Brusa

  • Gli ingredienti per un gioco didattico di storia

    di Marco Cecalupo e Giuseppe Losapio

     

    Immagine1 1. Giocare a scuola: domande e strumenti per orientarsi

    Quali sono gli elementi e i passaggi per decidere se un gioco di storia possa funzionare a scuola? Come inserirlo nella programmazione e cosa lo rende differente da qualsiasi altro gioco? Come posso usare un gioco commerciale e adattarlo per le mie lezioni? Queste sono le domande che ci hanno spesso impegnato nella nostra decennale pratica di didattica ludica, sia come insegnanti sia come autori di giochi didattici o adattatori di giochi commerciali. E in tutti questi anni le risposte sono venute da una tradizione di studi ben rappresentata nel volumetto di Antonio Brusa, Giochi per imparare la storia (Carocci 2022), a cui ci siamo rifatti per ripensare e aggiornare i nostri strumenti di lavoro.

    Abbiamo colto la palla al balzo partecipando al secondo convegno nazionale della Società Italiana di Didattica della Storia (SIDiDaSt), che si è tenuto a Bologna l’8 e il 9 novembre del 2024 sul tema “Didattica della storia fra storiografia e memoria”, con un workshop pomeridiano proprio sulla “Didattica ludica della storia”.

    Il testo di Brusa presenta una panoramica precisa degli studi che hanno evidenziato prima e poi spiegato le potenzialità del gioco in ambito formativo. Eccone alcune.

    Nel capitolo terzo, Gioco e formazione storica, afferma che “fare storia e giocare appaiono attività quasi isomorfiche”.

    Continuando nella lettura si passa ad individuare quali caratteristiche debbano avere i temi oggetto dell’agito ludico: la densità, la complessità e la rilevanza didattica. Per quest’ultimo punto troviamo imprescindibile lo studio di Luigi Cajani del 2004 per chi voglia progettare un’attività didattica ludica di storia mondiale sui temi delle società e degli scambi.

    In questo capitolo vengono inoltre presi in rassegna una serie di qualità da tenere in considerazione, definite “le sette caratteristiche della giocabilità e la sua sostenibilità”: la durata, la semplicità delle regole, l’essenzialità, l’economicità, la povertà, la copiabilità e la leggerezza. Per descrivere e studiare un gioco, è necessario poi conoscere “le nove parti della lingua dei giochi”: scenario, personaggio, la cultura dell’allievo/giocatore, regole, penalità, risorse, imprevisti, avventura e il caso o l’alea. Un modello solido che permette di allenare l’occhio dell’insegnante ed entrare in un mondo complesso.

    Per non parlare degli elementi che servono per scegliere un gioco, del debriefing e della valutazione di un gioco. Tuttavia, per chi non mastica questo lessico o è a digiuno del mondo dei giochi, o per chi pensa che i giochi siano solo Monopoly e Risiko!, inoltrarsi in questo mondo e portarlo a scuola diventa un lavoro complesso e rischia velocemente di scoraggiarsi. Per questo abbiamo deciso di approntare una breve guida per introdurre i volenterosi in questo mondo, nella speranza che possano continuare la propria attività autoformativa - sia giocando sia leggendo il volume di Brusa - per costruire una “bottega di giochi” in rete con altri colleghi volenterosi.

     

    Immagine2 2. Promuovere il dialogo tra storici, game designers e insegnanti

    È dagli anni ‘90 che il dibattito sulla didattica ludica ha preso forma e sostanza e ha visto momenti di svolta e di sintesi interessanti. Da allora non si è mai fermato, ma la tendenza degli ultimissimi anni vede una critica verso il termine “didattica ludica”, considerato come una sorta di corruzione del rapporto tra il gioco e la storia, elementi che, sostengono, possono dialogare senza la mediazione didattica.

    Ci riferiamo alle numerose e lodevoli attività di ricerca sul gioco storico promosse in Italia nel campo della public history. L’Associazione Italiana di Public History (AIPH) nel suo Manifesto del 2024 lo definisce “un campo delle scienze storiche a cui aderiscono coloro che svolgono attività attinenti alla ricerca, alla comunicazione e alla pratica della storia” e aggiunge che “tali attività si realizzano con e per diversi pubblici, tanto all’interno quanto all’esterno degli ambiti accademici e istituzionali, nel pubblico e nel privato”. Tra i suoi scopi programmatici c’è “la promozione dell’utilizzo della public history nell’ambito didattico, sia nello specifico insegnamento della storia, sia come strumento trasversale di educazione alla cittadinanza, all’intercultura, all’inclusione”.

    L’Associazione Pop History, nata come “costola” di un Master universitario presso Unimore, dedica a “Gioco e Storia” una intera sezione del proprio sito web, e ha collaborato alla creazione di board games e urban games proposti negli ultimi anni alle classi delle scuole di Modena, Bologna, Milano e altre città. Se ne deduce che la scuola, di qualsiasi ordine e grado, rientra a pieno titolo in questo campo di ricerca.

