di Antonio Brusa

Targa

Se vi capita di passare da Noicattaro, piccolo centro in provincia di Bari, celebre per le sue uve, potrete ammirare la targa dell’Istituto Comprensivo “A. Gramsci - N. Pende”. Noicattaro è la città natale di Nicola Pende; a pochi chilometri di distanza c’è Turi, con il carcere dove, fra il 1927 e il 1934, venne rinchiuso Antonio Gramsci. Il primo fu uno scienziato che Mussolini celebrò; il secondo un comunista che lo stesso mise in galera.

Non è il sorprendente omaggio alla nuova moda rossobruna, illustrata da intellettuali ben abbronzati, per la quale Gramsci, essendo un filosofo amato dalla destra, starebbe bene insieme a Pende, scienziato coccolato dal fascismo. Ad accomunare questi due personaggi, antitetici nella storia italiana come nella cultura mondiale, è una burocrazia ottusa, incapace di considerare il senso e il valore delle persone. Quelle morte, alle quali sono intitolati i due plessi scolastici, ora accorpati in un comprensivo; quelle vive, e in particolare gli allievi, alle quali un giorno occorrerà spiegare per bene chi era l’uno e chi era l’altro.

Nicola Pende, medico ed endocrinologo, fu, infatti, autore di libri fondamentali per la costruzione di un’ideologia razzista italiana. Sostenne l’unicità della razza italiana e la necessità di evitare che si mescolasse con altre razze. Una precauzione necessaria, soprattutto dopo la conquista dell’Etiopia. Ecco cosa scriveva: [occorre evitare] “che i suoi coloni e soldati, incoscientemente, creino in Africa un mondo di meticci, che la razza più equilibrata e più bella che sia germogliata sotto il sole si fonda con razze seminegre o negre, primitive e fondamentalmente lontane per caratteri biopsicologici quali sono le razze etiopiche». (la Repubblica 14-09-2006)

Antonio Gramsci è la dimostrazione che, anche in un periodo nel quale il razzismo era un’ideologia corrente, si poteva essere decisamente antirazzisti. E Gramsci lo fu per vari motivi, come ci spiega Enrico Mordenti: sia perché sentiva sulla sua pelle di sardo la violenza dell’ideologia razzista, sia perché conosceva bene il razzismo antimeridionalista che covava da decenni nell’Italia centro-settentrionale, sia per la sua ostinata avversione a quegli studiosi positivisti che, fra Ottocento e primo Novecento, costruirono le basi scientifiche del razzismo. In un suo scambio di lettere con la cognata Tania Schucht, che aveva manifestato seri propositi antisemiti, dichiarò:

«Io stesso non ho nessuna razza: mio padre è di origine albanese recente (la famiglia scappò dall'Epiro dopo o durante le guerre del 1821 e si italianizzò rapidamente); mia nonna era una Gonzalez e discendeva da qualche famiglia italo-spagnola dell'Italia meridionale (come ne rimasero molte dopo la cessazione del dominio spagnolo); mia madre è sarda per il padre e per la madre e la Sardegna fu unita al Piemonte solo nel 1847 dopo essere stata un feudo personale e un patrimonio dei principi piemontesi, che la ebbero in cambio della Sicilia che era troppo lontana e meno difendibile».

Un nome imbarazzante

Anni fa, nel 2006, venni contattato da alcune professoresse della scuola “N. Pende” (allora indipendente). Mi raccontarono la loro difficoltà nel giustificare, presso i bambini, il nome della loro scuola. Mi dissero che i tentativi di cambiarlo erano falliti tutti. Nicola Pende è una gloria locale, a Noicattaro. È il concittadino degno del Nobel, ingiustamente accusato di antisemitismo; un luminare che, nel dopoguerra, non evitò di curare gratuitamente i poveri.

