di Antonio Brusa

Immagine117 novembre 1951: un fotoreporter in Polesine. Immagine dalla mostra "70 anni dopo. La Grande Alluvione". ©Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo. FonteRoberta Biasillo e Pietro Pinna ci regalano un’introduzione alla storia dei fiumi che va ben al di là di chi si interessa al tema del bacino del Po, al quale è dedicato l’ultimo numero di e-review, la rivista degli istituti storici della Resistenza emiliani, fondata dall’indimenticabile Alberto De Bernardi.

“Che cos’è un fiume”? aprono con questa domanda i due studiosi. “E’ una macchina organica”, rispondono, utilizzando l’indagine che Richard White ha dedicato al fiume Columbia, il quarto per grandezza degli Stati Uniti, che nasce dalle Montagne Rocciose e sfocia nel Pacifico. Da secoli fu utilizzato dai nativi per la pesca al salmone. Poi è arrivato l’uomo bianco. Dighe, regimentazione delle acque, urbanizzazione. “Abbiamo ucciso il fiume”! siamo pronti a gridare. Attenzione, avvertono i nostri due autori.

 

Usiamo un linguaggio sociale per riferirci al fiume. Lo abbiamo violentato o ucciso; ma un linguaggio simile è fuorviante. Abbiamo cambiato il fiume Columbia, a scapito di alcune specie e a beneficio di altre. Dove un tempo il Columbia significava salmone, ora significa alosa e altri pesci di acqua dolce. Il Columbia non è morto [...]. Le dighe dipendono da ritmi naturali di scala maggiore, come le nevicate, lo scioglimento delle nevi, la pioggia, la gravità e le stagioni, ma abbiamo creato un sistema in cui ciò che è naturale e ciò che è umano diventano sempre più difficili da distinguere. Ogni sfera invade e influenza l’altra. Il fiume è diventato una macchina organica

(The Organic Machine: The Remaking of the Columbia River, Hill & Wang, 1996: qui, in un epub molto economica)

 

Quindi, per studiare il fiume occorre mettere insieme discipline nate in contesti diversi, che si sono bellamente scontrate per decenni e in molti casi continuano a farlo. Storia e geografia, in primo luogo, ma anche altre discipline, dalla botanica alla zoologia alle scienze climatiche e così via. Scienze dei due mondi a lungo considerati opposti - organico e fisico - che i nostri tempi costringono a meticciarsi. Sono approcci ibridi, ai quali sempre più siamo indotti a fare affidamento per affrontare problemi che le vecchie discipline - che avevano diviso l’universo con riga e squadretta, più o meno come fecero le potenze europee al Congresso di Berlino spartendosi il pianeta - non riescono più a dominare.

Molte di queste discipline crescono nella terra di nessuno fra storia e geografia: la storia del paesaggio, del territorio, dell’ambiente e le varie environmental humanities, storie interconnesse o entangled (Rethinking the Entangled History of Water and Power, in «Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ’900», 2 (2022), pp. 319-344).

Acqua e potere sono parole che non possono essere staccate. La cronaca internazionale ce lo racconta ogni giorno, mostrandoci stati e comunità che si contendono l’acqua del Nilo, quella dell’Eufrate o del piccolo Giordano. E, per restare ai fatti nostri, le continue contese fra Puglia, Basilicata e Molise per l’uso delle acque, o il sequestro dell’acqua da parte della mafia siciliana. Begli esempi di storia dell’acqua ce li abbiamo già a disposizione, dalla Storia del Mare, di Alessandro Vanoli (Laterza 2022) al manuale di storia del mediterraneo medievale, poderoso lavoro collettivo organizzato da Antonio Musarra e Pietro Silanos (Il Mulino, 2025). E per restare nella didattica della storia ambientale, sono ancora utili i volumi di storia del paesaggio antico e medievale che curai con Gabriella Bonini e Rita Cervi per le summer school dell’Istituto Cervi (quaderni 6 e 7: si trovano su Reti medievali).

Gli studi sono una biblioteca, ormai. L’argomento non è più soltanto una questione giornalistica. Ne possiamo dunque parlare in classe. Biasillo e Pinna fanno parecchi esempi, fornendo così al docente italiano uno straordinario strumento di geostoria autentica. Perché non parlano solo del Po. Infatti, scorrendo la bibliografia (operazione in questo caso assai istruttiva), si vengono a conoscere studi sui fiumi siciliani, veneti, romani. Insomma un materiale ottimo per trasformare l’ambiente, spesso anche quello sottocasa, in un’aula di studio della complessità.

Da medievista sono attratto dal dramma che sconvolse le pianure solcate dal Fiume Giallo, fra secolo XI e XII, proprio mentre in Europa esplodevano gli effetti della parentesi climatica favorevole. Lì, al capo opposto dell’Eurasia, le piogge intense fanno straripare il fiume. Cascate d’acqua sommergono una pianura per circa 700 chilometri, fino alla foce. Un milione di morti. Raccolti distrutti per anni. Terra resa incoltivabile per secoli. I governi tentano di soccorrere i superstiti, ma sembra che ogni iniziativa non faccia altro che peggiorare la situazione. Si va avanti per centinaia di anni, in una “trialettica” tra fiume, pianura e istituzioni, dove i protagonisti sono “acqua, limo, terra, governi, comunità e individui”.
(Ling Zhang, The River, the Plain, and the State: An Environmental Drama in Northern Song China, 1048-1128, Cambridge, Cambridge University Press, 2016).

La Cina è un teatro storico affascinante, nel quale fatti e soggetti acquistano dimensioni così gigantesche che colpiscono e rendono inevitabilmente concreta la percezione dell’importanza del fenomeno. Perciò, ho pensato che, quando finirò di leggere il libro, ne ricaverò un laboratorio didattico, spero con qualche modello molto chiaro anche per i bambini. So che violerò non so quante raccomandazioni contenute nelle nuove Indicazioni, a cominciare da quell’abolizione della geostoria che Valditara considera un fiore all’occhiello della sua riforma. Ma sono convinto che dovremmo cominciare a pensare a questo divorzio come a un arretramento scientifico e didattico. Certo, non la geostoria inventata da Gelmini, espediente economico miserevole. Ma questa, degli studi incrociati fra storia e geografia (e tante altre materie), sì: peraltro, sull’ibridazione delle discipline come buona pratica, queste stesse Indicazioni avevano speso molte parole e fatto molti esempi, nella Bozza. E a ragione: sono questi gli approcci utili per analizzare la complessità del nostro mondo.

PS: e non dimenticate che si parlerà di questi temi al convegno online organizzato da Clio92 e la Rete di geostorie per il 3 settembre SE LA STORIA È UN VIAGGIO NEL PASSATO, QUAL È IL PUNTO DI PARTENZA? Storia e geografia per conoscere il tempo presente, del mondo e della scuola.

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