La Società Italiana di Didattica della Storia (SiDidaSt) unisce la sua alle voci di dissenso che provengono da Società storiche, associazioni professionali e altre società disciplinari e didattiche, e che riguardano sia il metodo seguito dalla Commissione che ha redatto le Indicazioni nazionali (audizioni che appaiono, come è stato detto, “di facciata” e questionari diffusi nelle scuole che predeterminano le risposte), sia il contenuto della bozza di storia.
Fra le tante critiche, una sembra dirimente: con questo documento, l’esecutivo intende cancellare dal curricolo la storia, intesa come ricostruzione scientifica del passato, e sostituirla con un racconto che la storiografia conosce come “biografia della nazione” e che annovera da tempo fra le tradizioni inventate. Questo testo non prescrive di studiare la storia italiana, presente già nelle Indicazioni vigenti, ma una sua versione mitologizzata. Lo dimostra il modello narrativo nel quale vengono iscritti i fatti, che è quello di una nazione eterna, che affonda le sue radici nel passato glorioso di Roma e, poi, vittima di dominazioni straniere, se ne libera in un Risorgimento popolato dal Pantheon degli eroi. Lo prova l’obiettivo del lavoro didattico, di inculcare negli allievi l’identità nazionale, e non di avviarli alla conoscenza critica del passato. “Formare gli italiani”, proprio quell’obbiettivo che le Indicazioni di geografia dichiarano desueto, in storia diventa, invece, il traguardo da raggiungere, in sintonia con una cultura storica dal sapore ottocentesco che ignora le acquisizioni storiografiche degli ultimi decenni, dalla storia ambientale, alle storie post-coloniali, alla storia di genere, alla storia culturale, alle storie mondiali, globali, interconnesse.
Agli allievi si propone una narrazione moralistica senza sospettare il grave rischio di anacronismo e di parenesi che comporta. Anzi, gli estensori del documento spingono l’insegnante a “non temere” di coinvolgere gli allievi emotivamente e sentimentalmente, raccontando loro aneddoti che ritengono essere di sicura presa con i giovani odierni, come il sacrificio di Muzio Scevola o l’apologo di Menenio Agrippa. In questa atmosfera pedagogica sono sottovalutate, o sconsigliate, anche le acquisizioni della didattica: dall’uso dei documenti (“irrealistico”) a quello delle tecnologie digitali e dei contenuti multimediali, dei quali si dice che mai potranno promuovere ragionamenti critici profondi. Non c’è traccia del grande patrimonio di strumenti che la ricerca didattica internazionale oggi mette a servizio dei docenti. Lezione e manuale sono gli unici attrezzi del mestiere che la Commissione conosce. Né i suoi membri sembrano consapevoli di temi quali l’alfabetizzazione storica, il pensare storicamente, la coscienza storica e il rapporto fra formazione storica e potere politico, il rapporto fra storia accademica e sapere storico diffuso, che la ricerca internazionale ha ampiamente sondato e che sono indispensabili proprio per affrontare quella crisi dell’insegnamento che queste Indicazioni dichiarano di voler combattere. Una ricerca ineludibile anche per evitare errori disastrosi, come nel caso delle classi multietniche, dove è accertato che l’identità sociale dei più giovani si forma nel contesto familiare e in quello immediatamente allargato, e che un insegnamento della sola storia nazionale tende a produrre nei giovani immigrati un sentimento di esclusione, mentre l’insegnamento di una storia mondiale può favorire il riconoscimento dell’identità sociale di ciascuno.
Chiusa in sé stessa, la Commissione ha rifiutato non solo aggiornamenti didattici e storiografici, ma anche il doveroso aggiornamento sui fatti. Il loro elenco mostra una visione stereotipata della stessa storia italiana, dove, a parte errori stupefacenti (come il Mediterraneo unificato da Alessandro Magno), si susseguono definizioni non scientifiche (“la comparsa dell’uomo”), argomenti desultori, come “la famiglia romana” (e perché no anche quella medievale, ottocentesca o attuale?), interpretazioni azzardate, come quella dei longobardi anticipatori del Risorgimento, dizioni stantie come “le Repubbliche marinare”, o limitative, come le rivoluzioni moderne considerate il crogiolo della libertà. Nelle premesse, infine, si dichiara che si studia storia per capire il presente, ma l’elenco dei fatti termina con Mani Pulite, come se gli ultimi trent’anni non avessero nessun rapporto con l’oggi.
Nei mesi trascorsi, molte di queste critiche sono state pubblicate e sono state oggetto di un dibattito vasto, al quale hanno partecipato anche membri della Commissione. Ma questi hanno deciso di non tenerne conto. Non si sono curati di aggiornare il testo, di correggere gli errori, di rivedere un’interpretazione generale che subordina la storia a un progetto politico. Hanno ritenuto di poterlo fare perché, come ha rivendicato il coordinatore, Ernesto Galli della Loggia, il loro è un compito ideologico.
Questi sono i motivi per i quali la SiDidaSt ritiene questa bozza irricevibile.