Autore: Francesco Ulini

 

Introduzione: il Mediterraneo

Da sempre sono stato affascinato dal significato di “Mar Mediterraneo” cioè mare che sta in mezzo alle terre. E’ un mare che bagna diversi paesi, e quindi diversi popoli e culture. Dal punto di vista geografico separa e unisce l’Europa dall’Africa e dal Medioriente. Lo ha fatto, però, in modo sempre diverso a seconda dei tempi. Ad esempio, nell’Alto Medioevo, basti pensare all’impero bizantino che, tra VI e VIII secolo, controllava alcune zone costiere del centro e del sud Italia e l’Ifriqiya (l’odierna Tunisia) ed estese il suo potere fino alle coste delle Spagna; oppure si pensi all’impero musulmano che tra VII e VIII secolo andava dalla penisola arabica fino a quella iberica. Il Mediterraneo era una vasta pianura di acqua entro la quale navigava gente di ogni tipo, dai mercanti ebrei agli schiavi berberi, dai pellegrini cristiani a guerrieri saraceni.

 

La Carta del mondo di Al Idrisi (1099-1166). Al centro la penisola arabica.

 

Tra l’VIII e gli inizi del IX secolo, in un periodo in cui l’impero musulmano aveva raggiunto la massima espansione e i califfi abbassidi facevano fatica a controllare le dinastie del nord Africa e della Spagna, la pirateria rappresentò uno strumento di saccheggio delle isole della Sicilia, Sardegna, Corsica e Creta1. Le cronache dell’epoca ci hanno tramandato per lo più un’immagine negativa di questi guerrieri del mare provenienti da Est: i Saraceni2.

 

Indice

  1. I saraceni
  2. Le spedizioni militari
  3. Sawdan, nuovo satana
  4. Sawdan, principe cortese
  5. Il pellegrino e gli schiavi


1. I saraceni

Come ci ricorda l’enciclopedia online della Treccani, ci sono diverse ipotesi circa l’origine etimologica della parola “saraceno”: esiste ad esempio un’attinenza semantica con il termine arabo “saraqa” (سرقة) che significa “rubare” e che richiama alla mente il loro modus vivendi da razziatori. Un’altra ipotesi che evidenzia invece la provenienza geografica dei Saraceni è legata ad un altro termine, ossia “as-sharqy” (الشرقي), “l’Oriente”. Ma il termine latino Saracenos (dal greco Sarakenoì, sing. Sarakenòs) fu introdotto da vari autori cristiani tra IV e V secolo d.C.: indicava quegli abitanti nomadi del deserto siriano e arabo, noti anche nell’Antico Testamento col nome di Madianiti, Ismaeliti e Agareni.

Se inizialmente i Saraceni erano visti come “altri” perché nomadi della penisola arabica, con l’avvento dell’Islam la loro percezione mutò considerevolmente, perché furono considerati i nemici per antonomasia. Un teologo vissuto in Siria tra VII e VIII secolo, Giovanni Damasceno, fu il primo a descrivere il nuovo monoteismo musulmano come un’eresia cristiana, diffondendo la convinzione che Maometto fosse un eretico, un “falso profeta”, e non il fondatore di una nuova religione.

Questa visione ostile verso ogni elemento esterno all'ortodossia venne successivamente amplificata da diversi cronisti di VIII e IX secolo nei loro racconti delle invasioni dei Saraceni nell’area del Mediterraneo. Negli scriptoria di diversi monasteri del sud Italia furono raccolte le complesse vicende dell’Italia longobarda che, durante tutto il IX secolo, conobbe la presenza di questi Saraceni. Questa produzione storiografica, seppur esigua, rappresenta l’unica testimonianza della visione cristiana degli arabi musulmani nell’Italia altomedievale. Autori come Erchemperto, l’Anonimo salernitano e l’Anonimo cassinese sono tra i più significativi per quanto riguarda la narrazione degli eventi. Essi costruiscono un’immagine omogenea del “nemico” saraceno attraverso una serie di epiteti: “crudelis et terribilis”, “perfidi et infedeles3, “iniusti et indisciplinati4. Avevano qualche ragione, dal momento che non si può negare che l’invasione di guerrieri musulmani fu un fenomeno devastante per il sud Italia, soprattutto per i monasteri dell’epoca e per la popolazione longobarda e bizantina che in molti casi venne ridotta in schiavitù.

