Campo Jacotenente, Foresta Umbra, 28 settembre

 

 

Come faccio a entrare in camera con questa, dico sorpreso. Lui è un giovane aviere scelto. Ah non si preoccupi, la porta è aperta, sa, qui la manutenzione è quella che è. Accenna un sorriso. Entro, mi siedo sul letto. Preoccupatissimo per la mia schiena, perché è un vecchio letto a molle, mi guardo attorno. L’ambiente doveva essere dignitoso fino a pochi anni fa. L’abat-jour, nuovo ma senza lampadina, il rubinetto che funziona, ma cigola quando lo giro, le ante dell’armadio che iniziano a scrostarsi rivelano che la decadenza è recente. Ma il letto è ben fatto, e l’accappatoio bianchissimo è custodito nella plastica della lavanderia.

 

Le strade della base sono interrotte da ciuffi d’erba; il campo da tennis ha la rete tesa, ma le tribunette si stanno sbreccando. Cedono gli infissi delle abitazioni; molte sono vuote, come la grande mensa, con lunghe vetrine senza cibi e tavolate silenziose. Qua e là sono parcheggiati mezzi militari datati, come il pulmino che ci ha preso alla stazione, e, con grande sensibilità per ogni buca e rattoppo della strada, ci ha portato fin qui, sui 900 metri della cima del Gargano.

 

Il bosco, fuori dalla base, è da mozzafiato. La Foresta Umbra. Percorro la strada che la taglia a metà nel fresco della mattina, con gli alberi altissimi e fitti e un tappeto di foglie rase, senza rami sparsi e cartacce. E’ ben preservato da barriere e reti metalliche. Si succedono, da un lato e dall’altro, le residenze di vacanza delle Ferrovie dello Stato; dell’Interforze; del Corpo Forestale; qualche monastero e casa di riposo. Più in là, mi hanno detto come in confidenza, c’è la base Nato, che però ufficialmente non esiste. Affretto il passo per tornare. Fra un po’ comincia la summer school sul paesaggio, organizzata dall’Università di Foggia. Parleremo di ambiente, paesaggi storici e la loro tutela, e di come insegnarli. Studenti attenti e seri, che ieri notte, quando siamo arrivati, stavano a lavorare e discutere, ben oltre la fine delle lezioni.

 

Entro con il pass elettronico. La base non ha più soldi, mi dicono. Quei pochi che arrivano se ne vanno per aggiustare una tubatura o un palo della luce. Per sopravvivere si arrotonda ospitando noi, per esempio, ma anche qualche Ong o altri corsi di formazione. Ecco l’Aeronautica italiana, mi dico, quella che compra i supercacciabombardieri, fa le missioni in Asia Centrale e manda un astronauta in giro per lo spazio.

 

La chiave spezzata è collegata a un pass elettronico. L’ho vista come un simbolo. E un simbolo mi sembra anche questa base in abbandono, nascosta in un ambiente superbo.

 

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