    Altra iniziativa è il Manifesto della Ludic History redatto da Glauco Babini, Mirco Carrattieri e Mirco Zanoni, su ispirazione del Manifesto del Secolo ludico di Eric Zimmerman che s’inserisce all’interno di questo dibattito ponendo la validità del gioco come strumento di studio della storia.
    Per ultimo, anche in ambito accademico ci sono iniziative strutturate che pongono il gioco al centro del proprio interesse di studio, come il Centro di Ricerca sul Gioco dell’Università di Genova (CeRG) e il Game Science Research Centerdell’Università di Modena e Reggio Emilia e dell’IMT - Scuola Alti Studi di Lucca.

    La nostra esperienza nelle scuole ci porta ad affermare, però, che è molto raro incontrare insegnanti che diventano “solo” fruitori finali di giochi storici. Pur essendo una minoranza numericamente esigua, gli insegnanti che provano a giocare in classe hanno un grande merito: si considerano bricoleur degli strumenti didattici che utilizzano, amano adattarli, modificarli, renderli più semplici o più complessi all’occasione, usano modelli per replicarli con altre ricerche a cui si sono appassionati nel corso del loro lavoro.

    Il nostro invito è quindi ad orientare la ricerca verso prodotti che soddisfino questa esigenza e che si propongano come strumenti “aperti”, flessibili, modificabili. Se un gioco di storia si rivolge al mondo della scuola, perché non coinvolgere la didattica già in fase di progettazione? Perché non inserire nel dialogo a due, tra storico e game designer, anche l’insegnante?

     

    3. I sei ingredienti per un gioco didattico di storia

    Questi sei punti servono anche a questo: sono gli elementi costitutivi di questa mediazione, sono le caratteristiche essenziali che deve avere un’attività di didattica ludica in classe. Sono i sei ingredienti per noi indispensabili per un gioco didattico di storia o per adattarne uno commerciale, quegli elementi che vanno trovati e inseriti per dare valenza didattica al dispositivo ludico.

    ● La ricerca storiografica
    Per costruire un gioco di storia è fondamentale partire da una ricerca recente, metodologicamente corretta e supportata da fonti affidabili. Non è necessario seguire l’interpretazione più diffusa o la vulgata della storia pubblica: anzi, proporre letture che pongono domande nuove o offrono prospettive innovative accresce nei giocatori la sensazione di esplorare territori sconosciuti del sapere storico, stimolando la loro curiosità e intelligenza.

    ● Un posto nella programmazione
    Il gioco deve inserirsi con coerenza nella didattica, come un tassello utile e ben calibrato all’interno della programmazione. Non può sostituire lo studio di un intero quadro di civiltà, ma può illuminare in modo efficace uno o pochi aspetti ritenuti fondamentali. È importante che abbia un senso chiaro, condiviso da chi lo propone e da chi vi partecipa, con obiettivi espliciti e raggiungibili.

    ● La giocabilità in classe
    Per funzionare davvero, un gioco deve rispettare i vincoli del contesto scolastico: regolamento, materiali, ruoli, tempi e spazi vanno pensati in base alle reali condizioni di una classe. Troppo spesso, già in fase di ideazione, la meccanica prevale sulla realtà, producendo esperienze poco efficaci o addirittura impraticabili: regolamenti eccessivamente complessi, durate incompatibili con l’orario scolastico, attività che richiedono conoscenze o competenze non ancora possedute dagli studenti. Un esempio è il gioco di successo “Twilight Struggle” sulla guerra fredda che pone una serie di criticità che lo rendono difficilmente adattabile in un contesto scolastico.

    ● Accessibilità senza pre-conoscenze
    Il gioco non deve mai assumere la forma di una verifica. La sua forza è quella di creare un mondo in cui esplorare e sperimentare, anche attraverso l’errore. Per questo va vissuto come uno spazio di libertà, non come un’interrogazione mascherata. E’ un momento di leggerezza entro il quale tutto (o quasi tutto) ciò che non è regolato è possibile. Ciò non significa che quanto accade durante la partita non vada osservato: al contrario, l’esperienza ludica attiva – come insegna la pedagogia dell’errore – consente processi di autovalutazione e riflessione formativa, preziosi per la crescita degli studenti (com’è andata veramente? cosa avrei potuto fare veramente?).

    ● Una dinamica avvincente e un obiettivo chiaro
    Un gioco di storia deve conservare sempre il suo carattere di avventura simulata, trovando un equilibrio tra le diverse dimensioni ludiche:

    ● Agon – la competizione, anche nei giochi collaborativi, contro la sfida stessa;
    ● Alea – l’imprevisto, con esiti affidati al caso;
    ● Mimicry – l’immedesimazione nell’altro, che favorisce il decentramento cognitivo;
    ● Ilinx– il vortice degli eventi e l’imprevedibilità del futuro.

    Il punto di partenza può anche essere un gioco già esistente, opportunamente adattato al contesto scolastico.

    ● La fase di debriefing
    Al termine dell’attività, il formatore guida una riflessione che parte dal racconto dell’esperienza vissuta e si apre a un’analisi dei meccanismi di gioco e dei ruoli. Questo momento aiuta i giocatori a uscire dall’immedesimazione e a guardare il gioco dall’esterno, come metafora o modello di una realtà economica, politica, sociale, culturale o ambientale del passato o del presente. È una fase di “disvelamento” che fa emergere la struttura sottostante: capire il gioco – ben oltre l’esito finale – significa comprendere i modelli storici su cui è stato costruito.

