Pavia, 24 gennaio

Qui, a Pavia, hanno già avuto inizio le attività di didattica della storia. Ci sono i tutor, i supervisori. Ho sentito gli altri colleghi in modo da concordare le nostre lezioni. Siamo un gruppo affiatato già da nove anni di lavoro nella Silsis, la scuola di formazione che la Gelmini eliminò in nove minuti (ci sono voluti nove anni per farla e a me nove minuti per cancellarla, dichiarò).

Di fronte a me (classe 43a) ci sono sei ragazze. Ed è questa la prima differenza con la vecchia scuola. Una selezione talmente severa, che ha impedito di coprire tutti i posti a disposizione. Il corso è molto breve, 12 ore. Ed è questa la seconda differenza col passato: storia ne aveva molte di più. La rigidità dell'organizzazione, poi, impedisce di realizzare il progetto che aveva caratterizzato il lavoro pavese: mettere insieme laboratorio, lezioni e tirocinio. Ne avevamo ricavato 200 ore circa, durante le quali gli allievi studiavano, elaboravano progetti, li sperimentavano e li verificavano con i loro prof. Era piaciuto molto quel sistema. Perché ora, con tutta la nostra buona volontà e la bravura dei colleghi di Pavia, non possiamo rimetterlo in funzione?

Sapevamo che in altre Scuole le cose andavano diversamente, e che gli studenti erano insoddisfatti. Ma speravamo che, attraverso convegni, pubblicazioni (e tutto ciò che le università fanno per comunicare i loro lavori), il ministero avrebbe avuto materiali sufficienti per riprogrammare le Scuole e magari migliorarle. E, magari, tenere conto dell'eccellenza (si dice così?) pavese.

Fiducia immotivata. Le pubblicazioni ci sono state e mai, da quando esiste l'università, un ministro ha avuto tanto materiale a disposizione per riflettere e migliorare. Invece, che cosa ha fatto? in nove minuti ha chiuso la vecchia scuola. Poi ha convocato una nuova commissione, presieduta da Israel, vecchio nemico di ogni didattica,e ha tirato fuori il nuovo modello, il TFA.

La cui novità consiste semplicemente in questo: tutto ciò che poteva essere interpretato come qualcosa di didattico è stato eliminato. In primo luogo, la possibilità di tenere insieme personale universitario e della scuola e, soprattutto, di legare strettamente il tirocinio alla ricerca universitaria. E' questa l'unica garanzia che si può dare al giovane prof di non realizzare nella sua professione la ripetizione dei modelli già diffusi nella scuola. Quelli, infatti, li conosce già e si apprendono con l'uso. La scuola di formazione dovrebbe migliorarli, presentare alternative più efficaci. Per questo dovrebbe essere legata strettamente alla ricerca didattica.

Il nuovo modello, invece, separa nettamente i due momenti. Chi insegna sta da una parte. Noi dell'università, dall'altra. E' quindi la legalizzazione del senso comune didattico. La professione è fatta di cultura (università) e pratica (scuola). Guai a metterle insieme, hanno sancito il duo Gelmini/Israel.

Quindi, 12 ore basteranno, dovranno bastarmi, per dare a queste sei ragazze l'idea che esiste un modo diverso di insegnare. Diverso da quello imperante nella scuola, diverso da quello che sta producendo (e non da oggi) un divario inesorabile fra la storia e le giovani generazioni.

E, quindi, dovremo fare di nuovo appello alla nostra fiducia in qualche nuovo ministro, che sappia ragionare di scuola e si informi prima di decidere. Un nuovo ministro, chiaro.

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