di Antonio Brusa

Indice:

  1. Perchè studiare la porcellana?
  2. Il quadro storico-geografico. La via della seta e la via della porcellana
  3. La porcellana. Che cos’ è e a che cosa serve
  4. Un modello storico di grande complessità
  5. I rapporti con l’occidente. Quando il tarocco fa la storia
  6. Come si trasforma una mostra in un laboratorio didattico

  1. Perché studiare la porcellana?

A Lucera ci sono le prime testimonianze dell’arrivo della porcellana in occidente. Ce ne parla Francesco Abbate, nella sua Storia dell’arte nell’Italia meridionale (Donzelli, Roma 1998, p. 239). Sono pochi frammenti, frutto degli scavi nella fortezza Svevo-Angioina che domina la città: ma sono sufficienti per farci immaginare che Federico II, sempre alla ricerca di quanto di più favoloso si potesse allora immaginare, sia riuscito a ottenerlo prima degli altri potenti di Europa. Fu favorito, forse, dalla comunità musulmana che popolava Lucera, attivissima nella produzione e nel commercio della ceramica.

 

Nel museo civico di Lucera sono esposti questi due straordinari piatti, dipinti da artigiani musulmani

 

Per i ricchi del tempo, i manufatti di porcellana avevano un qualcosa di miracoloso. I geografi musulmani ci spiegano il perché. Erano trasparenti come l’acqua – scrivevano -; ci si poteva cucinare, friggere anche, eppure erano leggeri e resistenti. E, per quanto di argilla, se venivano colpiti con le nocche, risuonavano come se fossero di metallo. Al pari della seta, la porcellana era il prodotto cinese più desiderato da ogni signore che abitasse l’Antico Continente. Ma, a differenza della seta, i cui segreti vennero trafugati in occidente intorno al 500 d.c (al tempo di Giustiniano), i cinesi ne riuscirono custodire il monopolio sino alla fine del Medioevo.

 

L’autore di questa miniatura araba ci fa sapere che i vasi di ceramica sono così preziosi che, se il padrone non fa attenzione, i ladri se li portano via

 

La porcellana è un oggetto mondiale per due ragioni principali. La prima è che fu un prodotto destinato al mercato del lusso continentale. La seconda consiste nel fatto che i cinesi importarono dall’Occidente e dall’Asia Centrale forme, motivi e colori, che contribuirono a creare quell’arte decorativa, così apprezzata dagli artigiani del tempo, da essere imitata sia nel mondo islamico, sia in quello europeo.

Un manufatto di ceramica è un concentrato di cultura, di simboli, di tecnologia e di valori che provengono da molte parti del continente eurasiafricano. La rete di scambi, antica e ramificata, che ne caratterizza la storia, mette in connessione i mondi mediterranei, quelli islamici e indiani, i mondi centro-asiatici e quelli estremo orientali, cinese e giapponese. Perciò, seguendo in classe i percorsi della porcellana, abbiamo un quadro vivo della storia mondiale e, al tempo stesso, la possibilità di proporre la questione storica dell’intercultura in un modo concreto e comprensibile. Inoltre, la porcellana ci aiuta a tracciare una storia di lungo periodo, per grandi campiture, utile nelle procedure di sistemazione e di organizzazione cronologica degli argomenti studiati. Infine, ci dà la possibilità di attivare interessanti collegamenti interdisciplinari fra storia, geografia e materie artistiche e scientifiche.

  1. Il quadro storico-geografico. La via della seta e la via della porcellana.

Gli scambi continentali avvenivano attraverso due corridoi, uno settentrionale e l’altro meridionale. Quello a nord era terrestre: la via della Seta. Quello a sud attraversava l’Oceano indiano. A nord, le merci venivano portate a dorso di cammello. A sud, invece, si sfruttava la regolarità dei monsoni. La via della seta era percorsa da mercanti di varia nazionalità (soprattutto iranici e tribù centro-asiatiche; ma non mancavano indiani, arabi e qualche emissario imperiale, cinese o bizantino). La via dell’Oceano era gestita da mercanti/marinai occidentali (iranici, indiani e soprattutto arabi). Ma, a partire dal IX secolo, iniziò la concorrenza dei mercanti cinesi, i quali potevano allontanarsi dalla loro patria solo per nove mesi. In pratica avevano il tempo di inoltrarsi soltanto fino all’India e tornare indietro.

