di Antonio Brusa

Breve descrizione dei popoli europei e delle loro diverse caratteristiche

La Breve descrizione dei popoli europei e delle loro diverse caratteristiche è una delle tre “tavole dei popoli”, prodotte nella regione al confine fra Germania e Austria, nella prima metà del 1700, dopo un secolo di guerre sanguinose, inaugurato dalla più feroce di tutte, quella dei Trent’anni. È una raccolta di stereotipi, ci informa Thomas Schmid, giornalista del gruppo editoriale “Welt”. Non deriva da particolari studi antropologici, ma riflette il senso comune. Di queste tavole circolarono molte copie. Segno che, al principio del XVIII secolo, la gente era abbastanza curiosa sui popoli con i quali condivideva lo spazio europeo.

Breve descrizione dei popoli europei e delle loro diverse caratteristicheBreve descrizione dei popoli europei e delle loro diverse caratteristiche

Stereotipi, certo. Al tempo ci si divertiva a leggerli e a guardare le figurine. Lo spagnolo, in pompa magna, per quanto un po’ triste (era da un pezzo che l’Impero perdeva colpi), l’elegantone francese e l’italiano vestito come il dottor Balanzone, e andando verso est, il tedesco, l’inglese, lo svedese, il polacco e l’ungherese, il russo e il turco, assimilato al greco. In fondo, è proprio l’Europa, come la consideriamo ancora oggi. Ce lo fa notare Schmid, che aggiunge come, man mano che si va verso oriente, gli stereotipi negativi prevalgono su quelli positivi. Con una eccezione per la Polonia, l’unica regione governata da un sovrano eletto, in un continente dominato da re, imperatori e tiranni, come sottolinea Henry Mueller, nel suo commento alla Tavola.

Tutta l’Europa era in guerra. Questo si sa. Ma la crudeltà e la ferocia si trovano a est. In occidente, c’è la scienza della guerra, della quale sono maestri (sempre secondo la nostra tavola) i francesi. I tedeschi, sì, sono insuperabili in battaglia, ma sono di indole pacifica, di carattere franco e, se si vuole sapere proprio ciò che amano, questo è il buon vino, tanto che si farebbero seppellire in una botte piena. Nella tabella seguente potete divertirvi leggendo la traduzione in inglese.

Versione inglese della “Tavola dei popoli”Versione inglese della “Tavola dei popoli”

E l’Italia?

Ovviamente, sarete curiosi di scorrere la colonna dedicata all’Italia. A partire dallo strano nome degli italiani “Waelish” (che dovremmo tradurre “gallesi”). Questo nome deriva dal vallum, l’insieme delle possenti difese che separavano il mondo dei romani da quello dei barbari. Perciò, questi ultimi chiamavano i romani “popoli del vallum”. Di qui, valacchi, valloni e appunto gallesi, dal momento che il Galles (Wales) costituì il più tenace ridotto della romanità al tempo delle invasioni anglosassoni. Perciò, per i popoli germanici (e soprattutto per gli slavi), i waelish sono gli italiani. Ma questi, come venivano considerati nel 1700? Un po’ imbroglioni, furbi, chiacchieroni, lascivi e, forse per questo, malati di sifilide. Erano, si credeva, governati da patriarchi e piuttosto prudenti in guerra, alla quale preferivano il diritto canonico. Abitavano un paese piacevole, ma non lo erano altrettanto nel vestire. Infine, in punto di morte, si sarebbero fatti seppellire in un monastero.

Stereotipi del XIX secolo

Un secolo dopo, questi stereotipi sono in evoluzione. Ne ha raccolti alcuni Shannon Selin, nel suo delizioso blog sulle vicende napoleoniche (che HL regolarmente, come in questo caso, saccheggia). Eccone l’elenco.

Francesi, tedeschi e italiani
"il mercuriale francese, l'ignorante e pigro spagnolo, l'italiano impertinente e, forse, il tedesco entusiasta e guidato dall'immaginazione".
Blackwood's Edinburgh Magazine , Vol. 15, febbraio 1824, pag. 136.

Francesi, inglesi e italiani
“A Parigi ... prendono tutto alla leggera come se nulla fosse importante; il vento soffia via tutto. In Inghilterra le cose e le persone sono sotto un'altra legge morale, e le cose che non hanno alcun valore e nessuna importanza a Parigi, ce l'hanno a Londra. In Italia non ci sono tanti uomini; al contrario, ci sono dei letterati noiosi e pesanti, nonostante l'innata leggerezza del loro carattere nazionale. In Germania tutto tende all'ideologia e un sonno profondo si spande su tutto il resto.”
Clemens von Metternich, in Richard Metternich, ed., Memorie del Principe Metternich, 1773-1815 , Vol. IV (Londra, 1880), p. 97.