 

2. Le spedizioni militari

 

L'assedio di Messina nell'843 (Chronicle of John Skylitzes, cod. Vitr. 26-2, Madrid National Library, Fol. 214 r.)

 
Le spedizioni militari dei Saraceni sulle nostre coste cominciarono nell’827 per iniziativa dell’emiro di Qairawan Ziyādat Allāh I (817-838). Facevano parte di un progetto  di conquista, condotto attraverso una serie di razzie sull’isola, con assalti alle roccaforti bizantine e ingenti bottini di schiavi. Solo dopo più di settant’anni di lotte e resistenze tra gli invasori e i bizantini, l’isola cadde sotto il controllo totale dell’emirato aghlabide dell’Ifriqiya ed ebbe una nuova capitale: Palermo.

Qualche anno più tardi, mentre la Langobardia minor - cioè l’insieme di potentati longobardi, grandi e piccoli che si erano formati in Italia meridionale - viveva un momento difficile a causa dei conflitti interni fratricidi, fecero ingresso nella penisola italica orde di musulmani (Mauri andalusi, Berberi e nordafricani in genere, cretesi) che occuparono Brindisi nell’838 e Taranto nell’840. La prima a cadere fu Brindisi, importante centro marittimo dell’Adriatico. L’anonimo salernitano ci ricorda come lo scontro tra l’esercito longobardo di Sicardo e quello della “nefanda gens Agarenorum” andò proprio a favore di questi ultimi che, attraverso uno stratagemma, mostrarono tutta la loro astuzia facendoli cadere in una trappola e vincendo così sull’ingenuità dei cristiani. Due anni dopo toccò a Taranto che, già influente centro commerciale del Mediterraneo, diventò base di comunicazione marittima per i musulmani in Puglia. Stando alle parole di Giovanni Diacono - autore del X secolo della più antica opera di storiografia veneziana, il Chronicon Venetum - la flotta dei saraceni tarantini risalì l’Adriatico fino ad arrivare in Istria, con l’intento di saccheggiare i centri costieri bizantini5.

In questo contesto di fragilità politica meridionale, i Saraceni si inserirono inizialmente come mercenari al soldo dei principi Radelchi di Benevento e Siconolfo di Salerno. Ma gli invasori non facevano parte di un fronte compatto. Infatti, Erchemperto, nel descrivere i mercenari, parla di Agarenos Libicos contra Hismaelitas Hispanos, dove gli Ismaeliti ispanici sono i Mauri, cioè Arabi dell’Andalusia6. Tra l’845 e 846, mentre Ostia e San Pietro venivano saccheggiate dagli aghlabidi di Sicilia e Sardegna7, l’ondata di devastazione saracena aveva colpito anche i monasteri di Monte Cassino e San Vincenzo al Volturno. In questi anni anche altre diocesi minori venivano spogliate, ma non dai Saraceni bensì dai signori longobardi in conflitto tra di loro, che da questi saccheggi ottenevano fondi necessari per pagare i loro temibili mercenari d’oltremare.

 

3. Sawdan, nuovo satana

Successivamente, quando nell’847 il capo banda Khalfun s’impossessò astutamente di Bari, ebbe inizio un periodo di dominazione stabile per i Saraceni in Puglia che fu reso ufficiale dal califfo di Samarra dall’863 all871, sotto il dominio del sāhib Sawdan. Quest’ultimo fu uno dei più spietati guerrieri musulmani secondo alcune cronaca altomedievali. Per Erchemperto era il “nequissimus ac sceleratissimus rex Hismahelitum8”, mentre l’Anonimo benedettino ricorda che il “nefandissimus Seodan rex9” aveva assaltato diverse aree della Campania come Capua, Conza, la Liburia, aveva devastato le abbazie di San Vincenzo al Volturno  e di Montecassino, depredandone le ricchezze.

