foto di guerra

  • “Le immagini non ritraggono la storia, ma la generano”. Sull’uso didattico delle foto coloniali e di guerra. Una sitografia.

    di Antonio Prampolini

    Indice

    1. Le fotografie come fonti storiche

    2. La piattaforma visual-history.de

    3. Le fotografie etnografiche nella sfera coloniale ed eurocentrica

    4. Le fotografie di guerra e di propaganda nei conflitti di ieri e di oggi

    5. Le fotografie iconiche tra storia e mass media

     

    1. Le fotografie come fonti storiche

    Se è vero che ricordare significa innanzitutto richiamare alla mente le immagini del passato, le fotografie, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, hanno plasmato la memoria visiva dell’umanità e il loro dominio sui mass media continua a diffondersi nel XXI secolo con il progredire della digitalizzazione, la trasformazione di Internet in una rete globale e l’espansione del Web.

    A partire dagli anni Novanta del ‘900, con la “svolta visiva” (Visual Turn) negli studi storici, è stata riconosciuta l’importanza delle fotografie come fonti al pari di quelle scritte.1Tuttavia, nel panorama internazionale della didattica e della divulgazione della storia, risulta ancora oggi assai frequente (se non prevalente) un loro utilizzo al solo scopo di illustrare gli eventi e i personaggi del passato. E questo perché le fotografie non sono facili da “leggere”; pur essendo più vicine alla realtà dei dipinti/disegni, non si limitano a riprodurla ma la interpretano (e in alcuni casi la ricostruiscono), e pertanto richiedono un’attenta critica delle fonti.2

     

    L’importanza della contestualizzazione

    Per essere comprese analiticamente occorre studiare il contesto in cui le fotografie sono state prodotte, i canali di distribuzione, la loro ricezione e i cambiamenti di significato che hanno subito nel corso del tempo.
    Le domande tipiche da porsi in questo caso sono:

    • Chi ha scattato le fotografie (un professionista o un dilettante), quando e in quali circostanze, con quali mezzi tecnici e con quali intenzioni?
    • Sono foto istantanee oppure messe in posa o in scena?
    • Chi o cosa raffigurano?
    • Qual è la tradizione estetico-artistica a cui si ispirano?
    • Su quali supporti e con quali finalità sono state diffuse?
    • Come sono state recepite dai destinatari?
    • Sono state modificate o cambiate nel corso degli anni?
    • Sono state sottoposte a processi di reinterpretazione con attribuzione di nuovi significati?

    Quindi, per l’utilizzazione delle fotografie come fonte storica, non ci si può mai limitare alla sola immagine, ma occorre prendere in considerazione altre fonti, che ci permettano di rispondere alle domande appena elencate.3

     

    Evitare generalizzazioni

    Occorre prestare molta attenzione nelle operazioni di generalizzazione, soprattutto quando abbiamo a disposizione una sola immagine. Per giudicare se un’immagine è rappresentativa, infatti, è necessario disporre di una ampia serie di immagini simili e, come abbiamo appena visto, di informazioni provenienti da altre fonti. Se, ad esempio, le foto del 1914 mostrano in diversi paesi europei manifestazioni pubbliche di volontari entusiasti della guerra, non ne consegue necessariamente che lo fosse la maggioranza della popolazione. Chi non era entusiasta era rimasto a casa, e non ci ha lasciato foto che documentino questa sua decisione.4

     

    Il potere delle immagini

    Le fotografie non rappresentano semplicemente eventi che appartengono al passato, ma fanno parte di un processo comunicativo che, pur riferendosi al passato, agisce nel presente. Le fotografie della violenza, in particolare, puntano contemporaneamente in due direzioni: per gli esecutori (soldati/carnefici) significano l’adempimento di ordini che creano identità; per le vittime (soldati e civili nemici), sono una rappresentazione del loro sacrificio/dovere o della loro impotenza di fronte alla violenza. Secondo lo storico tedesco Gerhard Paul gli autori delle immagini violente del XX secolo erano coscienti del loro potere: «le persone erano state uccise affinché diventassero immagini». Le stesse immagini sono un atto di violenza che continua fino ai giorni nostri e che si ripete nelle guerre del XXI secolo, dove le immagini sono altrettanto efficaci quanto l’uso delle armi, poiché esse «non ritraggono la storia ma la generano».5

