Pavia 2 aprile

 

Dì, fa Mario con il suo caratteristico intercalare, lo sai come chiamano gli studenti la storia? Siamo quasi al termine del Pas, a Pavia. Mario lavora con me forse da venti anni, e ora insegna anche lui in un corso di didattica. Fa il vice-preside in un comprensivo dell'Oltrepò, dove ha lanciato un questionario sulle materie. E' venuto fuori che la storia, insieme con le scienze e la geografia sono "materie di studio". Che vuol dire, chiedo?

Per questi ragazzi, l'italiano, l'educazione artistica, la matematica non sono "materie di studio". Lì si fanno i compiti, i problemi, si scrive, si discute. Storia, invece (come le sfortunate compagne), "si studia". Cioè si legge, si impara e si dice in classe.

Sembrano ancora in vigore i regolamenti del 1817, quando l'Austria si riprese queste terre e impose che "la storia è materia rigorosamente mnemonica". Potenza dei tempi lunghi, avrebbe detto il nostro Le Goff. Come si fa a scalfire questa prodigiosa resistenza? Mario è sconsolato. Mi dice: sono decenni che facciamo corsi, manifestazioni, convegni, siamo andati in tutte le classi con i nostri allievi della Silsis a mostrare giochi e laboratori. Niente da fare.

Qualche anno fa, in un sondaggio più artigianale, aveva chiesto ai ragazzi che cosa ne pensassero della storia. Peste e corna, ne dissero. Ma, alla domanda: come vi piacerebbe studiarla? qualcuno rispose: Come quella volta che vennero gli archeologi a fare uno scavo in classe. Erano i miei amici del Cridact, il centro di didattica dell'antico dell'Università di Pavia, che con Stefano Maggi portavano in giro il loro cubo magico (uno scavo simulato, del quale parlo in Piccole storie). Si erano divertiti, avevano memorizzato (al punto che se ne ricordavano a distanza di anni), ma i loro insegnanti, dopo aver preso atto con soddisfazione del "nuovo metodo", avevano chiuso la parentesi. Finita la ricreazione, la storia "è materia di studio".

Eppure, in quei regolamenti ottocenteschi, dopo l'ingiunzione a "studiare", si proseguiva consigliando quegli antichi colleghi a prendere qualche contromisura perché "a che serve imparare a memoria, se poi l'allievo non sa spiegare e connettere fra di loro gli avvenimenti?". Anche due secoli fa, l'avevano ben chiara la faccenda. Noi no. Ancora no (se leggerete Piccole Storie, il gioco sul cubo magico l'ho dedicato proprio a Davide, quel ragazzino che diceva che gli sarebbe piaciuto studiare la storia in modo diverso).

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