     

    4. Una breve check list per i docenti

    Prima di portare un gioco di storia in classe, chiediti se…

    La base storica è fondata su una ricerca seria e aggiornata?
    Il gioco si inserisce in modo coerente nella mia programmazione?
    Il regolamento e i materiali sono adeguati ai tempi e spazi scolastici?
    È accessibile anche a studenti senza conoscenze pregresse?
    Contiene una dinamica che stimola competizione, immedesimazione e imprevedibilità?
    Ho previsto una fase di debriefing per riflettere insieme sull’esperienza?

    Si allega anche una check list più lunga ed esaustiva che può essere usata, al posto di quella breve, come strumento di progettazione didattica, per costruire o adattare giochi prima della somministrazione in classe, come spunto per una griglia di valutazione formativa, in sede di programmazione o revisione interdisciplinare e per attività di formazione tra pari, durante dipartimenti disciplinari o laboratori didattici.

     

    5. Per una valutazione formativa basata sul framework dell’Historical thinking

    Cosa osservare all’interno dell’attività ludica di storia? Le competenze messe in moto durante un contesto didattico ludico sono diverse e non sempre graduate, spesso se ne attivano di particolarmente profonde e questa non gradualità tende a rendere la lettura insolita rispetto alle più tradizionali pratiche didattiche non laboratoriali, dove il risultato è presente nella mente dell’insegnante.

    Un aiuto per riflettere su come possa essere una griglia per osservare e per sviluppare una valutazione descrittiva e formativa dell’attività ci può giungere dai modelli di framework dell’Historical thinking elaborate da Peter Seixas e da altri studiosi, riportati da Brusa nel suo libro. Si ripropone, quindi, la tabella di pag. 86 come strumento per la riflessione e per l’osservazione delle attività in classe per la costruzione di una griglia a rete che metta insieme i vari elementi attivati.

     

    Conoscenze e competenze nella didattica ludica

    Life skills e competenze trasversali

    Rapporti con gli altri

    Ascoltare, proporre, collaborare per la risoluzione di problemi

    Rapporti con la società

    Partecipare, essere responsabile, prendere iniziative, valutare il proprio intervento

    Rapporti con la conoscenza

    - Fare ipotesi, cercare soluzioni, risolvere problemi

    - Motivazione a conoscere, interrogarsi ecc.

    Alfabetizzazione storica e pensare storicamente

    Possedere e usare conoscenze di primo livello riguardanti:

    - Fatti e personaggi

    - Problemi

    - Processi

    - Aspetti e caratteristiche della società

    Possedere e usare conoscenze di secondo livello riguardanti:

    - I nessi causa-effetto

    - Le temporalità

    - La complessità

    - L'uso dei documenti

    - Il rapporto tra documentazione e ricostruzione storica

    - La capacità di risolvere problemi storici

    - Lo sviluppo dell'immaginazione storica

    - L'uso del gioco come fonte per la conoscenza della nostra società

    Possedere e usare conoscenze di terzo livello riguardanti:

    - I rapporti fra ricostruzione storica e teorie storiografiche

    - I rapporti fra storia pubblica e storia scientifica

    - I rapporti fra ricostruzione del passato e visioni stereotipate e diffuse della storia

     

    6. Il playtest, la metacognizione per gli studenti

    Pensiamo che il modo migliore per valutare l’efficacia di un gioco di storia in relazione agli scopi che si propone sia dare la parola ai giocatori/studenti, attraverso un playtest. Dopo una o più sperimentazioni, l’analisi dei risultati può svelare quali siano gli aspetti da correggere in fase di costruzione.

    Playtest:

    gioco:

    data:

                           

    età:

               

    genere:           

    giocatore esperto:   

    si        

                           

    no      

               

    Esprimi              il tuo giudizio indicando con una X il valore assegnato sulla scala e commentando nell'apposito spazio

                                 0        1        2        3        4        5        6        7        8        9        10

     

    Ti ha appassionato giocare? In quale misura ti sei divertito?

    noioso

    divertente           

    commento:

               

     

                                      Hai appreso nuove informazioni storiche dal gioco?

    per nulla istruttivo

    molto istruttivo           

    commento:

     

    E' stato facile apprendere le regole del gioco?

    difficile

    facile

    commento:

     

    Quale grado di complessità hai colto dalla realtà simulata nel gioco?

    semplice

    complesso

    commento:

     

    Secondo la tua esperienza, come valuti la durata del gioco?

    troppo breve

    troppo lungo

    commento:

     

    Quale livello di immedesimazione nei personaggi hai avuto?

    distaccato

    empatico

    commento:

     

    Quante pre-conoscenze sono necessarie per giocare “bene”?

    tantissime

    nessuna

    commento:

     

     

    Come valuti il linguaggio utilizzato nei testi dell'attività?

    incomprensibile

    comprensibile

    commento:

     

    Immagine3 7. Alcune riflessioni come conclusione

    Non ci resta che invitare al dialogo e alla collaborazione tutti i soggetti che si stanno impegnando in questo settore. Abbiamo da offrire la nostra esperienza individuale e collettiva come docenti e ricercatori, convinti che la scuola (dalla primaria alla secondaria di secondo grado) sia il luogo ideale per sperimentare, perché ci vivono persone che quotidianamente mettono a confronto i contenuti e le prassi di un percorso di studio formalizzato, fatto di lezioni, verifiche, valutazioni, con la propria cultura e sensibilità storica personale, che proviene anche dalla storia pubblica. Capita sempre più spesso che questo confronto produca una sorta di “cortocircuito” di difficile soluzione, e questo è un grave danno per la formazione storica.

