Alghero, 7 gennaio

Sissi ha deciso di buttare Una storia italiana. Io la conservo, per quanto, dato il disordine della mia libreria, l'effetto dovrebbe essere lo stesso. Sissi se ne libera per tanti motivi. Io la conservo perché sono uno storico, il che non vuol dire affatto "un raccoglitore di cimeli". Sergio Luzzato lo sa spiegare meglio di me, e ve lo riassumo.

"Che l'Italia sia il paese del fotoromanzo è cosa che abbiamo imparato una volta per tutte nella primavera del 2001: quando SIlvio Berlusconi, candidato premier per la Casa della LIbertà, ha invaso le nostre case attraverso la posta con una specie di fotoromanzo elettorale intitolato, non per caso, "Una storia italiana". Sessantatré foto dell'eroe nella sola copertina, e poi, all'interno, la torrida storia d'amore fra un uomo e il suo popolo narrata con immagini patinate e titoli zuccherosi: "I piccoli segreti di Silvio", "Gli amici di sempre", "Costruire un impero" [ma direi che questo titolo è minaccioso], "Veronica grande amore" (ahi ahi, dieci anni dopo ...).

Per vincere le elezioni, il leader di Forza Italia, sedicente outsider della politica, sceglieva dunque di parlare a milioni di italiani (e soprattutto di italiane) con un ben preciso linguaggio, verbale e figurato: true stories da "Intimità", fotografie da "Grand Hotel". Era lo stesso leader il quale alle elezioni successive amministrative, avrebbe ricordato ai candidati del suo partito che i voti si conquistano non con i grandi discorsi, ma con ragionamenti per casalinghe e con un gergo da seconda media".

DIrei che fino a questo punto troviamo per intero sia le ragioni di Sissi, e soprattutto la sua ripulsa morale e del suo coltivato buon gusto, sia quelle dello storico: attenzione, non facciamoci imprigionare dalla derisione.

Ma è seguendo ancora il ragionamento di Luzzatto, che scopriamo la specificità del punto vista storiografico. Infatti, Luzzatto (che scrive per commentare il lavoro di Anna Maria Bravo sul fotoromanzo, appunto), ci mette in guardia anche dalla supponenza con la quale giudichiamo spesso questo tipo di rivista (e per conseguenza il suo pubblico): Ci ricorda l'immagine bellissima di Silvia Mangano, la mondina ribelle di "Riso Amaro", immersa nella lettura di Grand Hotel. Il fatto è che il fotoromanzo, per quanto genere letterario da seconda media, e anche meno, ha un suo passato per nulla zuccheroso di donne e di ragazze che amavano storie poco apprezzate dalle gerarchie, cattoliche e no, che reggevano il paese. Erano lettrici che "nel momento stesso in cui si allontanavano da un'edicola con la rivista in mano, si dimostravano capaci di sfidare un divieto: venisse da una madre opprimente, da un parroco bacchettone, o dal segretario di una sezione comunista".

Se c'è un messaggio in questa storia, valido forse in un momento in cui il nostro eroe scrive altri fotoromanzi, mano per mano con la fidanzatina napoletana, è che, quando diamo le cose per
scontate, in quello stesso momento qualcuno ci ha fregato.

(chi vuol leggere l'articolo per intero: S. Luzzatto, Sangue d'Italia, manifesto libri, Roma 2008, pp. 135 ss)

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