storia ebraica

  • 'Tra le linee': il Museo Ebraico di Berlino

    Autore: Fabio Fiore

    Il Museo Ebraico di Berlino (d’ora in poi MEB) è un luogo che non cessa di commuovermi. Non è in senso stretto un “museo”, anche se sin dall’intestazione di fatto lo è. E’ qualcosa di più e di diverso: un luogo della commemorazione e del pensiero. Chi lo ha già visitato, forse mi capirà. A chi non ancora, provo qui a raccontarlo. Per farlo, oltre al sito ufficiale, mi avvalgo di due altri strumenti, l’Audio-Guida e la Guida Essenziale fornite dal museo: anche la loro notevole qualità divulgativa ha l’inconfondibile sapore di quella cultura ebraico-tedesca al centro della narrazione del MEB1 .

     

    L’accesso.
    L’accesso consiste in una ripida scala di quasi sette metri di lunghezza che passa sotto il muro portante dell’edificio barocco e conduce in un labirinto sotterraneo. Ma dall’esterno non pare esserci collegamento tra vecchio e nuovo museo, tra l’antico ‘Kollegienhaus’e l’ampliamento progettato dall’architetto statunitense Daniel Libeskind e inaugurato nel 20012.

    Fig. 1 L’antico Kollegienhaus e l’ampliamento di Daniel Libeskind

    A proposito di questa entrata insolita, Libeskind osserva: «non volevo creare uno dei soliti ponti tra edificio vecchio e nuovo. Non sarebbe stata la soluzione per me…questa storia manca di collegamenti visibili, non c’è alcuna connessione tra la storia ebraica e quella della città di Berlino, nulla di cui si potrebbe dire:“ecco, è questo!”. Dalla strada il collegamento è completamente invisibile» (AG).Quest’apparente assenza di un nesso architettonico tra i due edifici mira in realtà a rivelare un’assenza, a esprimere un vuoto: «l’idea era molto semplice. Il museo doveva essere costruito intorno a un vuoto che attraversa l’intero edificio. Da un punto di vista puramente fisico, della presenza degli ebrei non è rimasto molto, piccole cose, materiali d’archivio, testimonianze più di un’assenza che di una presenza. Dal mio punto di vista, questo vuoto che è parte integrante della cultura contemporanea di Berlino, deve essere reso visibile e accessibile» (Libeskind, AG).

     

    Tra le linee: i “Voids”.
    Between Lines è il titolo di quest’opera straordinaria. E in effetti la struttura dell’edificio si basa su due linee: una diritta e un’altra a forma di fulmine

    Nei punti di incontro tra le due linee si formano degli spazi vuoti,che si estendono a tutti i piani del MEB, detti Voids: «Il Void è uno spazio che organizza il museo e allo stesso tempo non fa parte di esso. Non è riscaldato, climatizzato. E’ qualcosa di diverso che tuttavia è strettamente correlato agli spazi espositivi. Perché il Void fa in fondo riferimento a ciò che non sarà mai possibile esporre. Si tratta della storia della Berlino ebraica, della quale non è rimasto altro che cenere» (Libeskind, AG)3 . Di tali spazi deliberatamente non espositivi, il MEB ne ha previsti cinque di cui uno solo accessibile, il Memory Void, che ospita l’installazione dell’artista israeliano Menashe Kadishman-Shalechet, "Foglie morte"-iniziata nel 1997 e lasciata incompiuta.

     

    Gli “Assi”.
    I sotterranei del MEB sono attraversati da tre corridoi denominati “assi”: l’asse della continuità, l’asse dell’esilio, l’asse dell’Olocausto. Rappresentano i diversi destini degli ebrei tedeschi sotto la dittatura nazionalsocialista. Come le scale, anche gli assi hanno pavimenti in ardesia e sono in leggera pendenza. Restando costante l’altezza dei soffitti nel sotterraneo, ogni corridoio si fa più basso verso il fondo.L’asse della continuità lega il vecchio edificio con la ripida scala principale che conduce ai vari piani del museo. L’asse dell’esilio porta verso la luce, al Giardino dell’esilio.Il terzo asse, quello dell’Olocausto, è un vicolo cieco. Il visitatore è libero di muoversi nelle direzioni che crede.

