di Emanuele Curzel e Marina Gazzini

Indice

1. Operazione Meme in Università (OMU)

2. Qui Trento: il Maestro Yoda vivo è, e con noi lotta

3. A voi Milano: un anno vissuto pericolosaMeMente

4. Cosa resterà dell’OMU?

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1. OPERAZIONE MEME IN UNIVERSITÀ (OMU)

01Fig. 01 02Fig. 02 03Fig. 03 04Fig. 04 05Fig. 05 06Fig. 06 07Fig. 07 08Fig. 08 09Fig. 09 10Fig. 10 11Fig. 11
Meme di E.B. – 5/5 per la coerenza con il contesto, 4/5 per la rilevanza, 6/10 per il soggetto iconico, 10/10 per la qualità del linguaggio, totale 25/30.
12Fig. 12
Il vincitore (meme di F.Z.)
13Fig. 13 14Fig. 14 15Fig. 15 16Fig. 16 17Fig. 17 18Fig. 18 19Fig. 19 20Fig. 20 21Fig. 21 22Fig. 22 23Fig. 23 24Fig. 24 25Fig. 25 26Fig. 26 27Fig. 27 28Fig. 28 29Fig. 29 30Fig. 30 31Fig. 31 32Fig. 32 33Fig. 33 34Fig. 34 35Fig. 35 36Fig. 36 37Fig. 37 38Fig. 38 39Fig. 39 40Fig. 40 41Fig. 41

L’uso dei memi a fini didattici, nel contesto educativo italiano1, è pratica assai poco diffusa, per quanto certamente attestata2 e in diverse discipline3. Sebbene non esistano statistiche ufficiali, sondaggi condotti da chi scrive hanno consentito di verificare che, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, sono pochi i docenti che utilizzano questo strumento nelle proprie lezioni, vuoi autoproducendolo, vuoi sollecitandone la composizione da parte degli studenti.

Se dalla scuola ci si sposta all’università, allo stato attuale della ricerca, non si è rinvenuta traccia di eventuali iniziative in tal senso che abbiano trovato applicazione in corsi accademici (fig. 01).

Questa è la ragione per cui è parso potesse suscitare qualche interesse offrire un resoconto di recenti esperienze di cui si sono fatti promotori Emanuele Curzel, professore di Storia medievale e di Storia del Cristianesimo e delle Chiese presso l’Università di Trento, e Marina Gazzini, professoressa di Storia medievale e di Comunicazione storica e public history presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 2020 e 2021, infatti, la Didattica a Distanza, resasi necessaria per fronteggiare l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Corona virus, ha offerto a entrambi l’occasione per sperimentare l’uso dei memi nella didattica universitaria della storia. Nel presente intervento, ognuno dei due docenti racconterà in prima persona i motivi che lo hanno spinto a adottare i memi e le modalità con le quali se ne è servito. Insieme cercheranno infine di trarre qualche considerazione sui memi didattici sia come motore di discussioni e confronti, sia come elemento accessorio per la verifica dell’apprendimento.

2. QUI TRENTO: IL MAESTRO YODA VIVO È, E CON NOI LOTTA

2.1. Francesco Filippi ha fatto anche cose buone (marzo 2020)

Già conoscevo il gruppo “Feudalesimo e Libertà”, che non mancavo di citare nei miei corsi introduttivi come esempio ironico di riproposizione ed esasperazione di luoghi comuni e stereotipi sul medioevo. Ma a spingermi a riflettere sull’opportunità di inserire i memi all’interno della didattica sono state soprattutto le provocazioni di Francesco Filippi. Filippi è autore che ormai ha raggiunto con merito la notorietà nazionale grazie ai suoi libri dedicati alle idiozie che si dicono sul fascismo, ma forse non tutti sanno che a suo tempo mi aveva avuto come correlatore di tesi triennale di storia medievale. Filippi però non fa solo il debunker delle bufale propagandate dalla destra nostalgica: egli osserva e ragiona da anni su come i social abbiano avuto e abbiano tuttora un ruolo di primaria importanza nel rafforzare o modificare le convinzioni di un gran numero di persone, con ovvie conseguenze sul piano delle conoscenze diffuse tra giovani e meno giovani e tutte le ricadute del caso sul piano sociale e politico. Ho allora invitato Filippi all’Università di Trento per parlarne. Il titolo dell’appuntamento suonava come quello di un volume sul tema (che peraltro non avevo letto)4.

Parentesi. Per la locandina (fig. 02), ho puntato su un ospite fisso dei social, ossia il gatto. In questo caso si trattava del poi compianto Ambo (2007-2020), sette kg di mezzo-norvegese, che fece il record di like sulla mia pagina Facebook. Il font del titolo, appositamente selezionato, ammiccava agli interessi storiografici di Filippi.

L’incontro fu interessante e partecipato, e raccolse anche l’apprezzamento di svariati colleghi. Il relatore parlò di teoria, certamente: ma soprattutto fece capire l’impatto positivo che questa modalità comunicativa poteva avere anche in ambito didattico.

Era il 2 marzo 2020: gli ultimi giorni prima del lockdown. Nel contesto della frettolosa didattica a distanza che dovemmo inventare nelle settimane successive, mi sembrò una buona idea introdurre i memi. Nelle mie intenzioni si trattava di un modo con cui una DaD altrimenti pesantissima poteva essere alleggerita. Chiesi ai miei figli cosa un boomer poteva tecnicamente usare allo scopo. Risposero: Meme Generator, ma non vogliamo vedere i risultati.

2.2 The most boring didactics in the world (marzo-maggio 2020)

Il corso della laurea triennale che dovetti improvvisamente modificare in quei giorni di marzo 2020 – passando alla DaD – era a scelta libera, per pochi intimi: di fatto era una storia della regione trentino-tirolese nel medioevo (ci si illude che siano in tanti a essere interessati alla storia del proprio territorio, a maggior ragione nelle aree di confine a forte identità: ma non è mica vero).

Qualche settimana dopo cominciò, completamente a distanza, il corso di Storia medievale per la Laurea Magistrale: un corso monografico che avevo pensato di dedicare ai canonici delle cattedrali.

In entrambi i casi decisi (sbagliando) che avrei fatto DaD in asincrono: io registravo e caricavo audio e slides, gli studenti ascoltavano (?) quando volevano e (raramente) mi scrivevano qualche domanda; insomma, poca interazione e (almeno per me) molta noia.