Un ulteriore epiteto venne rivolto dall’Anonimo salernitano a Sawdan,  detto anche Saugdan o Seodan. Il cronista cristiano lo aveva costruito per assonanza a “Satan”, in quanto lo considerava un infidelis10. Tuttavia, il rapporto fra salernitani e saraceni era molto più complesso di quanto lasci intendere questo soprannome diabolico. Lo dimostra un episodio ambivalente, raccontato sempre dal cronista salernitano nel quale si sottolinea l’esistenza di rapporti diplomatici e di convivenza fra salernitani e saraceni, e al tempo stesso se ne accentua l’odio verso gli infedeli. Protagonista di tale episodio fu un legato di Satan. Ecco le parole del cronista:

“al tempo in cui governavano governano i salernitani Sicone e il suo tutore Pietro, accadde che un Agareno di grandissimo prestigio fosse inviato a Salerno dal suo signore Satan. Arrivato a Salerno, lo ricevettero con grande sfarzo; lo mandarono nell’episcopio affinché alloggiasse nel palazzo dove normalmente dimorava il vescovo Bernardo. Dopo questo episodio, il presule ne fu gravemente addolorato e […] proprio per tale provocazione subita dai quei principi, partì per Roma”11 .

Dietro il nome di Satan si celava quindi un epiteto dalla connotazione religiosa, legato all’episodio del suddetto vescovo: dopo l’offesa nei confronti di Bernardo da parte del popolo salernitano complice di quello che considerava un sacrilegio, il presule si trasferì a Roma e ritornò a Salerno solo dopo aver ricevuto la conferma di una nuova abitazione. Prima però inviò una lettera al suo popolo e al clero dicendo:

“Se mi volete tra voi, costruitemi un’altra casa in un altro posto, perché dopo quanto è accaduto io non abiterò mai più dove abitavo prima” 12.

L’autore del Chronicon pare dunque che abbia voluto corrompere il nome di Sawdan nell’appellativo di Satan, in quanto sarebbe stato inammissibile per un vescovo, rappresentante della religione cristiana, dimorare nello stesso luogo contaminato da un uomo appartenente a coloro che «sunt natura callidi et prudentiores aliis in malum»13 (“per loro natura sono scaltri e più abili degli altri nel maneggiare le cose malvagie”).

 

La Battaglia di Ostia di Raffaello Sanzio, Stanza dell'Incendio di Borgo, Musei Vaticani, 1514-1515
 

L’appellativo si diffuse così nella Cristianità. Lo capiamo dal fatto che venne usato dal biografo di papa Leone IV, quando i Satane filii provarono ad assaltare Roma ma furono bloccati tra l’849-850 da una flotta campana che combatteva sotto l’egida del pontefice14. Quest’ultimo, sfruttando i musulmani fatti prigionieri, fortificò con mura di difesa tutto il quartiere intorno a S. Pietro, da Trastevere a Castel S. Angelo. Queste presero il nome di Mura leonine.

 

4. Sawdan, principe cortese

Se per l’Anonimo cassinese “non passava giorno che [Sawdan] non uccidesse cinquecento o più uomini e, sedendo sui mucchi di cadaveri, mangiava come un cane puzzolente”, esiste un’altra cronaca che dà una visione ben diversa del signore di Bari. Ahimaaz ben Paltiel, di Oria, nell’XI secolo fu autore del Libro della Genealogia, una storia degli antenati della sua famiglia ebraica. In quella città, infatti, che ospitava una delle più popolose e colte comunità ebraiche dell’Italia meridionale, visse un certo Aaron, un dotto che si recò a Bari tra l’863-865 e vi rimase, presso la corte di Sawdan, per 6 mesi. Durante questo tempo Sawdan fu catturato dalla sua profonda saggezza tanto da trattarlo con estrema cortesia. Da questa storia esce un altro profilo dell’identità di Sawdan: accogliente, rispettoso verso la comunità ebraica e pronto ad ascoltare i consigli del “maestro”. Insomma il crudelissimus Sawdan è anche un uomo colto e ospitale.

