di Isidoro Davide Mortellaro

01Fig.1: Russia e Ucraina si tengono per mano, in piedi su Putin, vestito delle ricchezze rubate alla Russia. Disegni di bambini raccolti da attivisti ucraini e russi. Fonte: Through Art, Children Plea For Peace In UkraineDopo la caduta del Muro

La caduta del Muro di Berlino giunse come un vero e proprio cataclisma sul blocco socialista aggregato attorno all’URSS, dando origine a crisi e dinamiche diverse da quelle dell’esperienza cinese. Il mondo intero ne fu scosso ma reagì in modo unitario, sia pure sotto il segno dell’unilateralismo americano. Gli strappi inferti al tessuto internazionale dall’Iraq di Saddam furono risarciti grazie alla mobilitazione internazionale, ma anche al prezzo di una nuova guerra globale fortemente voluta dagli USA. Le aperture di Gorbaciov alla riunificazione tedesca aprirono comunque una pagina nuova. L’Europa intera pensò che fosse il momento di muoversi per strade inedite, dall’Atlantico agli Urali. Nasceva l’Unione europea.

Per la prima volta nella storia un impero vedeva messa in discussione la sua esistenza senza guerre o terremoti. Al G7 di Londra del 1991, aperto finalmente all’URSS, Gorbaciov chiese aiuto per una inedita transizione: la sua mano tesa però non fu stretta da nessuno. I Grandi lasciavano cadere ogni prospettiva di collaborazione nel domani indeterminato di un futuro mutamento di sistema. In risposta arrivò il Golpe di agosto con un complessivo rivoluzionamento di uomini e regimi della ormai ex-Unione Sovietica.

Il nuovo assetto dell'Europa Orientale

Archiviata la mutazione cui Gorbaciov – sia pure domando a stento le prime spinte separatiste - stava dando corso con il referendum sulla conservazione dell’URSS e la successiva creazione dell’“Unione degli Stati sovrani”, Eltsin accantonò Gorbaciov e l’URSS. Nasce la CSI, Comunità degli Stati Indipendenti, con l’esclusione di Lettonia, Lituania ed Estonia che riconquistano a distanza di oltre mezzo secolo l’indipendenza.

Nascono allora Federazione Russa, Ucraina e Bielorussia: figlie di un parto plurigemellare attivato dalla dissoluzione dell’URSS in CSI. Successiva giunse l’associazione alla Confederazione delle altre 9 repubbliche (compresa quella caduca della Georgia). Gemmate – per reciproco riconoscimento e in sovrana autonomia - da un unico grembo con grandi comuni tradizioni ma marchiate anche da odi insanabili. In particolare per l’Ucraina l’ Holodomor, con i suoi milioni di morti, sta lì a dividere e contrapporre ancor oggi, nei racconti di nonni e genitori, memoria e vita di chi abita quelle terre.

2Fig. 2: “Non oscurare il sole con le nuvole della guerra” Through Art, Children Plea For Peace In UkraineGli Usa restano "potenza europea"

Vale la pena di osservare come all’indomani della nascita della CSI, l’Ucraina – similmente a Bielorussia e Kasakistan – rinunci ai propri arsenali atomici per renderli alla Federazione Russa o disfarsene: ereditati dall’URSS (con circa 4300 testate nucleari, ovvero il 16% circa del complesso delle atomiche sovietiche) le avrebbero permesso, se avesse voluto, di ergersi tra i Grandi della Terra con pollice sul bottone rosso della distruzione totale.

In Europa intanto scoppiava, lungamente covato, il bubbone jugoslavo, degenerato ben presto in guerra civile grazie alle divisioni e agli egoismi degli europei, incapaci di una visione del mondo e di una strumentazione di sicurezza comune e grazie all’emergere di nazionalismi virulenti. L’ignavia europea avrebbe permesso di lì a qualche anno, in un periodo costellato di massacri e barbarie etniche, di dare pieno riconoscimento alla profezia-promessa lanciata dal segretario di Stato americano, James A. Baker III, all’indomani della caduta del Muro: «gli USA sono e rimarranno una potenza europea». Saranno i loro bombardamenti, prima in Bosnia e poi in Kosovo, a mettere fine a quei massacri ma anche a dare nuovo lustro all’Alleanza Atlantica e al suo cuore militare, la Nato, proprio nel cuore della nuova Europa. Nasceva così, proprio nel cuore d’Europa, accanto e in sovrapposizione alle permanenti carenze strategiche dell’UE, l’attrattore potentissimo della Nato. Una calamita, amministrata con grande sapienza dagli USA e con somma negligenza dagli europei.

La Nato nel XXI secolo

Il bagliore dell’11 settembre ci introduce al Terzo Millennio. È da lì, da quella porta di fuoco che la Nato entra nel XXI secolo e si espande in un vortice di allargamenti continui. Avevano cominciato Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria nel marzo 1999, ma è dopo l’11 settembre e l’apertura del fronte afghano che i movimenti si fanno convulsi e continui fino ad inglobare altre 11 repubbliche tutte ad Est, tutte allevate e cresciute nell’universo o sotto il controllo sovietico. Un mondo intero ripudia il vecchio controllore per cercare sicurezza nell’entità, fino ad allora diabolicamente esecrata per quasi mezzo secolo. Il tutto senza inaugurare grandi basi militari, se non postazioni per la difesa missilistica specie dopo l’11 settembre (un impegno militare relativamente modesto, dunque, per quanto vissuto dai Russi come minaccia).

