolfi.

    La rivista viene pubblicata in formato cartaceo (il primo numero risale al 1993). Alcuni articoli sono consultabili full-text sul sito della Fondazione Casa di Oriani nella sezioneMemoria e Ricerca Online.

     

     

     

    14. Novecento.org  Novecento.org. Didattica della storia in rete

    Rivista semestrale ad aggiornamento continuo dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri che vuole innanzitutto contribuire ad una maggiore visibilità e diffusione delle idee, riflessioni, materiali e notizie riguardanti la didattica della storia, utilizzando al meglio i servizi della rete Internet e le potenzialità offerte dal mondo digitale.

    La rivista, diretta fino al 2018 da Antonio Brusa, è stata in seguito affidata a un team di direzione costituto da Annalisa Cegna, Carla Marcellini e Flavio Febbraro. Attualmente la direzione è composta da Agnese Portincasa coadiuvata dai vicedirettori Carla Marcellini e Enrico Pagano

    Dalla homepage del sito della rivista è possibile consultare full-text gli ultimi articoli; dalla sezione Indici tutti gli altri, a partire da quelli pubblicati sul primo numero (n.1, Dicembre 2013).

     

     

     

    15. Officina della storia  Officina della Storia

    Rivista elettronica del Center of Study of Mediterranean Europe (Università della Tuscia) pubblicata con cadenza annuale dal 2019 (in precedenza semestrale). La rivista è stata fondata nel 2008 da Maurizio Ridolfi ed è attualmente diretta daGiovanni Fiorentino.

    La rivista è organizzata in Sezioni/Categorie che rappresentano gli indirizzi di ricerca e le tematiche/periodizzazioni principali oggetto degli articoli:Archivi, Didattica e Digital Humanities;Cinema e storia;Integrazione e regionalismi;Storia dell’Italia repubblicana; Storia italiana e integrazione europea;Storia e letteratura nel mondo mediterraneo;Storici e uso pubblico della storia;Tra le due guerre; (leSezioni/Categorieelencano tutti gli articoli relativi pubblicati a partire dal primo numero della rivista).

    La homepage del sito visualizza insieme gli indici e gli articoli dei numeri della rivista in ordine cronologico inverso (ad oggi, dal numero 22/2020 al primo numero 1/2008). Per una consultazione più rapida e ordinata la sezione Indici dei numeri elenca solo i sommari della rivista, da cui poi è possibile accedere agli articoli.

    L’ultimo numero pubblicato (22/2020) è un numero monografico:

     

     

    -  Tra pubblico e privato: ruoli e culture della rappresentazione di genere e della famiglia fra moderno e contemporaneo a cura di Elisabetta Girotto.

     

     

    E così pure il precedente (21/2019):

     

     

    La Public History tra temi, strumenti e pratiche a cura di Chiara Moroni.

     

     

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo:

     

     

    -  Didattica della storia, documenti d’archivio e internet diAndrea Brotini (n. 6/2011);

     

     

    Storiaindustria.it: web per la didattica e la ricerca. A cominciare da Bibliografiat diElena Romagnolo (n.6/2011);

     

     

    Quante storie nella storia. Settimana della didattica in archivio diFranca Baldelli (n.6/2011).

     

     

    L’Aamod [Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico] e le fonti audiovisive per la storia e la didattica diLuciana Carbone (n.15/ 2016);

     

     

     

    16. Popolazione e storia  Popolazione e storia

    Rivista semestrale, in formato cartaceo e digitale, della Società Italiana di Demografia Storica. La rivista, attualmente diretta da Marco Breschi, si propone di «discutere della popolazione, dei suoi meccanismi evolutivi, delle sue caratterizzazioni e dei suoi condizionamenti», allargando il proprio spazio di indagine ad altre realtà oltre a quella italiana.

    Il sito della rivista permette di accede full-text agli articoli dell’Ultimo Numero (ad oggi, Vol. 21, N° 1/2020) e a quelli dei numeri precedenti (Archivio) a partire dal Vol. 8, N° 2/2007.

    Tra gli articoli pubblicati nell’ultimo numero:

     

     

    -Alle origini della demografia italiana: le “Tavole di Vitalità“ di Giuseppe Toaldo (1787) di Lucia Pozzi;

     

    -Mobilità territoriale e ricostruzione delle famiglie: Montenovo nel XVII secolo di Romano Mazzini;

     

     

    -La morte per epidemia nel XVIII secolo. La peste del 1743-44 nel Reggino di Alessio Bruno Bedini.

     

     

     

    17. Reti medievali rivista Reti Medievali Rivista

    È una iniziativa scientifica dedicata allo studio della civiltà medievale nelle sue diverse forme. È stata avviata nel 1998 da un gruppo di studiosi afferenti a diverse università italiane con l’obiettivo di sperimentare l'uso delle nuove tecnologie informatiche nelle pratiche di ricerca e di comunicazione del sapere.

    La rivista è edita con cadenza semestrale daFirenze University Press, e gli attuali coordinatori sono: Enrico Artifoni, Roberto Delle Donne, Paola Guglielmotti, Gian Maria Varanini.

    Dal sito della rivista è possibile consultare full-text sia gli articoli dell’Ultimo Fascicolo (ad oggi, V. 21 N.2/2020) che i precedenti (Archivio) a partire dal numero 1/2000

    Tra gli articoli dell’ultimo fascicolo:

     

     

    Uomini, lupi e tempo storico di Vito Loré;

     

     

    Isabel di Aragona, regina consorte di Portogallo (c. 1270-1336): potere, ambizione e limiti di una sovrana medievale diGiulia Rossi Vairo;

     

    Una civiltà di ragionieri. Archivi aziendali e distinzione sociale nella Firenze basso medievale e rinascimentale diSergio Tognetti.

     

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo:

     

     

    Medioevo da manuale. Una ricognizione della storia medievale nei manuali scolastici italiani diVito Loré eRiccardo Rao (Vol. 18, N. 2/2017).

     

     

     

    18. Rivista di storia dellagricoltura Rivista di Storia dell’Agricoltura

    Periodico semestrale dell’Accademia dei Georgofili. La rivista promuove una concezione ampia della storia dell’agricoltura («storia agraria, ma anche storia rurale, storie a confine come la storia dell’alimentazione, del paesaggio, della letteratura agraria, delle tecnologie») in un ampio arco cronologico (dalla Preistoria ai giorni nostri) e geografico (dall’Europa al Mondo Mediterraneo). La rivista, che è stata ideata e promossa da Ildebrando Imberciadori sessantanni fa, è attualmente diretta da Paolo Nanni.

    Il sito dell’Accademia dei Georgofili permette di accedere, nella pagina dedicata alla rivista, attraverso l’Elenco dei fascicoli digitalizzati,al testo degli articoli pubblicati a partire dal primo anno (a. I, n. 1, dicembre 1961 ) per arrivare ad oggi (a. LX, n. 1, giugno 2020 ).

     

     

     

    19. Rivista di storia delleducazione Rivista di Storia dell’Educazione.Journal of History of Education

    È la rivista ufficiale del CIRSE (Centro Italiano di Storia dell'Educazione), pubblicata con cadenza semestrale a partire dal 2014. Focalizzata «sul significato globale e sull'impatto dellastoria dell'educazione, ne copretutti gli aspetti teorici e pratici».

    Dal sito della rivista è possibile consultare sia l’Ultimo fascicolo pubblicato (ad oggi, 1/2020) che i precedenti (Archivi) a partire dal numero1/2017.

     

     

     

    20. Rivista di storia delluniversità di torino Rivista di Storia dell’Università di Torino

    Periodico semestrale dell’Ateneo piemontese che «si propone di declinare la storia “interna” in una prospettiva più ampia, nel cui contesto l’Università diventi un oggetto di osservazione sul quale far convergere molteplici sensibilità teoriche e la massima pluralità di approcci storiografici e disciplinari».

    La rivista prosegue dal 2012 la precedente esperienza dei “Quaderni di Storia dell’Università di Torino”, che sono usciti in dieci numeri dal 1996 al 2011, sotto forma di monografie.

    Il sito della rivista mette a disposizione degli utenti sia l’ultimo fascicolo (ad oggi, n. 2/2020) che i precedenti (Archivio) a partire dal primo (V.1, n.1/2012).

     

     

     

    21. Storia del mondo Storia del mondo

    Periodico telematico semestrale di Storia e Scienze Umane diretto da Roberta Fidanzia. La rivista ha «l'obiettivo primario di diffondere la conoscenza della Storia - in tutte le accezioni del termine - al più vasto pubblico, con la maggiore autorevolezza possibile».

    Il sito della rivista permette di accedere full-text agli articoli dell’ultimo fascicolo (ad oggi, n.89, Luglio-Dicembre 2019) e a quelli dei fascicoli precedenti (Archivio) a partire dal numero 1 (Gennaio 2003).

     

     

     

    22. Storia delle donne Storia delle Donne

    Rivista annuale, in formato sia cartaceo che digitale, edita dalla Firenze University Press e diretta da Dinora Corsi.

    La rivista nasce nel 2005 da un progetto che vuole mettere «al centro dell’indagine e della riflessione le donne e la loro storia muovendo dai problemi che le contingenze politiche e sociali del tempo presente propongono».

    Ogni fascicolo è dedicato a un tema specifico segnalato dal titolo.Con riferimento ai fascicoli degli anni più recenti (disponibili online nell’Archivio), segnaliamo:

     

     

    - per l’anno 2019 (ultimo fascicolo pubblicato ad oggi):Donne in Rivista (ovvero le donne che realizzano una rivista, che scrivono di donne nelle riviste, e quelle di cui le donne scrivono);

     

     

    - per l’anno 2018:La storia delle donne in percorsi di Public History;

     

     

    -  per l’anno 2015:Intolleranze fra religione e geopolitica;

     

    - per l’anno 2014:Donne Racconto Conflitti.

     

     

     

    23. Storia dello sport Storia dello Sport. Rivista di Studi Contemporanei

    Pubblicazione semestrale edita da Clueb e diretta daFrancesco Bonini, Patrizia Dogliani e Sergio Giuntini

    Ad oggi, sul sito della rivista è disponibile per la consultazione full-text solo il primo numero:Vol 1 No 1 (2019).

    Tra gli articoli pubblicati:

     

     

    Gino Colaussi ed Ettore Valcareggi. Mito e “contromito” dell’italianizzazione sportiva a Trieste di Nicolò Falchi;

     

     

    I Maori e il rugby. Appropriazione e ideologia di Cristiano Poluzzi;

     

     

    Dal regime franchista alla democrazia: la transizione dello sport in Spagna attraverso l'analisi dei documentari «Immagini dello Sport», 1968-77 (Del franquismo a la democracia: la transición del deporte en España a través del análisis de los documentales «Imágenes del Deporte», 1968-77)di Juan Antonio Simón, Eva Asensio Castañeda.

     

     

     

    24. Storia e futuro Storia e Futuro

    Rivista quadrimestrale di storia e storiografia online fondata nel 2002 da Maurizio Degl’Innocenti, Franco Della Peruta e Angelo Varni.

    L'obiettivo principale della rivista è quello di promuovere la circolazione della storia contemporanea, nei suoi diversi aspetti (compresa la didattica), utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie digitali.