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 1Fig.1: home page della piattaforma online Visual-History.de Fonte2. La piattaforma visual-history.de

    Nel corso del 2013, l’istituto Leibniz-Zentrum für Zeithistorische Forschung (ZZF), con sede in Germania a Potsdam, fondato nel 1996 per promuovere la ricerca e l’insegnamento della storia contemporanea tedesca ed europea, ha messo in rete una piattaforma digitale sulla Visual History per fornire informazioni riguardanti le attività degli storici e degli altri specialisti in questo ambito e per pubblicare i risultati dei loro studi.6

    La piattaforma consente di effettuare ricerche per Rubriche (Rubriken): Archivi e collezioni (Archive und Sammlungen), Fonti (Quellenbestände), Progetti di ricerca (Forschungsprojekte), Dossier tematici (Themendossiers), Concetti e metodi (Konzepte und Methoden), Dibattiti (Debatten), Recensioni (Rezensionen); per Temi/tag (Themen) e per Pubblicazioni sulla piattaforma (Archiv).

    Ampio spazio viene dedicato alla fotografia. La ricerca per Temi/tag (Themen) segnala numerosi articoli raggruppati nelle diverse categorie in cui viene suddivisa la fotografia (Fotografia privata, Fotografia urbana, Fotografia industriale, Fotografia scientifica, Fotografia etnografica, Fotografia di guerra). Di seguito ne segnaliamo alcuni che riteniamo possano maggiormente interessare gli insegnanti italiani di storia (gli articoli sono in lingua tedesca, ma online è sempre a disposizione il traduttore di Google).

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 2Fig.2: Collotipia, 14,00 x 8,95 cm, India 1910-1920 Fonte3. Le fotografie etnografiche nella sfera coloniale ed eurocentrica

    Sul contesto della prima fotografia etnologica
    Freiwilligkeit und Zwang. Eine Diskussion im Kontext der frühen ethnologischen Fotografie di Matthias Harbeck und Moritz Strickert, 28/09/2020.

    «Nei viaggi commerciali, nelle spedizioni di ricerca e nello svolgimento di attività amministrative fino alla metà del XX secolo furono scattate numerose fotografie in contesti coloniali ed eurocentrici, che raffiguravano la vita degli abitanti delle zone percorse “come immagini straniere veicolate attraverso i diversi meccanismi di distribuzione e consumo”. Alcune raffigurano scene chiaramente allestite come ritratti di gruppo, battaglie o scatti predisposti in studio, mentre altre si suppone siano istantanee scattate sul campo. Altre sono fotografie antropometriche standardizzate che spesso mostrano le persone raffigurate nude o in costumi apparentemente tradizionali e che servivano come fonte di conoscenza per i ricercatori allo scopo di identificare i gruppi. Le persone raffigurate erano spesso viste come antitetiche alla civiltà occidentale».

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 3Fig.3: Il terzo nativo da sinistra spiega la tecnica di lancio del giavellotto degli aborigini australiani, in Colin Ross, Der unvollendete Kontinent, Leipzig 1930. FonteI resoconti di viaggio illustrati fotograficamente dell'inizio del XX secolo
    Ein studentisches Podcast-Projekt über fotografisch illustrierte Reiseberichte des frühen 20. Jahrhunderts
    di Anna Schade, Lukas Kleine-Schütte, Robin Spitzer und Deike Terhorst, 16/07/2021.