    Una proposta concreta lanciata da Antonio Brusa nel suo libro, oggi praticabile grazie agli strumenti tecnologici, è quella di costruire una “bottega del gioco” storico didattico: una rete di scopo tra scuole che mediante un portale digitale possono caricare e attingere risorse, discutere tra master/formatori, storici, ludologi, game designer, docenti e giocatori, dare conto delle sperimentazioni e dei risultati, progettare iniziative di comunicazione. Per trasformare la nostra passione di giocare in un processo scientifico peer review che ne migliori l’efficacia.

     

     

     

     

     

     Di seguito gli strumenti presenti nell'articolo, utilizzabili dai docenti per le loro attività:

    valutazione formativa basata sul framework dell’Historical thinking;

    - playtest;

    modelli checklist_gioco_didattico.

      

    Bibliografia e sitografia minima per approfondire:

    {jcomments off}

  • Mediterraneo. Come usare un articolo di giornale e (come usare HL) in una lezione di storia

    Autore: Enrica Bricchetto

     

    L’articolo di David Abulafia,Tremila anni di Mare Nostrum, è stato pubblicato sul “Sole24 ore”, nelle pagine della “Domenica”, del 20 marzo scorso (2016).

    L’autore è uno storico molto noto, autore de Il grande mare. Storia del Mediterraneo, uscito in Italia nel 2013.

    L’ articolo di Abulafia serviva in verità per dare notizia, sul supplemento culturale del “Sole 24 ore”, del seminario dell’Aspen Institute - presidente Giulio Tremonti - dal titolo Hubs and network in the Mediterranean basin: A Path to sustainable growth.

    Nel corsivo di presentazione dell’iniziativa, si leggeva che Aspen Institute, insieme a Raicultura, ha realizzato il documentario Mare di mezzo.Il Mediterraneo e le sue città, nel quale Abulafia racconta la storia delle città mediterranee come “hub” politici, culturali e commerciali. L’articolo, in sostanza, è una specie di sceneggiatura del documentario. 

    Dietro la confezione di una pagina con queste caratteristiche in un quotidiano economico come il “Sole 24 ore” c’è l’esigenza di far conoscere ai lettori l’attività dell’Aspen Institute, il cui scopo è quello di individuare negli interventi imprenditoriali possibilità di miglioramento dell’area e conseguentemente, promuovere investimenti. Non è dunque uno scritto destinato ad uno scopo didattico. Tuttavia, mi è sembrato interessante provare a “stressare” la modalità di presentazione della notizia e entrare nel merito dell’uso e della qualità dei prodotti audiovisivi che circolano.

    Provo, quindi, a descrivere la procedura che ho usato, per trasformarlo in un oggetto di studio.

    Presupposti metodologici: Web, Flipped Teaching, Eas

    Vari metodologie didattiche, ormai diffuse, soprattutto il Flipped Teaching e gli EAS (Episodi di Apprendimento Situati), essendo centrate sull’attività, partono da un momento che anticipa la lezione1. In altri termini, lo studente si appresta al lavoro in classe possedendo già alcune conoscenze che ha messo a punto lavorando a casa - in modo sia autonomo sia guidato.

    Il mondo della comunicazione è un deposito di materiali per il docente che intenda lavorare con questi metodi. L’idea di fondo è quella di mettere lo studente in una situazione di apprendimento problematica e attuale. Lavorare, quindi, su di un articolo fresco di stampa, su un video che si trova in un sito di economia significa partecipare del flusso delle notizie culturali, dentro cui sta anche la storia, e entrare in un discorso pubblico, che può suscitare dibattito e interesse.


    I materiali per la lezione

    I materiali per la lezione sono costituiti dalla prima pagina - la copertina della “Domenica” - con articolo e cartina e dal documentario. Ribadisco che tutto si trova nel sito di Aspen Institute, quindi basta dare il link agli studenti.

    Il documentario colpisce per la sua frontalità, per la scelta di immagini di repertorio, per il grado quasi zero della regia che lo rendono più simile a una videolezione che a un non-fiction film.

    Nella parte che anticipa la lezione in classe - cioè a casa - il docente può assegnare la visione di alcune parti agli studenti, con un’esplicita richiesta di analisi del formato video. In questa fase è sempre meglio che gli studenti abbiamo una traccia per analizzare il video, magari un un semplice questionario, per mettere a fuoco sia elementi di contenuto sia elementi formali. Oppure il docente può utilizzare piattaforme com EcuCanon o Ted-ed che consentono di fare domande e aggiungere contenuti ai video.

    L’articolo può essere dato da leggere integralmente, con una richiesta precisa di schematizzazione del contenuto in modalità testuale oppure grafica (si consiglia l’utilizzo di Easel.ly che è una webapp per fare infografiche). Ancora, può essere “tradotto” in una linea del tempo digitale (per esempio con le Apps Dipity, Preceden o Tiki Toki) o sulla carta.