Inventarsi un meme, senza tante riflessioni teoriche, serviva (nelle mie intenzioni) a far capire qualche passaggio della storia regionale e a far memorizzare in modo semiserio i nuclei delle mie argomentazioni sul tema del corso, aggiungendo al tutto un po’ di ironia (sono una persona divertente? Non sono certo io a doverlo dire). Per farli ho cercato di alternare “sfondi classici” da meme (figg. 03, 04) e immagini invece più pertinenti al corso stesso (fig. 05). Se tutto questo abbia avuto successo nel corso della LT, non l’ho mai saputo. Ogni tanto ne mandavo qualcuno ad amici e colleghi, ma non so se le reazioni divertite fossero esito di reale apprezzamento o di educato imbarazzo.

Giunto a maggio e al corso della LM, ho deciso allora di rendere i miei memi parte integrante dell’esame: tutti gli studenti, prima di presentarsi, dovevano comunicarmi la classifica dei cinque migliori e dei cinque peggiori tra i trenta che avevo loro proposto; all’esame, una delle domande consisteva proprio nel chiedere loro perché avessero posto in classifica questo o quel meme.

2.3. Who you gonna call? (giugno-luglio 2020)

Nel corso degli esami del corso LM tutti/e gli/le studenti mi dissero che i memi erano piaciuti (ovvio, all’esame direbbero qualunque cosa pur di raggiungere il loro obiettivo). La classifica (sia in positivo sia in negativo) era però interessante, ed è stata la prima occasione per giudicare il lavoro che stavo facendo.

Primo dato: il ‘mercato’ dei memi è, per quanto ampio, poco permeabile. L’immagine efficace deve – con qualche eccezione – somigliare a quelle che già circolano. Insomma, meglio Tom Hanks, Usain Bolt o Bernie Sanders che Innocenzo III o altre immagini che vengono dal medioevo (o dai medievalismi). I memi più apprezzati sono quelli che attraggono gli occhi dello spettatore – in qualche caso persino lo rassicurano: cosa c’è di meglio di Leonardo di Caprio/Gatsby che ti offre ammiccante una coppa di champagne? (fig. 06) – e lo accompagnano nel passato con la breve parola scritta, generando un effetto parodico e anacronistico che non minaccia con la sua potenziale serietà o oscurità.

Seconda conclusione: mediamente (non sempre) sono gli sguardi e le persone ad attirare l’attenzione; è più difficile (anche se non impossibile) che piaccia un meme che mostra uno spazio, un monumento, un panorama.

Alle mie domande dirette sul perché certi memi erano piaciuti (o meno) non ho avuto risposte particolarmente dettagliate o consapevoli: mi interessava di più se avevano capito l’argomento sotteso al meme…). Se non erano piaciuti, spesso era perché avevo scelto un’immagine che non diceva loro nulla: è stato allora che ho scoperto che i gggiovani nati intorno al 2000 non conoscono i Ghostbusters (fig. 07).

Alla fine ho messo i memi vincitori (vale a dire quelli preferiti dai 17 studenti che si sono presentati al primo appello) sulla mia pagina Facebook (per chi vuole vederli stanno ancora lì, dal 30 giugno all’11 luglio 2020 (fig. 08). I boomers che mi seguono li hanno premiati con svariati like; uno di loro (V.S.) non credeva neppure che li avessi fatti io. Ingrato e malfidente!

2.4. Dove nessuno è mai giunto prima (ottobre-novembre 2020)

Disclaimer: con l’anno accademico 2020-21 ho cambiato SSD e sono passato a Storia del Cristianesimo e delle Chiese. Il primo corso, quello per la LT, era composto di due parti, e poteva essere frequentato anche solo nella prima delle due; all’inizio gli studenti erano quasi un centinaio e ho dunque rinunciato a costruire interazioni audaci (anche se mi sono divertito a introdurre le lezioni con clip cinematografiche). Nella seconda parte (didattica in parte blended e in parte solo a distanza: così andava il mondo) è rimasto un gruppetto di una ventina di persone. A questi ho nuovamente proposto dei memi prodotti da me (figg. 09, 10) ma anche, parallelamente, li ho ‘sfidati’ a produrne.

Prima di cominciare, ho dato loro alcune indicazioni di carattere generale, in parte derivanti dalle sagge raccomandazioni date da Filippi qualche mese prima. La slide dal titolo Meme: fatelo da voi invitava a riflettere sul fatto che un meme è efficace perché si rivolge non alla generalità degli spettatori, ma a un contesto specifico e potenzialmente chiuso: serve una narrativa comune a un gruppo, e nel nostro caso la narrativa erano i temi delle lezioni. Gli studenti dovevano inoltre (a) scegliere un soggetto iconico partendo dalla conoscenza del “mercato dei memi” e (b) fare molta attenzione al linguaggio, che doveva essere veloce, chiaro, diretto.

Aggiungevo l’obiettivo: non si trattava genericamente di far ridere, quanto piuttosto di costruire un prodotto utile per la divulgazione di contenuti storiografici, capace (a) di sintetizzare, (b) di coinvolgere, (c) di aiutare la memoria.

Infine, mettevo in guardia dal rischio della banalizzazione dei concetti e chiedevo di evitare il rafforzamento di pregiudizi errati e di giudizi sommari o stereotipati.

2.5. Il frastuono degli innocenti (novembre-dicembre 2020)

Per cinque volte gli studenti sono stati invitati a produrre un massimo di tre memi relativi alle due/tre lezioni precedenti. I partecipanti in tutto sono stati 22 (in media 12 per turno) e hanno prodotto complessivamente 108 memi.

È apparso fin da subito un panorama molto articolato. Era infatti chiaro che vi erano persone che avevano già molta esperienza in materia e sapevano come si fa un meme. Altri invece erano chiaramente alle prime armi e le loro proposte erano tecnicamente goffe. In entrambe le categorie vi erano sia studenti che avevano colto alcuni dei contenuti che avevo cercato di proporre, sia individui/e che sembravano non aver capito nulla; e anche tra le persone che avevano prodotto i memi formalmente corretti vi erano coloro che, almeno secondo il mio giudizio, erano completamente privi di senso dell’umorismo. Risultato: ridevo di gusto di fronte ai tentativi dei novizi e alzavo scoraggiato gli occhi al cielo, in un attimo cringe, di fronte all’opera di chi sicuramente pensava di essere un esperto.