    La homepage del sito visualizza gli articoli/contributi dell’ultimo numero della rivista (ad oggi,  il numero 52 - Aprile 2020), mentre dalla sezioneArretrati è possibile accedere a tutti i numeri pubblicati a partire dal primo (n.1 – Aprile 2002).

     

     

    Nell’ultimo numero segnaliamo:

     

    “Caduti sul campo dell’onore”. I ritratti fotografici del Fondo Caduti del Museo del Risorgimento di Roma fra sfera pubblica e dimensione privata di Raffaella Biscioni;

    La fragile pace nel Mediterraneo. La Conferenza di Sanremo del 1920 e il trattato con la Turchia dopo la Grande GuerradiFrancesca Canale Cama;

     

     

    Venti anni di Giorno della Memoria: bilanci e prospettive  di Alberto Gagliardo.

     

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo:

     

    La storia insegnata in classe, la storia insegnata nei manuali. Resistenza, Shoah, foibe, terrorismo nei manuali di storia per le scuole secondarie di 1° e 2°: prime risultanze di una ricerca in corso diGian Luigi Melandri, Cinzia Venturoli, Paola Zagatti (N. 17/2008);

     

    Un possibile futuro per la formazione degli insegnanti di Storia diGaetano Greco (N. 18/2008);

     

    -  La storia è di tutti a cura di Antonio Brusa, Luigi Cajani (Roma, Carocci, 2008) di Dario Petrosino (N. 21/2009);

     

    Una immersione nel passato. Nuova prospettiva per l’uso didattico delle tecnologie informatiche nell’insegnamento della storia di Claudio Tosatto (N. 21/2009);

     

    Insegnare la guerra in una prospettiva globale di Andrea Zannini (28/2012);

     

     

    Insegnare e comprendere, gli anni ’70 Ovvero della necessità di affrontarli in classe di Cinzia Venturoli (N. 28/2012);

     

    Fra scuola e archivi Storia e prospettive di una lunga complicità diFrancesca Cavazzana Romanelli, Ernesto Perillo (N: 36/2014);

     

    Strumenti per la didattica della storia e della geografia di Patrizia Fazzi (N. 39/2015);

     

    Risorgimento e identità nazionale nei manuali scolastici: argomentazioni e proposte didattiche diJosep M. Pons-Altés (N. 40/2016);

     

     

    25. Storia in Network Storia in Network

    Rivista mensile, fondata da Franco Gianola nel 1996, chesi dedica, con un taglio divulgativo, principalmente alla storia moderna e contemporanea. Oggi è diretta da Franco Frigerio.

    Dalla homepage del sito è possibile accedere agli articoli dell’ultimo numero pubblicato (ad oggi, dicembre 2020). Gli arretrati sono contenuti in due archivi:Vecchio Archivio (1996-2013) eArchivio mesi precedenti (da dicembre 2013 ad oggi).

     

     

    Storicamente. Laboratorio di Storia 26. Storicamente

    Rivista nata nel 2005 su impulso di Alberto De Bernardi e grazie all'iniziativa di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell'Università di Bologna.

    La rivista pubblicacon cadenza annualesaggi scientifici e interventi di discussione storiografica attinenti alle diverse scansioni temporali della storia, e si caratterizza per un approccio multidisciplinare (storia, antropologia, geografia, scienze politiche e media studies).

    È strutturata in Sezioni/Rubriche:

     

     

    Dossier: saggi scientifici e interventi su uno specifico tema monografico;

     

    Studi e ricerche: saggi scientifici che espongono i risultati di ricerche originali;

     

    Comunicare storia: contributi inerenti al rapporto della storia con i mezzi di comunicazione di massa, con la formazione delle opinioni, con la didattica e con le pratiche di divulgazione di temi storici nella società;

     

     

    Fonti e documenti: pubblicazione e analisi di documenti storici o storiografici, inediti o di difficile reperimento: fonti scritte, memorie, testimonianze, immagini.

     

    Dibattiti: interventi e confronti su temi, ricerche o volumi di particolare interesse e attualità;

     

    Biblioteca: recensioni.

     

    Dal sito della rivista si possono consultare full-text sia l’ultimo numero (ad oggi, Vol. 15-16 / 2019_2020) che gli arretrati (Archivio) a partire dal numero 1/2005.

     

     

    Dossier pubblicati negli ultimi numeri:

     

     

    Fascismo, chiese e religioni a cura di Elena Bignami e Pietro Pinna (Vol. 15-16 / 2019_2020);

     

     

    Le relazioni culturali e intellettuali tra Italia e Francia dalla Grande Guerra al Fascismo (Vol. 14 / 2018);

     

     

    La politica oltre l’imperatore: strutture, strategie ed evoluzione dei poteri dietro al trono da Roma a Bisanzio (Vol. 14 / 2018).

     

     

     

    Sulla didattica della storia segnaliamo, nella rubrica “Comunicare Storia”, La storia a scuola oggi. Insegnare la storia nella scuola primaria a cura diElisabetta Serafini, Vittorio Caporrella, (N.15-16/2019-2020), che comprende gli articoli:

     

    La storia a scuola oggi. Insegnare la storia nella scuola primaria. Introduzione di Elisabetta Serafini, Vittorio Caporrella;

     

     

    I recenti programmi di storia per la scuola italiana di Luigi Cajani;

     

     

    Storia e didattica della storia nella formazione iniziale dei docenti di Cecilia Ricci, Stefano Colavecchia;

     

     

    La Costituzione italiana nella scuola primaria: con gli occhiali della storia di Gianluca Gabrielli;

     

     

    Raccontare la Shoah nella scuola primaria? di Nadia Olivieri;

     

     

    Che genere di Preistoria? Genere e insegnamento della Preistoria nella scuola primaria di Elisabetta Serafini;

     

     

    Giochi didattici e storia nella scuola primariadi Marco Tibaldini.

     

     

     

    28. Studi di storia medievale Studi di Storia Medioevale e di Diplomatica

    È una rivista pubblicata con cadenza annuale dall'Università degli Studi di Milano che «accoglie saggi di storia medievale, di paleografia e di diplomatica, con preferenza per ricerche originali che utilizzino fonti inedite». L’ultimo numero pubblicato ad oggi è ilIV (2020) della Nuova Serie iniziata nel 2017. La sezioneArchivio del sito della rivista consente di accedere ai numeri e alle serie precedenti a partire dal 1976.

  • Piccole Storie 1

    Quando insegniamo una storia “liscia”, senza problemi, di fatti che scorrono, di descrizioni che si leggono e poi si dicono in classe, non facciamo formazione, perché lasciamo il nostro allievo lì dov’era prima. Non lo smuoviamo dal suo stato “a-problematico”. Il sapere storico nasce quando l’allievo comincia a porsi delle domande.

    Questo libro è, in primo luogo, un libro di storia, e delle domande corrette che a essa – in questo caso la preistoria – è utile e corretto rivolgere. Si apre con la sollecitazione a fare pulizia mentale. A liberarsi dagli stereotipi, e per quanto riguarda la preistoria sono piuttosto abbondanti. Questi sono un ostacolo insormontabile, se si vuole accedere a un racconto problematico del passato, che insegni anche a interrogare il presente.

    Piccole storie 1 contiene, inoltre, otto giochi. Non che un insegnante li debba svolgere tutti e tutti siano necessari. Eccedono le necessità di un curricolo solo per permettere al docente di fare la sua scelta. Alcuni possono essere svolti nella scuola dell’infanzia e nei primi anni delle elementari (non necessariamente la preistoria va fatta in terza!). Ogni gioco è dedicato a una questione storica.

    A questi otto giochi fa seguito un capitolo di didattica collaborativa. Inventare i giochi è lo strumento migliore per imparare ad usarli in classe. E scambiarseli è lo strumento con il quale nascono le banche di strumenti per insegnare. Qui, dunque, troverete una decina di proposte.

    Infine, nel capitolo di Preistoria Triviale troverete la risposta al dubbio che state già meditando: e i contenuti quelli tradizionali, la partizione fra paleolitico e neolitico, dove abitava Habilis e dove abitava Neandertal e così via? Eccoli.

    Per Sfogliare...

  • Piccole Storie 1. Racconti di preistoria

    “Credo che la storia, la buona storia, sia così bella e affascinante, così piena di misteri e così aggrovigliata, che è l’ambiente ideale per viverla attraverso i giochi. Penso, perciò, che i giochiziari siano vuoti di senso non perché sono zeppi di parole crociate ma perché si rifanno a una storia inerte, elencativa e vecchia. […] Un gioco storico ha la possibilità di appassionare e, quindi, di divertire, se nasce da un problema storico attraente. Da una storia viva.”

    La casa editrice la meridiana manda in libreria Piccole Storie 1. Giochi e racconti di preistoria per la primaria e la scuola dell’infanzia, del prof. Antonio Brusa, pubblicato nella collana di didattica ludica p come gioco, che spazza via i pregiudizi e rimette ordine nella didattica della storia a partire dalla scuola primaria, il ciclo a cui i nuovi programmi ministeriali affidano in maniera quasi esclusiva lo studio della preistoria.

    Per leggere l'articolo...

  • PopShoah? Immaginari e pratiche di memoria pubblica intorno al genocidio ebraico

    Autore: Claudio Monopoli

     

    Varcata la soglia del settantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz, dieci anni dopo l’istituzione della Giornata mondiale della memoria, diventa un interrogativo imprescindibile chiedersi come insegnare la Shoah, fuori dalla retorica della celebrazione, immersi come siamo nel nuovo universo immaginario del XXI secolo. E’ l’universo dei nati dopo il 2000, pieno di immagini nuove, e in numero infinitamente superiore, di quelle che lo studente degli anni '90 poteva trovarsi ad osservare. L’origine di questo cambiamento sta nel fatto che quell’evento è divenuto oggetto di una possente industria culturale, fatta di libri, film, fiction, social media. Oggi, la Shoah è anche un insieme di immagini e concetti appartenenti alla cultura pop.

    Una ragazza si fa fotografare presso il Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa di Berlino (da un social)

     

    Come insegnare, dunque, la Shoah in questa nuova situazione? Rispondere a questo interrogativo è stato l’obiettivo della quarta edizione del Corso di Storia e Didattica della Shoah dell’Università degli Studi di Bari. “Popshoah? Immaginari e pratiche collettive intorno all’uso pubblico della memoria dello sterminio degli ebrei d’Europa” è il titolo del convegno, organizzato da Francesca Romana Recchia Luciani e Claudio Vercelli, (16 e 17 ottobre 2015), rivolto a docenti e studenti universitari.

    Il suo primo obiettivo è stato quello di delineare le modalità attraverso le quali la Shoah diventa un oggetto culturale di massa. Se prima a questo termine si associavano atmosfere di indicibilità, ora l’evento storico, proprio a causa della sua forte mediatizzazione, è diventato una metafora narrativa o, ancor di più, una semplice ambientazione per trame di libri o film. L’analisi della produzione cinematografica, proposta da Claudio Gaetani, rivela che è addirittura possibile parlare dei format “Holocaust film”, un genere le cui formule narrative sono usate anche in rappresentazioni di altro tipo, come quelle fumettistiche. Come osservato da Recchia Luciani, questa utilizzazione dell’evento storico provoca una perdita del senso del dramma stesso e crea un fertile terreno per la costruzione di ideologie revisioniste o negazioniste.