 

5. Il pellegrino e gli schiavi

Questo episodio di ospitalità e accoglienza fa il paio con un altro episodio, che leggiamo nel racconto di viaggio di Bernardo, monaco franco della Champagne, il quale, avendo ricevuto dal papa Niccolo I la benedizione e la “licentiam peragendi”, era partito intorno all'870 da Taranto per Gerusalemme. Dopo una sosta al santuario di San Michele sul Gargano, nell’867, passò per Bari, dove pagò una tassa a Sawdan che avrebbe dovuto permettergli di viaggiare nel cosiddetto dār al Islām, quindi in territorio musulmano. Ecco il suo racconto15:

“Nell'anno dell'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo 867 […] Lasciando il monte Gargano viaggiammo per 150 miglia, ad una città in mano ai Saraceni, chiamata Bari che era formalmente soggetta a Benevento. E' posta sul mare ed è fortificata a sud da due grandi muri; a nord sporge alta sul mare. Qui ottenemmo dal principe della città, chiamato ‘Suldanum’, il necessario equipaggiamento per il viaggio, con due lettere di salvacondotto che descrivevano le nostre persone e l'oggetto del nostro viaggio al principe di Alessandria e al principe di Babilonia. Questi principi sono sotto la giurisdizione dell'Emir-al Mumenin,che governa su tutti i Saraceni e risiede a Bagdad e ad Axinarri (Samarra) che sono oltre Gerusalemme. Da Bari andammo al porto della città di Taranto, alla distanza di 90 miglia, dove trovammo sei navi che avevano a bordo 9000 schiavi cristiani di Benevento [«ambulavimus ad meridiem per XC miliaria usque ad portum Tarentinae civitatis ubi invenimus naves sex, in quibus erant novem millia captivorum de Beneventanis Christianis»]. In due navi che salpavano per prime e che erano dirette in Africa c'erano 3000 schiavi; nelle due seguenti che erano destinate a Tunisi ce ne erano altri 3000. Le ultime due che contenevano parimenti lo stesso numero di schiavi cristiani, ci portarono al porto di Alessandria dopo un viaggio di 30 giorni”.

Cavaliere arabo del X secolo   

 

Taranto era dunque un importante centro di smistamento di schiavi dell’Italia meridionale durante la metà del IX secolo e, insieme a Bari, condivideva i rapporti commerciali con l’emirato aghlabide e il califfato di Baghdad. Come ci attestano meglio le fonti latine, mentre Bari fu un covo di saccheggiatori delle terre longobarde, Taranto servì da base logistica per smistare gli schiavi catturati. Il commercio di schiavi quindi divenne una delle principali risorse economiche nella nostra penisola, la “Grande Terra” (Ard al- Kabirah) come la chiamava il cronista arabo al-Balādhuri16, dove gli abitanti venivano catturati e venduti sui mercati del Nord Africa. La guerra contro un nemico non musulmano legittimava l’acquisizione di schiavi e quindi la cattura avveniva nel cosiddetto territorio di guerra (il dār al harb17, in questo caso quello longobardo). Per questo i Saraceni, che avevano di fronte a sé un territorio non musulmano come la penisola italica, partendo dalla Calabria risalivano l’Appennino centro meridionale in cerca di preziose merci umane da vendere nei mercati dell’Ifriqiya, della Spagna o dell’Egitto.