Ho dato un giudizio, esprimendolo in trentesimi: 5 punti per la coerenza con il contesto (che il meme avesse davvero a che fare con i temi delle lezioni), 5 punti per la rilevanza (no dettagli insignificanti), 10 punti per la pertinenza del soggetto iconico (qualunque cosa significhi) e 10 per la qualità del linguaggio; 1 o 2 punti venivano tolti se il meme rafforzava stereotipi (fig. 11). Il giudizio non è mai stato comunicato esplicitamente agli interessati: mi sono limitato a mostrare di volta in volta i tre che mi sembravano migliori, spiegando perché. Temevo infatti che l’espressione di giudizi negativi avrebbe, più che indotto miglioramenti, scoraggiato la partecipazione. Per premiare coloro che avevano seguito il corso in questo modo, in sede d’esame una delle domande verteva proprio sulla discussione di uno dei memi prodotti. È stato in tale occasione che ho scoperto come i Teletubbies possono servire per spiegare i quattro grandi concili ecumenici del IV-V secolo. E io che pensavo che bastassero i Guardiani della Galassia.

2.6. Le sentenze non si discutono quasi mai (gennaio 2021)

Finito il corso, mi trovavo con una trentina di memi prodotti da me e un centinaio fatti dagli studenti. Ho allora pensato di mettere alla prova gli uni e gli altri in una sorta di concorso. Per scegliere la giuria sono andato a vedere chi aveva commentato/apprezzato i miei memi nel giugno-luglio precedenti. La giuria è stata quindi composta di cinque uomini e cinque donne nati/e tra la seconda metà degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Ottanta (due accademici, cinque ricercatori e operatori culturali di vario genere, tre docenti di scuole superiori, un ex assessore comunale alla cultura); si trattava, almeno a quanto so, di una notevole miscela di cattolici adulti di varie tipologie e diversamente credenti riflessivi (questione non di dettaglio, dato il tema). Insomma, una giuria che avrebbe meritato di occuparsi di concorsi più seri.

Ho mandato loro, indistintamente, 29 memi miei e 70 memi degli studenti (quelli che giudicavo peggiori, Teletubbies compresi, li ho tolti); ho chiesto loro di indicarmi i dieci che sembravano loro migliori “in quanto capaci di sintetizzare un'informazione, coinvolgere, incuriosire/divertire e insieme aiutare la memorizzazione di un concetto”. Potevano indicarne anche di meno o di più; ma in questo secondo caso avrei frazionato il punteggio su base 10.

Sulla mia pagina facebook è quindi comparsa la classifica (la trovate ancora lì, 8-18 gennaio, (fig. 12). La squadra del docente, che portava 29 concorrenti su 99, ne ha piazzati 3 nei primi 11 (uno sul gradino più basso del podio). Un’iniziativa di grande successo, se devo giudicare dalle interazioni.

Alla fine però mi è rimasto un dubbio, di cui scrivevo il 18 gennaio. “Le sentenze non si discutono, si applicano: e dunque è scorretto che, dopo aver convocato cotanta giuria e dopo averle affidato il giudizio sul ‘Storia del Cristianesimo e delle Chiese meme contest 2020’, io mi metta a discuterne i risultati. Però credo di poter aggiungere un appunto che ha una valenza almeno parzialmente ‘tecnica’. [...] Nove giudici su dieci hanno fatto scelte convergenti, nel senso che tre giudici hanno scelto sei dei degli 11 memi che avete visto finora, quattro ne hanno scelto cinque e due ne hanno scelti quattro; insomma, nove giudici su dieci hanno visto una classifica corrispondente in buona parte alle proprie scelte. Solo un giudice ha visto una classifica finale decisamente lontana dalle proprie preferenze: solo uno dei memi che ha selezionato è risultato nella classifica dei primi undici. E si tratta proprio del giudice che, per curriculum, potrebbe essere considerato il più vicino alla materia del corso e del contest. Casualità? Può essere. Ma mi resta il dubbio che qualche luogo comune storiografico abbia in qualche caso indotto gli altri giudici a scegliere argomenti che già conoscevano, presentati in un modo che corrispondeva alle loro attese”.

2.7. L’ora di Gregorio Ics (marzo-maggio 2021)

Nel secondo semestre dell’anno accademico 2020-21 mi sono preso una pausa, non nel senso di rinunciare alla didattica (come potrei), ma nel senso che ho lasciato perdere i memi. L’ho fatto per rispetto verso la dignità della materia: era il corso della Laurea Magistrale, dedicato alla storia dei concili ecumenici; agli studenti ho proposto qualcosa di un po’ più serio, vale a dire esercitarsi a scrivere una recensione.

Dopo di che – alla faccia della dignità della materia... – per ravvivare le lezioni, ho deciso di puntare su qualcosa di goliardicamente un po’ diverso, vale a dire l’inserimento nelle slides di “volti” presi da attori o personaggi contemporanei (figg. 13, 14, 15). E adesso voglio vedere se all’esame non si ricordano di Gregorio X (spero che non lo chiamino Gregorio Ics).

2.8. Epilogo. Tra Omero e TikTok

Alcune idee che mi ero fatto sull’argomento si sono consolidate; altre si sono modificate. Resto convinto che il meme debba servire la narrazione storiografica e non essere invece lo strumento della sua destrutturazione gratuita, come se si dovesse per forza ridere della storia. Un po’ di ironia può servire: ma serve a far capire che con la storia, alla fin fine, non si scherza. I risultati del contest di gennaio sono lì a ricordare che la battaglia tra serietà e banalità non si vince tanto facilmente – anzi, si rischia spesso di perderla.

Dunque, l’intenzione è di continuare a cercare modi per creare ponti tra il sapere storico e le modalità con le quali si trasmette la cultura nel XXI secolo, libri o non libri, memi o non memi (mi preoccupa un po’ che i miei figli, mi dicano che è già roba da vecchi; non vorrei trovarmi troppo in fretta su TikTok). Non si tratta di qualcosa di particolarmente innovativo: è dai tempi di Omero che chi vuole raccontare e vuole essere ascoltato usa gli strumenti del suo tempo.