    «Nel corso del commercio europeo e dell’espansione coloniale a partire dalla prima età moderna, si sono aperte agli europei nuove opportunità di sperimentare lo “straniero” e lo “sconosciuto” al di fuori del loro continente d’origine. I resoconti di viaggio si affermarono rapidamente come un genere letterario popolare tra la borghesia europea. In un'epoca in cui i viaggi verso gli altri continenti erano riservati solo a pochi, questi hanno plasmato in modo significativo la visione di molti. […] Mentre gli scrittori di viaggio nel XVIII e nella prima metà del XIX secolo cercavano di dare enfasi visiva alle loro impressioni attraverso disegni e schizzi, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, scattando fotografie, essi potevano produrre immagini apparentemente oggettive. Ciò che veniva raffigurato non era più considerato come l'immaginazione di un individuo, ma come la cattura di immagini veritiere. […] Tuttavia, le fotografie non sono documenti trasparenti in un “linguaggio universale”, ma piuttosto, secondo Roland Barthes, segni semiotici la cui “magia” deriva dal fatto che la loro presunta trasparenza conferisce autorità a diverse interpretazioni».

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 4Fig.4: “Dove giungla e cultura si incontrano. Un indiano Kampa ascolta il grammofono” di George Miller Dyott, in: Otto Nordenskjöld, Südamerika: Ein Zukunftsland der Menschheit. Natur / Mensch / Wirtschaft, Stuttgart 1927. FonteFoto e cartoline illustrate del Sudamerica nell'Impero tedesco, 1880-1930
    Indigene und Eisenbahnen, Ruinen und Metropolen. Fotos und Bildpostkarten aus Südamerika im Deutschen Reich, ca. 1880-1930 di Hinnerk Onken, 07/12/2015.

    «La conoscenza del Sud America da parte degli europei è stata trasmessa attraverso le immagini fin dalla prima età moderna, quando il continente americano divenne l’obiettivo dell'espansione europea. Questa tradizione dell'immagine ricevette nuovi impulsi nel XIX e all'inizio del XX secolo: le foto e, successivamente, le cartoline illustrate mostrarono agli abitanti dell'Impero tedesco un'immagine ambivalente del continente che interagiva con idee preesistenti, ma che entrava anche in competizione con esse. L'ambivalenza dell'immagine del Sud America è chiara nei motivi, perché i media visivi mostravano, da un lato [la modernità]: ferrovie e stazioni ferroviarie, paesaggi urbani, edifici rappresentativi, porti, zoo e fabbriche, e dall’altro, immagini di indigeni e di rovine, dipingendo così un quadro completamente diverso. A prima vista, le fonti sembrano mostrare una familiare dicotomia tra tradizione e modernità. Ma un esame più attento rivela che emergono significati ibridi che oscillano a seconda del contesto d'uso».

     

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 5Fig.5: Medici militari italiani curano un indigeno nel corso della Campagna dell’Africa Orientale Italiana (1940-41). Fonte4. Le fotografie di guerra e di propaganda nei conflitti di ieri e di oggi

    Immagini di guerra a confronto nella Germania nazionalsocialista e nell'Italia fascista
    Disziplinierte Bilder. Kriegsbildberichterstattung im nationalsozialistischen Deutschland und faschistischen Italien im Vergleich
    di Markus Wurzer, 06/04/2020.

