Autore: Antonio Brusa

 

I duchi di Borgogna e le loro signore. Diversi per l’abbigliamento, pescano in pace nello stesso fiume

 

Fiandre medievali e Belgio moderno

“Quando i giornalisti o i politici dicono che un fenomeno è “medievale” capiamo subito che vogliono darne una connotazione negativa. Essere medievale, infatti, è “essere indietro con i tempi”, ma non nel senso tranquillizzante del vintage o del retro. “Medievale” vuol dire “ignorante”, con tutto ciò che a questo aggettivo è connesso: l’intolleranza, la sporcizia, la superstizione. Un concetto come “multiculturalismo medievale”, perciò, sembra in contraddizione con l’idea che tutti abbiamo di medioevo”.

E’ proprio questo lo stereotipo che viene sfatato da Adrian Armstrong, nelle pagine di “History Today”, rivista inglese di storia che interpreta la divulgazione in maniera intelligente, perché non soltanto presenta gli argomenti in modo discorsivo e gradevole, ma, soprattutto, perché mostra aspetti e fatti della storia che ci mettono in discussione. Medioevo tollerante o no? Per rispondere Armstrong ci suggerisce di confrontare la situazione odierna del Belgio con quella del Basso medioevo. Negli ultimi decenni, dice, in Belgio si è affermata la tendenza alla divisione fra quelli che parlano fiammingo (Dutch, precisa) e i francofoni. Spazi, persone, scuole, amministrazione sono separati in modo ossessivo, al punto che certi impiegati di Bruxelles, quando iniziano una conversazione con un cliente che non conoscono, attaccano con l’inglese, per evitare di cominciare con la lingua regionale sbagliata. “Andate indietro di cinquecento anni, ci esorta lo studioso, e troverete una situazione alquanto diversa”.

Anche allora, quando la casa di Valois dominava il ducato di Borgogna (1364-1482), la regione era spartita fra chi parlava francese e chi parlava olandese, più o meno come oggi: ma gli scambi di merci, di scritti e di persone spingevano fortemente per il multilinguismo. Un ufficiale del Duca, ad esempio, era favorito nella sua carriera se conosceva entrambe le lingue. Spesso, perciò, la gente mandava i figli presso famiglie che parlavano l’altra lingua. Questo era vero, in particolar modo, per chi viveva di scrittura: poeti, storici, letterati. Per tutti gli altri, funzionava un formidabile apparato di traduttori. Non ci si limitava alle due lingue regionali. Vi erano città multilingue, come Ghent (Gand) e Brugge (Bruges), abitate da inglesi, catalani e, aggiungiamo noi, lombardi, genovesi e fiorentini, tedeschi, ebrei, scandinavi.

Armstrong sottolinea che questi scambi linguistici da una parte arricchivano il linguaggio materno, e, dall’altra, incoraggiavano il rispetto degli altri. Certo – avverte - questa diversità di lingue creò, a volte, incomprensioni e fratture. Ma queste vennero viste come sfide da vincere, più che come barriere invalicabili.

“E tanto basti, ecco la conclusione dello studioso, per il Medioevo intollerante”.

 

Proviamo a generalizzare

La prima avvertenza è quella di non cadere nell’eccesso opposto, quello di immaginare un Medioevo con i colori dell’arcobaleno. La convivenza fra diversi (per lingua, costumi, provenienza, mestieri, religione) è indubbio che provochi dei problemi (ieri come oggi). La differenza fondamentale tra oggi e il Medioevo è che tale varietà culturale tende sempre più ad assumere un valore politico. E questo sia in negativo, quando si traduce in diseguaglianza giuridica e stigmatizzazione; ma anche in positivo, come rivendicazione o come riconoscimento sociale della diversità, prodotta paradossalmente anche da interventi di apertura interculturale. Nel Medioevo, questo non c’era. Un qualcosa di simile al nostro “culturalismo politico” è difficile trovarlo, se non a sprazzi. Un esempio che ci può riguardare è quello dei Vespri siciliani (1282), nel quale, secondo David el Kenz, nel suo Le Massacre objet d’histoire, si consumò la prima di quella lunga serie di carneficine “etniche” che ha insanguinato il secondo millennio europeo.

Come più volte ha sottolineato Giuseppe Sergi (L'idea di Medioevo. Fra luoghi comuni e pratica storica, Donzelli, Roma 1999), le città medievali sono organismi aperti. Un osservatore contemporaneo rimarrebbe sopreso (soprattutto nella sua visione supponente del Medioevo) nel vedere gente vestita con abiti esotici – chi andava con una tunica lunga, chi con un gonnellino corto a far vedere le gambe, chi con una larga fascia intorno alla vita, riconoscibile perfino dal taglio dei capelli. Si aggirerebbe fra quartieri e strade diverse, ascoltando lingue e guardando cerimonie sacre particolari. Gli ebrei medievali, per toccare un argomento ormai affrontato in tutti i manuali, non erano “i diversi”, perché c’erano molti “diversi”, al punto che Federico II e Innocenzo III, al principio del XIII secolo, dovettero inventare un simbolo (una rotella) per contrassegnarli. Qui gli orientali e qui i veneti o i pisani, lì le comunità provenienti da una qualche località del contado (parlavano lingue proprie e avevano santi “tribali” anche loro). E poi gli slavi, i tedeschi, i francesi o gli aragonesi e tutti gli altri, con l’avvertenza che queste sono generalizzazioni contemporanee, perché allora si era di Cahors, delle Baleari o di Barcellona ... Potrebbe dire, il nostro visitatore, se bendisposto, che è come trovarsi oggi a Londra; oppure, potrebbe esclamare, disgustato, che è come nei paraggi della stazione di Milano o di Roma.

Il dilemma “tolleranza/intolleranza” appartiene alla prima età moderna. Nasce, quindi, con qualcuno dei secoli dorati, che molte nazioni europee hanno canonizzato come momenti gloriosi del proprio passato: il Cinquecento in Italia, il Seicento in Spagna o in Francia. Si afferma con le guerre religiose e con il sanguinoso costruirsi degli spazi omogenei – i territori statali – durante il quale si consumarono pulizie etniche e trasferimenti forzati di popolazione. Gli stati europei ottocenteschi hanno, poi, messo a punto un modello di “sovrapposizione” fra spazio e popolo, nel quale ogni “cittadino” è contrassegnato da una “carta di identità”. E’ questo lo “schema di cittadinanza” che i nostri tempi stanno mettendo in crisi, spingendoci a soluzioni che, come quella raccontataci da Armstrong, non appaiono sempre baciate dalla razionalità.

Per restare nello spazio belga, quando andai a Lovanio, da giovane e fervente medievista espressi il desiderio di visitarne la celebre biblioteca. Ma Lovanio, ormai, erano due: Leuwen e Louvain. Le due nuove università si erano spartite la vecchia. Anche la biblioteca. Come avete fatto, chiesi? Hai ragione, mi rispose il collega. Non esiste un sistema per dividere in modo razionale quel patrimonio culturale. Perciò, abbiamo fatto così: i numeri dispari a una e i pari all’altra.

Quindi - è la mia conclusione –se per molti il Medioevo è intollerante, con quale aggettivo dovremmo definire la nostra società?

 

Adrian Armstrong, Tolerant and Diverse: a Different Picture of the Middle Ages, in “HistoryToday”, 2015, 66, 6, 7, pp. 3 s. Anche online: http://www.historytoday.com/adrian-armstrong/different-picture-middle-ages

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