Non so però se e come riproporrò un meme contest agli studenti nel prossimo futuro: per rifarlo forse servirebbe mettere a punto il sistema di giudizio (ma dubito che sia davvero possibile), o proporre la sfida tra gruppi diversi di studenti, gestita da loro stessi. Sperando che permettano a qualche docente di stare in giuria…

3. A VOI MILANO: UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMEMENTE

Anche a Milano l’introduzione di un meme contest in un corso universitario di storia è avvenuta durante i periodi di lockdown e di conseguente sospensione delle attività didattiche in presenza. Rispetto a quella trentina, l’esperienza milanese si è però articolata in tre diverse fasi, spalmate tra il 2020 e il 2021, ognuna contraddistinta da differenti metodologie didattiche alternative.

3.1. Improvvisare la DaD: gli audio powerpoint (febbraio-aprile 2020)

Va ricordato che nel capoluogo lombardo, la DaD è stata introdotta ancora prima che nel resto d’Italia (Trentino compreso). Già il 22 febbraio, infatti, il rettore dell’Università degli Studi, di intesa con gli altri atenei lombardi e in accordo con le autorità civili e sanitarie, adottava misure a tutela della salute pubblica dando disposizioni per la prosecuzione dei corsi del secondo semestre, iniziati da sole due settimane, da remoto anziché in presenza. Il provvedimento, che inizialmente si sperava temporaneo, venne poi protratto sino all’estate. Nel territorio lombardo, infatti, l’epidemia si sarebbe dimostrata particolarmente feroce, con conseguenze devastanti sulla popolazione e sul tessuto economico locale. Come docente mi sono quindi trovata a dover improvvisare, davvero dall’oggi col domani, una didattica a distanza mai sperimentata prima. La prima soluzione che individuai per un insegnamento che si era trasferito da un’aula fisica a una piattaforma virtuale non fu particolarmente sofisticata: confezionai una serie di audio powerpoint da erogarsi in modalità asincrona. Mi sembrò l’idea migliore per quella che, inizialmente, si credeva sarebbe stata solo una parentesi. Di settimana in settimana, pensando che ogni volta sarebbe stata l’ultima, sono invece arrivata sino alla fine con lo stesso metodo, che non percepivo però del tutto soddisfacente, in quanto un po’ spersonalizzante. (fig. 16)

L’implacabile legge di Murphy volle che in quel semestre io dovessi tenere ben due corsi da 60 ore ciascuno: Storia medievale e Storia dell’Italia medievale. Passai così le giornate di confinamento tra febbraio e aprile immersa nella creazione di slide, cercando immagini di corredo, link di approfondimento, fonti on line, che accompagnassero le mie spiegazioni a voce. Inaspettatamente, gli studenti apprezzarono. Sicuramente, l’avere a disposizione i testi e gli audio delle lezioni, da vedere e ascoltare tutte le volte che avessero desiderato (d’altronde, a parte Netflix, non c’era molto altro da seguire) ha costituito un vantaggio per gli iscritti ai corsi, in particolare per i non frequentanti. È molto probabile, però, che gli studenti abbiano voluto premiare i miei sforzi. Condividere la stessa mala sorte ha creato un circuito virtuoso di comprensione e solidarietà.

3.2. Sgrezzare la DaD: la flipped classroom (settembre-dicembre 2020)

Superata la prima fase di assoluta emergenza, in cui è bastata la buona volontà, ho cominciato a premunirmi di fronte a una ipotetica, ma assai probabile, seconda ondata dell’epidemia (essere specialista del Medioevo, teatro della famigerata Peste Nera e di altre simpatiche malattie contagiose su scala sovranazionale, ha aiutato nelle previsioni). Decisamente, non ero intenzionata a impostare nuovamente un corso soltanto su lezioni asincrone. Mi era anche chiaro che avrei dovuto pensare a soluzioni ad hoc per i diversi impegni con i quali avrei dovuto misurarmi: un corso di Storia medievale per la laurea magistrale in Scienze Storiche nel primo semestre, seguito nel secondo semestre da un corso sempre di Storia medievale ma questa volta destinato alle matricole della laurea triennale in Storia (con un numero previsto di frequentanti tra le 150 e le 200 unità!), più un modulo da 20 ore per il corso di Comunicazione storica e public history della magistrale.

Per entrambi i corsi della laurea magistrale, meno frequentati (ma comunque attestati su una media di 50 studenti), è venuto in soccorso il metodo della “classe capovolta”5 (fig. 17). La piattaforma Microsoft Teams, messa a disposizione dall’ateneo, ha permesso l’apertura di diverse camere stagne, attive in contemporanea e tra loro non comunicanti, oltre all’implementazione di un archivio di materiali condivisibili e modificabili in sincrono da più persone. Ho così potuto dividere la classe in 4/5 gruppi da massimo 10 persone (la frequenza ogni giorno variava anche sensibilmente), che in tal modo sono riusciti a interagire faccia a faccia. Dopo qualche lezione frontale, a ogni gruppo è stato assegnato un nuovo punto del programma, uguale per tutti, da esaminare nella classe virtuale dapprima all’interno dei singoli canali e poi in quello generale. Durante queste lezioni, entravo e uscivo dalle singole stanze, sempre annunciandomi, e offrivo suggerimenti su come interpretare, rielaborare, spiegare, quanto studiato.

Da un primo confronto interno al gruppo, gli studenti passavano poi a una comparazione con i risultati degli altri, prendendo atto, tra il resto, delle molteplici sfumature che l’analisi del medesimo testo acquista a seconda di chi lo legge. L’esperimento ha funzionato. Gli studenti, nessuno dei quali si era mai cimentato in precedenza in una simile metodologia didattica, hanno trovato la flipped classroom stimolante per l’apprendimento e gratificante per il ruolo attivo di cui si sentivano investiti. Anche l’opportunità di conoscere da vicino i propri compagni di studi, un aspetto quest’ultimo da non sottovalutare considerato il periodo di chiusura al quale si era in quel momento tutti sottoposti, ha inciso sulla buona accoglienza accordata.