Targa2

Proposi di organizzare un convegno, nel quale avremmo fatto venire i più grandi specialisti della questione, per spiegare alla cittadinanza chi era Nicola Pende, il suo ruolo centrale nella elaborazione italiana del razzismo e nella sua propaganda, ma anche il suo reale valore come scienziato. Avremmo certamente dato alla cittadinanza materia per riflettere, e magari accettare il cambiamento di quel nome. La proposta piacque alla preside. Ne parlò col sindaco, che si dichiarò pronto a finanziare l’iniziativa. La call fu elettrizzante. Una decina di studiosi, da tutto il mondo, accolsero l’invito, entusiasti di raccontare come stavano le cose direttamente ai concittadini di Pende. Quando conoscemmo il testo della delibera comunale, che finanziava il nostro convegno, dichiarando che avrebbe avuto lo scopo di “rilanciare la figura del nostro illustre concittadino”, tutti si tirarono indietro. Il convegno non si fece e la cosa, per me, finì lì.

Non fu lo stesso per il sindaco di Noicattaro, nel corso della polemica contro Pende, suscitata da I dieci, il libro di Franco Cuomo, uscito l’anno precedente, per i tipi di Baldini Castoldi Dalai, nel quale si denunciavano gli scienziati che avevano aderito al Manifesto della Razza, fra i quali appunto il nostro. La città di Bari, in quella occasione, aveva deciso di cancellare il nome di Pende dallo stradario cittadino: ad essa il sindaco di Noicattaro rispondeva annunciando un convegno internazionale che avrebbe rimesso a posto le cose. Purtroppo, era proprio quello che avevamo annullato, a seguito della sua delibera. (La Gazzetta del Mezzogiorno 01-02-2006)

Convegni se ne svolsero, successivamente, sia pure più limitati. Uno di questi, nel 2012, fu organizzato dalla stessa scuola. Le foto su internet ne mostrano l’auditorio pieno. Sono corredate da un resoconto dove leggiamo che Pende fu un modello di etica medica; certo, fu fascista come tutti, ma ne pagò le conseguenze, perdendo, proprio per questo motivo, il premio Nobel.

Perché parlare ancora di questi fatti

Sono tornato su queste vicende preparando la Summer School sulla Tolleranza (Trani 3-5 settembre), nell’anniversario della promulgazione delle Leggi Razziali del 1938. La sera del 4 settembre, infatti, terremo un “Processo a Nicola Pende”. Verranno studiosi, giuristi, politici e giornalisti. Pro e contro, come d’obbligo in un processo. Ma non si tratterà né di una celebrazione, né di un tentativo di condannare o assolvere nessuno. Il “processo” si svolge all’interno della scuola di didattica della storia. Dunque: scienza e didattica. La mise en scène serve a coinvolgere il pubblico, sollecitare il dibattito, ma non deve trarre in inganno. Gli storici non emettono sentenze. Descrivono fatti, aprono problemi. E, per la verità, sotto la lente di questi giudici particolari, non ci sarà il solo razzismo di Nicola Pende, oggetto ben conosciuto in ambito storico, e che non ha affatto bisogno della nostra Scuola, per essere indagato.

Tolleranza

Sotto inchiesta sarà il nostro rapporto con quei fatti di ottant’anni fa. Dobbiamo dimenticare, perdonare, limitarci a comprendere, dichiarare la nostra distanza, soprassedere, far finta di niente, continuare nelle complicità o cercare vendette postume? Non sono semplici curiosità storiche. La limpidità del nostro presente dipende, anche, dall’onestà con la quale riusciamo a proporci queste domande e a formulare delle nostre risposte. E queste, dipendono – a loro volta – dalla conoscenza precisa di quegli eventi.

La confusione, e il conseguente non capirci più nulla, che denunciamo quotidianamente quando ci guardiamo attorno, hanno, perciò, qualcosa a che vedere con il rapporto superficiale e approssimativo che il nostro paese intrattiene col proprio passato. E, da questo punto di vista, la “strana coppia”, incisa su quella targa, oltre a denunciare una burocrazia plumbea, è la testimone perfetta di un paese dalla memoria sciatta.

Informazioni sulla Summer School, organizzata dall’Istituto Nazionale per lo studio dell’età contemporanea e della Resistenza, “F.Parri”, e dal comune di Trani.

Su Antonio Gramsci, “Novecento.org” ha pubblicato un dossier storico-filosofico-didattico, curato da Lea Durante e Claudia Villani.

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