     La bambina dal cappottino rosso del film Schindler's List.

    Proiezione a cura della Comunità ebraica di Roma presso Largo 16 ottobre, 7 aprile 2013 (inizio del Yom Ha Shoah)

     

    Per un insegnamento rivolto agli studenti di oggi, cronologicamente lontani da quegli eventi, sarebbe necessaria una rappresentazione non spettacolarizzata, attraverso la quale recuperare il senso del dramma reale. Invece, la produzione filmica americana sembra orientarsi in direzione opposta. Ad esempio, l’immagine della bambina dal cappottino rosso, di Schindler’s List (ne ha parlato Damiano Garofalo), diventa un simbolo, soggetto a riprese e citazioni sul web e nelle fiction televisive, ormai privato di ogni collegamento alla tematica della Shoah. Non solo. Tale processo è stato ripetuto ed applicato anche alla figura di Anne Frank, il cui celeberrimo diario viene spesso utilizzato come testo scolastico sul tema. Oltre alla trasformazione in un “quasi-giallo” della famiglia Frank, testimoniata dalle recensioni al sito web della Casa di Anne Frank, le produzioni americane di Broadway e l’adattamento cinematografico di George Stevens, forniscono, secondo Fiorenza Loiacono, una prospettiva edulcorata della storia di Anne Frank, in cui la Shoah diviene sfondo marginale di una storia squisitamente adolescenziale, arricchita da ideologie individualistiche. Un processo di edulcorazione che si esaspera nella “carinizzazione” della figura della povera ragazza ebrea, operata dai manga giapponesi.

    "Carinizzazione" della figura di Anna Frank attraverso il manga giapponese di Megumi Sugihara e Naoko Takase

     

    Se, di fronte ad un tale panorama culturale, la costruzione negli studenti della memoria storica appare necessaria, tuttavia essa non può essere immaginata come un risultato da conseguire tramite il “rito” della celebrazione. La forma della ritualità e della consuetudine, spiega Cristiano Bellei, pone fine alle domande e moltiplica, in realtà, le banalizzazioni sul tema; così, ad esempio, per uno studente l’ “ebreo” può divenire sinonimo di “perseguitato”, al di fuori di ogni comprensione ed interrogativo circa le reali origini della persecuzione stessa.

    E’ necessario trovare e percorrere quella che Natascia Mattucci definisce la stretta strada che intercorre fra banalizzazione e sacralizzazione, per ricostruire una percezione lontana sia dai miti di indicibilità sia dalle spettacolarizzazioni. E’ un obiettivo che può essere ottenuto, se seguiamo il lavoro di Raffaella Di Castro, ascoltando le testimonianze dei parenti delle vittime della Shoah: testimoni di “secondo livello”, nati fra gli anni '60 e '80, le cui storie oscillano fra una voglia di apertura pubblica delle storie familiari e la necessità di custodirle nella dimensione privata.

    Il punto fondamentale, che occorre necessariamente tener presente per l’insegnamento della Shoah, è la “presentificazione” dell’evento storico. A partire da questo fenomeno, Claudio Vercelli invita i docenti a prendere coscienza, insieme agli studenti, sia delle costruzioni politiche operate sul concetto di Shoah, che includono anche contrapposizioni puramente dialettiche fra foibe e lager, sia dell'utilizzo decontestualizzato di immagini e concetti sul tema negli ormai diffusissimi social network. Come illustrato da Antonio Brusa, il compito del docente è quello di aiutare gli studenti a formarsi una coscienza storica. Questa è il frutto della rielaborazione delle conoscenze storiche e della memoria individuale. Non è, dunque, quello di partecipare a una celebrazione o alla custodia di una memoria pubblica. L’insegnante di storia insegna a studiare quell’oggetto, ormai lontano nel tempo, sia nella sua dimensione “verticale” di momento tragico dell’antisemitismo di lunga durata; sia in quello “orizzontale”, di contestualizzazione all’interno della politica generale di sterminio dei nazisti. Tre sono le configurazioni didattiche suggerite: l’analisi della pianificazione dall’alto del processo di sterminio; lo studio “dal basso”, dei soggetti che vi parteciparono, come vittime o oppressori o bystander; la costruzione culturale che ha accompagnato e ridefinito nel tempo questo processo.

    Osservando questo tema dal punto di vista storiografico, Guri Schwarz ritiene che, oltre alla memoria letterale, ovvero quella legata al contesto e all’unicità dell’evento, esista anche la memoria di tipo esemplare, che connette il singolo oggetto storico ad una o più idee generali. Tali memorie non solo possono coesistere, ma insieme generano anche le differenti interpretazioni storiografiche del tema, come quella che legge la Shoah come punto di arrivo dell’antisemitismo nella Storia d’Europa, o quella che considera tale evento un tassello di una più ampia storia di violenza e genocidi da collegare anche al contesto coloniale.

    Oltre ad una corretta e consapevole strutturazione dell’insegnamento in classe, occorre acquisire una piena consapevolezza dei possibili strumenti didattici. Il concetto stesso di “luogo della memoria”, ha spiegato Elena Pirazzoli, si presenta molto più ampio di come spesso viene inteso ed utilizzato. Per luogo, infatti, non si intende solo un elemento geograficamente localizzato, ma si può anche indicare una qualsiasi unità significativa, anche astratta, che rappresenta un simbolo per una comunità. Ciascun luogo di memoria può essere soggetto di “invenzione”, sia nel senso di scoperta del significato o evento storico ad esso correlato, sia nel senso di una costruzione immaginativa, quando a tale luogo vengano attribuiti significati storici, come accade a molti monumenti commemorativi. Anche i “viaggi della memoria” sono uno strumento didattico, che attraverso il tempo ha modificato usi e significati. Bruno Maida racconta le diverse fasi storiche del processo che ha reso il “viaggio della memoria”, da pratica riservata ai familiari delle vittime della Shoah, a strumento didattico. L’obiettivo di tale viaggio, suggerisce lo studioso, non deve essere la costruzione di ideologie da parte dello studente, ma l’invito ad un’acquisizione di senso di cittadinanza consapevole e partecipe.

    Foto ricordo di studenti di scuola media in occasione nel "Viaggio della memoria" del 2012

     

    L’immaginario, in conclusione, costituisce un filtro e un canale, attraverso il quale la società e gli allievi di oggi si connettono col passato tragico dello sterminio. Le conoscenze che esso veicola sono potenti e di effetto. Costituiscono da una parte un formidabile strumento di attrazione; dall’altra un altrettanto formidabile pericolo di perdere capacità di interrogarsi sugli eventi e di percepirne la drammaticità. Compito della scuola è, esattamente, tener vive le domande e costruire intelligenze capaci di farlo.

  • Si può giocare la guerra? Un convegno a Bari, il 17 ottobre.

    di Antonio Brusa

    Immagine1 Che rapporto c’è tra guerra, giochi e videogiochi? Come si può raccontare, attraverso un’attività ludica, il dramma del conflitto, l’inferno della distruzione o la minaccia del reciproco annientamento nucleare, tema tornato tristemente attuale con lo scoppio delle ostilità tra Russia e Ucraina? Trenta esperti in diverse discipline, provenienti da Italia e svariati Paesi d’Europa, ne parleranno a Bari, lunedì 17 ottobre, nella Mediateca Regionale Pugliese, in occasione di “Videogames, Guerra e Alta Cultura”.

    Tra loro, esperti e sviluppatori di videogame, giochi da tavola e wargame, docenti e ricercatori di storia moderna, romana e militare, docenti di letteratura e rappresentanti dell’editoria fantascientifica, organizzatori del Devcom/Gamescom di Colonia (il più grande evento fieristico del digital entertainment in Europa), esperti di geopolitica e collaboratori della rivista Limes, il più celebre periodico italiano dedicato a politica estera, economia e attualità internazionale. Ci siamo anche noi, di Historia Ludens e dell’Università di Bari, con una sessione dedicata all’insegnamento della storia coi giochi e, in questo caso, coi giochi di guerra. Se vuoi la pace, potrebbe essere un nostro motto, studia la guerra.

    L’evento è organizzato da Age Of Games, software house italiana con sede a Bari, in collaborazione con Apulia Film Commission, Mediateca Regionale Pugliese e Regione Puglia. Alla sua quinta edizione, il progetto “Videogames e Alta Cultura” è nato a Bari nel 2018, da un’idea di Fabio Belsanti, game designer con una formazione da storico, Roberto Talamo, teorico della letteratura e insegnante, ed Elisa Di Lorenzo, CEO di Untold Games.

    Appuntamento alle 8,30. L’evento si chiuderà nel pomeriggio alle 18. Per ulteriori informazioni sul programma della giornata e sugli ospiti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

    Sito web: www.videogamesandhighculture.com.

    Sarà possibile assistere alla diretta streaming sul canale Youtube “Videogames &amp; High Culture”, al link: https://bit.ly/3yk0S9A.

  • The Saigon Execution. Il laboratorio a distanza

    di Lucia Boschetti

     

    A casa, in classe, un po’ e un po’… ma continuiamo i laboratori!

    Come integrare uno dei laboratori di Historia Ludens (o qualunque altro!) in una lezione a distanza?

    Una possibilità è offerta da un software ad utilizzo gratuito (per la versione base), che si chiama Pear Deck.

    Pear Deck offre una serie di componenti aggiuntivi da utilizzare su Google presentazioni. Inserendo uno di questi componenti all’interno di una slide, la si rende interattiva: ciò significa che gli studenti non si limitano a guardarla, ma devono compiere le operazioni richieste.

    In tempi di dubbi sul numero di studenti che possono contemporaneamente seguire una lezione in classe o a distanza, questa soluzione è ottimale: possiamo interagire contemporaneamente e nello stesso modo con due gruppi, uno in presenza e uno connesso da casa. Per questa ragione, mi è sembrato sensato proporre in questo momento dei materiali già predisposti, che permettano a docenti che non lo hanno mai sentito nominare di servirsi di questo strumento con facilità.

    A questo scopo, la prima presentazione interattiva che propongo è costruita sul laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam.

    infografica

    In generale, l’applicazione Pear Deck può essere utilizzata in tre modi:

    1) in maniera sincrona in presenza, svolgendo il laboratorio in classe e proiettando le slide alla LIM. In questo modo, le risposte degli studenti possono essere visualizzate anonime e commentate collettivamente: sarà il docente a gestire la visualizzazione delle diapositive e, quando crede, delle risposte, mentre gli studenti, sui loro smartphone, visualizzeranno le slide seguendo il ritmo imposto dal docente. Per ciascuna diapositiva vedranno la consegna dell’attività da svolgere e la propria risposta, ma non le risposte degli altri.

    2) in maniera sincrona a distanza, connettendosi dallo smartphone o da un computer alla presentazione in corso. Vale quanto detto per la modalità 1 per quanto riguarda la visualizzazione docente/studenti.

     

    Le opzioni 1 e 2 possono essere mescolate: è sufficiente che, nel momento in cui si avvia la presentazione in classe, si connettano ad essa anche gli studenti che seguono tramite videochat. Poiché il computer di classe trasmette alla LIM, il risultato sarà che sia il gruppo classe in presenza sia gli studenti connessi in remoto seguiranno la stessa attività e le risposte degli uni e degli altri compariranno alla LIM insieme, quando il docente deciderà di renderle visibili.