 

La cartina raffigura la mappa del lungo periodo degli scambi Est/Ovest, a partire dall’impero romano e della dinastia Han (III secolo a.C). Questi percorsi restano pressocché inalterati fino all’arrivo nell’oceano indiano delle marinerie portoghesi, olandesi e inglesi, che ne deviano una parte notevole verso l’oceano Atlantico, tagliando fuori il Mediterraneo.

 

La ceramica viaggia normalmente sulla via dell’oceano: le navi, infatti, possono imbarcare grandi quantità di manufatti, che vengono stipati in modo da non rompersi. Per questo, la via dell’oceano viene chiamata anche “la via della porcellana”. Queste due strade – della seta e della porcellana - sono antichissime, ma si stabilizzano verso l’VIII secolo, al tempo degli Abbassidi in occidente (750-1258) e dei Tang in oriente (618-907). L’asse preferenziale della via della seta collega Bagdad con le capitali cinesi (da Lanzhou a Xian e, alla fine, Khanbalik-Pechino). La via della porcellana, invece, ha i suoi terminali occidentali in Bassora (odierno Iraq) e Alessandria in Egitto, mentre i suoi terminali orientali vanno da Canton (Guangzhou) nella Cina meridionale a Yangzhou, in quella settentrionale. Con il dominio mongolo, e la conseguente pax mongolica, la via della seta si consolida, anche perché genovesi e veneziani rafforzano le loro basi sul mar Nero (Caffa, Tana e Trebisonda) e, quindi, saltano l’intermediazione musulmana e bizantina, mettendo in contatto diretto Cina e Europa. La via della porcellana, invece - dopo i tentativi pionieristici di Marco Polo, e le grandi spedizioni dell’ammiraglio cinese Sheng-he -, al principio del XV secolo viene monopolizzata dalle potenze occidentali: prima il Portogallo, poi l’Olanda e l’Inghilterra.

 

Nell’826, un battello arabo affondò in una tempesta, presso le coste indonesiane: un po’ come viene raffigurato in questa miniatura araba. Il battello in questione trasportava un carico di sessantamila ceramiche.

 

  1. La porcellana. Che cos’è e a che cosa serve.

Cuocendo l’argilla a temperature diverse si ottengono diversi tipi di ceramica. La terracotta normale, porosa, è quella che si ha con le basse temperature (fino a 1000°). A 1250°, l’argilla acquista una consistenza vetrosa e diventa durissima: è il grès. La porcellana si ottiene a un calore più elevato, intorno ai 1300°. Questo lo vedevano i mercanti stranieri, ansiosi di scoprirne i segreti di fabbricazione. Quello che sfuggiva loro era il tipo di argilla necessaria: il caolino. Si tratta di un’argilla molto fine, che veniva depurata accuratamente e per lungo tempo, utilizzando polvere di feldspati (quarzi e silicati). Questa polvere, inoltre, mescolata con acqua, poteva essere spalmata sul manufatto. A temperature altissime fondeva e creava un rivestimento vetroso molto apprezzato.

Era questo il procedimento che, fino al 1500, gli artigiani occidentali cercarono invano di copiare. Nei loro tentativi di imitazione si servivano dell’antica tecnica dell’ingobbio (argilla molto fluida che veniva spalmata prima della cottura); oppure del lustro, una sorta di rivestimento con sostanze particolari, che - a cottura avvenuta – rendeva il manufatto un po’ simile alla porcellana. Oppure, come si tentò in Italia, ricoprendo il manufatto di smalti, e ottenendo una maiolica lucente come la porcellana. Di questo gioco di scambi e di imitazioni è testimonianza il lessico tecnico della ceramica.

 

Nome occidentale

Significato

Cina

Islam

Caolino

Argilla finissima

Gaoling, le “alte colline” a nord di Jingdezhen, di dove si estraeva l’argilla per la porcellana

 

Petuntze, o “la fritta”

Polveri di feldspati, mescolati con acqua

Baidunze, “blocchetti bianchi”

 

Albarello

Il tipico vaso delle antiche farmacie, con i decori blu (imitazione di porcellana)

 

Al-barani: contenitore di spezie

 

Zaffera

Maiolica bianca toscana decorata in blu cobalto

 

Al-safra: cobalto

 

I manufatti di ceramica sono commerciati da tempi antichissimi sia su distanze corte e sia su distanze medio-lunghe. Essi sono molto diversificati, sia per l’uso sia per i costi. Ci sono contenitori per olio, vino, grano e altre merci; oppure vasellame di uso quotidiano. Ma ci sono anche prodotti di alto livello artistico e di pregio. Ovviamente erano questi gli oggetti che venivano commerciati sulle distanze medie e lunghe. A partire dall’VIII secolo, quando compare la porcellana, la sua raffinatezza conquista rapidamente i mercati occidentali, e, rapidamente, diventa un bene da commerciare sulle lunghissime distanze, al pari della seta, delle spezie, dell’avorio e dei metalli pregiati.