    «Il regime fascista italiano sperimentò presto il cinema e la fotografia per scopi di propaganda creando non solo un ministero dedicato [Ministero della Stampa e della Propaganda che nel 1937 assumerà la denominazione di Ministero della Cultura Popolare], ma anche un istituto controllato dallo stato, l'Istituto Nazionale LUCE. La guerra d’aggressione italiana contro l’Impero etiope costituì il primo banco di prova di questa “macchina del consenso”. Il regime fascista controllava le immagini per assicurarsi che la campagna militare in Etiopia fosse presentata nella “luce corretta” sia in patria che all'estero. Le immagini [fotografie e filmati] dovevano mascherare la guerra criminale facendola apparire una “missione civilizzatrice”. L’Italia fascista aveva preceduto la Germania nazista nella creazione di un apparato di propaganda finalizzato a “disciplinare” la produzione fotografica e cinematografica. Questo fa sì che si debba dubitare della tesi comune secondo cui i filmati di guerra tedeschi non avevano precedenti al momento della loro realizzazione, costituendo un modello imitato in seguito da altri stati ed eserciti. Si potrebbe invece sostenere che il controllo delle immagini sperimentato dall’Italia nella guerra d'Etiopia fu il vero modello a cui gli altri si ispirarono».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 6Fig.6: : “La vita quotidiana in guerra”, in «Die junge Dame», 22/09/1942. FonteGli eroi nella stampa illustrata di massa del nazionalsocialismo (1939-1945)
    Stillstand der Körper im Krieg. Von den Pflichten des Heroischen und dem Reiz des Alltags in der illustrierten Massenpresse des Nationalsozialismus (1939-1945)
    di Vera Marstaller, 22/07/2019.

    «Nelle riviste illustrate le fotografie della vita quotidiana degli eroi sono quantitativamente più importanti di quelle che mostrano le battaglie al fronte. […] L'uniforme della Wehrmacht appare come un simbolo di eroismo, che può essere compreso visivamente da tutti. […] L'uniforme come abbigliamento dell'eroe rappresenta una "comunità nazionale" basata sulla gerarchia di genere e sulla solidarietà maschile illimitata - e quindi parte di un reciproco riconoscimento dell'onore tra gli uomini il cui obiettivo è proteggere le donne del Terzo Reich dal nemico. La violenta demarcazione del popolo tedesco dagli altri popoli/etnie, sia internamente che esternamente, sembra essere una conseguenza logica e una sfida inerente all'eroismo. La guerra diventa così una guerra per la protezione delle donne, e la costruzione di una situazione permanente di autodifesa si traduce in una guerra di aggressione necessaria all’instaurazione di un nuovo ordine».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 7Fig.7: Una compagnia di propaganda della Wehrmacht al lavoro (21/06/1940). FonteLe compagnie di propaganda della Wehrmacht e i ghetti nella Polonia occupata
    “Juden unter sich”. The Propaganda Companies and the Jewish Ghettos in Occupied Poland
    di Daniel Uziel, 20/04/2020.

    «Una delle più influenti azioni di propaganda antisemita prodotte nel Terzo Reich negli anni 1939-1941 si basò su immagini e resoconti provenienti da vari ghetti della Polonia occupata. Gran parte della materia prima necessaria per la propaganda antisemita veniva raccolta e consegnata dalle Propagandakompanien (PK) della Wehrmacht. […] Anche se i primi ghetti furono istituiti nella Polonia occupata solo alla fine del 1939, i PK riferirono degli ebrei polacchi mentre la guerra era ancora in corso. Per molti aspetti, questi primi resoconti aiutano a stabilire alcune delle caratteristiche chiave della propaganda nazionalsocialista sui ghetti e sui loro occupanti. […] L’antisemitismo veniva utilizzato per legittimare l'aggressione contro la Polonia, delegittimare il diritto di esistere dello Stato polacco e trasmettere un'immagine negativa della nazione polacca».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 8Fig.8: unità fotografica dell'US Signal Corps in addestramento (11/06/1942). FonteLe fotografie delle unità americane US Signal Corps durante e dopo la Seconda guerra mondiale
    Fotografie, Staat und Öffentlichkeit: Signal Corps-Fotografien im und nach dem Zweiten Weltkrieg
    di Annette Vowinckel, 12/01/2015.