Le profferte e le effusioni dei vari MAP, Membership Action Plan, nei confronti di Bosnia ed Erzegovina, Georgia o Ucraina hanno animato la cronaca più recente. Per quanto riguarda l’Ucraina, si deve ricordare che domande e inviti si sono finora risolti nel riscontro da parte occidentale di alcuni impedimenti nel processo di democratizzazione delle istituzioni ucraine: incompleta garanzia del controllo civile sulle forze armate, scarsa presenza di civili all’interno dei ministeri chiave ecc. Né è possibile dimenticare le strane – a guardarle oggi – liaisons tenute a battesimo soprattutto dall’11 settembre tra Russia e Alleanza Atlantica: proprio allora vede la nascita il Russia-Nato Council, con le sue molteplici forme di cooperazione nella guerra afghana: una cornice ancora più ampia entro cui hanno trovato una sistemazione più organica i rapporti a lungo intessuti tra Nato e Russia fin dal 1991 all’interno del North Atlantic Cooperation Council, vieppiù rafforzati nel 1994 dal programma Partnership for Peace.

Val la pena di ricordare che tutte queste forme di cooperazione e reciproco riconoscimento non sono mai state revocate da parte russa, anche in momenti di estrema tensione: ad esempio, quando nell’aprile 2014 la Nato all’unanimità decise di sospendere ogni pratica cooperazione con la Federazione Russa in risposta all’annessione della Crimea. C’è voluto l’incidente nell’ottobre 2021, con cui la Nato ha espulso dal quartier generale di Bruxelles otto ufficiali russi accusati di spionaggio, perché la Russia si decidesse ad ordinare la chiusura della dipendenza Nato di Mosca.

Allora, perché?

Ma allora perché? Perché questa escalation? Perché far piovere bombe sulla testa di un paese «non solo vicino a noi … ma parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale … nostri compagni, tra le persone a noi più care»? (come ha dichiarato più volte Putin). Perché muover guerra non a nemici giurati ma alle viscere profonde di quella che per lui è la «Grande Madre Russia». Una “guerra civile” che sospende il mondo su un baratro indicibile: «la Russia moderna anche dopo il crollo dell’URSS resta una potenza mondiale, con un proprio arsenale nucleare e altro ancora (nuovi tipi di armi) … Chiunque tenti di ostacolarci, e ancor di più di creare minacce per il nostro Paese, per il nostro popolo, deve sapere che la risposta della Russia arriverà immediatamente e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia». Perché sospingere il pianeta sull’orlo dell’impensabile. Perché giungere ad allertare le forze nucleari?

3Fig. 3: Senza commento Through Art, Children Plea For Peace In UkraineUna prima risposta: la spaventosa crisi russa

La risposta che leggiamo più spesso è nella paura russa di essere accerchiata dalla Nato. I fatti che abbiamo citato sopra ci dicono che, per quanto l’espansione della Nato fosse vista con ostilità, non aveva mai prodotto reazioni così ultimative. Forse, allora, la risposta è nei processi che hanno sconvolto e rifatto questo immenso paese dopo l’inabissamento dell’URSS? Nella curva spaventosa in discesa del suo PIL negli anni di Eltsin a fatica e malamente messa all’insù da Putin: un paese oggi di 140 milioni di abitanti, ma con indici produttivi inferiori a quelli italiani, inflazionati da gas e petrolio, ma fortemente penalizzati dalle importazioni nelle alte tecnologie. Con una demografia sconvolta dalla mancanza di futuro e prospettive, destinata, secondo le prospezioni più accreditate, a calare ai 132 milioni di abitanti nel 2050 rispetto agli attuali 144 o ai 149 del 1991. A crescere, e in maniera decisa, sono le spese militari, giunte ad oltre il 4% del PIL. Lì forse un segno della ricerca affannosa per conservare uno spazio e un ruolo rimessi duramente in discussione da un pianeta in subbuglio, dall’ascesa della Cina e dell’India.

In ogni caso, una risposta controproducente. Per Putin: cosa resta del leader da tanti acclamato fino a pochi giorni fa per la sua visione degli equilibri mondiali, per la sua capacità di riportare la Russia a nuovi fasti globali?
E per la stessa Russia: come reggere ad una impresa e ad una possibile occupazione militare ben più dure e devastanti di quelle in Afghanistan? E senza calcolare l’effetto delle sanzioni. Sui russi stessi prima ancora che sull’Europa e sul mondo?

Che la storia fosse alla «fine», come si disse alla caduta del Muro, si rivela oggi veramente una favola dei tempi andati. Oggi più che mai la guerra si dimostra una risposta sbagliata e terribile ai problemi mondiali, e, più che mai il no alla guerra si rivela il primo dovere dei cittadini, a cominciare da quelli europei.

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