3.3. Arricchire la DaD: lo “Spazio Meme” (marzo-maggio 2021)

Con Storia medievale del corso di laurea triennale in Storia si riapriva però la questione. La flipped classroom, infatti, non è certo metodo applicabile a una classe con più di cento persone. Cosa fare? Nessun metodo tradizionale sembrava rispondere all’esigenza di sollecitare l’attenzione di così tanti studenti, per di più posti dietro a un computer e portati a distrarsi ancora di più di quanto già non sarebbe successo in aula. Una modalità interattiva già sperimentata in passato – la compilazione di word clouds (“Cosa ti aspetti dal corso di Storia medievale?”: “Crediti formativi”, “Diventare Alessandro Barbero”, tra le risposte) – non avrebbe potuto occupare più di un paio di ore. Come organizzare le rimanenti 58 senza ricadere esclusivamente sulla solita lezione frontale? (fig. 18)

Mi sono quindi ricordata dei memi postati su Facebook dal collega Emanuele Curzel nel corso dell’iniziativa sopra descritta. Ho quindi deciso di servirmene anch’io. Rimaneva il dato non secondario del “come farlo”. Ho cercato di documentarmi un minimo su analoghe sperimentazioni in università italiane ma, come scritto in apertura, non se ne è trovata traccia. Sono risultati allora utili due interventi di Raffaele Guazzone sui memi usati a scuola, uno di carattere più pratico6, l’altro più teorico-storiografico7. Fissate così alcune coordinate operative di base, più nella mente in verità che sulla carta, ho deciso di affiancare alle lezioni – da erogarsi sia in diretta streaming, sia tramite ancora qualche audio powerpoint – un concorso di memi.

Fin dalla prima lezione ho illustrato il progetto ai miei studenti (iscritti alle classi di laurea in Storia, in Lettere, e in Filosofia) spiegando loro il senso dell’operazione: aiutare la fissazione dei concetti e delle teorie storiografiche, attraverso la loro sintesi memetica; incentivare l’attenzione a lezione, per cogliere le chiavi interpretative dei fenomeni storici sui cui costruire un meme; ragionare su opportunità e rischi dello strumento; costruire il gruppo-classe, facendo condividere un’esperienza nuova, auspicabilmente piacevole, che mostrasse come anche da remoto vi potesse essere uno spazio dedicato all’interazione sociale. L’accoglienza riservata a tale proposta è parsa sin dall’inizio ottima e viene ben sintetizzata da questo meme della studentessa Agnese Tremolada. (fig. 19)

In tutto, lo spazio dedicato ai memi in aula (virtuale, ricordiamocelo sempre) ha occupato 4 lezioni su 30, 8 ore su 60: una prima lezione è servita a offrire qualche riflessione sul rapporto tra meme e storia8, nonché a illustrare agli studenti un po’ di storia dei memi9, i modi per realizzarli10, i siti dove reperire immagini anche di epoca medievale11; gli altri tre incontri sono stati dedicati alla disamina dei memi preparati dagli studenti (precedentemente caricati sull’archivio di Teams e pertanto fruibili a tutti) e alla loro selezione, in vista del successivo passaggio al giudizio di una commissione esterna12.

La prova è stata lasciata facoltativa: chi non si fosse sentito di produrre un meme, da solo o nemmeno in gruppo, avrebbe comunque dovuto far parte della giuria che avrebbe proceduto alla selezione interna. Tale momento è stato motivo di discussioni collettive sull’aderenza del messaggio veicolato da un determinato meme agli insegnamenti delle lezioni e del manuale.

3.4 Giudicare lo “Spazio Meme” (e dunque la DaD)

Giudicare i memi ha significato non solo testare le competenze tecniche e le conoscenze storiche e storiografiche degli studenti, ma anche la didattica della docente. Si è trattato quindi di un duplice banco di prova. Alcuni messaggi sono stati molto ben recepiti, altri meno: sicuramente questo è dipeso anche da come sono stati presentati gli argomenti.

Su un totale di 137 memi presentati, i soggetti più gettonati sono stati, nell’ordine: i barbari (20 memi), Carlo Magno (13), i Merovingi e i Pipinidi (13 memi, tra i quali 4 su Poitiers), la donazione di Costantino (10), la lotta per le investiture (9, con Gregorio VII ed Enrico IV nella parte dei mattatori, seguiti a distanza da Matilde di Canossa), l’impero romano e poi bizantino (8), le crociate (8: solo un meme fortunatamente ha riguardato i Templari), la Peste nera (6), il Medioevo (5, tra concetto, periodizzazione, storiografie, stereotipi), l’incastellamento (4), le eresie altomedievali (3), i Normanni (2), il Papato (2). Numerosi i soggetti rappresentati una volta sola, come Boezio, Gregorio Magno, Maometto, Trotula, Federico Barbarossa, Corradino di Svevia, Clemente V, Dante, i Mongoli, i Turchi, le torture, il feudalesimo, la riforma monetaria carolingia, la musica, il pellegrinaggio. Da calcolare a parte i memi su Federico II (14), in quanto la figura storica e il mito dell’imperatore sono stati oggetto del corso monografico.

3.5. Qualche osservazione

Dal conteggio emerge sicuramente l’interesse per argomenti alto medievali – su tutti le invasioni barbariche e i Carolingi –, probabile conseguenza del fatto che sono i primi che vengono affrontati a lezione, quelli su cui molti manuali si soffermano maggiormente, e soprattutto quelli che riempiono l’immaginario comune, basti pensare alle numerose serie televisive incentrate su vichinghi e barbari vari. (figg. 20, 21, 22)

Non stupisce nemmeno il frequente richiamo alla peste, considerata l’istintiva immedesimazione da parte di chi non avrebbe mai immaginato di vivere, nel suo presente, qualcosa di molto medievale, come quarantene e confinamenti. (fig. 23)

Risulta poi chiara la presa d’atto che il Medioevo è solo un’astrazione, un concetto applicabile soltanto alla società europea (in particolar modo a quella occidentale), un periodo ritagliato a posteriori e suscettibile a diverse interpretazioni. (figg. 24, 25)

3.6. Il meme che non ti aspetti

Dalle scelte tematiche degli studenti sono però emersi anche elementi meno scontati. Ad esempio, la passione per una questione non proprio leggerissima come la lotta per le investiture ha stimolato memi molto interessanti (figg. 26, 27), due dei quali si sono persino piazzati sul podio della classifica definitiva guadagnando sia la medaglia d’oro (fig. 28) sia quella d’argento (fig. 29).