    Nei casi 1 e 2, quando il docente avvia la presentazione deve scegliere la modalità “Instructor-paced activity”: ciò significa che solo lui potrà gestire il ritmo di scorrimento delle diapositive. Quando arriverà alla slide numero 7, per permettere agli studenti di svolgere i lavori di gruppo dovrà selezionare la modalità “Student-paced activity”.

     

    Il docente può sempre passare da una visualizzazione all’altra cliccando sui tre puntini che compaiono in basso a destra durante la presentazione.

    Schermata 2020 06 15 alle 14.20.50 Se una parte della classe è connessa in remoto, la cosa migliore è formare due gruppi con gli studenti in presenza e un terzo gruppo in videochat: sarà sufficiente che il docente spenga l’audio del computer di classe durante il lavoro di gruppo, lasciando gli studenti connessi a dialogare tra loro. A seconda del numero degli studenti, si potranno moltiplicare i gruppi: se gli studenti connessi in remoto lavorano in più gruppi, ciascuno si riunirà in una stanza virtuale separata.

     

    3) Una terza possibilità è usare la presentazione Pear Deck in maniera asincrona, nel qual caso l’insegnante avrà precedentemente svolto la lezione di contestualizzazione, oppure fornirà agli studenti una breve registrazione di avvio, lasciando al lavoro dei gruppi tutta l’analisi delle fonti. Nel caso 3 il docente avvierà fin dall’inizio il laboratorio selezionando la modalità “Student-paced activity”. È bene tenere presente che quando il docente avvia la presentazione in questa modalità cliccando su “End/Termina” compaiono due diverse opzioni: la prima comporta l’interruzione della presentazione per tutti i partecipanti, mentre la seconda chiude la presentazione sul computer del docente, che può dunque allontanarsi, ma la lascia attiva per gli studenti, finché il docente, riconnettendosi, non la interrompe.

    Ovviamente, in questo caso starà all’insegnante selezionare, seguendo l’articolo principale, i passaggi che richiedono necessariamente la sua presenza. I gruppi si riuniranno autonomamente in videochat.

     

    Qui potere accedere alla presentazione digitale completa del laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam. La presentazione include dei componenti aggiuntivi che rendono interattive alcune delle slide. I caratteri utilizzati in tutti i testi sono piuttosto piccoli: questa scelta è stata compiuta intenzionalmente per mantenere i testi all’interno di una slide, dal momento che ciascun utente può regolare lo zoom. I materiali non sono, quindi, adatti per la stampa.

     

    Quali sono e come funzionano le slide interattive?

     

    Le slide interattive sono identificate dal simbolo della pera che compare in basso a sinistra.  simbolo PD Questo articolo è rivolto a insegnanti utilizzano per la prima volta presentazioni con i componenti aggiuntivi Pear Deck: per questa ragione, il numero e la tipologia delle slide interattive sono limitati. Nelle prossime puntate troverete presentati altri componenti aggiuntivi.

    Le slide da 1 a 4 sono classiche, con l’avvertenza che la slide 3 contiene i link a due filmati presenti su youtube per presentare la serie The Vietnam War di K. Burns e L. Novick. Entrambi i video sono in inglese: se il docente non intende usarli, può semplicemente tenere la slide di sfondo mentre avvia la contestualizzazione della guerra, così come suggerito nell'articolo di Brusa.

     

    Le slide 5 e 6 sono contrassegnate in basso dal simbolo della pera e dal comando “Students, draw anywhere on this slide”. Dai loro smartphone o pc, gli studenti possono selezionare la modalità testo cliccando su T e scrivere nei punti della slide sui quale cliccano: questo permette a ciascuno di scrivere in corrispondenza delle righe delle due tabelle.

     

    La slide 7 spiega come affrontare il lavoro di gruppo: andranno individuati alcuni ruoli tra i membri e tutti dovranno partecipare alla discussione. In particolare, si segnalano due ruoli: il segretario, che avrà il compito di prendere sinteticamente nota di tutti gli interventi nel corso del dibattito di gruppo; e l’addetto stampa, che dovrà compilare un breve resoconto finale. Una volta spiegati i ruoli, l’insegnante avvierà la modalità “Student-paced” e lascerà ai gruppi il tempo di lavorare sui testi proposti.

    In questo modo, gli studenti del gruppo A scorreranno la presentazione fino alla slide 8, contrassegnata dal colore giallo che corrisponde al loro gruppo; quelli del gruppo B fino alla slide 9 (colore rosso) e quelli del gruppo C fino alla slide 10 (colore azzurro). Se si decide di far lavorare più gruppi sullo stesso materiale documentale, basterà indicare loro su quale slide soffermarsi.

     

    Le slide da 8 a 11 e la successiva slide 15 sono identificate dal comando “Students, write your response”: in questo caso gli studenti non selezionano un punto della slide nel quale scrivere, ma inseriscono la risposta come se fosse un messaggio di testo.

     

    La slide 13 contiene l’ultima forma di interattività utilizzata in questa presentazione: chiede allo studente di selezionare, tra quattro opzioni, la sua disponibilità a intervenire nella discussione.

    L’utilizzo di questa slide si basa sul presupposto che l’insegnante può visualizzare le risposte degli studenti sul proprio computer mantenendo la LIM in modalità freeze (selezionandola con il telecomando dall’apposito tasto), cioè senza modificare la proiezione. In alternativa, gli insegnanti che attivano la modalità Premium dell’applicazione possono usufruire della visualizzazione privata delle risposte degli studenti accedendo al Teacher Dashboard.

     

    La slide 16 contiene il link ai testi per la seconda fase della lezione (testi e, f, g dell’articolo originale): in questo caso il link permette solo di visualizzare o scaricare il documento, come in un classico ipertesto.

     

    Riepilogando, nella presentazione sono state inserite tre modalità di interazione:

    1) risposta da inserire in un punto preciso della slide (oppure disegno, ma in questo caso non serve);

    2) risposta da digitare come messaggio di testo;

    3) risposta a domanda a scelta multipla.

     

    Pear Deck offre componenti aggiuntivi: il che significa che questi tre componenti base possono essere aggiunti a qualunque slide, anche ad una presentazione realizzata offline con power point e caricata su Google presentazioni. Allo stesso modo, sia le slide che i singoli componenti possono essere eliminati da questa presentazione modello per personalizzarla in base alle esigenze del docente.

     

    Ok, come faccio ad iniziare?

     

    Per utilizzare la presentazione modello è necessario disporre di un account Google (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) e seguire le istruzioni:

    1. Cliccate sul link e create una copia della presentazione, che si salverà nella cartella Drive associata al vostro account. Questo link si riferisce alla presentazione del laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam, ma con la stessa procedura si può accedere a tutte le presentazioni create con Pear Deck.

     

    Schermata 2020 06 15 alle 14.18.23 2. Cliccate su Componenti aggiuntivi> Pear Deck for Google Slides Add-on e poi su Installa. A questo punto, avete installato i componenti aggiuntivi: pochi passi e avrete finito!

    3. Cliccate di nuovo su Pear Deck for Google Slides Add-on: questa volta non compare più “installa”, ma “Open Pear Deck Add-on”, che andrà cliccato.

     

    Schermata 2020 06 15 alle 14.18.40 4. Date il via alla presentazione selezionando “Start Lesson”, il bottone verde.  

    5. Scegliete l’opzione di sinistra per la modalità asincrona, quella a destra per la modalità sincrona (potrete cambiare in seguito, quando necessario)

    La presentazione si lancerà automaticamente su una nuova scheda del browser: non utilizzerete un software off line (per esempio, Power Point), ma gestirete la presentazione direttamente dal browser (per esempio, Google Chrome). Durante il primo utilizzo, vi verrà chiesto di concedere una serie di autorizzazioni, sempre autentificandovi con il vostro account google.

    Schermata 2020 06 15 alle 14.24.36 6. Avvisate i vostri studenti di collegarsi dal loro dispositivo, computer o smartphone, al sito joinpd.com e di inserire il codice della lezione che compare sul vostro schermo: da questo momento, seguiranno la lezione direttamente, con la possibilità di interagire. Quando almeno uno studente si sarà connesso, potrete premere play e iniziare la lezione.

    7. Nelle slide interattive, cliccate sulla barra in basso, sul pulsante “Show Responses”/”Hide Responses” rispettivamente per mostrare o nascondere le risposte (visualizzerete il numero di risposte già date).

    8. Ogni sessione di presentazione viene salvata per 30 giorni: in questo arco di tempo avete la possibilità di scaricare gratuitamente, in formato excel, un resoconto di tutte le risposte che sono state date da ciascuno studente su ogni slide. Per farlo, anziché avviare la presentazione cliccando sul bottone “Start lesson”, selezionate le tre linee orizzontali alla sua destra e cliccate su “Review Session”. Ciascuna sessione compare in ordine cronologico: cliccando sui tre puntini a destra è possibile esportare i dati e salvarne una copia sul proprio computer. 

     

    Dubbi? Potete seguire i video tutorial

     

    Questi video tutorial sono stati realizzati seguendo passo passo l'apertura della presentazione per il laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam. Guardandoli, quindi, potete vedere uno per volta i passaggi da compiere.

     

    Sicuri e volete essere più autonomi?

     

    Un’alternativa per i lavori di gruppo è sostituire le slide 8, 9 e 10 con documenti condivisi creati tramite Googledocs. Il vantaggio di procedere in questo modo è che sul documento condiviso del gruppo ciascuno studente riporterà i propri commenti, anziché deputarlo al segretario, e l’addetto stampa scriverà la sintesi.

     

    Se volete procedere in questo modo, potete scaricare una copia dei documenti per i gruppi A, Be C e caricarla nella vostra cartella Google drive.

    Schermata 2020 06 15 alle 14.51.58 A quel punto, inserite nella slide 7, accanto al nome di ciascun gruppo, una forma (per esempio una freccia, come compare nella slide 17): selezionatela e cliccate sul tasto destro del mouse per inserire il link di condivisione al documento, che potete copiare e incollare aprendo il documento stesso tramite Googledocs e selezionando, in alto a destra, “condividi”. Un unico accorgimento, in questo caso: assicuratevi che accanto alla voce “chiunque abbia il link” sia spuntata l’opzione “editor”. Così gli studenti saranno abilitati non solo a vedere ma anche a modificare i documenti condivisi.

    Ricordate che se utilizzate la presentazione con più classi, dovrete aggiornare il link ad una copia bianca di ciascun documento, da salvare sempre all'interno della vostra cartella Google drive: altrimenti al secondo utilizzo si apriranno i documenti già compilati dalla prima classe.