    Fig. 2. I sotterranei sono attraversati dagli “assi”. L’asse dell’Olocausto è un vicolo cieco

     

    LaTorre dell’Olocausto.
    Uno degli elementi architettonicamente autonomi del MEB è rappresentato dalla Torre dell’Olocausto. Vi conduce il corridoio denominato “asse dell’Olocausto”. La torre è stata realizzata in cemento, è provvista di riscaldamento ed è chiusa su tutti i lati, prendendo luce esclusivamente da una stretta fenditura posta in alto.

    Fig. 3 La Torre dell'Olocausto

    L’ingresso è stato collocato nel piano interrato cosicché dall’esterno la costruzione appare del tutto indipendente dal piano dell’edificio. Il soffitto ha un’altezza di 24 metri. Creato per ricordare le vittime dell’Olocausto, tale edificio è essenzialmente un «voidit void», un «vuoto svuotato», in cui si sentono «i rumori soffusi di Berlino intorno a noi», «i rumori lontani di bambini che giocano nel cortile della scuola», in cui «si vede il bagliore della luce in alto». Ognuno è invitato a «interpretare l’esperienza a modo suo» (Libeskind, AG).

     

    Il Giardino dell’Esilio.
    L’asse del giardino sale in leggera pendenza e conduce all’aperto, al Giardino dell’esilio, un giardino di cemento a pianta quadrata dalla superficie lievemente inclinata. La struttura in cemento impedisce una visione di insieme. 49 steli ne fanno un vero e proprio labirinto. Le steli contengono della terra e in ciascuno di esse è stato piantato un ulivo. L’inclinazione del terreno di circa 12 gradi può provocare un leggero senso di vertigine che mira a trasmettere un poco del senso di stordimento provato da chi, tra il 1933 e il 1941, per sfuggire alle persecuzioni naziste,  si è lasciato alle spalle la storia di Berlino affrontando l’esilio. La forma quadrata di questo giardino è l’unica a rappresentare angoli retti in tutto il museo: «io credo che i  visitatori dopo l’esperienza sensoriale del giardino, dopo averne sperimentato gli effetti, si sentiranno singolarmente estraniati dal contesto a causa della sua forma semplice» (Libeskind, AG)4


    Fig.4 Il Giardino dell'esilio

     

    L’asse della continuità: il corpus documentale.
    Il più lungo dei tre, è anche la via che attraverso una ripida scala conduce all’esposizione permanente del MEB: «questa è la scala principale che vista dall’entrata risulta davvero stretta. Avvicinandosi però si nota che questa scala tende verso l’alto, verso la luce e porta ai diversi piani. Prima però è necessario passare attraverso tutto l’orrore, lo sterminio, il vicolo cieco della Torre dell’Olocausto, il Giardino dell’esilio, la diaspora di uomini e idee, la continuità con il futuro che ancora esiste. Il tempo non si è fermato» (Libeskind, GE).

    Giunti alla sommità della scala, suddiviso in 13 epoche e in diverse sezioni tematiche, l’imponente corpus documentale del MEB ci racconta due millenni di storia ebreo-tedesca dal punto di vista della minoranza ebraica, ponendo «le vicende storiche accanto ai destini personali» e selezionando «gli oggetti significativi dal punto di vista della narrazione espositiva» (GE). Mi limito ai titoli: Il mondo ebraico nel medioevo (le condizioni di vita degli ebrei aschkenaziti), La vita ebraica sul territorio in età moderna (radicamento territorialee stratificazione sociale); Vita ebraica, tradizioni ebraiche (legge religiosa e vita delle comunità, le trasformazioni nel tempo); Moses Mendelssohn (l’illuminismo ebraico); Gli ebrei tedeschi nel XIX sec. tra adattamento e autodeterminazione (conversioni al cristianesimo, movimento socialista, l’idea di nazione, l’antisemitismo politico); La modernità dispiegata: dall’Impero guglielmino alla Repubblica di Weimar (industrializzazione e società di massa, il campo di tensione tra spinte integrative e nuove forme di discriminazione); Reazioni degli ebrei tedeschi al nazismo (di istituzioni e di singoli,  tra il ’33 e il ‘41); Le donne nell’ebraismo (la condizione femminile, tra devozione tradizionalistica e secolarizzazione moderna); Lungo il museo con gli «stivali delle sette leghe» (duemila anni di storia materiale e ‘abitativa’ ebreo-tedesca); Ebraismo, Cristianesimo, Islam: confronto storico-culturale (rapporti secolari, influenze reciproche, conflitti: per un laboratorio del tempo presente); Considerazioni architettoniche (sul progetto di ampliamento del MEB, a partire dall’interrogativo: «è possibile dare una forma architettonica all’identità ebreo-tedesca?».

