Autore: Antonio Brusa

 

Indice

  1. Nebraska
  2. Storia con memoria
  3. La dimensione individuale della memoria
  4. La dimensione sociale della memoria
  5. La dimensione storica della memoria
  6. La memoria conflittuale
  7. La memoria selettiva

 

Interno del Caffè Nebraska, a Madrid

 

1. Nebraska
Nebraska è un caffé di Madrid, luogo di ritrovo di un piccolo gruppo di studiosi di didattica, troppo radicali per essere amati dall’accademia pedagogica, troppo impegnati e bravi per non essere conosciuti e letti dagli insegnanti che ci tengono al loro mestiere. In omaggio a quel bar, il gruppo si chiama Nebraska. La loro guida è Raimundo Cuesta.

 

 

 

L’ho conosciuto venti anni fa, in una summer school di Valencia, organizzata da Rafael Valls, che vi insegna storia contemporanea e didattica della storia. Mi impressionò per la profondità culturale con la quale leggeva le questioni didattiche. Ha scritto un’opera che considero fondamentale, Sociogenesis de una disciplina escolar: la historia, nella quale racconta come si è formata la “disciplina storia”. Usa, come fonti, i programmi, i testi storici e didattici, i libri di testo, ma anche l’aula e il suo arredo (la cattedra, i banchi, la bandiera, la carta geografica e il crocifisso alla parete). Questo gruppo pubblica da quasi venti anni una rivista “Con-ciencia social”,  nella quale affronta le questioni di fondo dell’insegnamento storico e, soprattutto, promuove quella che il gruppo chiama “pedagogia critica”. Qui potete leggere il suo editoriale

 

Con questo titolo/slogan, quegli studiosi (tutti professori di scuola e, al tempo stesso, ricercatori apprezzati) sostengono che una buona didattica deve studiare gli aspetti pedagogici e psicologici, le questioni storiche e storiografiche, alla luce dell’analisi approfondita del contesto sociale e storico, nel quale si realizza il lavoro scolastico. E, siccome sono radicali, sostengono che la pedagogia o è critica, o è malapedagogia.

 

Leggo con avidità i loro scritti. Non sempre sono d’accordo, ovvio (mi sembra che a volte si divertano a fare gli estremisti). Ma quello che scrivono mi obbliga a pensare e mi allarga la mente, quasi sempre. Così ho pensato di condividere con i lettori di HL gli appunti che ho preso da un articolo di Raimundo su un tema che tutti consideriamo fondamentale, quello del rapporto fra storia e memoria. Il testo che segue, dunque, è un collage di frasi e di sintesi. Come tale non potrà essere attribuito al collega spagnolo, al quale chiedo scusa per la mia infedeltà, ma nemmeno a me, che in larga parte ricopio, sintetizzo e interpreto. Questo lavoro parte dalla critica con la quale oggi si imposta la questione del rapporto fra storia e memoria. Molti, soprattutto i gestori della politica, puntano sulla memoria a danno della storia. Ce ne siamo accorti noi italiani, che abbiamo visto negli ultimi anni diminuire le ore di storia e incrementarsi le giornate della memoria. Altri, soprattutto fra gli storici (e io mi metto fra questi) mettono in rilievo la differenza che esiste fra storia e memoria, la loro opposizione, e sottolineano, di conseguenza, il dovere dello storico di “criticare la memoria”. Raimundo Cuesta propone una “storia con memoria”. Dice che questa è utilissima nell’apprendimento e che, anzi, la relazione stretta fra storia e memoria è un ingrediente essenziale di una “pedagogia critica”, strumento vitale di una società democratica.

 

2. Storia con memoria

Scrive Cuesta che un errore della pedagogia della memoria è quello di presumere che esista una “buona memoria” e una “cattiva memoria”, e immaginare che il compito dell’educatore sia quello di scoprire la prima e sradicare dalla testa degli allievi la seconda. Questa concezione “reificata” della memoria deriva da una mescolanza di dogmatismo storico politico e di ingenuo idealismo pedagogico. Essa promuove la costruzione di una memoria comune e consensuale, una sorta di impiastro benintenzionato dalle virtù taumaturgiche e terapeutiche, capaci di guarire le ferite  che il passato ha inferto al tessuto sociale.

Queste ferite, però, non sono soltanto la conseguenza di esperienze vissute, ma sono anche il prodotto di situazioni storiche, che, anche quando non sono state vissute, vengono ricordate collettivamente. Esse, trasmesse di generazione in generazione, si incarnano nella vita degli individui.

La storia, quindi, trova nella memoria una sorta di palestra critica che è importante saper utilizzare in una strategia di formazione alla democrazia. Naturalmente, chi voglia approfondire l’argomento, deve ricorrere al testo originale di Cuesta (citato in fondo). Qui riporto, a uso degli insegnanti, i cinque aspetti strategici nella memoria. Ne riassumo le caratteristiche essenziali e le piste di riflessione pedagogico/didattica che possono aprire.

 

3. La dimensione individuale della memoria

Da un certo punto di vista estremo, la memoria è solo individuale. Un’espressione come “memoria storica” è un ossimoro, un’autentica contraddizione in termini. Ora, il soggetto è un sistema risultante di un amplissimo ventaglio di “ego”, costruiti in contesti/ambienti molto vari. Il mio “io attuale” è il frutto di questa lunga e variegata interazione.