    «Le guerre moderne non si combattono solo sul campo di battaglia, ma anche sui media. L'informazione esaustiva sugli scopi bellici e sullo svolgimento della guerra è innanzitutto compito della stampa libera, se esiste. Istituendo reparti di intelligence, gli stati moderni hanno creato uno strumento per prendere nelle proprie mani la produzione e la diffusione delle informazioni di guerra. Nonostante la diversità degli stati in guerra, molto simile era il lavoro di queste unità militari, che a volte venivano chiamati reparti di telecomunicazioni, a volte reparti di intelligence o, nel caso della Wehrmacht, compagnie di propaganda. Oltre alla produzione di messaggi di testo e alla gestione delle telecomunicazioni, l’attività di queste unità spesso comprendeva la realizzazione di fotografie e filmati. Il compito dei fotografi militari era quello di documentare le operazioni di combattimento, ma anche gli eventi dietro il fronte e infine di scattare fotografie aeree del territorio nemico per scopi strategici. […] La storia delle unità US Signal Corps risale al XIX secolo. Come suggerisce il nome, inizialmente i loro compiti consistevano nel trasmettere messaggi con segnali di bandiere o di notte con segnali di torce. A poco a poco, però, si aggiunsero tutte le forme moderne di comunicazione, dalla telegrafia alla radio, dalla fotografia al cinema e alla televisione. La prima guerra fotografata dal personale dell'esercito americano fu la Guerra ispano-americana del 1898. Seguirono la Prima e la Seconda guerra mondiale, la Guerra di Corea, la Guerra del Vietnam e le più recenti guerre in Afghanistan e Iraq. La pratica fotografica delle unità US Signal Corps raggiunse il suo primo apice durante la Seconda guerra mondiale, nel corso della quale più di 700 fotografi realizzarono circa mezzo milione di fotografie».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 9Fig.9: soldato ucraino spara dalla finestra di una abitazione FonteImmagini della guerra in Ucraina: un dossier tematico
    Themendossier: Bilder des Krieges in der Ukraine
    di Christine Bartlitz, 06/04/2022.

    «I media visivi svolgono un ruolo centrale nel raccontare la guerra in Ucraina, nel documentare e interpretare i crimini di guerra. Il potere delle immagini come forza creativa e di mobilitazione nel processo politico è sempre stato grande in tempo di guerra. Attualmente stiamo trasmettendo la guerra quasi in tempo reale. Ci sono anche immagini e video che sono stati manipolati o presi fuori contesto. Nei media e nell'opinione pubblica si discute sulla veridicità delle immagini. Le guerre non si combattono mai solo a livello locale, ma anche a livello globale con parole e immagini, come dimostrano in modo impressionante i videomessaggi al pubblico mondiale del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. Tuttavia, probabilmente, è ancora troppo presto per presentare un quadro storico-visivo completo della guerra in Ucraina: le armi non tacciono, le persone muoiono ogni giorno. Non sappiamo cosa accadrà, come finirà questa guerra. I giornalisti si trovano attualmente ad affrontare sfide particolarmente grandi nella gestione del materiale fotografico».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 10Fig.10: “I primi Hereros arrendevoli”, foto con didascalia tratta da un album del 1907. Fonte5. Le fotografie iconiche tra storia e mass media

    Il popolo Herero: una fotografia iconica della distruzione di un popolo
    Starving Hereros. Zur Geschichte einer „Ikone der Vernichtung“
    di Lars Müller, 19/11/2018.

