Autore: Antonio Brusa

 

Un manifesto in due premesse e tredici domande

Un sacco di gente, fa Giovanna. Emozionata come ogni volta che iniziamo il nostro convegno sull’intercultura a Senigallia*. Lo scopriremo domani. Oggi stiamo lavorando al progetto, una riunione durissima, mi dico ora che è finita e desidero solo di andare a tuffarmi nell’Adriatico appena increspato, che vedo dal balcone dell’hotel. Quest’anno il convegno si svolge all’interno di un progetto europeo, sulla revisione dei curricoli delle scienze storico sociali. Sono coinvolte diverse nazioni, ma il cuore della ricerca è qui in Italia, e soprattutto nelle Marche, terra di lavoro di Giovanna. Di qui la sua emozione. Ma siamo arrivati ormai alla settima edizione. Di questi tempi un risultato da segnalare. Vuol dire che se lavori, trovi un filone che i docenti sentono interessante e al tempo stesso concreto, vengono. Da domani, dunque, relazioni sulle diverse discipline e, al pomeriggio, una sventagliata di laboratori e giochi. Dei materiali che abbiamo preparato, penso possa interessare il lettore il “manifesto”, di questo modello di storia che cerca di intrecciare spazi e discipline diverse. Di seguito, poi, pubblicheremo lo schema generale, a partire dal quale lavoreremo, e che potrà essere utilizzato dal docente per costruire la sua programmazione (in questi giorni penso un servizio abbastanza utile).

 

Ruud van Empel (Breda 1958) , Generation 1, 2010, Museum Het Valkof Nijmegen

 

A. Le premesse

Prima premessa: tre obiezioni per scoraggiare i tentativi di costruire un curricolo interculturale geo-storico-sociale

La prima obiezione deriva dalla diversità dei sistemi nazionali di formazione. Nello spazio di oltre due secoli, i sistemi europei  hanno costruito strutture molto differenti tra di loro, non solo per i programmi, ma anche per l’organizzazione degli studi, la formazione dei professori, i libri e i materiali. Questa differenza si riflette nella “configurazione didattica” di un contenuto. In tutti i paesi, ad esempio, si studia “La rivoluzione francese”. Ma in ogni paese, questo argomento e il modo di insegnarlo, significa qualcosa di particolare e di diverso: e questo ancora oggi, nonostante il lavoro del Consiglio di Europa e i numerosissimi gruppi di cooperazione e di ricerca didattica internazionali.

La seconda obiezione deriva dalla distanza che separa le discipline dell’area umanistica. Anche queste si sono sviluppate e consolidate nell’arco di oltre due secoli, elaborando lessici, gerarchie concettuali e fattuali, metodologie e materiali propri. Hanno, inoltre, sviluppato una notevole gelosia identitaria, che – al di là delle buone intenzioni (anche queste di durata plurisecolare) – scattano ogni volta che si tenta di fondere saperi e pratiche di insegnamento in un’unica “super-disciplina” scolastica.

La terza obiezione deriva dal fatto che interdisciplina e intercultura hanno già prodotto, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, una notevole quantità di materiali e di riflessioni. Strade già percorse, e – anche se in larga misura fallimentari – ormai vecchie e superate dalle novità più appetibili, quelle delle nuove tecnologie, le sole ormai sulle quali si riversano i sempre minori investimenti nel campo formativo. E si sa che senza investimenti non si fanno passi avanti, né nella ricerca, né nella didattica.

 

Seconda premessa: buoni motivi per progettarlo ugualmente

Un primo buon motivo deriva dallo sviluppo delle discipline del comparto. Certamente è impossibile riassumerlo in poche battute e soprattutto pretendere di estrarre delle conclusioni certe e univoche da una situazione di ricerca molto complessa e in evoluzione. Tuttavia, si potrebbe dire con molte ragioni che sembra volgere al termine la stagione postmoderna, con le sue accentuazioni sulle soggettività, la sfiducia nelle grandi narrazioni, e lo spegnimento progressivo dei fuochi del post-colonialismo e della storia subalterna; mentre prende sempre più piede una nuova stagione di studi che fondono storia e geografia, con nuove sensibilità mondiali, ecologiche e socio-antropologiche. Molti parlano di un nuovo “spatial turn”. Alcuni best-seller (da Jared Diamond a David Christian) sembrano aprire una nuova stagione di studi, in cui “il mondo” impone agli studiosi di riformulare i propri assetti disciplinari e di cercare nuove complicità interdisciplinari.