Gli americani (non c’entrano, ma è troppo bello)
“[In Austria] un tipo dall'aspetto scontroso chiese i nostri passaporti, e dopo aver dato loro uno sguardo, disse: "Non puoi essere americano; sono tutti neri e non sanno parlare il tedesco."
Seacome Ellison, Prison Scenes’ and Narrative of Escape from France, During the Late War, (London, 1838), p. 176.

Gli austriaci (che mancano nella Tavola dei popoli)
“Gli austriaci non hanno una grande capacità di pensare. Sono molto immorali e superstiziosi. E questi due difetti devono essere ascritti a quella prostrazione totale di intelletto che il loro governo infligge loro.”
John Russell, A Tour in Germany, and Some of the Southern Provinces of the Austrian Empire, in the Years 1820, 1821, 1822 (Boston, 1825), pp. 405-406.

Gli inglesi
“L'inglese non è certamente l'essere più socievole con gli stranieri, la cui conversazione preferisce evitare piuttosto che sollecitare. Quando diventa oggetto delle congetture e delle curiosità di quelli che lo circondano, lo interpreta come un insulto. Al tempo stesso considera poco utile indagare sulle professioni, gli affari, le persone e le opinioni altrui. Perciò, con un'osservazione generica sullo stato del tempo o le ultime notizie, tende a chiudere la conversazione.”
Charles Joseph Latrobe, The Pedestrian: A Summer’s Ramble in the Tyrol (London, 1832), p. 112.

I francesi
“Non dirò, come ho sentito dire spesso, che l'amore per il piacere e il divertimento è la passione avvincente e totalizzante dei francesi, che i principi puri della religione non esercitano alcuna influenza sulle loro azioni, o che i godimenti tranquilli della vita domestica sono loro totalmente sconosciuti. Questo non lo credo, dal momento che ho incontrato un numero sufficiente di casi che dimostrano il contrario; ma è evidente, anche ad un osservatore superficiale, che l'amore per il piacere è portato a un eccesso molto maggiore in Francia, che la religione esercita meno influenza lì che altrove, e che il legame matrimoniale è molto più frequentemente una semplice questione di opportunità tra i genitori, senza alcun riferimento al desiderio reciproco, come in America. Che i francesi superino ogni altra gente in termini di cortesia, è un'opinione generalmente molto diffusa in tutto il mondo. ... la superiorità della cortesia è nei modi, piuttosto che nei sentimenti. Un francese sarà più ossequioso, più educato, senza dubbio; ma non ho notato che sia particolarmente pronto a sacrificare la sua convenienza personale a favore di quella del prossimo.” Caroline Elizabeth Wilde Cushing, Letters, Descriptive of Public Monuments, Scenery, and Manners in France and Spain, Vol. I (Newburyport, 1832) pp. 339-340.

I tedeschi
“Il tedesco ... ha una specie di irrequieta curiosità e voglia di comunicare e di apprendere, unite a una tale scarsa astuzia e semplicità nel gestire i rapporti con gli altri, al punto che sono stato spesso indeciso se sarebbe meglio mostrare una solenne indignazione o un’allegria sincera, al posto di quel singolare miscuglio di impudenza e semplicità, di sicurezza e cortesia, che distingue il tedesco ben educato, quando cerca di soddisfare una sua curiosità.” Latrobe, The Pedestrian, cit. p. 113.

Gli italiani
“In Italia sono licenziosi e irreligiosi … Chiunque potrebbe essere il re degli italiani, purché li rifornisca in abbondanza di spettacoli di marionette e dottori ciarlatani.” Un giovane mercante inglese in A Tour Through Some Parts of Istria, Carniola, Styria, Austria, the Tyrol, Italy, and Sicily, in the Spring of 1814 (London, 1815), pp. 112, 183.

E oggi?