    Alla base di questa parte c’è la convinzione che gli studenti si approprino dei contenuti e dei ragionamenti proposti perchè li rielaborano.

    Il Mediterraneo e lo Spatial Turn

    In HL più volte si è trattato il tema del Mediterraneo nella prospettiva dello spatial turn, un paradigma secondo il quale “i territori”, cioè gli spazi organizzati dall’uomo, ambiscono a diventare il soggetto dell’analisi e del racconto storico. Oceani e mari, quindi, cessano di essere gli scenari inerti della storia, e diventano essi stessi i protagonisti del racconto (mettendo nella barra di ricerca del sito il termine “Mediterraneo”, ci si imbatte in molti interventi - quasi tutti di Antonio Brusa – che illustrano con esempi questo approccio).

    Brusa riassume così le due polarizzazioni del dibattito sulla didattica della storia oggi.

    Da una parte la storia insegnata è vista nel suo ruolo tradizionale di costruttrice di identità (nazionali, locali, o sovranazionali come nella insistente politica scolastica del Consiglio d’Europa).
    Dall’altra, la storia insegnata è vista come strumento per la lettura del mondo.
    Per i primi, quel modello elaborato nell’Ottocento è lo storytelling che dà senso all’essere italiani o europei, in un mondo sempre più connesso e planetarizzato, e perciò va salvaguardato nelle scuole.
    Per i secondi, si tratta di riformulare il nostro approccio al passato.

    E’ da questa prospettiva che la pagina della “Domenica” mi ha consentito di riflettere.

    Il Mediterraneo di Abulafia

    Abulafia ragiona sul Mediterraneo in senso diacronico - dall’età del bronzo all’età moderna. Si sofferma, poi, sul periodo medievale, nel quale il Mediterraneo diventa la culla delle religioni rivelate, i cui fedeli si spartiscono lo spazio politico senza tuttavia interrompere l’interazione fra le diverse sponde del mare. La prospettiva è la lunga durata che dimostra, anche se Abulafia non lo rileva apertamente, che gli scambi commerciali, i rapporti economici rappresentavano un mondo in cui i contrasti erano presenti senza interrompere i contatti.

    Abulafia però non si spinge oltre. Ci lascia, alla fine, con l’idea di una dialettica inalterata attraverso i tempi. “Noi” di qui, “Loro” da quella parte. Ognuno a guardare l’altro dalla propria prospettiva. Non è un grande passo avanti, rispetto alle storie nazionali e autocentrate (eurocentriche come arabocentriche).


    Mediterraneo, spazio comune

    Per fare un passo avanti il docente può leggere l’intervista a Mostafà Hassani-Idrissi, storico dell’università di Rabat, che ha coordinato la stesura di un manuale di storia del Mediterraneo alla quale hanno partecipato storici dei principali paesi delle due sponde2.

    Lo storico suggerisce di guardare al mare come ad uno spazio plurale, in cui per molto tempo sono stati attori e hanno vissuto uomini e donne appartenenti a popoli che oggi - a causa delle guerre e della destabilizzazione creata da Daesh - si rischia di considerare lontani da noi. E’ un lungo lavoro di responsabilizzazione degli uni verso gli altri, in una società multietnica come quella Europa attuale, che la scuola deve perseguire. Conoscere e avere la consapevolezza di continuare a condividere uno spazio comune può essere uno strumento per combattere insorgenze razziste o xenofobe.

    Questo manuale dovrebbe essere presto tradotto in italiano e aiutare i docenti a problematizzare in senso storico l’attualità della cronaca politica.

    Framework 

    A questo punto, il docente costruisce una cornice concettuale che parte dalla prospettiva di Abulafia e abbraccia l’idea di Mediterraneo plurale di Idrissi. Fa quindi un discorso di cambiamento di paradigma, dimostrando che uno spazio può essere analizzato in modi diversi. Tale diversità di analisi incide anche sulla visione dell’ oggi che presenta agli studenti. Pensare a un Mediterraneo come luogo di contatti, ci fa riconoscere come persone che, pur avendo religione e cultura diverse, hanno un passato in comune.
    Dal momento che gli studenti hanno già esaminato la prospettiva di Abulafia, sono sicuramente più pronti a cogliere lo spostamento che gli si vuole proporre che è problematico non nozionistico.

    Al termine...

    L’articolo di Abulafia - da cui è partita questa riflessione - ha funzionato da stimolo e da aggiornamento veloce per il docente che può entrare nell’ottica di costruire quadri, dentro i quali i presente e il passato entrano in relazione e assumono senso.

    Il problema di molti docenti di storia è che hanno una formazione che appartiene alla storia come costruttrice di identità nazionali. I manuali del triennio riportano e ribadiscono questa prospettiva. Non presentano altri paradigmi molto interessanti per una didattica della storia a base mondo e non a base eurocentrica. Quindi il docente, anche se molto informato, si chiede uno sforzo di riorganizzare i propri contenuti. Tale riorganizzazione fa riferimento alla trasformazione dei contenuti che il docente sa in quelli che deve selezionare per i propri allievi. Nel linguaggio della didattica si indica con il termine di Trasposizione.