 

Note

  1. Tangheroni M., Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma - Bari, Laterza, 1996, pp. 42-49; Vanoli A., La Sicilia musulmana, Bologna, il Mulino, 2012, pp.53-56.
  2. Per l’etimologia del termine si veda l'enciclopedia Treccani
  3. Anonimo Salernitano, Chronicon, a cura di Matarazzo R., Napoli, Arte Tipografica, 2002, p.172.
  4. Ivi, cap. 114, p.184.
  5. La cronaca veneziana del diacono Giovanni, in F.S.I., Cronache veneziane antichissime, a cura di Monticolo G., vol. I, Roma, 1890, pp.113-114.
  6. Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.23.
  7. Partner P., Il Dio degli eserciti. Islam e cristianesimo: le guerre sante, Torino, Einaudi, 1997, pp.64-65.
  8. Erchemperto, Storia dei Longobardi beneventani, a cura di Matarazzo R., Napoli, Arte Tipografica, 1999, cap. 29, p.64.
  9. Dalla Chronica S.Bened. Casin., cit., cap.18, p.477, citato in Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., pp.66-67, n.9.
  10. Date le sue costanti incursioni presso i luoghi di culto quali Montecassino e San Vincenzo al Volturno, Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.66; e S.Michele sul Gargano, Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.108.
  11. “Set cum sepissime legati Agarenorum Salernum venissent, (dum) iam dicto Sico Petroque rectore Salernitanis simul preessent, accidit, ut unum eminentissimum Agarenum fuisset missus a Satan domino Salernum. Sed cum Salernum venisset, cum magna sublimitate eum susceperunt; at episcopium illum miserunt, quatenus in domo, ubi Bernardus presul morare solitus, erat, degeret. Dum fuisset nimirum factum, ipso presul exinde mox valde ingemuit, atque ex intimo cordis anelitum trahens, tandem deintus vulnus foras erupit, et quasi pro causa dictis principibus Romam properavit”. Anonimo Salernitano, Chronicon, cit.,  cap.99, p.142.
  12. Cum namque Romam venisset, aliquod tempore ibidem moravit, et a papa qui tunc in tempore adherat, et ab omnibus Romanis nimio diligebatur affectu. Sed dum bis terque a predictis principibus per epistolam exflagitatus esset, quatenus propria remearent, ille vero diu redire distulit. Tandem exoratus ab omni populo Salernitano et plus nimirum a clero, illis epistolam in hunc modum misit: " Si illuc me habere cupitis, edem mihi aliam in loco alio edificate, quia post hec minime ubi moravi iam habito". Anonimo Salernitano, Chronicon, cit.,  cap.99, p.142.
  13. Berto L.A., I musulmani nelle cronache altomedievali dell’Italia meridionale (secolo IX-X), in Mediterraneo medievale: cristiani, musulmani ed eretici tra Europa e Oltremare (secoli IX-XIII), a cura di Meschini M., Milano, Vita e Pensiero, 2001, p.19; Erchemperto, Storia dei Longobardi beneventani, cit., cap.16, p.48.
  14. Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., p.43.
  15. Il passo è tradotto in Aureli M.E., Confronto tra la “Vita Willibaldi” e l' “Itinerarium Bernardi”: come due viaggi di pellegrinaggio rivelano i profondi cambiamenti avvenuti nelle comunicazioni e negli scambi nel Mediterraneo tra il 720 e l'870, Pisa, 2001, pp.1-5; Perta G., Mira Rotunditas, Il Santo Sepolcro nei racconti odeporici altomedievali, in Annali della Pontificia insigne Accademia delle belle arti e lettere dei virtuosi al Pantheon IX, 2011, pp.443-455; Musca G., L’emirato di Bari: 847-871, cit., pp.72-74.
  16. Il cronista arabo al- Balādhuri visse presso la corte abbaside nella seconda metà del IX secolo.
  17. Al contrario, non potevano essere ridotti in schiavitù i non musulmani mentre si trovavano nel dār al Islām, cioè coloro che erano sotto la protezione della dhimma. Vercellin G., Istituzioni del mondo musulmano, Torino, Einaudi, 2002, pp.29-34 e pp.192-197

 

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