Un secondo buon motivo deriva dal fatto che gli stessi Stati, per quanto gelosi dei loro assetti formativi e disciplinari, si rendono conto, con sempre maggiore velocità e evidenza, del fatto che le “vecchie discipline”, e in particolare quelle dell’area, non rispondono più, come nell’Otto-Novecento, alle esigenze collettive della formazione. Un tempo erano legate alla cittadinanza nazionale. Oggi, che tutto ciò viene rimesso in discussione, ci si crede sempre di meno e, conseguentemente, si riducono gli investimenti. In tutto il mondo, il comparto perde ore di insegnamento e figure professionali. Gli Stati rivolgono le loro attese formative ad altre forme di apprendimento-insegnamento, guarda caso, tutte contraddistinte da forte interdisciplinarità; tutte focalizzate su obiettivi di convivenza civile “visibili e apprezzabili dalla cittadinanza”, fra i quali indubbiamente anche l’intercultura. Nel futuro scolastico delle nostre discipline si intravede un bivio: o accettare questa progressiva emarginazione (siamo le discipline “culturali”, testimoni della buona formazione di un tempo); o riconquistare una nostra centralità, incorporando quindi le prospettive interculturale e interdisciplinari.

Un terzo buon motivo è nella vita e nel lavoro dei singoli docenti e nei diritti dei loro allievi. Certamente, le premesse negative di sopra ci inducono a non accarezzare grandi progetti e orizzonti di gloria istituzionali. Possiamo anche dubitare che queste riflessioni non porteranno facilmente a programmi, libri, professionalità diffuse in tutta Europa (o nel mondo). Ma non possiamo dubitare del fatto che ogni docente, di fronte ai suoi allievi, si pone concretamente il problema: “ma questa materia che insegno, serve effettivamente al mio allievo?”. E ha tutto il diritto, e forse anche il dovere, di cercare una risposta, se quelle istituzionali appaiono con chiarezza insoddisfacenti o sbagliate.

Questo progetto curricolare è dedicato a questi insegnanti. La sua stesura, fatta da uno storico, non rende pienamente merito dell’apporto formativo delle altre discipline. Vuole essere, però, la proposizione di una storia “aperta” all’ingresso e allo scambio interdisciplinare e al raggiungimento, al termine della ricerca, di un assetto curricolare interdisciplinare soddisfacente.

 

B. Le domande

 

1. In sintesi, qual è la proposta di lavoro?

Si propone la costruzione di un curricolo utilizzando il concetto di scala spazio-temporale. Ad ogni scala vengono assegnate funzioni formative prevalenti, scelte in base alla loro praticabilità e facilità di insegnamento. Infatti, in realtà, la storia e le discipline sociali sono talmente complesse che lavorando si potrebbe fare tutto su tutto.

Le scale sono quattro: mondiale, Euro-mediterranea, nazionale, locale. Essendo questa storia organizzata come “un atlante”, si presta meglio di quella “narrativa” ad un rapporto intenso con la geografia. Poiché i problemi osservati a diverse scale riguardano fondamentalmente gli aspetti della vita umana (sociale, politica, economica, culturale e religiosa, ecc) si apre una terza possibilità di rapporto con gli studi sociali.

 

2. Perché un sapere organizzato per scale?

Ogni problema storico individua una sua scala spazio-temporale. Ad esempio: il processo di ominazione ha una scala mondiale e tempi lunghissimi. Ogni scala ha caratteristiche epistemologiche specifiche, che si perdono nell’uso corrente di una narrazione continua, dal passato al presente, che tende ad appiattirne le specificità. Più che ad un “romanzo”, composto da capitoli di una narrazione, la storia assomiglia ad un atlante, composto da pagine qualitativamente diverse.

 

3. Che cosa vuol dire funzioni formative prevalenti?

Nella sua complessità, ogni conoscenza storica è talmente ricca che potenzialmente può servire a qualsiasi aspetto della formazione. Nella realtà, alcune esigenze formative si prestano meglio di altre ad ottenere alcuni risultati. Ad esempio: le scale mondiali si prestano benissimo all’esigenza di fornire un quadro semplice ed efficace di tutta la storia, e quindi a fornire un’immagine ragionevole del passato, nella quale si possono incastonare quadri storici di minore scala.

 

4. Cosa sono e quanti sono i quadri mondiali?

Quelli elementari sono quattro:

  • Il processo di ominazione
  • Il processo di neolitizzazione
  • Le rivoluzioni (agrarie, industriali, scientifiche e politiche) del secondo millennio
  • La globalizzazione attuale

Questi quadri scandiscono in quattro momenti tutta la storia mondiale. Per il docente della scuola di base sono già individuati nel programma di studi come gli elementi necessari del curricolo; il programma delle superiori ha un approccio narrativo più tradizionale.