    «Una fotografia in bianco e nero con nove persone riunite a formare un gruppo: sette in piedi, due sedute. Tutti indossano un perizoma che rivela i loro corpi sottopeso, emaciati, indeboliti. Tre persone si sostengono con un bastone, alcuni indossano collane come gioielli. Si possono vedere anche anelli attorno alle caviglie. Non è chiaro se queste possano essere catene di ferro. Gli occhi sono per lo più rivolti allo spettatore, solo le persone sedute sembrano avere gli occhi chiusi. Sullo sfondo si vede un paesaggio brullo. Osservando più da vicino si possono vedere ulteriori dettagli, che però non sono in grado di fornire informazioni precise sulle persone, sul luogo o sull'ora della foto. La fotografia è stata scattata durante la guerra tedesco-herero [1904-1908] in quello che oggi è lo stato della Namibia. Questa guerra ricevette - e riceve ancora oggi - la massima attenzione nei dibattiti pubblici sui numerosi conflitti armati che l'Impero tedesco intraprese con gli abitanti delle sue colonie. Questione centrale è se lo sterminio quasi completo degli Herero sia il prodotto di una volontà sistematica di porre in essere un vero e proprio genocidio da parte della potenza coloniale tedesca (il primo genocidio del XX secolo). Dal centenario della guerra tedesco-herero nel 2004, questa fotografia di gruppo è quasi onnipresente, nei libri scientifici o divulgativi e negli articoli giornalistici. Viene utilizzata non solo in forma stampata, ma anche in documentari televisivi o materiali didattici online. Gli autori sembrano attribuirgli uno speciale potere esplicativo come sinonimo di “sterminio del popolo Herero”».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 11Fig.11: la presunta orchestra di musicisti prigionieri nel campo di Janovsk nell’atto di suonare il 'Tango della Morte'. FonteIl “Tango della morte”?. A proposito di una foto scattata nel campo nazista di Lemberg/Lviv
    “Todestango”? Über ein Foto aus einem NS-Lager in Lemberg/Lviv
    di Dirk Dietz, 24/10/2022.

    «Il “Tango della morte” è una delle composizioni più conosciute e allo stesso tempo più enigmatiche che si dice siano state suonate nei campi di concentramento e di sterminio delle SS. Secondo la leggenda, fu creato nel campo di lavoro forzato e di transito Janowska a Lemberg/Lviv, l'allora capitale della Galizia, che passò sotto l'occupazione tedesca dopo l'attacco del regime hitleriano all'Unione Sovietica il 22 giugno 1941. Si dice che il vice comandante del campo, l'SS-Untersturmführer Richard Rokita, che era musicista, avesse dato a due musicisti detenuti (Leopold Striks e Yacub Mund) l'ordine di comporre un "tango della morte", che da allora in poi sarebbe stato suonato durante le esecuzioni dei prigionieri. Due fotografie di un'orchestra svolgono un ruolo cruciale nell'autenticare questa leggenda. Una delle due mostra un'orchestra disposta in cerchio in un lager che apparentemente potrebbe essere il campo di lavoro forzato e di transito Janowska a Lemberg/Lviv. La fotografia e la leggenda del “Tango della morte” formano un'unità suggestiva: “l'orchestra dei musicisti prigionieri nel campo di Janovsk suona il 'Tango della Morte'. Torture ed esecuzioni avvengono contemporaneamente". Questa interpretazione fu coniata dai sovietici e fino ad oggi fatta propria da quasi tutti gli studi e le pubblicazioni su Lemberg, il campo di Janowska e il genocidio degli ebrei della Galizia. Tuttavia, l’esistenza di una composizione speciale denominata “Tango della morte” non è certa né vi è alcuna prova che le fotografie mostrino l’orchestra del campo che suona un brano musicale del genere. Finora questa fotografia non è stata sottoposta ad alcun esame critico della fonte, il che fa riflettere se si considera la “svolta pittorica” proclamata circa 30 anni fa. Per molte persone foto e testo formano ancora oggi un'unità suggestiva: l'idea di un "Tango della morte" e la presunta prova più importante di esso: l'orchestra del campo che suona il "Tango della morte"».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 12Fig.12: : Il ritratto dell'SS Oberscharführer Erich Muhsfeldt sul profilo Facebook del Museo statale di Auschwitz-Birkenau Fonte“Ha persino un aspetto malvagio…” Il ritratto dell'SS Oberscharführer Erich Muhsfeldt sul profilo Facebook del Museo statale di Auschwitz-Birkenau
    “He even looks evil …“ Das Porträt des SS-Oberscharführers Erich Muhsfeldt auf dem facebook-Profil des Staatlichen Museums Auschwitz-Birkenau
    di Ina Lorenz, 12/10/2015.