    Al tempo delle emergenze planetarie che, grazie o per colpa alla tecnologia, entrano nelle classi, anche il processo di selezione dei contenuti dei docenti subisce delle scosse, deve far fronte a cambiamenti repentini e, quando è possibile, capirne anche le ragioni.

    Diventa quindi strategico rispondere alle interpellanze dell’attualità e capirne le origini.

    NOTE

    1. Cfr. Micro-progettazione e pratiche a confronto.Propit,Eas, Flipped, a cura di Pier Giuseppe Rossi e C.Giacone, marzo 29016, scaricabile gratuitamente all'indirizzo dell'editore Franco Angeli;  G.Cecchinato,  Flipped Classroom. Un nuovo modo di insegnare e di apprendere,Torino, Utet, 2016; P.C. Rivoltella, Fare didattica con gli Eas, Brescia, La Scuola, 2013 e  Didattica inclusiva con gli Eas, Brescia, La Scuola, 2015. Si veda anche il sito www.cremit.it

    2. Cfr. Un manuale di storia comune, per una società aperta. Intervista a Mustafa Hassani-Hidrissi, 13 dicembre 2013

  • Utilità e inutilità della storia*

    a cura di Giuseppe Di Tonto

    * Editoriale de "Il Bollettino di Clio", Nuova serie, Numero 15, Giugno 2021

    Professore, perché dobbiamo studiare la storia?

    Immagine E’ una domanda che abbiamo sentito pronunciare spesso nelle aule delle scuole dagli studenti. Essa nascondeva altri interrogativi certamente non retorici: a cosa serve studiare la storia? Ci servirà a qualcosa da adulti nella nostra vita futura?

    La domanda, che potrebbe essere proposta come epigrafe di questo numero de Il Bollettino di Clio, ci riporta alla memoria un analogo quesito posto da Marc Bloch nell’introduzione al suo libro Apologia della storia o mestiere di storico. La risposta che lo storico proponeva nel suo libro, diventato un classico della metodologia storiografica, era rivolta ai dotti e agli scolari e tuttavia non ha esaurito i termini del problema, se è vero come è vero che negli ultimi anni l’attenzione degli storici è ritornata sul tema.

    Ci proviamo anche noi, in questo numero, a ragionare sulla utilità e inutilità della storia, alla luce dei mutamenti della società e delle forme della comunicazione storica, intrecciando problemi metodologici, esperienze didattiche e letture storiografiche.

    Il numero si apre con l’intervista di Ivo Mattozzi a Scipione Guarracino, un dialogo tra esperti di metodologia storica e di didattica della storia. Alcuni punti emergono nel dialogo tra i due studiosi. Una premessa d’obbligo: “si può vivere senza storia ma difficilmente si è privi di una immagine del passato; questa si forma in ogni caso e in mancanza di storia sarà il mito a imporsi." (Guarracino). Ma come far emergere il bisogno di storia? Per sollecitare l’attenzione verso una storia davvero utile, soprattutto per le nuove generazioni, occorre puntare sull’osservazione e l’ascolto, imparare ad apprezzare le conquiste dell’umanità che talvolta sembrano esistere da sé e a porre domande, in definitiva acquisire il senso storico come un sesto senso supplementare che non può fare a meno del metodo storico che va insegnato lungo tutta la carriera scolastica e all’università.

    I due studiosi dialogano poi sul potere formativo delle conoscenze storiche ragionando sul se e come esse hanno a che fare col presente (Mattozzi) distinguendo “dei passati che continuano a vivere nel presente, che lo condizionano e ce ne rendono quasi prigionieri, lo determinano o almeno lo spiegano…e dei passati che non hanno nessun rapporto con il presente, altri che hanno un rapporto molto esile, altri ancora il cui rapporto si è affievolito con il tempo e magari è stato mitizzato abusivamente.” (Guarracino)

    Anche la storia digitale offre opportunità per una ricerca utile e motivata di informazioni per un giudizio storico sensato, per possibili simulazioni storiche, cercando di evitare il rischio che tutto si trasformi in un semplice intrattenimento. Esistono sui canali radio, Tv e sulla rete internet programmi e contenuti che, se pur condizionati dal linguaggio divulgativo che li caratterizza, rappresentano una buona occasione per avvicinare la storia dei fatti passati ma essa va necessariamente integrata con “una autonoma formazione avvenuta attraverso i diversi momenti dell’insegnamento e dell’addestramento ai metodi” (Guarracino).

    Nel successivo intervento Fulvio Cammarano si sofferma sui problemi della marginalizzazione della storia che trova le sue ragioni nell’aver attribuito ad essa l’incapacità di offrire soluzioni ai problemi del presente. La storia viene delegittimata in quanto si presenta come disciplina antiquaria che si occupa del passato e poco funzionale alla decodifica del presente. Ma la perdita di rilevanza della storia si accompagna al rischio di indebolimento del senso storico degli individui che apre il varco alla diffusione di fake news riguardanti il presente e il passato. Tocca quindi alla scuola educare alla profondità temporale “per contribuire al processo di costruzione dell’identità personale che si dà sempre nell’unificazione di passato e futuro con il presente”.