  1. Un modello storico di grande complessità

La porcellana viene inventata, dunque, al tempo della grande dinastia Tang, ma sembra che la sua produzione in grande quantità inizi nel XII-XIII secolo, a Jingdezhen. Dunque, sia la sua invenzione, sia la sua diffusione giungono al termine di un lunghissimo processo. Di questo è interessante ricostruire, qui, gli elementi costitutivi, lasciando agli appassionati il compito di informarsi sulle sue fasi.

Vi è innanzitutto un modello produttivo interno. La Cina, territorio immenso, è divisa in diverse regioni, spesso in conflitto e in concorrenza fra di loro. In particolare, per l’arte ceramica, si combattono gli stili e gli artigiani settentrionali e meridionali. Ognuno tenta di prevalere sull’altro. Ci si copia, oppure, come succede a seguito delle invasioni mongole, gli artigiani del nord si rifugiano nelle regioni meridionali, favorendo processi di contaminazione industriale. Lo Shanxi, la regione dove si trovano le grandi manifatture del XIII secolo (Jingdezhen) si trova nel cuore dell’impero, ed era, come abbiamo visto sopra, uno dei terminali della via della seta. Di qui dunque partivano le carovane cariche di ceramiche, dirette verso occidente o verso i porti sul mar della Cina.

 

 

La porcellana, nonostante la sua raffinata bellezza, fatica a essere accettata dalle élites cinesi come bene di lusso dello stesso rango della seta, dell’oro e della giada. E’ considerata di un gradino inferiore. Al contrario, essa piace in occidente. Quindi è l’enorme richiesta del mercato estero che la fa salire nella considerazione sociale, fino a quando la dinastia Ming (1368-1644) ne assume il controllo della produzione, riconoscendone la natura economica strategica.

L’estetica della porcellana è determinata sia dalle caratteristiche fisiche del materiale, sia dalle forme e dalle decorazioni. Anche questa costruzione culturale è frutto dell’interazione fra la complessità interna, e la complessità dei rapporti con il continente eurasiatico. Ad esempio: l’affermazione del confucianesimo (fatto interno) porta a privilegiare la semplicità delle forme e l’essenzialità dei disegni; l’introduzione del buddhismo dall’India trascina con sé la fortuna del loto, il fiore dell’immortalità, che diventa elemento essenziale del decoro ceramico e distintivo dell’arte cinese. Alle enciclopedie simboliche iraniche la Cina deve animali e decori floreali. Al mondo arabo l’amore per gli intrecci in simil-scrittura. All’occidente mediterraneo, la gorgone, le palmette e le ballerine. Ci sono delle tecniche, che, giunte dall’Occidente, vengono assimilate dagli artigiani cinesi, come l’ageminatura (inserzioni metalliche nella superficie ceramica). Giunge da occidente anche il colore, che per noi distingue le porcellane cinesi. E’ il blu. Esso si ricava dal cobalto, scoperto e usato dai sumeri (intorno al 2500 a.C) e, da quei tempi antichissimi, diventato il colore più amato nell’Asia Occidentale. Il mondo islamico ne era innamorato. Di qui la forte domanda di ceramiche, e di porcellane dipinte di blu. E questo indusse le manifatture cinesi a incrementare la loro produzione, magari a scapito di quella bianca e marrone, o policroma, che aveva caratterizzato le prime fasi della produzione ceramica. Così, quando nel XIV secolo si affermano definitivamente le porcellane bianche e blu, sappiamo che ciò dipende dal fatto che il gusto cinese si è definitivamente trasformato sulla spinta di quello occidentale.

Da occidente arrivano anche le bevande. In Cina si bevevano tè e distillati di riso e di altri cereali. Il vino arriva durante la dinastia Tang, e con esso i suoi recipienti tipici: le fiasche, il rhyton, e una pianta ideale per le decorazioni: la vite.

 

In occidente è ben conosciuto il rhyton, un recipiente a forma di corno, variamente decorato, che serviva per bere vino. Lo vedete a sinistra. Accanto un rython fabbricato in Cina al tempo della dinastia Tang

 

Sempre ai Tang risale questa figurina, che rappresenta un mercante di vino, con la fiasca. E’ un occidentale: lo si capisce dal naso piuttosto grosso, con il quale venivano rappresentati di solito gli stranieri.