    Il 1° gennaio 2011, sul profilo Facebook del Museo Statale Auschwitz-Birkenau era stata pubblicata la foto di un ufficiale nazista, Erich Muhsfeldt, accompagnata dalla scritta: “Il 1° gennaio 1945 Erich Muhsfeldt, comandante dei forni crematori di Auschwitz, fucilò 200 prigionieri polacchi nel campo di Auschwitz II”.
    «Il ritratto dell'SS-Oberscharführer Erich Muhsfeldt è scelto con intelligenza: mostra l’ufficiale nazista in prigionia e offre quindi una immagine insolita, poiché la nostra idea dei nazisti è caratterizzata da uomini in uniforme, decorati con distintivi e medaglie. […]. La fotografia storica dell'SS Oberscharführer ha suscitato un'ondata di commenti. A prima vista, può sembrare strano pubblicare la foto di un colpevole nazista su Facebook e affrontare in questa sede argomenti seri come il nazionalsocialismo e l’Olocausto. Tuttavia, questa pubblicazione offre l’opportunità di esaminare una nuova forma di rapporto con la storia che, in primo luogo, avviene nello spazio virtuale e, in secondo luogo, segue un approccio partecipativo. Ciò sembra tanto più urgente in quanto Gerhard Paul già diversi anni fa aveva predetto che Internet sarebbe diventato a lungo termine il “mezzo visivo più importante per trasmettere la storia e la cultura della memoria”».7

     


    Note

    Sulla Visual History e sulla svolta visiva degli studi storici: A. Prampolini, La Visual History. Che cos’è e quali storie ci fa conoscere, in «Historia Ludens», 10/02/2021, Visual history. L'uso didattico delle fonti iconografiche (sitografia con una prefazione di A. Brusa), in «Historia Ludens», 10/03/2021, La storia nelle immagini. Laurent Gervereau, uno studioso fra public history e didattica della storia, in «Historia Ludens», 18/09/2023; Vedi anche gli articoli di didattica di chi scrive e di Antonio Brusa, pubblicati nella rivista «Visual history».

    Per un approfondimento: Peter Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Carocci editore, Roma, 2002; Adolfo Mignemi, Lo sguardo e l'immagine: la fotografia come documento storico, Bollati Boringhieri, 2003; Giovanni De Luna, La passione e la ragione, Bruno Mondadori, 2004; Gabriele D’Autilia, L'indizio e la prova. La storia nella fotografia, Bruno Mondadori, 2005.

    3 Cfr. Michael Sauer, Bilder als historische Quellen, in «Bilder in Geschichte und Politik», BpB, 28/12/2005.

    Cfr. Michael Sauer,Bilder als historische Quellen, in «Bilder in Geschichte und Politik», BpB, 28/12/2005; Violetta Rudolf,Kontextualisierung oder Eine Fotografie und ihre Geschichte(n), in «Visual History», 07.11.2022.

    Gerhard Paul,Bilder als generative Kräfte, in «Docupedia-Zeitgeschichte», 13/03/2014; Benet Lehmann,Wie Gewaltbilder erschließen?, in «Visual History», 19.07.2022.

    Per maggiori informazioni sull’istituto ZZF e sulle sue attività: A. Prampolini,La storia contemporanea nel Web. L’esempio della Germania: il Centro per la storia contemporanea di Potsdam, in «Historia Ludens», 21/12/2020.

    Gerhard Paul,Das Jahrhundert der Bilder. Die visuelle Geschichte und der Bildkanon des kulturellen Gedächtnisses, in Das Jahrhundert der Bilder. 1949 bis heute, Göttingen 2008, pp. 14-39.

     

  • Le guerre del Novecento nelle foto. L’uso didattico di Wikimedia Commons

    di Antonio Prampolini

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