    Nel suo contributo Carlo Greppi si interroga sulla possibilità di contrastare, attraverso correttivi nella produzione storiografica, la voracità informativa che contraddistingue la nostra era. Lo scopo di questa azione è quello di smascherare le mistificazioni ovvero le alterazioni della verità storica costantemente in agguato e offrire nuovi modelli di racconto della storia che si reggono sulla loro fondatezza, allo scopo di creare comunità aperte e democratiche. La sfida che l’autore ci trasmette si regge sulla passione per la ricerca, lo studio e il racconto che può essere un veicolo per alzare anche la soglia dell'attenzione dei giovani lettori di storia.

    La riflessione di Serge Gruzinski ruota intorno alla necessità per la ricerca storica di superare, in un mondo globalizzato, la visione ancora fortemente eurocentrica che essa tende ad offrire. Si tratta, secondo l’autore, di decostruire strutture storiografiche in cui ancora prevalgono categorie interpretative europee per offrire letture che facciano interagire il locale con il globale. Un tale approccio darebbe nuovo ossigeno ad una didattica della storia costretta a misurarsi, nelle odierne classi multietniche, con patrimoni introdotti e patrimoni ereditati, un modo per evitare derive identitarie e ricostruire la complessità del passato in un'ottica maggiormente inclusiva.

    David Bidussa si concentra nel suo intervento sulla crisi del ruolo degli storici nella interpretazione e nella ricostruzione storica del tempo presente, tenendo in sottofondo un secondo tema relativo alla storia come oggetto di falsificazione. La costruzione del racconto storico sembra aver perso la sua capacità di lavorare sulla critica al “senso comune” per proporre una diversa e più informata ricostruzione del nostro tempo presente.

    Antonio Brusa introduce una interessante riflessione sul termine “alfabetizzazione storica” da intendere come quell’insieme di capacità che mette in grado un individuo di avvicinarsi ad un testo storico, di comprenderlo, di sapere in che modo è stato costruito e infine di utilizzarlo eventualmente per comprendere aspetti della società presente. L’alfabetizzazione storica, dunque, è strettamente collegata con l’attivazione di capacità di pensare storicamente e con la formazione di una corretta coscienza storica.

    Charles Heimberg propone il tema del rapporto tra passato e presente nella trasmissione della storia e delle memorie, troppo rapidamente riassunto nell'idea di non ripetere gli errori del passato. La questione delle finalità della storia e del suo insegnamento è invece una questione complessa, che suggerisce risposte secondo concezioni molto diverse. L’autore si sofferma in particolare sugli obiettivi che possono essere considerati scientifici e critici, che si basano sull’epistemologia della disciplina e mirano a sviluppare una comprensione del mondo sociale e una capacità di giudizio critico. Questa categoria di obiettivi è, a suo avviso, la più importante perché porta alla possibilità di un’emancipazione attraverso i saperi. Per evitare che l’insegnamento della storia nelle scuole si trasformi in ingiunzioni prescrittive, che allontanerebbero da qualsiasi possibilità di costruire un’intelligibilità del passato e del presente, è necessario che le storiche e gli storici si preoccupino della trasmissione della loro disciplina nelle scuole, così come è essenziale che le insegnanti e gli insegnanti di storia restino in contatto con la scienza storica e i suoi sviluppi per tenerne conto nella loro pratica.

    Il crescente interesse per il racconto storico al di fuori della scuola si manifesta nelle forme spesso caotiche ma seducenti dei diversi usi della storia, dalla produzione cinematografica e televisiva all’intrattenimento ludico. Ancor più seri si prospettano gli usi pubblici della storia: costruzione e abbattimento di monumenti, istituzione di commemorazioni, richieste di risarcimenti materiali e morali, leggi sulla storia possono essere usati come strategie per la creazione di consenso interno o di gestione delle relazioni internazionali o diventare occasioni per guerre della memoria. Nel suo intervento Luigi Cajani si addentra nell’analisi di questi usi per analizzarne le caratteristiche e gli effetti. Per consentire agli studenti un approccio analitico e consapevole occorrerà che la scuola ne faccia oggetto di insegnamento.

    Quanto è importante e utile la categoria di genere nella ricerca e nella formazione storica? Se ne occupa Elisabetta Serafini partendo dalla considerazione che la storia di genere è valutata marginalmente, non solo nel sistema formativo e nell’insegnamento della storia a scuola, ma anche nella ricerca accademica, essendo ritenuta ancora opzionale da gran parte degli storici. L’autrice nella sua analisi ci porta a riflettere sulla utilità e imprescindibilità di questa categoria e sulla necessità dell’ingresso della storia delle donne e di genere nelle scuole non solo “per colmare un evidente disallineamento tra conquiste della ricerca e curricoli scolastici” ma soprattutto per sollecitare e promuovere le pari opportunità. Va anche considerato il modo in cui presentare la storia di genere nell’insegnamento scolastico, non come una storia aggiuntiva e giustapposta ma attraverso una rivisitazione della storia generale, della sua periodizzazione, un diverso utilizzo delle fonti passando anche attraverso un ripensamento della manualistica scolastica.

    Un contributo particolare ci arriva da Valentina Della Gala che si concentra sulle posizioni e le proposte dello storico ligure Edoardo Grendi per il rinnovamento dell’insegnamento della storia a scuola e in ultima analisi del lavoro di storico. Pur risalendo agli anni’70 del secolo scorso, le argomentazioni dello storico sui fini dell’insegnamento e apprendimento della storia e le critiche al paradigma storicista allora prevalente, non hanno perso forza e mantengono elementi di grande interesse ed attualità.