  • Un Osservatorio sull’insegnamento della storia in Europa

    Occasione persa o opportunità interessante?

    di Paolo Ceccoli

    Nasce l'Osservatorio sull'insegnamento della storia

    01 La presidenza francese del Consiglio d’Europa (maggio-novembre 2019) si è fatta recentemente promotrice della creazione di un Osservatorio sull’insegnamento della storia in Europa. Il 26 novembre del 2019 ventitré ministri dell’educazione su quarantasette stati, tra cui l’Italia, hanno firmato una dichiarazione in cui si afferma che «il modo attraverso il quale la storia viene insegnata può favorire la riconciliazione fra le nazioni e all’interno di ciascuna nazione». Gli stessi ministri hanno anche affermato in quella sede che si adopereranno in favore della creazione dell’Osservatorio, uno strumento che dovrebbe fornire l’opportunità di

     

     

    promuovere pratiche che incoraggino un insegnamento della storia in linea con i valori del Consiglio d’Europa così come sono sanciti nelle nostre convenzioni. L’Osservatorio non mirerà a standardizzare il modo con cui la storia viene insegnata in Europa. Rispetterà le prerogative di ogni paese in questo campo e si assicurerà che le sue attività siano in linea con il lavoro del Consiglio d’Europa in materia di insegnamento della storia

     

    La Risoluzione che istituisce l’Osservatorio attraverso un accordo parziale allargato (APA) è stata poi sottoscritta solo da diciassette paesi. Non solo i promotori non sono riusciti ad allargare il consenso nei confronti dell’iniziativa ma hanno perso sostegni importanti. Tra i sei che non hanno confermato gli impegni preliminari vi sono infatti Italia e Svizzera, seguite da paesi piccoli o piccolissimi come Liechtenstein, Moldavia, Principato di Monaco e Montenegro. Gran Bretagna, Germania, i paesi scandinavi e tutta l’Europa centro orientale non hanno ritenuto di dover partecipare nemmeno alle riunioni preliminari.

    In questo articolo cercheremo di capire come si è organizzato per ora questo osservatorio, cosa potrebbe fare - temiamo poco, viste le premesse - e chi lo dirige, ma ci sembra necessario prima contestualizzare il clima in cui nasce l’iniziativa.

     

    La Francia, promotrice dell'Osservatorio

    02 La Francia rivoluzionaria e poi repubblicana ha sempre avuto molta fiducia nelle virtù dell’istruzione pubblica, statale, laica, obbligatoria e il più possibile gratuita. Già nel 1792 il filosofo Condorcet, nel suo Rapporto sull’istruzione pubblica presentato all’Assemblea nazionale, scrive che «il primo scopo di una istruzione nazionale» consiste nel «rendere reale l’uguaglianza politica riconosciuta dalla legge» (p. 8). Qualche pagina più avanti, tuttavia, riconosce che: «l’uguaglianza degli spiriti e quella dell’istruzione sono delle chimere. Bisogna dunque cercare di rendere utile questa ineguaglianza necessaria» (p. 17). La legge Ferry del 1882 cerca finalmente di realizzare i principi illuministi e razionalisti, intrisi di ottimismo pedagogico e fede nel progresso preconizzati da Condorcet. Le norme stabiliscono, non per caso, che il primo scopo dell’istruzione primaria, sul quale si fondano poi tutti gli altri è «l’istruzione morale e civica», in altre parole l’educazione a quei valori repubblicani che sembrano ancor oggi condivisi dalla maggioranza dell’opinione pubblica francese.

     

    Il terrorismo mette in crisi la fiducia nella formazione scolastica

    Non dobbiamo dunque sorprenderci se vari attentati di matrice islamista, come quello contro la redazione di Charlie Ebdo del 2015 o il recente assassinio del docente di storia e geografia Samuel Paty abbiano destato oltralpe un profondo scalpore. Questi attentati, quasi tutti perpetrati da terroristi nati e cresciuti in Francia, o in Belgio - che hanno studiato in scuole pubbliche e laiche - pongono un problema educativo fondamentale. Com’è possibile conoscere e non apprezzare i valori incarnati nella Dichiarazione dei diritti del 1789? Come si può arrivare a uccidere, talvolta suicidandosi allo stesso tempo, per affermare la supremazia di confuse e superficiali forme di fondamentalismo religioso e anticoloniale? Come è possibile non cogliere le opportunità di dare senso alle disuguaglianze, secondo quanto affermato da Condorcet, infliggendo violenza sanguinaria contro chi afferma i diritti più elementari di libertà, compreso quello, ad esempio, di passeggiare a Nizza sulla Promenade des Anglais? Non sarà forse che il sistema pubblico di istruzione non è stato capace o non è più in grado di realizzare gli scopi per cui era stato pensato durante la rivoluzione e costruito tra Ottocento e Novecento in quasi tutta Europa e paesi affini? Siamo sicuri che i suoi scopi abbiano senso o siano stati mai veramente realizzati? Come mai studenti con provenienze culturali diverse, nati e cresciuti in Europa occidentale, non sono stati integrati socialmente pur avendo frequentato le scuole nate per questo?

    Il problema naturalmente ha innanzitutto un risvolto politico: a cosa serve la scuola se non favorisce la coesione sociale? Se educa studenti che possono così clamorosamente disprezzare i valori che cerca di rappresentare e trasmettere? I ministri dell’educazione di tutta l’Unione europea e il commissario europeo per l’educazione affrontarono la questione una prima volta nel 2015.

     

    Una dichiarazione sulla cittadinanza e l'importanza della storia

    03 Venne pubblicata una dichiarazione in cui i ventotto ministri si misero d’accordo su di una lista di buoni propositi come:
    • il rafforzamento dei sistemi educativi,
    • la promozione dell’insegnamento del pensiero critico,
    • la lotta contro il razzismo e la discriminazione,
    • l’incoraggiamento del dialogo e delle conoscenze interculturali.

    Il documento, nella sua semplicità, indicava alcune linee di intervento che suscitarono l’attenzione dell’associazionismo professionale degli insegnanti. Euroclio (network europeo che raggruppa più di ottanta associazioni di docenti in 47 paesi), ad esempio, integrò quella dichiarazione con un proprio documento approvato dalla Conferenza Annuale del 2015 tenutasi a Helsingor in Danimarca.

    Il punto fondamentale sollevato da Euroclio fu che le finalità della dichiarazione intergovernativa di Parigi non avrebbero potuto realizzarsi senza una specifica attenzione all’insegnamento della storia, che andava ampliato e migliorato. L’insegnamento della storia veniva infatti individuato come il terreno più fertile da coltivare se si voleva educare le giovani generazioni ad una convivenza multiculturale rispettosa delle libertà individuali, al riconoscimento e all’accettazione di ciò che ci divide insieme a ciò che ci unisce, in Europa e non solo.

     

    Ma la storia non sembra interessare la politica

    Sembra proprio di poter dire che questi documenti non ebbero un gran seguito. Certo le attività di associazioni come Euroclio sono proseguite, anche con risultati per certi versi rimarchevoli, conseguiti talvolta in contesti ostili. Ci si permetta di segnalare qui, a titolo di esempio, la proposta di un curriculum di storia alternativo e non tossico che i colleghi eurocliani della Bosnia-Herzegovina hanno recentemente pubblicato.

    In generale, tuttavia, le cose ci sembrano andate via via peggiorando. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali hanno indotto i governi a pensare, con le loro decisioni, che il ruolo della scuola nel favorire la coesione sociale e dare senso alle differenze fosse quella che in Italia chiamiamo “educazione civica”. I programmi e i progetti finanziati dai vari enti decisionali in Europa e in molti paesi dell’Unione sono andati in quel senso riducendo l’importanza e la riflessione sull’insegnamento della storia o, peggio, pensando che il ritorno ad un insegnamento nozionistico, rigidamente cronologico, fondato sulla storia nazionale, di cui naturalmente essere orgogliosi proprio perché tale, fosse la ricetta giusta per contrastare fondamentalismi e radicalismi causati, secondo questa tendenza, dal relativismo e da un malinteso senso di colpa per essere quello che siamo. Ecco allora che, su iniziativa del governo francese e sotto la guida di Alain Lamassoure, parlamentare centrista di lungo corso, sia francese che europeo, nonché ex ministro per gli affari europei, nasce la proposta di un osservatorio europeo sull’insegnamento della storia.

    Lamassoure, originario della Navarra storica e appassionato europeista, intercetta i desideri del governo Macron di fare qualcosa per migliorare l’efficacia dei processi di inculturazione veicolati dalla scuola. L’insegnamento della storia sembra essere un campo di indagine interessante per capire quali nozioni ricevono i giovani che frequentano le scuole europee, quali attività svolgono nell’ambito dell’insegnamento della storia e con quali metodi o tecniche. Lamassoure ha presentato la sua idea durante la ventiseiesima conferenza annuale di Euroclio, tenutasi nell’aprile del 2019 a Danzica in Polonia. L’associazione ha subito aderito all’iniziativa cercando di cooperare come meglio poteva. La decisione della maggioranza dei governi dei paesi appartenenti al Consiglio d’Europa di non partecipare ci dice tuttavia che il tema non è sentito a livello governativo quanto lo è fra i docenti più attivi nell’associazionismo professionale.

     

    I compiti dell'Osservatorio 

    In ogni caso ora che questo Osservatorio ha preso forma, cosa farà? Cosa si propone con così pochi paesi partecipanti? Gli obiettivi restano ambiziosi, come si legge nella pa-gina del sito web che ne descrive le attività:

    • «raccogliere, organizzare e rendere disponibili informazioni fattuali sui modi in cui la storia è insegnata in tutti i paesi che aderiscono all’Accordo parziale allargato»;
    • l’Osservatorio terrà particolarmente conto delle attività scientificamente e accade-micamente solide nel suo campo;
    • terrà conto inoltre «della diversità dei sistemi educativi degli stati membri dell’accordo» ,
    • si assicurerà che le sue attività siano complementari a quelle dell’intero Consiglio d’Europa circa l’insegnamento della storia,
    • infine l’Osservatorio «non ha lo scopo di armonizzare i curricoli».

    Per raggiungere questi obbiettivi l’Osservatorio dovrà, in particolare:
    • condurre studi su come la storia viene insegnata negli stati membri dell’APA,
    • condurre studi su temi specifici dell’insegnamento della storia in modo particolari su aspetti che non sono inclusi nel curricolo formale,
    • «organizzare riunioni e conferenze per contribuire alla preparazione e alla diffusione di questi studi»,
    • diventare un punto di riferimento per organizzazioni e associazioni nel campo.

    Per tentare di realizzare questi obiettivi ambiziosi l’Osservatorio si è dotato di un comitato direttivo a livello politico e di un comitato di consulenti scientifici composto da diversi edu-catori, insegnanti, docenti e ricercatori anche di paesi che non appartengono all’APA. I membri di questo consiglio, scelti dal comitato direttivo, comprendono quattro colleghi e colleghe che lavorano con Euroclio, sempre più coinvolta nell’iniziativa, e anche uno storico italiano che lavora a Strasburgo, Piero Colla. Non ci resta che augurare all’Osservatorio un buon lavoro. Il comitato scientifico, la cui prima seduta si è tenuta il 13 luglio 2021, dovrà innanzitutto cercare di definire meglio le finalità e gli scopi, articolandoli in obiettivi speci-fici e praticabili. Il numero di paesi coinvolti non induce certo a credere che ci saranno mol-te risorse disponibili, ma, al di là di questo, la traduzione degli scopi in attività che vadano oltre le buone ma generiche intenzioni appare una sfida difficile da ogni punto di vista.

  • Un'Europa da Nobel?

