Andreas! Non ci vediamo da più di dieci anni, da quando tentammo insieme un progetto ambiziosissimo, di insegnare storia in Europa con le immagini di oggetti, tratte dai musei. Ha fatto una carriera strepitosa. Ora dirige il dipartimento di storia antica, qui all’Università di Vienna. Si occupa della frontiera dell’Impero romano. Hanno scoperto più di 400 fortezze, fra Austria e Ungheria. Lavorano per conoscerle e metterle in sicurezza. Gli dico che domani vedrò un docente dell’Università dei Bambini. Kinderuniversitaet. Gli chiedo se ne sa nulla. Così ho fatto una scoperta incredibile. Ve la racconto.

Credevo che questo termine fosse uno dei tanti sinonimi, di quelli che caratterizzano le facoltà di pedagogia, in giro per il mondo. Non è un sinonimo. E’ proprio così. Una università frequentata da bambini. Si svolge d’estate, durante le “grandi vacanze”. I bambini vengono all’Università, passano sotto la statua di Cecco Beppe, ritratto non in posa militare, ma imponente lo stesso, e si vanno a sentire una lezione, fatta per loro da un docente universitario. Sono divisi in gruppi (vanno dagli 8 ai 14 anni). Scelgono le lezioni, preparate per loro da un collega. E frequentano un vero corso, al termine del quale ottengono un diploma.

Andreas mi parla di un collega di Storia dell’Europa Orientale che ha preparato un intervento sulla caccia alle streghe; di colleghi di paleografia che spiegano come lavoravano gli amanuensi e di tanti altri, geografi, scienziati sociali, matematici, fisici, chimici. Rinunciano alle vacanze per far gustare ai bambini un approccio “universitario” al sapere. E tu ci vai? Gli chiedo. No, risponde, perché d’estate ho un altro programma sociale: facciamo dei corsi per i ragazzi dell’Europa orientale. Ma ci vanno tanti altri colleghi. Più di un centinaio. E vengono pagati? Certo. L’Università lo considera un lavoro. Qualcosa prendono.

E i bambini, ci sarà qualcuno che li guardi? Certamente: ci sono degli studenti, che si offrono per questa incombenza. E i genitori? Be’ la cosa è immaginata proprio per venire incontro alle loro esigenze durante le vacanze. Stanno a casa, o dove vogliono. Il corso è gratuito. Se vogliono l’assistenza degli studenti, allora pagano.

Scrisse Philippe Ariès che la civiltà di un paese si misura da come questo tratta i bambini. Ecco un buon esempio da raccontare in patria, mi sono detto. A riflettere, i vantaggi non ce li hanno solo i bambini. Ci pensate alla straordinaria autoformazione dei colleghi che “si educano” a parlare a dei bambini? E alla duttilità di una “macchina universitaria”, che si “ridirige” in funzione di questa nuova incombenza?
Sfortunatamente, mi vengono alla mente le università che conosco, e che conoscete anche voi. Ci riuscirebbero? O anche solo: gli verrebbe in mente? A proposito. Quel progetto in occasione del quale conobbi Andreas, riuscii a strapparlo per la mia università. Fu una battaglia contro altri pretendenti, e Andreas mi appoggiò. Ne ero fiero: portavo a Bari 800 mila euro. Mica bruscolini. Solo che sbagliarono le carte.

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