Poste queste premesse, il compito educativo potrebbe essere quello di costruire situazioni di apprendimento a partire dalla elaborazione della propria autobiografia, per passare al confronto fra autobiografie, alla realizzazione di inchieste sulla vita personale degli individui. Questa riflessione – sulla propria memoria e sulla memoria degli altri, potrebbe permettere una straordinaria operazione: “distanziarsi dal soggettivo attraverso la soggettività”. Si comincerebbe, in questo modo, a comprendere quanto le memorie individuali siano debitrici di una “filiazione reificata e ideologica della vita sociale”. Si imparerebbe, attraverso questo lavoro, a svelare la falsa tra speranza dei ricordi. Si imparerebbe a coniugare il piacere estetico di raccontarsi con il vaglio critico, alla ricerca delle relazioni reali fra soggetto e società.


4. La dimensione sociale della memoria

In questo campo, il riferimento a Maurice Halbwachs è obbligatorio. Secondo lo storico francese, “la memoria è un ente sociale costruito attraverso le interazioni fra i gruppi sociali, la cui gestazione e manifestazione può essere conosciuta con i metodi delle nuove scienze sociali”. In questa opzione interpretativa, il “politico” entra prepotentemente nella costruzione della memoria sociale, dal momento che questa memoria è uno strumento essenziale per la tenuta della collettività. Osservata da questo punto di vista, la memoria individuale, che prima avevamo considerato nella sua dimensione narrativa e quindi continua, si frammenta in un complesso a volte caotico di rappresentazioni variamente vincolate al genere, alla classe sociale, alla identità etnica, politica religiosa ecc.

Una didattica critica, in questa dimensione, non può che lavorare a mettere in rilievo il marchio di provenienza dei diversi ricordi.

 

5. La dimensione storica della memoria

E’ un aspetto specifico (e interessante) della dimensione sociale. Si riferisce al fatto che la memoria non è mai fissa, ma è un flusso indistinto e mobile, in costante divenire. E’ un enciclopedia di racconti e di rappresentazioni sempre  suscettibile di interpretazioni. Questa dimensione storica della memoria ci avverte che non possiamo limitarci a studiare il passato in quanto tale, ma occorre comprendere le forme in cui questo passato è stato tramandato fino a noi. Una dimensione essenziale per la comprensione del presente, perché il passato non è un oggetto che è presente fra di noi per una sua certa inerzia (perché c’è e basta). Al contrario è qualcosa che costruiamo ogni volta che lo evochiamo nel presente. Perciò, dall’analisi del modo con il quale pensiamo il passato, noi possiamo scoprire la mitogenesi dei valori dominanti nell’attualità.

Da questo punto di vista, lo studio scolastico di quei momenti che, J. Aròstegui chiama “I momenti matrice della storia di un paese” (come la guerra civile per la Spagna, ma per noi potrebbe essere la Resistenza o Mani Pulite) implica un certo dovere di memoria. Spinge a osservare le interazioni fra la ricostruzione storica e la memoria, e favorisce la nascita di una coscienza storica e di un’educazione alla democrazia dentro lo spazio pubblico scolastico. Al dire di Walter Benjamin, questo studio permette di fondere il passato assente con il presente, per immaginare il futuro.


6. La memoria conflittuale

Il ricordo del passato non è univoco. Il ricordo del passato si realizza sempre in un campo di forze. Ancora Benjamin ci aiuta a comprendere la memoria come uno spazio di tensioni contrapposte che riguardano sia il passato, sia il presente, ma soprattutto il futuro: perché è questo essenzialmente che interviene quando problematizziamo il presente e ci rivolgiamo al passato. Questo campo di forze impedisce in modo definitivo la costruzione di una memoria consensuale.

La finalità educativa dell’insegnamento della storia non è quella di condurre, attraverso il dialogo e la deliberazione habermasiana, a un consenso basato sulla forza dell’argomento più convincente, ma, se seguiamo la posizione critica di Benjamin, l’aspetto pedagogico risiede nella impossibile concertazione delle memorie. Inoltre, la dimensione educativa della storia non risiede nell’insegnare agli allievi una storia che sia la media di tutte le interpretazioni, una “buona memoria” che sia il frutto di una conformità uniforme. Al contrario lo scopo fondamentale è quello di interpretare la memoria come un conflitto, come un problema senza lieto fine. Qui si vede l’apporto principale che l’uso pubblico della storia da nel campo di una didattica critica, in una società che aspira a costruire luoghi e spazi di pratiche democratiche, libere dalle logiche funzionali delle democrazie di mercato. Non dobbiamo aver paura del conflitto fra le interpretazioni del passato. Questo, anzi, è un dato positivo se lo vediamo nella prospettiva della formazione critica degli allievi.


7. La dimensione selettiva della memoria

Un atto di memoria individuale implica immediatamente un atto di oblio. Fernando Pessoa diceva che “ricordare è dimenticare”. Lo stesso accade nella vita sociale. E il desiderio di ricordare tutto non può che essere una patologia, come si mostra in Funes el memorioso, il celebre personaggio di Borges che aveva la facoltà/dannazione di non dimenticare nulla.

Per definizione, la educazione critica contiene una volontà di discernere e di discriminare. Per tanto, essa invita sempre a praticare l’accurata arte di separare, scegliere e selezionare.  Occorre riflettere che questa attività dipende direttamente dal desiderio (è ciò che vogliamo, quindi il nostro futuro, che ci suggerisce cosa selezionare). Ogni ricordo cosciente, dunque, implica una ricerca di qualcosa che previamente abbiamo pre-sentito, intuito o desiderato sapere. Insomma, la didattica critica è selettiva e educa al desiderio attraverso la memoria. Di tale esmeraldo cultivo trata la historia con memoria, ossia il desiderio del futuro e il futuro del desiderio.

E se a questo punto vi è venuto il desiderio di leggerlo direttamente, ecco l’articolo dal quale ho preso questi appunti: Raimundo Cuesta, La “Storia con Memoria” y la didattica critica, in “Con-ciencia social”, 15, 2011, pp. 15-30.

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