    A Madrid dal 15 al 18 ottobre 2012 si è svolto il I CONGRESO INTERNACIONAL DE EDUCACIÓN PATRIMONIAL dal titolo "Mirando a Europa: estado de la cuestión y perspectivas de futuro". Di seguito riportiamo la relazione, adattata, tenuta dal Prof. A. Brusa. Un'occasione di riflessione sul significato di parole come patrimonio europeo, identità, radici.

    Un premio che ci obbliga a ripensare l'insegnamento della storia, il patrimonio europeo e l'educazione alla cittadinanza.

    (di Antonio Brusa)

    1. La pace, un patrimonio critico

    Il premio Nobel per la Pace, recentemente assegnato all'Unione Europea è un nuovo punto di partenza, per riesaminare alcune questioni chiave, dell'insegnamento della storia e forse anche della convivenza civile in Europa. Senza entrare nel merito delle polemiche e degli elogi, concentriamoci sulle motivazioni di questo premio, perché richiamano prepotentemente alcune parole cardine per chi insegna storia: storia –appunto-patrimonio, Europa e formazione. Questo premio, ci obbliga a riprenderle in considerazione e a interrogarci sul loro significato e sul loro valore, in questo scorcio iniziale del XXI secolo.

    Fra le motivazioni del premio, la principale coinvolge direttamente la riflessione storica, perché mette a confronto gli ultimi sessant'anni di pace, vissuti dall'Europa, con la sua storia millenaria, fatta di sangue e di guerre. Questa opposizione fa risaltare, quasi come un miracolo, la trasformazione di un continente, da teatro di ogni genere di conflitto a luogo di convivenza pacifica. E' un contrasto chiarissimo e inequivocabile; così come è eccezionale il periodo di pace che ha caratterizzato sia le nazioni europee nei loro rapporti vicendevoli, sia la vita della maggior parte dei loro abitanti. Sessanta anni sono un tempo molto lungo per la biografia degli Stati e degli individui. Indubbiamente, un fatto di questa portata merita di entrare in quel sontuoso repositorio di meraviglie che è il "patrimonio europeo". Non sembra lecito nutrire dubbi in proposito. Quale che sia il futuro che verrà riservato all'umanità, l'Europa potrà essere ricordata come il luogo che ha saputo regalare al mondo un simbolo di convivenza civile fra genti diverse; un esempio di superamento delle inimicizie passate; un modello di risoluzione pacifica delle controversie e dei dissidi. Questo è un dato positivo. E' un valore – potremmo dire - da tenere presente anche nei tempi difficili che l'Europa sta vivendo.

    Ma, proprio nel momento in cui l'Europa si accinge a "patrimonializzare la pace", agli studiosi e agli insegnanti spetta il compito di evitare un grave equivoco. Uno dei primi che ci mise in guardia, con passione e rigore, fu Gérard Namer, parlandone a proposito di un tema strettamente connesso con quello storico-patrimoniale: il tema dell'identità europea e della sua tradizione. Si discuteva delle radici europee (Era il decennio finale dello scorso secolo, quando si pose la questione di una Costituzione europea). Si dibatteva se queste dovessero essere giudeo-cristiane, laiche e se, ancora, si dovessero obliare per sempre quelle del movimento operaio, socialista, e di sinistra, seppellite dalla disfatta del mondo comunista. Qualcuno ricorderà le polemiche furiose nel parlamento europeo e fuori; ricorderà anche i ripetuti interventi della Chiesa cattolica. Lo studioso francese osservava che ciascun pretendente era in errore, perché rileggeva la propria tradizione purificandola dagli eccessi, e ne presentava solo gli aspetti che, a suo modo di vedere, erano positivi. Concludeva, dunque, che se queste correnti culturali desideravano contribuire alla definizione delle radici europee, dovevano concorrere con l'intero loro patrimonio, intessuto di intolleranze, inquisizioni, terrori e massacri.

    Forti di questa avvertenza, non possiamo non ritenere che proprio nel momento nel quale la pace diventa elemento connotativo del patrimonio europeo, occorre ricordare che all'interno di questo si custodisce anche la memoria delle guerre più sanguinose che la storia dell'umanità abbia conosciuto, i genocidi esemplari, le dittature più feroci e, marchio indelebile della modernità globalizzata, l'arrogante tentativo dell'Europa di impadronirsi del mondo e di considerare se stessa superiore, per civiltà, religione, arte e cultura alle altre regioni del pianeta. In una parola: di ritenere che il proprio patrimonio fosse superiore a quello del resto dell'umanità.

    Nella nostra presunzione – dice Namer -, noi Europei pretendiamo di determinare la nostra identità, decidendone autonomamente i contenuti patrimoniali. Essa, in realtà, è attribuita dagli altri. Questo accade nella vita di ogni giorno, nei gruppi di pari, nei quali "gli altri" definiscono ciascuno di "noi"; e accade anche nei rapporti fra i gruppi politici o fra gli stati. Per qua nto i singoli si forzino di autorappresentarsi, alla fine sono sempre gli "altri" che decidono che, a loro giudizio, noi siamo bravi, ladri, lavoratori, buoni combattenti, sciovinisti e così via. Dunque, sono gli altri che in questo momento "definiscono" l'Europa e ne disegnano i contorni identitari. Il Nobel della pace, perciò, al contrario di quanto si è portati a pensare, ci impone di guardare al di fuori di noi; a smettere di osservare il proprio ombelico culturale, per cercarvi le radici e i perché di questo premio. Invita noi europei a mettere in primo piano i rapporti che intratteniamo con il resto del mondo. Sollecita interrogativi che toccano le fondamenta epistemologiche della ricerca e dell'insegnamento: è possibile definire i tratti e la composizione del patrimonio europeo ascoltando solo le voci di chi abita questa parte del mondo? La ricerca sul patrimonio europeo non imporrebbe, invece, l'ascolto di altre genti, di altre culture, di altri punti di vista? E, per chiudere questa premessa problematica: ci obbliga a considerare la questione interculturale come "interna" alla definizione di noi stessi; non come un'aggiunta benevola e volontaria, ma logicamente non necessaria, della "nostra storia" e della "nostra identità".

    2. Parole intrecciate con la politica

    Sono parole normali e quotidiane, quelle che adoperiamo solitamente, quando affrontiamo questi argomenti: patrimonio, Europa, formazione. In larghissima misura sono anche istituzionalizzate, codificate in leggi, vive nelle abitudini professionali e nelle attività scolastiche o nelle imprese turistiche e museali. La loro diffusione e la loro pervasività sociale sollecitano diverse indagini, volte soprattutto alla risoluzione dei problemi e al miglioramento delle offerte formative e culturali. Presi da questa ricerca, siamo spesso restii a fermarci e a riflettere sul loro significato. Le diamo per scontate, esattamente come faceva Marc Bloch, al principio della sua immortale Apologia della storia. E, d'altra parte, tutti abbiamo sperimentato la loro inafferrabilità ogni volta che abbiamo cercato di circoscriverle con una definizione o con un modello rigoroso, dal momento che sfuggono e sempre si dissolvono e disperdono in mille problemi.

    Inoltre, per quanto non appartengano all'angosciante sfera economica, esse sono centrali nella vita politica e sociale delle nostre società, e questo aspetto fa sì che esse si trovino anche al crocevia di quel complesso di fatti e di vicende che da qualche decennio cataloghiamo sotto il nome generico di "uso pubblico della storia". In nome del patrimonio si prendono e si motivano decisioni politiche all'interno delle nazioni europee, specialmente nel campo della formazione; o, per quanto riguarda i rapporti con l'estero, nelle procedure e nelle discussioni che accompagnano l'accettazione di nuovi membri. Si ricorderà, ad esempio, il dibattito sull'ammissione della Turchia, e dell'obiezione, che venne avanzata dalla Francia, che la "Turchia era estranea al patrimonio europeo". E' utile chiedersi, allora, quanta parte di questo uso pubblico trovi alimento proprio nella zona di indistinzione e di incertezza che circonda queste parole. Giuseppe Sergi ci avverte di questo rischio con una frase efficace: "per quanto riguarda la storia, meno si sa e più si inventa".

    Ridurre i margini di questo pericolo è probabilmente un buon compito, per lo studioso e per l'insegnante.

    Le vicende di queste parole, d'altra parte, sono ben conosciute. La "Storia", quella con la S maiuscola, quella che si studia nelle scuole e che ritroviamo nello schema generativo di programmi e di manuali, è di origine piuttosto recente. In buona parte nasce dall'incontro/scontro fra le due grandi nazioni continentali del principio dell'Ottocento, la Francia e la Germania. La prima adotta come sua legittima progenitrice Roma (repubblicana al tempo della Rivoluzione francese e imperiale con Napoleone). La seconda sceglie e impone come genitrice primigenia, la Grecia. In questo modo, Grecia e Roma istituiscono le basi della civilizzazione europea e questa, fondendosi con l'energia dei nuovi popoli barbari, si suddivide e origina le nazioni; le quali, a loro volta, si trasformano – nel lungo conflitto dell'età moderna – negli Stati attuali. Antichità, Medioevo, Età moderna non sono le periodizzazioni notarili di una cronologia. I momenti obbligatori e rituali di un manuale. Sono i passaggi emotivamente pregnanti di una biografia.

    Solitamente, questa viene chiamata "la genealogia di una nazione". E' un'imprecisione. Si tratta, a ben guardare, della prima "storia europea". Essa, infatti, da una parte predispone la trama sulla quale ogni Stato ottocentesco disegna il percorso che lo ha portato all'indipendenza e alla sovranità. Dall'altra fornisce lo sfondo, sul quale si svolgono le singole avventure nazionali e individua quelli che potremmo chiamare "i protagonisti efficaci" della vicenda storica. Sono gli interlocutori con i quali la propria nazione deve interagire – pacificamente e no; e agli occhi dei quali essa deve mostrare il suo valore. Infine, a considerare questo schema narrativo con maggiore attenzione, si tratta ancora di una storia mondiale. Infatti, il continente europeo vi è definito come l'unico luogo della terra che ha dato origine e vita a "una storia". L'Asia Orientale – secondo questa ricostruzione - è immobilizzata nei suoi regimi dispotici; l'America e l'Oceania, continenti tribali, sono solo terre di conquista e l'Africa (questa fu la celebre definizione di Hegel) è il buco nero della storia. Al termine, questa storia individua "l'altro" per antonomasia, l'interlocutore estremo, una sorta di "sparring partner tradizionale", nel cui confronto si definiscono e si precisano i contorni dell'identità europea: l'Islam, prima nelle vesti dei conquistatori musulmani del mediterraneo meridionale, poi in quelle aggressive dell'impero turco.

    Si dirà: vecchie storie. Questo era il programma ottocentesco. Grave errore. Si prenda il programma per le superiori, emanato dal ministro Gelmini. Se ne riconosceranno i tratti ottocenteschi, anche ad una lettura superficiale. E, per quanto riguarda la scuola di base, si rilegga il programma emanato dalla Moratti (fortunatamente messo da parte nel 2007 e successivamente nel 2012): si noterà come siano ancora vivi e operanti i temi dell'ottocento: la civiltà greco-romana, vivificata dal cristianesimo, il medioevo feudale, le nazioni e l'eterno nemico, unica entità straniera autorizzata a frequentare questo programma, l'Islam.