Non era nemmeno così prevedibile la preferenza per l’incastellamento e la signoria rurale a discapito del più celebre (e abusato) fenomeno del feudalesimo. A questo proposito, mi sia consentito rispondere a quanti storcono il naso nei confronti di queste sperimentazioni, ritenendo che i memi portino inevitabilmente alla banalizzazione, con la seguente sfida: Provate voi a far ridere con la signoria rurale, dimostrando al contempo di coglierne in maniera precisa l’essenza, e poi ne riparliamo! (figg. 30, 31)

Forte anche l’interesse per la donazione di Costantino, che vince il conteso titolo di più celebre falso di un periodo, come il Medioevo, considerato il padre di tutte le falsificazioni. Anche questo è da considerarsi come riflesso delle prime lezioni impartite sul concetto, sulla periodizzazione e sulle fonti della storia medievale: come ogni storico che si rispetti, gli studenti hanno appreso che i falsi sono documenti altrettanto, se non addirittura, più interessanti di quelli autentici. (figg. 32, 33)

Tali scelte mi sono parse dimostrazione del fatto che i memi prodotti non rispecchiassero solo l’idea comune di medioevo con la quale gli studenti si erano affacciati per la prima volta nell’aula virtuale, ma che riflettessero in parte quanto appreso a lezione (e anche un po’ le fissazioni della docente…). (fig. 34)

Piccola notazione finale. Nell’approccio ai memi non è emersa una predisposizione particolare né di genere (maschi e femmine si sono dimostrati egualmente interessati e abili), né di età (gli studenti âgés sono stati a loro agio tanto quanto i loro compagni più giovani).

4. COSA RESTERÀ DELL’OMU?

(fig. 35) Da parte degli studenti, milanesi quanto trentini, il feedback all’uso di memi durante le lezioni sembra dunque essere stato nel complesso positivo (fatte salve le inevitabili zone grigie precluse al docente). Si può pertanto prevedere un’affermazione più ampia del meme come strumento di didattica della storia? E – soprattutto – si può auspicarla, e lavorare in questa direzione? Si tratta di domande correlate, alle quali i due sperimentatori dell’“Operazione Meme in Università” hanno risposto mettendo a fuoco rischi e opportunità.

4.1. La domanda è mal posta

Una prima riflessione può partire dal fatto che il meme è alla fin fine uno schema, uno slogan, una carta geografica di piccola scala, una sineddoche; in quanto tale cancella le sfumature, riduce la complessità, fa scomparire ciò che è minoranza, esclude l’esistenza di altri punti di vista. La reazione di diffidenza che il meme ispira a molti docenti è probabilmente connessa a questo fatto.

Quotidianamente siamo chiamati a semplificare ciò che conosciamo – consci che quel che conosciamo è ben poco – per tradurlo in termini didattici: lo facciamo con un certo sforzo e rimaniamo spesso con l’amaro in bocca constatando che per far capire meglio avremmo bisogno di più tempo. Alle domande che ci vengono poste, dentro e fuori la scuola, circa qualcuno dei temi che sono riconducibili alle nostre competenze, spesso facciamo fatica a rispondere con un sì o con un no: chiediamo tempo, facciamo premesse, invochiamo complessità e contesti (“la domanda è mal posta”…).

D’altronde, tutto ciò fa parte non solo della narrazione storica ma anche dell’esperienza umana in quanto tale, perché la carta geografica perfetta è quella che in scala 1:1 raffigura la realtà fisica per come è, e in quanto tale è inutilizzabile. C’è bisogno, continuamente, di schemi e di simboli per leggere e comunicare la realtà; la riduzione della complessità che ne consegue è necessaria (fig. 36). Da questo punto di vista, l’uso didattico del meme potrebbe portare gli stessi vantaggi e gli stessi rischi di qualunque altra forma di sintesi che siamo chiamati a usare.

4.2. Il ruolo delle spezie

C’è però un altro problema di cui tener conto. Il meme appartiene infatti alla categoria delle semplificazioni la cui efficacia crolla nel momento in cui il significato viene spiegato. Come la barzelletta – e a differenza della carta geografica a piccola scala – l’aumento del dettaglio lo dissolve; di conseguenza, chi lo propone non può essere assolutamente certo del modo in cui verrà accolta l’informazione, di quel che effettivamente sarà trasmesso perché la spiegazione del meme, in linea di principio, non sarebbe ammessa. La diffidenza da parte di tanti docenti potrebbe dunque essere giustificata, dato che l’esito didattico potrebbe essere ambiguo o persino negativo.

La questione può essere spiegata con un esempio che non è esattamente un meme ma che ci si avvicina (e che didatticamente è già stato utilizzato). Nel parlare agli studenti delle questioni demografiche riguardanti l’età medievale, è possibile far vedere loro una tabella tratta da un noto divertissement del grande storico dell’economia Carlo Maria Cipolla intitolato Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo13. La tabella riporta stime circa la crescita della popolazione di alcuni paesi europei tra il 1000 e il 1340 (fig. 37). In fondo alla pagina, Cipolla ci tiene però a far sapere al lettore che quelle cifre sono a dir poco approssimative, e lo fa aggiungendo una nota ironica (fig. 38).

Ebbene, che impressione può suscitare nel lettore quella nota? Il tipo di impatto non si può dare per scontato, soprattutto in assenza di ulteriori spiegazioni da parte del docente (che, nel caso specifico, annullerebbero però l’ironia). Dovrebbe infatti giungere un messaggio del tipo “si tratta di cifre molto approssimative: conoscere l’effettivo numero degli abitanti in quell’epoca è molto difficile per mancanza di fonti adatte; vanno fatte ricerche molto approfondite ed è giusto essere prudenti nelle conclusioni”. Ma non c’è nulla che cauteli da esiti diversi: il lettore potrebbe anche capire che “chi ha calcolato queste cifre è un ciarlatano” (versione elitaria); oppure che “occuparsi di demografia medievale è del tutto inutile” (versione scettica); o perfino che “queste cifre vengono proposte con un fine che non è quello della conoscenza storica” (versione complottista).

4.3. It was said that you would destroy the Sith, not join them!

Si ha insomma l’impressione che usare i memi sia camminare su un crinale: se li spiego, ne annullo l’efficacia; se non li spiego, non è detto che servano allo scopo che mi sono dato. Il meccanismo ambiguo sopra esposto funziona anche in senso inverso, quando si invitano gli studenti a produrre loro stessi un meme: il docente si attende infatti che scelgano un contenuto rilevante del corso e sappiano sintetizzarlo in modo efficace, ma non sempre le sue aspettative vengono premiate.

