Master in Didattica del Territorio

Venerdì 23 settembre
Autore: Antonio Brusa

C’è una storia, nascosta nel paesaggio, che noi vogliamo far emergere. E’ la storia del Territorio. E’ invisibile per sua natura, come tutte le storie. Quindi non consiste nell’ammirazione e nella descrizione delle emergenze artistiche e naturali. E nemmeno nella commemorazione dei fatti che vi accaddero, se ve ne furono di importanti. E’ la ricostruzione della lunga interazione fra due sistemi complessi: quello della natura e quello degli uomini. E’ la comprensione di come, attraverso questa interazione millenaria, il territorio si è costituito, nella forma nella quale ci si presenta oggi, e nell’ambiente che ora ci accoglie.

Il territorio è, dunque, uno spazio che si è coevoluto con gli umani. Noi ne vediamo solo la fase finale, quella nella quale siamo inseriti, e, per di più, la vediamo come un oggetto. Noi siamo gli uomini – pensiamo -  quello è l’ambiente, il paesaggio, la natura. Ci percepiamo, perciò, come “gli altri”. “I “soggetti”. Noi siamo quelli che “sfruttano”, “utilizzano”, “conservano”, “distruggono”, “posseggono”, “difendono”, “ammirano” o “ignorano” un oggetto, lo spazio che si apre ai nostri occhi. Certamente, queste sono le nostre azioni. Ma queste azioni sono solo una parte del dramma. L’altra è costituita dalle risposte dello spazio e dai vincoli che queste creano, mentre vengono date. Potremmo mai capire uno spettacolo ascoltando unicamente i monologhi di un attore? O ascoltandone separatamente le voci dei protagonisti? E’ una possibilità talmente assurda, che non la prendiamo mai in considerazione.

Ma è esattamente ciò che accade quando parliamo di paesaggio e quando parliamo di storia. Non possiamo dire che, nel caso della Puglia (che possiamo prendere tranquillamente come esemplare di altre situazioni), nessuno conosca qualcosa della sua storia. Che non si sappia che qui passarono i greci e poi i romani e, dopo di loro, tanti altri ancora. Le vie ci parlano di messapi, di dauni e di peucezi. Ci sarà qualcuno che assocerà questi nomi a popoli antichi. E forse, ancora, qualcuno si spingerà oltre, ricordando Pirro e Annibale. Né possiamo dire che nessuno sappia nulla del paesaggio pugliese, ultimamente così celebrato da riviste, perfino “National Geographic”, location ideale per decine di fiction, e non abbia sciorinato almeno una volta, la lista degli olivi, delle cattedrali, delle bianche rocce delle murge e di Castel del Monte. Appunto: frammenti isolati di un discorso. Parole, magari talmente belle da appagare chi le pronuncia. Ci danno l’impressione di sapere, ma non ci rivelano nulla del dramma, dal quale sono state enucleate. Sono oggetti, splendidi oggetti, che abbiamo tolto dalla vetrina e che rigiriamo nelle mani soddisfatti. Noi con delicatezza, perché siamo educati. Gli altri, gli incivili, maneggiandoli senza cura. Nessuno, in realtà, accorgendosi che non riusciamo a vedere la scena complessiva, la poderosa vicenda nella quale anche noi siamo immersi (della quale anche noi siamo “oggetti”), e che ci scorre di lato e forse ci trascina inconsapevoli.

Questa estraneità ha immediate conseguenze in ciò che chiamiamo “gestione del territorio”. Se questo è un oggetto, diverso da noi, viene dopo di noi: dopo le case, le strade, i vestiti e il pasto a casa. Queste sono le necessità primarie, quelle che ci permettono di sopravvivere. Il territorio viene dopo. Se avanza qualcosa, è bene curarlo e metterlo su per bene. E’ storia, arte, cultura. Economia, anche: come dimenticare il turismo e l’agricoltura?Ma, appunto, dopo. Primum vivere. Non vedendo la realtà – e cioè il territorio come sistema di natura e di società – con capiamo che la sopravvivenza del territorio coincide con la nostra sopravvivenza. E’ il nostro pane. La gestione del territorio, perciò, non è un di più, il segno distintivo di una regione civile e all’avanguardia, ma l’operazione di governo intelligente, di chi ha capito come funziona la macchina e cerca di guidarla. Sapendo che se non lo fa, prima o poi ne verrà travolto.

Tutto facile, dunque? Basta “sapere che cos’è un territorio” per rimetterci in carreggiata?

Il punto è che quello che noi vediamo è il paesaggio. Il territorio è invisibile. Per vederlo occorrerebbero degli occhiali speciali che permettano ai cittadini che lo abitano di “aumentare la realtà” nella quale si muovono. Occhiali difficili da progettare. Quelli che esistono ci fanno vedere delle ricostruzioni del passato. Qui vedo dei ruderi, e ora ammiro dei templi, un castello, il mercato con le tende colorate, il porto gremito di navi. Ancora una volta: degli oggetti. L’effetto paradossale di queste tecnologie immersive, sarebbe quello di consolidarci nel nostro sentirci separati. Spettatori privilegiati dalla tecnologia.

Questi occhiali speciali sono difficili da comprare, perché sono nella nostra testa, e li dobbiamo costruire noi, piano piano e spesso con fatica. Sono gli occhiali del sapere. Bisogna conoscere l’invisibile, cioè la storia del territorio. E’ una storia che affiora qua e là, attraverso dei segni. I segni sono degli oggetti. A volte comuni, a volte di pregio. Di per sé sono muti. Siamo noi che dobbiamo saperli interrogare e farli parlare. Alcuni di questi oggetti-segni sono già marcati dalla consuetudine. Li sappiamo riconoscere. Di molti altri non sospettiamo l’esistenza: pietre e rocce, alberi, la forma di un dosso, una strada, una costruzione anonima. Anche questi possono diventare segni. Questi occhiali speciali, dunque, sono formati da un sapere preciso (chi, che cosa, quando?) e da un saper fare altrettanto specifico: come rivolgere agli oggetti le domande efficaci, quelle che li fanno parlare? Quelle, in particolare, che ci raccontano il dialogo fra uomini e spazio?

Qui i discorsi si fanno tremendamente duri. Tutti vorremmo dei cittadini in grado di muoversi consapevolmente nello spazio. Lo vorremmo come una premessa necessaria della vita sociale. Come unq qualità costitutiva di una cittadinanza consapevole. Ma ottenerlo è difficile. Occorre formazione. Scuola, dunque. E, per quanto ci riguarda, un buon insegnamento di storia e geografia: un posto dove si possono dotare i cittadini di questi speciali occhiali, in grado di mostrare loro, finalmente, la realtà nella quale vivono.

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