    La migliore riflessione storico-didattica del secondo dopoguerra si è incaricata di smentire questa ricostruzione e di proporre alternative. E, dal punto di vista scientifico, la crescita e la diffusione della pratica storiografica nel mondo, ha relegato questa ricostruzione nell'hangar dei relitti del passato. Perciò, non occorre, qui, impegnarsi ulteriormente nella sua confutazione. E' necessario, invece, soffermarsi sulla sua efficacia. Questo schema, infatti, ha "lavorato" nel corso del tempo. Ha contribuito a costruire programmi e abitudini di insegnanti. Ha creato un'agenda di problemi e di rilevanze che resiste alla sua disfatta epistemologica. Storiograficamente inutilizzabile, esso è tuttavia ancora socialmente attivo.

    Lo schema funziona anche nella creazione di un immaginario geografico. Osserviamone l'azione per quanto riguarda la configurazione del sub-continente europeo. Questo schema storiografico vi ha disegnato degli spazi e ne ha stabilito le gerarchie. Alcune regioni sono privilegiate: qui si svolgono gli eventi e i processi fondamentali. L'Antichità vive nel Mediterraneo; il Medioevo opera in quella fascia ristretta, che va dalle Fiandre all'Italia del Nord (dove si incoronavano gli imperatori e dove sorsero le grandi e ricche città commerciali); l'età moderna predilige spesso i vasti spazi dell'Europa centrale. A turno, diverse regioni assumono il ruolo di protagoniste, poi rientrano dietro le quinte: Spagna, Italia, Francia, Germania, Olanda, Inghilterra, Svezia. Di volta in volta cambiano le periferie e i comprimari: ora sono i barbari, che premono ai confini dell'impero; ora sono le nuove genti – balcaniche e centro orientali – che lottano per assurgere al rango di nazione. Ogni stato, a sua volta, rielabora questo schema, assegnando rilevanze narrative ai momenti nei quali svolge ruoli di protagonista, scegliendo episodi simbolici, eleggendo il proprio pantheon di eroi.

    Il Cinquecento italiano è interamente preso dalla vicenda artistica del Rinascimento. Se prendiamo un manuale tedesco, avremo modo di osservare la somma trilogia italiana (Leonardo, Raffaello e Michelangelo: peraltro ricordati nelle scuole di tutta Europa); ma il "colore" del secolo è decisamente religioso, con Martin Lutero e la formazione delle chiese riformate; mentre in Spagna, tutta l'attenzione è concentrata sulla formazione dell'impero "dove non tramonta il sole". Proviamo a passare al Seicento: quello italiano è ben poca cosa, a parte Masaniello e Galileo. Ma se sfogliate un manuale spagnolo o olandese, troverete un'altra atmosfera, ben più trionfale. Da noi, Federico II è ormai un eroe del medioevo. Geniale, aperto alla cultura e all'arte, creatore di un'amministrazione centralizzata. In Germania, invece, è l'imperatore che ha perso. E tutto lo spazio se lo prende suo padre, Enrico VI, ricordato per aver esteso al massimo le terre imperiali (nei manuali italiani è appena ricordato, e non sempre con benevolenza). Se poi vi volete divertire con l'impero romano, scoprirete personaggi per noi italiani del tutto ignoti, ma quasi venerati nel resto di Europa: Viriato, il capo della guerriglia iberica (conteso peraltro da spagnoli e portoghesi), temuto dai romani che seppero liberarsene solo con il tradimento; Vercingetorige in Francia, vittima del suo acerrimo nemico Giulio Cesare (ma la loro fama oggi deve molto di più a Asterix, che allo studio della storia), Arminio in Germania, che distrusse le tre legioni di Varo, Giulio Civile in Olanda, un batavo che, dopo aver militato nelle legioni imperiali (come Arminio del resto), tornato nelle sue terre, guidò la resistenza antiromana; e infine, idolatrata in Inghilterra, Boadicea (o Boadicca), la regina che con il volto dipinto di blu si mise alla testa delle tribù britanniche, per contrastare l'invasore.

    E' una storia erratica, dunque, la cui logica profonda non può essere descritta se non facendo ricorso a qualche chiave mitologica: il "Passaggio da Oriente a Occidente", di memoria biblica e medievale; o la "migrazione verso il nord", pseudo spiegazione ottocentesca, avvalorata peraltro da tesi storiografiche, quali quella – infelice e fortunatamente ormai abbandonata – di Henri Pirenne, che sostenne come, con l'avvento degli arabi, l'unità mediterranea si perse, e la sua civiltà traslocò al Nord. Una storia che – proprio a causa del suo vagabondare – è la causa principale dei difficili problemi, ai quali siamo costretti a fare fronte, quando cerchiamo di definire gli spazi europei, e conseguentemente, i contorni del patrimonio europeo.

    Infatti, l'individuazione di un determinato spazio nazionale ha portato alla proiezione nel passato dei confini conquistati nella modernità, e, conseguentemente, ha condotto alla individuazione di una storia e di un patrimonio nazionali. In pratica: gli Stati si appropriavano della geografia, tracciando delle linee di demarcazione sul pianeta, e, contestualmente, si appropriavano di una quota di passato, dichiarandola la "propria storia". Potremmo dire che il patrimonio nazionale non è altro che il bottino di questa duplice appropriazione. Dovremmo concludere che il "patrimonio europeo" è, sua volta, la somma di questi bottini?

    Più che di una visione del mondo, si tratta di "una politica culturale", che ha portato alla creazione di un racconto del passato, al disegno di una geografia del presente e alla definizione del patrimonio storico-culturale del nuovo soggetto, lo Stato nazionale. Parte integrante di questa politica è la formazione del cittadino. Fu un progetto politico poderoso, che ha richiesto investimenti e cure assidue, da parte degli Stati europei. Ha generato una successione secolare di interventi capillari, nel territorio e nella società, che hanno costruito strutture profonde nei modi di pensare dei nostri contemporanei.

    Il tema impellente per l'Europa di oggi, è quello di decidere se, nel prospettare l'educazione del nuovo cittadino europeo, debba ripercorrere la strada ottocentesca, sia pure nelle forme attenuate e corrette politicamente, consigliate dalle nuove etichette globalizzate; oppure, se avventurarsi in quegli spazi della individuazione di una "cittadinanza senza nazionalismi", alla quale avviare le giovani generazioni. Sono spazi vagheggiati e descritti da molti e da molto tempo. Qui ci limitiamo soltanto a richiamarli, per soggiungere subito che, tuttavia, sono spazi assai poco praticati dalle istituzioni.

    L'impellenza di questo cambiamento trova molte ragioni, tutte ineludibili. Al primo posto, da studiosi, dobbiamo porre quelle scientifiche. Questa ricostruzione del passato è talmente priva di credibilità, da non meritare più le lunghe discussioni critiche, che un tempo aprivano i testi di metodologia e di storiografia. L'eurocentrismo, anche storiografico, è diventato una parola così screditata, che molti, e con qualche ragione, si preoccupano degli eccessi contrari di zelo decostruttivo e di esterofilia.

    Al secondo posto, da studiosi di didattica e di processi formativi, metteremo le finalità dello studio storico. Formare un'identità (nazionale, collettiva, europea) era l'obiettivo centrale del passato. Quale sarà l'obiettivo del lavoro formativo odierno? sarà sufficiente trasformare un aggettivo, da "nazionale" a "europeo"? oppure la critica deve essere ancora più radicale e ci deve spingere a rinunciare alle pretese identitarie, a liberare le potenzialità conoscitive delle scienze storico-sociali, per metterle a disposizione dei cittadini, quali strumenti necessari per orientarsi in una società e in un mondo sempre più complessi? Nemmeno questo è un punto nuovo. Sono diversi decenni, infatti, che la didattica critica propone, e molte volte con successo, di accompagnare - se non di sostituire - le liste di obiettivi identitari con degli obiettivi cognitivi. Potremmo dire, per quanto riguarda gli Stati dell'Europa occidentale, che - fin dagli anni '60 - i loro programmi di storia e geografia nazionali hanno subito un'autentica mutazione. Semmai, dobbiamo notare con una certa preoccupazione l'uso ambiguo del concetto di patrimonio, introdotto nei programmi relativamente di recente, che a volte si presta ad una ripresa sottotraccia degli obiettivi di appartenenza identitaria (un esempio lampante di questo tentativo politico è il programma di storia emanato dal Ministro Moratti).

    Ma vi è una terza ragione, che ci dovrebbe spingere a cambiare strada. Una ragione, oserei dire, drammatica. Ce ne parlano molti studiosi degli sviluppi della storiografia e dei temi della memoria nel mondo attuale. Fra questi Tessa Morris-Suzuki. Analizzando programmi, storiografie e progetti culturali di vari paesi del mondo, la studiosa ci prospetta una visione inquietante: quella della globalizzazione del nazionalismo. E' come se l'umanità intera si fosse appropriata della visione del mondo eurocentrica. Ciascuna nazione se ne è impadronita e, esattamente come è accaduto alle diverse nazioni dell'Ottocento europeo, l'ha adattata a sé. Ognuna, dunque, si racconta attraverso una storia autocentrata; proietta nel passato i suoi confini geografici (attuali o ai quali ritiene di aver diritto); ritaglia nell'universo culturale il proprio spazio patrimoniale; forma i suoi cittadini. E, in moltissimi casi, affronta la scena della contemporaneità con il deciso proposito di riprendersi le glorie del passato, se non di rivalersi delle umiliazioni della colonizzazione europea.

    Un identico processo avviene al livello micro – delle comunità e delle regioni – per le quali la studiosa parla di "effetti perversi del matrimonio fra pedagogia e storia locale".

    Posta dinanzi a questa esplosione del nazionalismo, a questa "ossessione per le identità nazionali, per la storia e la memoria difese come visioni naturali", l'Europa che, come abbiamo accennato, nel secondo dopoguerra aveva inaugurato strade nuove per la formazione storica, sembra intimidita. I programmi di storia degli ultimi due decenni, infatti, risentono di questa ripresa identitaria internazionale. E, quasi per uno straordinario contrappasso, questa parte del mondo che aveva orgogliosamente proclamato la sua superiorità culturale, ora sembra incapace di sostenere le sue scelte. Si dice, e si scrive spesso, che sono "scelte deboli" nei confronti di nazionalismi giovani e forti. Si elaborano nuove argomentazioni a sostegno di un identitarismo di marca occidentale. E non sempre, come ha sostenuto Keith Crowford per l'Inghilterra, sono battaglie condotte dalle destre nazionali. Nella vincente mondializzazione, si afferma con vigore, tutti – anche noi europei – abbiamo bisogno di una storia che ci definisca come cittadini nazionali. Tutti ci dobbiamo difendere. E, perciò, abbiamo bisogno di quella storia che Giuliano Procacci e Mario Carretero hanno chiamato, con singolare sintonia, "produttrice di carte di identità".

    Eppure, se noi europei accettiamo il Nobel per la pace (o - a seconda dei punti di vista - se lo vogliamo meritare), la scelta dovrebbe essere quella di ammainare la bandiera identitaria. Disarmare la storia, per restituirla al suo ruolo conoscitivo. E, conseguentemente, abbattere i recinti, con i quali l'Ottocento aveva preteso di ingabbiare i patrimoni, facendo a pezzi un territorio continuo, libero e indomabile, quale quello della cultura umana.