Oltre a questo aspetto di carattere strutturale, c’è probabilmente un altro motivo per cui il meme, come strumento didattico, suscita tra i docenti reazioni negative o diffidenti. Tale strumento comunicativo è infatti servito e serve a far transitare contenuti culturali considerati popolari, alternativi, underground, di contestazione o persino (verbalmente) violenti, che criticano in maniera distruttiva l’establishment fino a sconfinare nell’insofferenza verso ogni forma di mitigazione dell’impulso (la contestazione del politically correct)14. I memi hanno così fatto parte di campagne social di tipo revisionistico o hanno contribuito efficacemente alla diffusione di fake news e messaggi d’odio. Il misoneismo verso di loro sarebbe connesso dunque non allo strumento in sé ma a quello che ne è stato (o ne è) l’uso prevalente, con il risultato di lasciare così in modo ancora più accentuato lo strumento a chi già lo usa (nella semplificazione della topografia politica, si usa dire che la “sinistra” li lascia alla “destra”; non tanto la destra tradizionalista che si erge a difesa di qualche canone morale o culturale esistente quanto quella, diffusa nel XXI secolo, che è infastidita dalla complessità, asseconda chi cerca soluzioni semplici e di "buon senso", è beffarda e corrosiva nei confronti dei valori e dei vincoli sociali). (fig. 39)

4.4. Memes are the mood

Il sospetto nei confronti del meme, e la conseguente ritrosia a servisene nella didattica, non si annidano però in tutti i settori. I colleghi delle scienze dure non sembrano infatti porsi problemi concettuali e ideologici di sorta.

Non si trova traccia di alcuna apprensione del genere, ad esempio, nelle sperimentazioni condotte presso scuole piemontesi in collaborazione con il dipartimento di matematica dell’Università di Torino15. Nella fattispecie, la possibilità di avvicinare gli studenti offrendo loro un ambiente di lavoro meno formale, nel quale potessero dare prova di abilità non standard, è stata giudicata un’esperienza del tutto positiva. I memi sono stati pertanto valutati utile strumento per rafforzare l’impatto della didattica delle discipline di fisica e di matematica nella cultura e nella società attuali. L’unico possibile ostacolo è stato ravvisato nella disponibilità, non sempre assicurata, da parte degli insegnanti di adeguarsi alla novità. (fig. 40)

Certo, la prima obiezione che si potrebbe fare rispetto a questo uso più rilassato dei memi scientifici riguarda il loro oggetto: considerato che numeri e formule sono per natura votati alla sintesi, non pare dunque che i memi possano risultare apportatori di semplificazioni e banalizzazioni. Questo è pacifico. L’altro grande problema di cui i memi di argomento matematico non parrebbero soffrire è il rischio di venire strumentalizzati a fini politici o comunque di prestarsi a indebiti paragoni con fenomeni contemporanei. Ma questo non è poi così vero, come confermano riflessioni di docenti ed ex studenti sulle reciproche influenze tra contesto storico e matematica in regimi totalitari piuttosto che democratici16. Insomma, ritenere che alcune materie siano al riparo da influenze ideologiche è una pia illusione. E dunque la diversità disciplinare non è argomento che possa giustificare la chiusura da parte di chi insegna storia nell’adottare strumenti originariamente pensati per piattaforme social.

Anzi: è stato verificato che proprio queste ultime si rivelano ambienti in cui possono nascere non solo discussioni interessanti, ma anche soluzioni a problemi aperti, come nel caso di un post anonimo apparso nel 2018 su 4chan che permise di risolvere un complicato problema sul calcolo combinatorio. 4chan, tra l’altro, va ricordato perché è stato il primo sito web pensato con la funzione di raccogliere immagini pubblicate da parte di utenti anonimi: qui vennero prodotti i primi memi di Internet, qui sembrò avverarsi la preconizzata emancipazione del testo dal proprio autore17. La perdita di autorialità che si realizza tramite i memi di Internet (ma non solo) rappresenta un punto davvero spinoso: vittoria o pericolo? Non è certo il caso di addentrarsi ora nei meandri di tale dibattuta questione. Osserviamo solo che, effettivamente, l’anonimato offre una pericolosa cortina dietro la quale si possono lanciare messaggi violenti senza timore per le conseguenze. I possibili fraintendimenti derivanti dalla perdita del riferimento al contesto originario di elaborazione, inducono indubbiamente a prudenza nel loro uso pubblico.

Se dunque i memi, usciti dall’iniziale contesto di originali (per quanto molto criticate) teorie evoluzioniste accademiche18, sbarcarono negli ambienti underground del neonato World wide web, per essere successivamente adottati da movimenti anticonservatori di destra (la cosiddetta alt-right), in verità oggi parrebbe di poter dire che siamo già andati oltre: il “mood” del 2020, primo anno pandemico del secondo millennio, è stato riconosciuto ruotare proprio intorno ai memi19. Difficile pertanto fermarli oltre la soglia dell’aula. (fig. 41)

4.5. Per concludere

Dopo questa serie di riflessioni, si può tornare con più consapevolezza alle domande di partenza. Il meme è senza dubbio un mezzo utile ed efficace per veicolare un messaggio: attira l’attenzione, si diffonde con facilità (“è virale”, come si usa dire), è pure capace di apportare “naturalmente” una componente critica che può ben essere considerata parte integrante dell’insegnamento universitario. Ma da quando McLuhan ci ha insegnato che il veicolo condiziona ciò che si vuole trasportare, non possiamo far finta di non sapere che basta un attimo per trovarci presi dal maelstrom della banalizzazione di quegli stessi contenuti che avremmo invece voluto mantenere nella loro serietà e complessità. Il meme va pertanto considerato uno strumento accessorio per una didattica alternativa pienamente calata nella società 2.0, tale quindi da coniugare sistemi tradizionali e nuove metodologie. La storia non si fa con i memi. È persino superfluo ricordarlo, ma è meglio farlo per non essere accusati di averlo proposto. Il linguaggio memetico tuttavia è, per lo meno attualmente – tutto ciò che nasce su Internet è destinato a una rapida obsolescenza – un interessante registro comunicativo a disposizione del docente contemporaneo.