    Fig. 5 Documentazione della vita ebraica

     

    Informazioni spicciole.
    Con meticolosità teutonica, il MEB sembra calcolare ogni tipo di esigenza (il pubblico dei musei, si sa, è variegato): degli insegnanti, a cui vengono offerte visite guidate, approfondimenti tematici in presenza e online, documentazione e materiali vari; del resto, ci si potrebbe costruire intorno un anno di lavoro, in una quinta, trovando il modo di portare i ragazzi in gita a Berlino, più economica di altre capitali europee, Roma compresa. Dei genitori, che vedranno i loro bambini “trastullarsi intelligentemente” con tutta una serie di spazi, giochi, dispositivi appositamente creati per il loro apprendimento. Il Rafael Roth Learning Center gestisce impeccabilmente gli ambienti multimediali: in ogni sezione, il visitatore avrà a disposizione il corpus documentale interamente digitalizzato, approfondito, illustrato e quant’altro. Persino la caffetteria (il “Café Schmus”) ha un che di speciale: si apre su di un enorme teatro inondato di luce, di fronte a un ampio giardino alberato, come se volessero dirti: «abbiamo cercato di metterti a disagio, di farti percepire il vuoto e l’assenza – di memoria, di uomini, di interi gruppi di persone; ti abbiamo condotto attraverso i molteplici inferni della storia per riempirti la testa di informazioni, immagini, concetti, ricordi; miravamo a fare della tua visita un’esperienza profonda. Ti meriti un po’ di ristoro: prenditi ancora del tempo, non avere fretta di uscire».

    Fig. 6 Il Café Schmus

     

    NOTE

    1. Le ‘Audio-Guide’ (d’ora in poi AG) sono disponibili in ebraico, francese, giapponese, inglese, italiano, russo, spagnolo e tedesco; le ‘Guide’ (Museo ebraico di Berlino. Guida essenziale, a cura del MEB, Nicolaische Verlagsbuchhandlung  GmbH, Berlin 2010,d’ora in poi GE, cfr.www.jmberlin.de) in turco, olandese,danese, ebraico, francese, giapponese, inglese, italiano, polacco, russo, spagnolo, tedesco e per sordomuti.
    2. Daniel Libeskind (1946) è un architetto polacco naturalizzato statunitense, annoverato tra i principali esponenti del “Decostruttivismo”, cfr. www.libeskind.com.
    3. Il vecchio cimitero ebraico di Berlino è un esempio toccante di questa assenza/presenza: la tomba del grande Moses Mendelssohn, alcune lapidi appese  a un muretto, un giardino verdissimo  in un angolo appartato della città:  nient’altro!
    4. A pochi passi dalla Porta di Brandeburgo, notevole è anche il c.d. “Holocaust-Mahnmal”, il monumento per le vittime delle persecuzioni naziste di un altro architetto statunitense, Peter Eisenman, che riprende e sviluppa stile e motivi del Giardino dell’esilio.


                         


    3 settembre 2016

  • Cesare Colafemmina

    Cesare Colafemmina è stato il maggior studioso di storia ebraica dell'Italia meridionale. Ha speso la vita per raccogliere, tradurre e pubblicare i documenti relativi ad una comunità che - nel medioevo - fu numerosa, attiva economicamente e culturalmente.

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