Bari, 20 aprile

Ne abbiamo già parlato, del programma di studi del Tfa, proposto dalla Sisem (l’Associazione degli Storici modernisti italiani: vedi qui Un buon programma di studi per il futuro Tfa ). Ora si possono leggere per intero i documenti prodotti nella sessione appositamente dedicata alla Didattica, nella riunione di Palermo del 23 marzo.

 

Ci sono molte proposte interessanti. Fra queste c’è l’idea di istituire un Dipartimento virtuale di Didattica della storia, con il compito di raccogliere esperienze, proporre e realizzare formazione professionale online, proporsi come luogo di incontro e di discussione sui temi dell’insegnamento storico. In questo Dipartimento potrebbe trovare posto una banca di moduli didattici, realizzati seguendo un approccio storico nuovo e più efficace, che superi le tradizionali impostazioni (lineari e legate alla storia delle nostre radici). Un nuovo sguardo sul mondo, capace di conciliare la necessaria apertura globale con l’altrettanto necessaria presa in considerazione del locale.

 

Non sono affatto temi nuovi nella scuola: la vera novità è che gli storici moderni affermano che questo processo di revisione, al momento spontaneo e incontrollato, deve essere garantito dalla riflessione storiografica.  Affermano che è compito degli storici (e non dei sindacati, delle agenzie di formazione, delle Direzioni regionali, quando non dei pedagogisti) occuparsi della costruzione di un curricolo verticale di storia, che dia sicurezze agli insegnanti, agli autori di manuali e di sussidi didattici, e permetta la progettazione di corsi di formazione professionale soddisfacenti.

 

Che tipo di curricolo? Gli storici giudicano il curricolo attuale, diviso in due cicli di cinque anni ciascuno (attribuiscono erroneamente questa partizione a Giuseppe Fioroni, in realtà è opera del ministro Letizia Moratti). Scrivono che questa ripetizione è sbagliata per due motivi fondamentali. Il primo è relativo all’innalzamento dell’obbligo a 10 anni. Se la scuola per tutti termina quando l’allievo ha 15/16 anni, il curricolo non può che finire con la storia contemporanea nel biennio.  Quindi, ci vorrebbe un corso unico, che giunga al termine del biennio delle superiori; e, al triennio, occorrerebbe assegnare  uno studio “più maturo”, articolato per temi e problemi. Per chi – come me e tanti altri – si batté invano nella Commissione De Mauro (2000-2001) per affermare questo principio elementare, è una gioia grandissima vedere che ora un’associazione di storici se ne fa promotrice.

 

Il secondo motivo, che rende inutile (se non dannosa) la ripetizione è stato messo in luce da decenni di ricerca didattica italiana (e non solo).  Per quanto i sostenitori della “storia ricorsiva” non manchino, l’evidenza – di quasi due secoli – ci insegna che non è ripetendo le stesse cose, che queste si imparano meglio.  Ora abbiamo, finalmente, un’associazione di storici che corrobora questa convinzione diffusa (e repressa) nelle scuole.

 

Il rinnovamento dell’insegnamento storico, anche questo viene detto con chiarezza, ha bisogno dell’appoggio fattivo della ricerca storica. Non si può lasciare al docente il compito di “immaginarsi” un passato del mondo diverso da quello veicolato dai manuali. Queste nuove visioni devono essere fondate nel lavoro universitario: il che vuol dire (il documento non lo esplicita, ma lo lascia intendere) che gli storici dovrebbero, accanto alle loro ricerche, occuparsi un po’ di più della storia insegnata nelle scuole.

 

Una piccola scintilla, che non sarebbe esagerato definire rivoluzionaria visti i tempi, da parte dei nostri colleghi modernisti.

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