    Jacopo Bassi dà conto nel suo intervento dell’esperienza di una rivista elettronica di storia, Diacronie, come il primo passo per dare vita ad una comunità virtuale che ragioni di storia. Il dialogo che una tale esperienza ha offerto non solo ai redattori ma anche agli autori e ai lettori si è rivelato un potente strumento dotato di enormi potenzialità, tanto per la comunicazione scientifica quanto per incentivare l’aspetto divulgativo della conoscenza storica.

    Nell’intervento di Irene Bolzon e di Chiara Scarselletti si riflette sul ruolo dei musei di storia a partire dal recente dibattito sulla public history in Italia e sulle sfide poste dall’educazione alla cittadinanza. Nel dettaglio si racconta l’esperienza pratica di laboratorio svolta presso il MeVe – Memoriale Veneto della Grande Guerra di Montebelluna (TV) – nell’ambito del progetto di educazione civica intitolato “La città che vorrei”.

    L’esperienza, basata su un processo di co-creazione dei contenuti del museo al quale hanno partecipato studenti della scuola primaria, è stata impostata su un percorso di educazione alla cittadinanza a partire da ciò che i bambini conoscono: il luogo in cui vivono. I risultati ottenuti enfatizzano la funzione dei musei di storia in quanto spazi privilegiati in cui raccontare il passato e avviare pratiche di public history attraverso modalità capaci di adattarsi ai loro molteplici pubblici.

    Per la rubrica Esperienze Paola Palmini ci descrive un percorso realizzato in una classe prima di scuola primaria nell’epoca della pandemia. Il progetto sviluppato nel corso dell’intero anno scolastico ha avuto come finalità principale la creazione di un contesto esperienziale affettivo, accogliente e altamente socializzante. “Amicizie spaziali”, questo il titolo del progetto, è stato realizzato attraverso un approccio interdisciplinare, orientato a introdurre percorsi di storia, di geografia e di educazione civica. Di particolare rilevanza l’obiettivo raggiunto di avvio del processo di educazione temporale e spaziale legato alle esperienze vissute e alla comprensione del tempo presente.

    Gli studenti considerano la storia una disciplina da memorizzare, così come storia dell'arte, geografia, scienze, fisica e altre. Ma è proprio e sempre così? Su questa domanda Paola Lotti ci presenta nel suo articolo i risultati di un questionario somministrato a studentesse e studenti di una scuola superiore di Padova che ha dato risultati contrastanti. Convivono nelle risposte degli studenti da una parte, nel lungo periodo, l'interesse per la disciplina, rafforzato da necessità di studio, di vita quotidiana, di comprensione dei processi storici attuali, dall'altra permangono le difficoltà a modificare stereotipi e luoghi comuni, derivate anche dalle modalità di apprendimento scolastico.

    Un’esperienza analoga relativa ad una classe V di scuola superiore ci viene raccontata da Elena Monari che dopo aver descritto il curricolo di storia proposto ai suoi studenti ci propone i risultati di un elaborato realizzato dalla classe che, attraverso l’analisi di un brano storiografico, doveva argomentare sulla utilità della storia. Le riflessioni degli studenti sembrano smentire il luogo comune dell’inutilità della storia: studiare la storia restituisce una visione del mondo piena di dettagli e ricca di novità, un modo per imparare a combattere le sempre più ricorrenti distorsioni e false notizie, uno strumento per la costruzione di una identità. Sono solo alcuni dei pensieri degli studenti sulla storia che possono ridare fiducia ai docenti che la insegnano.

    Nell’ultimo contributo di esperienze Maria Chiara Di Pofi, prendendo spunto dalla sua tesi di dottorato, si sofferma in particolare sull’analisi relativa agli atteggiamenti degli studenti nei confronti della storia, realizzata attraverso un questionario. Anche in questo caso i risultati sembrano essere incoraggianti. La concezione che emerge è quella di una disciplina che offre la possibilità di imparare dai fallimenti e dai successi degli altri e di riflettere non solo su eventi, fatti e processi del passato, ma anche del presente.

    Nella rubrica Letture segnaliamo cinque libri che permettono di approfondire la riflessione sulla utilità e inutilità della storia. Adriano Prosperi, Un tempo senza storia (a cura di Vincenzo Guanci); Carlo Greppi, La storia ci salverà (a cura di Enrica Dondero); Gruzinski S., La macchina del tempo (a cura di Giulio Ghidotti); Flores M., Cattiva memoria. Perché è difficile fare i conti con la storia (a cura di Ernesto Perillo); Scipione Guarracino, Senza storia. Ricominciamo da uno (a cura di Giuseppe Di Tonto)

    Le Spigolature (a cura di Ernesto Perillo) sono dedicate a Marc Bloch riportando l’introduzione al testo Apologia della storia o Mestiere dello storico, più volte citato in alcuni articoli di questo numero.

    La Controcopertina infine è dedicata ad una citazione di Walter Benjamin, che si richiama ad un quadro di Paul Klee Angelus Novus, contenuta nelle sue Tesi sulla filosofia della storia del 1940.

     

    Buona lettura!

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