Questi quadri individuano come “soggetto del racconto storico” l’umanità. Infatti, per ciascuno di essi si possono individuare spazi e tempi originari. Nel loro sviluppo coinvolgono – direttamente o indirettamente – l’intera specie umana. Nascono da problemi, e affrontano problemi per la cui soluzione si richiede la presenza di un soggetto globale (ad esempio: la ripartizione mondiale delle ricchezze). Come tali, dunque, hanno le caratteristiche ideali per fornire una base conoscitiva comune per tutti: cittadini di nazioni diverse; cittadini di culture e origini diverse di uno stesso stato. La storia che raccontano presenta una seconda caratteristica interessante: hanno un’apertura interdisciplinare ineguagliabile, potendo coinvolgere discipline scientifiche e l’intera gamma delle discipline sociali, filosofiche, religiose, letterarie e artistiche. Infine, sono il luogo ideale per fondare in modo storicamente accettabile l’intero complesso delle “educazioni”: alla pace, alla convivenza, al genere, allo sviluppo sostenibile e all’ambiente, all’intercultura ecc.

 

5. Si deve insegnare solo storia mondiale?

No. Le caratteristiche riassunte sopra suggeriscono che una parte (variabile e da decidere a seconda dei casi) del curricolo sia assegnata a questo tipo di storia. La parte restante andrebbe utilizzata per affrontare quadri di scala diversa.

 

6. Esiste una “sintassi delle scale diverse”?

Occorrerebbe fare molta attenzione al modo con il quale si mettono in relazione le diverse scale. Ad esempio occorrerebbe evitare il rischio di una storia “deduttiva” (posto un certo fenomeno a livello mondiale, ne consegue necessariamente una data conseguenza a livello locale) e, per converso, una storia “induttiva”, che dall’analisi del locale ricava l’andamento fondamentale. Sarà, invece, interessante osservare come lo stesso fenomeno cambi, a seconda delle scale dalle quali viene osservato.

 

7. Perché “saper usare scale diverse” è una competenza di educazione civile?

Un aspetto della complessità della vita sociale odierna è costituito dalla pluralità delle scale (e conseguentemente delle identità: politiche, religiose, sociali, familiari, di gruppo) nelle quali si frammenta la vita di ciascuno. Questa complessità delle scale, inoltre, si manifesta nei diversi livelli ai quali si propongono i problemi della vita sociale (la crisi economica, per esempio, ha una dimensione locale, ma anche un’altra personale, e un’altra ancora nazionale). Saper vivere, conoscere, orientarsi in contesti di scala diversa diventa una questione ineludibile di un cittadino, che deve saper distinguere i livelli ai quali di volta in volta deve operare (il contesto dell’economia familiare, ad esempio, è incomparabilmente diverso da quello dell’economia nazionale). Quindi “saper usare scale diverse” è un obiettivo di cittadinanza, al quale un curricolo geo-storico-sociale dovrebbe poter rispondere.

 

8. Esiste una didattica particolare per insegnare la storia mondiale?

E’ evidente che il rapporto con la geografia è privilegiato. Ma a seconda dei tagli che si danno all’intervento didattico si può mettere in rilievo il rapporto con l’economia (alimentazione, scambi, crisi economiche, ecc.) e con altre discipline. La materia – dunque – può essere trattata con tecniche molto diversificate. Un lavoro con le carte geografiche, nel caso si privilegi l’aspetto spaziale.

 

9. Quando inserire i quadri di storia mondiale nel curricolo?

Le opzioni sono varie e ciascuna di esse presenta vantaggi e svantaggi. Li si può inserire nel momento cronologicamente più corretto; oppure in quello pedagogicamente più utile. Si fa notare solo che, data la ricchezza problematica di questi quadri (si pensi al concetto di ominazione e alle sue implicazioni morali, filosofiche, religiose e scientifiche) è possibile che ad essi si debba e si possa far ricorso più volte, nel corso del curricolo.

 

10. Cosa si intende per quadri di storia euro-mediterranea?

La regione euro-mediterranea è una parte del mondo, variamente  abitata, che ha dato luogo a processi e vicende molto diverse tra di loro. Queste sono abusivamente ricomprese dalla tradizione scolastica in una storia considerata “europea”, ma che in realtà riguarda una parte solo della regione. Ad esempio, l’area slava è solitamente esclusa dalla narrazione storica manualistica di tutta l’Europa occidentale. Occorre, quindi, avvicinarsi con prudenza all’utilizzazione didattica di questo quadro, individuando fatti e problemi  di grande ampiezza. Ad esempio: il popolamento europeo; il rapporto fra mondo mediterraneo e Europa centro/settentrionale; le società medievali; la formazione dello stato moderno, ecc. E’ impossibile – al momento – individuare quadri di storia europea utili e consigliabili per tutti. Si può però lavorare per produrre un elenco accettabile, dal quale attingere, e individuare – col tempo – un numero ragionevole di opzioni anche vincolanti.