C’è solo l’imbarazzo della scelta. La pubblicistica sugli stereotipi nazionali è diventata un genere, soprattutto visivo. Fra i tanti, si può sfogliare l’atlante disegnato per Alpha Designer dall’artista bulgaro Yanko Tsvetkov nel quale si vede come gli stereotipi europei varino a seconda degli stati. L’Italia, ad esempio, per gli americani “è sinonimo di «mafia e di padrini», per i francesi è la terra di «cugini chiassosi e amichevoli», per i tedeschi, invece è «la terra della pizza e dei musei», per i bulgari la «patria degli spaghetti», mentre l'Inghilterra associa il nostro paese al resto del continente definendolo «l'Impero federale e diabolico d'Europa» (si veda la recensione di Francesco Tortora sul “Corriere” ). Una cortesia che gli italiani (certamente quelli del nord, come appare dalla carta) ricambiano come mostra la cartina.

L'Europa secondo gli ItalianiL'Europa secondo gli Italiani

Si faccia attenzione alla datazione delle carte. Quella italiana è del 2009 e si vede: la Francia “terra di Bruni”, non può che essere quella di Sarkozy, così come è parecchio tempo che la Finlandia non è più il paese dei telefonini, titolo che le è stato ampiamente rubato da Cina e Corea.

In effetti, a dispetto del nome che li vorrebbe eterni (stereotipo vuol dire appunto “carattere di pietra”), gli stereotipi sono piuttosto mutevoli. Infatti, a differenza del 1700, quando la diceria era che non avevano stile nel vestire, gli italiani di oggi sono visti come fashion addicted, e nessuno aggiungerebbe una loro particolare predisposizione al diritto canonico. E, dal canto nostro, avremmo qualche ragione nel dubitare che i nostri progenitori ottocenteschi fossero così irreligiosi come voleva l’anonimo viaggiatore inglese e come, probabilmente, sono oggi. Ma forse, l’esempio decisivo è quello dei tedeschi, che oggi contrassegniamo per il loro carattere militaresco e la loro capacità organizzativa, ma che in passato erano visti piuttosto come romantici, filosofi e amanti del bel vivere.

Da quest’ultima carta si apprende un’altra caratteristica degli stereotipi nazionali. Osservate la Bielorussia o la Moldova: terre incognite. Su di loro non circolano stereotipi, per lo meno in Italia. Un bel guaio, in un consesso di nazioni ormai mondiale. Significa che nessuno ti conosce, ti distingue dagli altri. Gli stereotipi nazionali, infatti, sono attribuiti a popoli che sono, per qualche motivo, conosciuti dalla gente. Quello senza stereotipi si dovrà rassegnare ad essere un popolo fantasma.

La demonizzazione degli stereotipi

Questo rapido viaggio tra i pregiudizi ci informa che i popoli europei erano già “stereotipizzati” al principio del 1700. Non è una conoscenza secondaria (è sempre Schmid che lo ricorda) perché è un segno che le dimensioni dell’Europa erano ben conosciute già tre secoli fa, ed erano ben noti i principali popoli che la abitavano. La presenza degli stereotipi vuole dire proprio che si trattava di “conoscenze familiari”. Certamente gli stereotipi nascono dalla diffidenza verso l’altro, avverte Marco Aime nel suo Eccessi di Culture (Einaudi, 2004, p. 128). E non è difficile crederlo in un continente allora travagliato da guerre continue. Ma non è detto che questa diffidenza si debba sempre tradurre in uno scontro, prosegue. Si può anche convertire in un gioco. In una “diversità scherzosa”, come si vede nell’atlante di Janko Tsvetkov e come, forse, è già nella Tavola dei popoli. Possono dar luogo a uno sfottò reciproco, che lo studioso illustra con diversi esempi, e che abbiamo tante volte sperimentato nella nostra quotidianità. Uno sfottò terapeutico, potremmo dire, necessario quando la storia ci conferma che la convinzione che questi stereotipi si basino su caratteri profondi e immutabili di un popolo è priva di fondamento ed è pericolosa, e – per contro – ci fa capire che sono strutture cognitive che mutano facilmente. Con queste, dunque, si potrebbe giocare – anche didatticamente - con leggerezza e ironia (credo di averlo mostrato in Tradizioni. Gioco di ruolo a squadre su memoria storica, identità e appartenenza e sul potere ambiguo delle invenzioni, B. Mondadori 1996, che ora è stato ripreso e riformulato dai ragazzi di Historia Ludens: rivedrà la luce quanto prima). Forse è un buon suggerimento, in un campo nel quale la “demonizzazione degli stereotipi” rischia di consolidare negli allievi il vero stereotipo, quello della loro inscalfibilità adamantina.

E, per finire, chi vuole la carta della Völkertafel (la Tavola dei popoli) la può ordinare presso l'Ausseer Kammerhofmuseum, Chlumeckyplatz 1, A-8990 Bad Aussee (AT).

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