 

Note

1. Come spesso accade quando si tratta di sperimentazioni didattiche innovative, fuori d’Italia ci si dimostra più aperti alle novità: Michele Knobel, Colin Lankshear, Online memes, affinities, and cultural production, in A new literacies sampler, New York, Peter Lang, 2007, pp. 199-228 (poi riedito tradotto in portoghese e aggiornato fino al 2018 in A cultura dos memes: aspectos sociológicos e dimensões políticas de um fenômeno do mundo digital, a cura di Viktor Chagas, Salvador, EdUFBA, 2020, pp. 85-125); Sharon Serrano, 5 ways to use memes with students, in International Society for Technology in Education (ISTE), 22 gennaio 2021; Raffaele Guazzone, La storia non fa ridere. I meme nella didattica e nel dibattito pubblico.

2. Igor Pizzirusso, Gabriele Sorrentino, Iara Meloni, Francesco Mantovani, Matteo Di Legge, Questa è public history? I meme e la storia, in “Novecento.org”, 12, agosto 2019.

3. Si vedano in particolare i progetti di didattica della matematica includenti i memi per classi della scuola secondaria di primo e secondo grado elaborati presso l’Università di Torino: Giulia Bini, Ornella Robutti, #lifeonmath Progetto meme matematici; Francesca Bernasconi, Raffaella Caglio, Giulia Bini, I meme matematici: un’applicazione alle potenze, in Matematica e Fisica nella cultura e nella società, Atti del convegno, Torino 9-11 ottobre 2019, Torino 2020, pp. 86-93; Giulia Bini, Martina Montagnani, Comprendere, creare e utilizzare in classe i meme matematici, ibidem, pp. 341-348.

4. Alessandro Lolli, La guerra dei meme. Fenomenologia di uno scherzo infinito, Orbetello, Effequ, 2017.

5. Fra i pionieri del metodo si ricorda solitamente Eric Mazur, professore di fisica all’Università di Harvard. È reperibile un webinar a cura del medesimo per l’adattamento del metodo alle lezioni online.

6.  Raffaele Guazzone,MEME-NTO MORI. Ovvero come sfottere papi e imperatori al tempo dei social (e leggere attentamente il manuale).

7. Raffaele Guazzone, La storia non fa ridere. I meme nella didattica e nel dibattito pubblico.

8. Interessante ad esempio l’ampio discorso affrontato da Antonio Brusa su meme, storia e cancel culture a proposito di Cristoforo Colombo: 12 ottobre 2020. Columbus memes. Del medesimo autore si veda ora il saggio Colombo, eroe o malfattore. Stereotipi, false conoscenze, bugie tra epistemologia naïve e storia, in Il falso e la storia. Invenzioni, errori, imposture dal medioevo alla società digitale, a cura di M. Gazzini, Quaderni/38, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2020, pp. 57-91.

9. Meme. Alessandro Mazzolla, Meme story, Vi raccontiamo la storia dei meme, in “Dr. Commodore.it”, nov. 2018.

10. Come generatore di meme ho indicato imflip; Meme Generator.

11. Ad esempio quello dell’olandese KB Nationale Bibliotheek.

12. Composta da Antonio Brusa, docente di Didattica della Storia, Università di Bari, Emanuele Curzel, docente di Storia del Cristianesimo e delle chiese, Università di Trento, Amedeo Feniello, docente di Storia medievale, Università dell’Aquila, Raffaele Guazzone, docente di materie letterarie, Istituto Cossa, Pavia, Ilaria Sabbatini, blogger e ricercatrice presso Archivio digitale del Volto santo, Lucca, Enrica Salvatori, docente di Esegesi delle fonti storiche medievali e di Storia pubblica digitale, Università di Pisa, Alessandra Veronese, docente di Storia medievale e di Cultura e storia ebraica, Università di Pisa, con l’aggiunta della sottoscritta. Rinnovo loro i miei sentiti ringraziamenti per il sapiente contributo che hanno apportato all’iniziativa. La giuria ha individuato 6 meme finalisti, altri 6 degni di menzione egualmente classificati al settimo posto, e alcune categorie speciali (premio Didattica, premio Federico II, premio Storiografia). Questi 15 meme sono stati inizialmente pubblicati sulla mia pagina Facebook di servizio. In seguito verranno esposti su Parlare di storia, sito didattico del Dipartimento di Studi Storici della Statale di Milano.

13. Pubblicato, insieme all’ancor più noto Saggio sulla stupidità umana, nel volumetto Allegro ma non troppo, Il Mulino, Bologna, 1988 (la tabella è a pagina 36).

14. Lolli, La guerra dei meme, cit.

15. Francesca Bernasconi, Raffaella Caglio, Giulia Bini, I meme matematici: un’applicazione alle potenze, in Matematica e fisica nella cultura e nella società, a cura di Raffaella Bonino, Daniela Marocchi, Marta Rinaudo, Marina Serio, Atti del convegno, Torino 9-11 ottobre 2019, Torino 2020, pp. 86-93; Giulia Bini, Martina Montagnani, Comprendere, creare e utilizzare in classe i meme matematici, ibidem, pp. 341-348.

16. Giuseppe Chiofalo, Matematica e ideologia, Roma 1982; Angelo Guerraggio, Politica e matematica, in “Enciclopedia della matematica”, Roma, Treccani degli Alfieri, 2013 ediz. Digitale; Erika Luciano, Matematica e ideologia. Momenti di storia dell’insegnamento nel ventennio fascista, in “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali”, CLXXII (2014), pp. 235-275; Chiara Valerio, La matematica è politica, Torino, Einaudi, 2020.

17. Roland Barthes, La mort de l’auteur (1968) in Id. Le bruissement de la langue, Seuil, Paris, 1984, tr.it. La morte dell’autore, in Il brusio della lingua. Saggi Critici, vol.IV, Einaudi, Torino, 1988., pp. 51-56; Michel Foucault, Qu’est-ce un auteur (1969) in Id. Dits et écrits, Gallimard, Paris, 1994, tr.it. Che cos’è un autore? in Scritti letterari, Feltrinelli, Milano, 1984, pp. 1-21.

18. Richard Dawkins, The Selfish Gene, Oxford, Oxford University Press, 1976.

19. Instagram Year in Review: How Memes Were the Mood of 2020.

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