 

11. Si possono progettare laboratori e studi di caso di storia europea?

Nella storia euro-mediterranea, però, è possibile individuare studi di caso, sui quali impostare laboratori di portata abbastanza ampia. Ad esempio, guardando la regione da un punto di vista latamente economico, il concetto di “scambio” permette di costruire laboratori sul commercio dell’ambra o delle pellicce; sul commercio degli schiavi; sul commercio del baccalà o dei cereali settentrionali. La produzione agraria (coltivazione della vita o della patata). La storia sanitaria: la peste. Ciascuno di questi laboratori permette un bouquet interdisciplinare e opzioni formative diverse, che vanno equilibrate nel curricolo.

 

12. La storia nazionale sparisce?

Per quanto la storia nazionale sia talmente abituale nelle scuole, da risultare del tutto normale e a-problematica, tuttavia vanno notati alcuni fatti incontrovertibili dal punto di vista storiografico. Il primo è che gli Stati-nazione hanno una vicenda recente. La maggior parte di quelli europei non può far risalire la propria storia ai secoli precedenti il XVIII. L’estensione nel passato è un semplice abuso al quale ci siamo assuefatti. E’ ciò che gli storici chiamano il peccato mortale della storia: l’anacronismo. Tuttavia, nella regione nella quale una nazione attuale si è installata sono sicuramente avvenuti fatti, e sicuramente si sono svolti processi rilevanti. Alcuni di questi, a giudizio ovviamente delle comunità insegnanti, possono essere inseriti nel curricolo. Vanno però prese e condivise alcune precauzioni metodologiche (storiche e pedagogiche al tempo stesso).

  • Il “filo conduttore” del racconto storico curricolare più efficace e corretto è quello mondiale
  • Al contrario, il filo conduttore abituale è quello nazionale. Considerato scontato dalla maggior parte dei docenti, esso è stato messo fortemente in crisi da studiosi che insistono sulle rotture e sulle diversità fra i diversi periodi, che costituiscono una qualsiasi storia nazionale.
  • La stessa narrazione storica è strutturata per concetti (nazione, memoria condivisa, origini, eredità, patrimonio, carattere nazionale, ecc), che vanno riconsiderati attentamente, dal momento che si sono formati all’interno della visione anacronistica nazionale.
  • La ricostruzione nazionalistica alla quale (volontariamente o no) si fa sempre riferimento, è costruita su un plot comune ai diversi stati europei (e mondiali): una nazione, le cui caratteristiche originarie sono state spesso oppresse da “nemici”, alla fine trova il suo giusto riconoscimento. In questo “romanzo o genealogia della nazione” gli altri sono spesso i nemici.
  • Si tenga conto, infine, che anche gli immigrati e i loro figli sono portatori di una visione nazionalistica auto centrata, e che qualsiasi educazione interculturale non potrà mai essere concepita come mediazione fra nazionalismi, e quindi a partire dalla loro preventiva legittimazione.

 

13. Storia locale è utile in una prospettiva mondiale?

E’ il terreno ideale per costruire laboratori, studi di caso, presa di contatto con documentazioni e realtà, ricerche sul vivo, ecc. Tuttavia, è stato nel passato il terreno ideale per la coltivazione di un approccio identitario ed esclusivo. Per riacquistare un ruolo formativo, compatibile con il rigore storiografico e con gli ideali pedagogici, deve essere considerato come un laboratorio, e non come “la matrice di un racconto che dal passato ad oggi esprime e contiene l’identità di una collettività”. Il concetto di “patrimonio” va rivisto, dunque, in modo essenziale. Nell’interpretazione corrente è un concetto “proprietario”. Appartiene ad una collettività, ad una cultura, ad una religione. Il patrimonio, invece, appartiene all’umanità. Questo principio permette di collegare in modo forte la storia locale a quella mondiale e ci permette di dare un’ottima definizione storico-didattica del termine “locale”.

 

E’ chiaro, infine, che la scelta dei laboratori di storia locale non può essere sottratta al docente, o alla comunità formativa nella quale è inserito, da parte di invadenti assessorati “all’identità” o alla “cultura regionale”.

 

* Il convegno è intitolato “Una nuova etica per i curricoli della cittadinanza globale”, si svolge qui a Senigallia dal 6 all’8 settembre ed è organizzato dal CVM e dalla regione Marche. Il progetto europeo, coordinato da Massimiliano Lepratti (del quale i nostri lettori non si saranno persi le spiegazioni sulle tre crisi del Novecento), si intitola: Critical review af the historical and social disciplines for a formal education suited to the global society.

 

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