    3. Parole pericolose e i loro antidoti

    Queste argomentazioni non sono affatto nuove, nel mondo degli studiosi e degli insegnanti. Esse hanno avuto tempo per maturare reazioni e tentativi di risposta. Alla reazione di rigetto abbiamo già accennato: "Io sono una prof reazionaria e sono fiera di esserlo" scrive Véronique Bouzou, insegnante francese autrice di un pamphlet, significativamente intitolato a Pandora, nel quale proclama che lei continuerà a insegnare Clodoveo e Carlo Martello, per quanto la sua classe sia piena di immigrati maghrebini. Nascono club e associazioni dedicati alla eradicazione dei "complessi dell'Occidente", a curare il suo "masochismo" e a ridare l'orgoglio a un continente che un tempo dominava il mondo. Si coniano nuovi termini, come "l'alienismo" e si analizza "l'esterofilia", presente, come rivela una ricerca italiana di qualche anno fa, nella maggior parte dei manuali di storia per le elementari.

    Il tentativo di risposta, forse più diffuso, è quello della correttezza politica, più o meno marcata. Consiste nell'attenuazione, se non nell'eliminazione, degli episodi violenti del passato; nell'esaltazione, al contrario, dei momenti di pace e di scambio; nella messa in evidenza di tutti i meticciati possibili; nella messa in rilievo delle qualità altrui alla quale fa riscontro l'autoflagellazione. Strategie discorsive che non riescono a scalfire la trama concettuale che abbiamo descritto sopra; e non toccano nemmeno l'impianto formativo identitario.

    Vi è un'idea che accomuna i tentativi di risposta e le reazioni di rigetto: la storia serve per formare un'identità. Diversa da quella del passato, meno aggressiva e più disposta alla pace e al compromesso. Ma pur sempre un'identità. Mi sembra che questi tentativi, nella loro grande diversità, e proprio nella loro onestà e nel loro impegno sincero e appassionato, siano la prova più convincente della nostra difficoltà di agire in profondità.

    E' possibile spiegarne i motivi? Azzardo qualche ipotesi.

    La prima è che il poderoso lavoro di "autocivilizzazione", realizzatosi in Europa, ha prodotto un lessico che si presenta con le vesti della neutralità, ma che in realtà predispone ad un discorso identitario. Fanno parte di questo vocabolario di "parole pericolose", termini quali "radici, origini, identità, popolo, cultura, tradizione, memoria e memoria collettiva, eredità e, finalmente, patrimonio". Su questi, a partire dalla critica – indimenticabile quanto trascurata – del termine "origini", da parte di Marc Bloch, molti storici e studiosi di scienze sociali si sono espressi. Nella maggior parte dei casi si tratta di metafore, usate a lungo dagli studiosi, che – nel loro trasferimento nel linguaggio comune subiscono un processo di essenzializzazione. E' questa, forse la categoria cardine, sulla quale occorrerebbe lavorare. Messa a punto dalle scienze cognitive (Susan Gelman, sociologa della conoscenza); dall'antropologia (Jean-Loup Amselle) e finalmente dalla storia (Walter Paul), questa categoria ci insegna che una volta che questi concetti si essenzializzano, diventano concreti e reali. Una cultura, dunque, diventa una sorta di enorme sfera, all'interno della quale noi viviamo; le radici prendono consistenza effettiva: sono là, occorre difenderle dai parassiti, annaffiarle. Chi è così stupido da tagliare le proprie radici? E il patrimonio, infine, diventa il lascito concreto, l'eredità tramandataci dai nostri avi. Un tesoro da difendere, dunque. Gli esempi possono continuare, e sono tutti noti. Ma tutti concorrono ad avvertirci che le trappole del linguaggio possono scattare in ogni momento e in ogni luogo: anche nel laboratorio asettico del ricercatore; anche dalla cattedra di un insegnante impegnato anima e corpo nei progetti interculturali.

    La seconda è nella ondata culturalistica e della post-modernità, che ha caratterizzato molta parte della cultura mondiale degli ultimi decenni. Secondo questa visione, non esistono più narrazioni complessive. Abbiamo solo narrazioni locali e, dal momento che viviamo in nazioni democratiche, ognuno ha diritto alla propria narrazione e, conseguentemente, al proprio patrimonio. Sono state ben studiate alcune reazioni a questa impostazione: soprattutto l'autentica battaglia per il curricolo, scatenatasi negli Stati Uniti, a partire dal 1995. Qui mi permetto di ricordare la vicenda italiana. Nel 2006, durante il secondo governo Prodi (centrosinistra) venne convocato l'Osservatorio Interculturale, una struttura ministeriale della quale facevano parte rappresentanti delle diverse comunità etniche, presenti in Italia, studiosi di pedagogia e di didattiche disciplinari. Argomento di quelle riunioni erano proprio le materie di studio, e le loro trasformazioni in presenza di classi multietniche. Forse è utile riproporre qui le conclusioni di quella Commissione. La Repubblica, vi si disse, ha il dovere di dotare i propri cittadini degli strumenti culturali più efficaci: e compito della ricerca è quello di individuarli. Ora, se la storia è uno strumento per leggere e capire il mondo, questa va data a tutti, senza distinzione di cultura, di religione e di provenienza. In linea con quelle conclusioni furono i nuovi programmi di storia per la scuola di base (sia quelli del 2007, sia quelli del 2012) nei quali si individua una trama narrativa (ominazione, neolitizzazione, industrializzazione, globalizzazione) caratteristica della vicenda umana nel suo complesso e, come tale, contenuto di studio obbligatorio per tutti i cittadini italiani. Questa trama, rigorosa ma essenziale, lascia d'altra parte, molto tempo libero ai docenti per adattare il loro programma alle concrete situazioni di classe.

    A questa vicenda è collegabile il terzo ostacolo al rinnovamento. E' la paura che, distruggendo un ordine precedente e lungamente ricercato, ci si inoltri in un territorio didattico futile, privo di certezze e di luoghi forti della memoria. Una paura, occorre riconoscerlo, che trova solide motivazioni in un avventurismo didattico che spesso caratterizza i tentativi di innovazione. A mio modo di vedere, questa paura si vince sul terreno dei contenuti di studio, e non della metodologia (come continuano a sostenere molti pedagogisti). Ad esempio: per restare al caso europeo. Che cosa vuol dire, concretamente, rifiutare la trama eurocentrica, alla quale abbiamo fatto riferimento sopra? Certamente non basta anteporre al programma un proemio di competenze di cittadinanza europea, aperta e tollerante. Occorre "alzare lo sguardo" e raccontare qualcosa di diverso. Proviamo a osservare il mondo mediterraneo insieme con le terre circostanti. Il cosiddetto barbaricum (sia le regioni europee centrali e settentrionali, sia le regioni dell'africa settentrionale) acquisterà consistenza e cesserà di essere il territorio di provenienza di invasori inopportuni. Esso è, come mostra bene tutta la ricerca della cosiddetta "Scuola di Vienna", un territorio di civilizzazione in forte interazione con i centri che campeggiano nella storia alla quale siamo abituati. Proviamo a innalzare il nostro sguardo, sopra quella esigua striscia di terra, che continuiamo a chiamare "Europa medievale". Vedremo l'immenso mondo degli slavi, il grande assente dalla nostra narrazione (una vera ironia, per genti che costituiscono la maggioranza della popolazione europea); vedremo il maestoso impero cazaro, che in tema di patrimonio, potrebbe costituire l'esempio europeo di una multiforme e tollerante compagine; vedremo gli assenti della penisola balcanica, e in particolare, l'impero bizantino e quello turco. Vedremo come il Mediterraneo, con le sue genti e le sue religioni, non scompare affatto dall'orizzonte medievale.

    Queste assenze macroscopiche ci avvertono di quanto il nostro sguardo sul passato europeo sia incompleto. Forse non siamo ancora in grado di definire "un patrimonio europeo". Ma sicuramente la condizione per non raggiungere questo obiettivo, o di raggiungerlo in un modo sbagliato, è quella dell'ignoranza.

    Il quarto ostacolo è interamente nel dominio della formazione patrimoniale e ci obbliga a riprendere il tema dell'identità. Per quali motivi, si dice, è importante occuparsi della protezione e della salvaguardia del patrimonio? Le risposte sono note: sentirsene proprietari, sapere che nel patrimonio sono conservate e custodite le nostre radici; che il patrimonio è il luogo della nostra identità; che il senso di appartenenza ad una comunità non può che provenire dalla condivisione di un patrimonio. Indubbiamente sono argomenti forti, il cui abbandono può generare un senso di disorientamento, in chi sostiene sinceramente la causa della salvaguardia del patrimonio. L'abbandono di questi argomenti pone un complesso di problemi, intrecciati fra di loro. In primo luogo, la ricerca di nuove strategie discorsive, capaci di aggregare i cittadini intorno a questi temi.

    In secondo luogo, la ricerca di motivazioni reali e solide: e queste si trovano interamente nella storia. Questa, infatti, non è solo decostruzione di miti e di tradizioni inventate; ma è anche svelamento di processi reali e profondi. La storia ci spiega come la scoperta del passato, fatta collettivamente nell'Ottocento, abbia allargato l'orizzonte di vita degli uomini. Questi hanno progressivamente imparato che il loro spazio è costituito da un universo, con una dimensione spaziale e temporale pressoché infinita. Hanno imparato che il loro spazio culturale era, anch'esso, infinitamente più vasto di quello riservato loro dalla piccola comunità nella quale erano vissuti fino ad allora. Certamente: posti di fronte a queste nuove frontiere, gli Stati hanno provveduto con i loro recinti di sicurezza. Oggi, nel XXI secolo, ci possiamo chiedere se ne abbiamo ancora bisogno. Ci possiamo chiedere se non abbiamo finalmente il diritto di percorrerli liberamente. E se questo non faccia parte dei nostri diritti di cittadinanza.

    Ora, se la fruizione di questo patrimonio appartiene agli umani, è ovvio sostenere che il patrimonio non può che essere di tutti. Sempre, e non soltanto quando viene dichiarato tale da una Commissione internazionali, un bene patrimoniale è "patrimonio dell'umanità". Questa prospettiva (o se volete, questa scoperta) ci carica di una responsabilità immensa. Noi non siamo i "proprietari" di un dato elemento patrimoniale. Tant'è vero che non lo possiamo distruggere a nostro piacimento. Ne siamo i custodi, per noi stessi, per gli altri e per le generazioni future. Ne siamo responsabili di fronte all'istanza etica più alta che riusciamo a immaginare. L'umanità.

    Chi distrugge il patrimonio è un barbaro (nell'accezione negativa del termine), perché non accetta o non conosce, o non sa praticare il territorio di vita della società moderna, caratterizzato, come abbiamo visto, dalle sue infinite dimensioni spazio/temporali/culturali. Alla formazione di una nuova società civile deve continuare a provvedere (come in passato) l'istituzione scolastica. E a questo serve, finalmente, l'apprendimento della storia. Il patrimonio europeo, dunque, non è il luogo dove inalberare il vessillo dell'europeaneità, distinto e diverso da quello islamico, induista o confuciano. Questo patrimonio, al contrario, ci spinge a varcare le frontiere e a insegnare agli uomini e le donne la pratica degli spazi senza confini. A pensare che la pace, se resta proprietà di una parte della terra, non ne diventa il patrimonio.

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