Autore: Antonio Brusa
Ne ha parlato e scritto più volte, Tullio de Mauro, delle idee sballate che tantissimi, e fra questi molti intellettuali, coltivano a proposito di scuola e di formazione dei cittadini. E’ questo, ancora, uno dei temi del suo intervento al Festival della Comunicazione, che si svolge a Camogli dal 10 al 13 settembre 2015.
De Mauro comincia con quei sociologi che, nel corso degli anni ’70, sostenevano che l’inglese avrebbe distrutto la varietà linguistica del pianeta. Previsione smentita dai fatti: a parte le lingue parlate da pochi nativi, tutte le altre vanno ancora alla grande. A quei profeti di sventure (fortunatamente) non realizzatesi, De Mauro aggiunge quelli che, all’apparire di internet, hanno predetto disastri linguistici inenarrabili. La realtà ha dimostrato il contrario, perché internet ha permesso il passaggio dall’oralità alla scrittura di centinaia e centinaia di lingue, garantendo in questo modo la loro stabilità e la loro durata. Da 700 a 2500. Questo dato, così impressionante e così evidente, da solo dovrebbe farci riflettere sulla distanza che certi commentatori di fatti culturali e di costume hanno frapposto tra sè e il mondo.
Questa distanza diventa un baratro, quando si passa all’Italia e agli sfaceli sbandierati da molti interpreti nostrani dei problemi della scuola. Certamente, se ci si riferisce al primo decennio di questo secolo, le cose non vanno tanto bene: e sfiderei qualunque istituzione a sopravvivere – come pure è riuscita a fare la scuola, e un po’ di merito andrebbe riconosciuto ai tanto disprezzati insegnanti - col taglio di 8 miliardi di euro, subìto non appena De Mauro abbandonò la guida del Ministero. Tuttavia, se si guarda nel suo complesso il rapporto fra scuola e nazione, si deve parlare di una “rivoluzione epocale”. La diffusione dell’italofonia, difficile e complicata fino agli anni ’60 del secolo scorso, ha un balzo con le riforme del Centro sinistra e giunge a compimento negli anni ’90.
Quindi, siamo italofoni da appena un ventennio. Dovrebbero essere intuibili le difficoltà che masse, di così recente scolarizzazione, dovrebbero mostrare. Chiare ancora dovrebbero essere le inerzie di una società che ancora deve fare i conti con la scolarizzazione, e soprattutto con l’alta scolarizzazione. La nostra, è una società abituata da lunga pezza a servirsi di personale scarsamente qualificato, negli apparati statali come nel privato. Fino a poco tempo fa, per funzionare le bastava un personale con poche competenze di lettoscrittura. L’inerzia la porta a funzionare nello stesso modo, ancora ai nostri giorni. Non richiede che si sappia leggere testi complessi e, quindi, costituisce il terreno ideale per il ritorno all’analfabetismo di legioni di allievi che, pure, a scuola qualcosa hanno imparato. Per quanto la scolarizzazione possa risultare completa e efficace, è in buona misura DOPO, che si diventa ignoranti: e ciò accade perché è la nostra società che non sa che farsene della gente istruita. L’80% di analfabeti di ritorno sono una zavorra definitiva, per qualsiasi collettività che voglia uscire dalle sue crisi.
Prosegue De Mauro che – con l’eccezione di Pasolini – pochi si sono occupati di questi processi, di questa rivoluzione incompleta, e perciò “mancata”. Questa realtà, dunque, è rimasta opaca ai più. E’ molto più comodo, di conseguenza, incolpare la scuola, e con essa i media. Scrisse un grande, Le Goff, che l’ignoranza diffusa dipende “da insegnanti sciatti” e dalla televisione. Ai nostri giorni, avrebbe detto di internet. Scrive De Mauro che, se la piaga dell’analfabetismo di ritorno è causata dal fatto che “la società non richiede che si sappia scrivere”, sarà forse la rete, i social, l’abietto twitter, con l’obbigo a scrivere che impongono anche ai meno colti, a costituire una speranza per il futuro. “Come è successo altrove nel mondo, per esempio per gli inuit o per gli eroici curdi, la tradizione e Dante potrebbero trovare un alleato in internet”.
(“La stampa”, 10 settembre 2015, p. 22)