 

 

Questo piatto, di porcellana bianca e blu, che rappresenta uva e decori di vite, risale al principio del XV secolo (dinastia Ming)

  1. I rapporti con l’occidente. Quando il tarocco fa la storia.

La porcellana era costosissima e per di più poteva rompersi nel viaggio. Chi fosse riuscito a produrla in loco, avrebbe sicuramente fatto la sua fortuna. Questo semplice ragionamento spinse i sovrani , i mercanti e gli artigiani ad ogni sforzo, pur di carpirne i segreti della produzione. E, in mancanza di questi, a inventare ceramiche che in qualche modo assomigliassero alla divina porcellana. Furono secolo di tentativi, che, per quanto fallimentari, portarono però a scoprire nuovi modi di impastare e cuocere l’argilla, a nuove combinazioni di materiali, a nuove forme decorative. Nel IX secolo i vasai irakeni provarono a imitare la porcellana, modellando dei vasi bianchi, che dipinsero di blu. Un successo mondiale: questo tipo di decorazione viaggiò verso oriente e, come abbiamo visto, conquistò alla fine lo stesso gusto cinese. La porcellana è lucente. Per riprodurre questa caratteristica, i vasai musulmani inventarono un impasto di minerali quarziferi, che spalmati sull’argilla, prima della cottura, creavano un effetto lucido molto bello. Non era porcellana, certo: ma il “lustro” diventò un nuovo segreto di produzione, che dal mondo islamico giunse in Italia. Con la “fritta”, un impasto inventato appunto nel mondo musulmano, si modellavano gli albarelli, i vasi che vediamo ancora oggi nelle farmacie antiche, copiati in tutto il mediterraneo, al punto tale che troviamo simboli fiorentini nel vicino oriente e decori musulmani nei vasi toscani.

 

Uno accanto all’altro, un albarello musulmano, prodotto a Damasco, che esibisce al centro un giglio fiorentino; e un albarello toscano, decorato con l’imitazione di una scritta araba

 

 

Quando, infine, le marinerie olandesi e inglesi decretarono il successo mondiale delle porcellane cinesi, furono quelle con le decorazioni blu che ne diventarono il simbolo.

  1. Come si trasforma una mostra in un laboratorio didattico

Le immagini e le informazioni con le quali ho costruito questo percorso sono ricavate dalla mostra “Sulla via della seta”, aperta presso il Palazzo delle Esposizioni, a Roma fino a marzo 2013. Si può sfruttare didatticamente una mostra in molti modi. Se, come in questo caso, è ben fatta, la si può godere così come i suoi progettisti l’hanno realizzata, lasciandosi prendere dai documenti, dalle ricostruzioni magnifiche, dagli oggetti esposti e leggendo con attenzione le scritte. In classe (prima o dopo la visita, a seconda della strategia didattica adottata), se ne cercherà di trarre qualche frutto, facendo dei collegamenti con il programma, avviando una discussione su un tema sollecitato dalla visita (in questo caso il meticciato culturale sarebbe fra i più idonei); e così via.

Il modello che ho proposto in questo percorso è diverso. Ho isolato un solo tema, e per far questo ho selezionato e aggregato informazioni da diversi “capitoli” della mostra. Ho aggiunto qualche strumento didattico, come una cartina (avrei potuto disegnare anche un cronogramma: ma lo lascio al docente che voglia sperimentare questo percorso) e ho esplicitato alcuni paragoni, spesso sottesi nelle didascalie e lasciati all’intuizione o alla cultura del visitatore. Infine ho costruito il testo sulla scorta di due fili conduttori: la geostoria e gli scambi culturali, semplificando e riordinando il testo originario del catalogo, a partire dal contributo che Alexandra Vexel ha dedicato alla ceramica (Da Oriente a Occidente e ritorno: la porcellana cinese nel mondo medievale, pp. 199-202). Per chiudere il dossier didattico, estrapolo e ricopio alcuni documenti scritti. Insieme con quelli iconografici, potrebbero costituire la base per un laboratorio interessante. Suggerisco una procedura molto semplice. L’insegnante riproduce i documenti che ho trascritto di seguito e ne da una copia a ciascun allievo, o a ciascuno dei piccoli gruppi nei quali avrà suddiviso la classe. Introduce brevemente l’argomento e lascia qualche minuto di tempo agli allievi per dare uno sguardo alla documentazione. Poi fa una normale lezione sulla porcellana. La gara che lancia è la seguente: gli allievi o i gruppi, quando pensano che sia opportuno citare un documento, alzano la mano, interrompono la lezione e spiegano in che modo quel documento particolare potrebbe essere utile, proprio a quel punto del discorso. Gli altri possono contestare e proporre alternative. La lezione può essere arricchita, anche, dalla proiezione sulla lim delle immagini che qui presento (non possono essere stampate a causa della bassa risoluzione: nel caso occorrerà farne una scansione apposita dal catalogo).

Al termine dell’intervento didattico si propone di riorganizzare il discorso attraverso la costruzione di un cronogramma, sul quale si potranno inserire sia i documenti, sia le immagini. Questa lezione può essere indipendente dalla visita alla mostra. Ma, se fatta prima, credo che possa creare negli allievi una curiosità sufficiente a gustarsela da soli, come dovrebbe essere, senza l’aiuto di una guida.

Ed ecco la piccola raccolta di documenti (solo leggermente modificati):

 

a.

“Secondo i regolamenti governativi sulla navigazione marittima, le imbarcazioni più grandi possono portare diverse centinaia di persone e quelle più piccole anche più di cento. I prodotti sono soprattutto ceramiche, accatastate in serie e poste una accanto all’altra, senza quasi lasciare spazio”

(Zhu Yu, figlio del sovrintendente di un porto cinese, XI secolo)

b. “I cinesi hanno un’argilla fine di cui producono coppe per le bevande fini come il vetro. Attraverso queste coppe si può vedere il bagliore dell’acqua, anche se sono di argilla”

(Sulaiman, mercante arabo )

c.

I cinesi hanno recipienti in porcellana trasparente in cui possono anche cuocere il cibo, in modo da servire dapprima come pentola, poi come padella per friggere e infine come scodelle per mangiare”

(AT-Ta’libi, scrittore persiano, XI secolo)

d.

“Il vasellame cinese è fatto dalla terra delle montagne che bruciano il fuoco come il carbone; aggiungono poi una pietra che hanno e bruciano tutto sul fuoco per tre giorni. Poi spargono acqua su tutto, in modo che diventi di nuovo terra. Poi lo portano alla fermentazione. La migliore argilla è quella fermentata per un mese intero. E viene esportata in India e in altri paesi, fino a che non arriva da noi nel Maghreb.”

(Ibn Battuta, geografo musulmano, XIV secolo)

e.

A Paolo di Gerardo lascio un boccaletto con un coperchio che si dice di porcellana, ma è di vetro, del valore di due once. E a Baldo de Baldis lascio due scodelle di porcellana, da quindici tarì”

(Testamento di Maria, regina di Napoli, XIV secolo)

f.

“10 schodelle di porciellana: 8 bianche picchole e 2 co’ fogliami azzurri”

(Ordine di acquisto di Filippo Strozzi, fiorentino, XV secolo)

g.

“Gli arabi chiamano cinesi tutti i recipienti rari e cose simili, qualunque cosa possano essere, perché la Cina è particolarmente rinomata per i suoi oggetti pregiati”

(AT-Ta’libi, scrittore persiano, XI secolo)

h.

“Esiste anche del vasellame decorato sotto l’invetriatura con un disegno in azzurro o nei cinque colori, ma è della massima volgarità”

(Cao Zhao, storico cinese, XIV secolo)

i.

“E in questa provincia à una città ch’à nome Tinuguise, che vi si fa le più belle scodelle di porcelane del mondo; e no se ne fa in altro luogo del mondo, e di qui si portano da ogni parte”

(Marco Polo, XIII secolo)

 

Il bellissimo catalogo fornisce materiali per altri lavori, che qui suggerisco, sperando che possano trovare qualche realizzatore:

- Un confronto fra le cinque città simbolo della via della seta. Sono Istanbul, Baghdad, Samarcanda, Turfan e XI’an. Belle descrizioni e belle immagini permettono un lavoro di costruzione di uno schema di lettura della città, credo molto utile in una programmazione, anche a prescindere dall’argomento particolare della mostra.

- Percorsi analoghi, sugli oggetti: la seta, il vetro, i metalli. Sono i vari capitoli del catalogo. Tutti presentano un oggetto analogo alla ceramica: materiali che hanno costruito il mondo e che, perciò, testimoniano di scambi, meticciati, concorrenze e conflitti.

- Un percorso sui mercanti italiani, a partire da Marco Polo: a partire dai testamenti è possibile ricostruire i prodotti e gli interessi dei mercanti del tempo.

Il catalogo è pubblicato da Codice Edizioni (Torino, 2012).

 

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