di Antonio Brusa
Passatempo 5 agosto 2025
Non parlo mai di casi personali, su fb, a meno che non sia di qualche prelibatezza o di qualche uascezza, come si dice a Bari. Ma questo, per quanto capitato a me, mette a fuoco un problema che è di tutti i colleghi.
Ecco il fatto. Per anni, insieme con validissime colleghe, ho messo su un appuntamento formativo su intercultura e apprendimento disciplinare. Il principio che ci muoveva è che le due cose non possono essere separate. Ascolti una lezione sull'intercultura, poi una di storia, te ne vai a casa e fai lo zabaglione. No, l'intercultura deve essere DENTRO la storia (come nelle altre discipline), per poter funzionare in classe. Il che implica un'operazione difficile (e a volte) dolorosa, perché ti obbliga a rivedere gli assetti disciplinari dal loro interno. Insomma, non vale recitare una lista di obiettivi magnifici, se poi la battaglia di Canne rimane sempre quella. Devi cambiare il punto di vista, la narrazione e la problematizzazione dell'oggetto, se vuoi che riviva in un ambiente culturale non autocentrato (nazionalistico, o eurocentrico che sia). Questo vale per la storia e anche per le altre discipline umanistiche (per le Stem non mi azzardo a dire nulla). Vale per il rapporto fra disciplina e intercultura, e fra disciplina e qualsivoglia obiettivo esterno che tu pensi importante (la pace, la convivenza, l'inclusione ecc. ecc.).
Dunque, lavoriamo a lungo. Ma, progressivamente, vedo lo spazio delle discipline ridursi, anno dopo anno. Oggi, guardando il programma di quel corso lo leggo pieno di influencer, storyteller, opinionisti. Tutti bravissimi professionisti di intercultura e inclusione, e sia detto senza alcuna ironia. Certamente capaci di attrarre un pubblico più numeroso ed entusiasta.
Io resto della mia opinione. Che quella è la via facilior. Ti aiuterà in un'attività extracurricolare, magari di successo. Ma scorrerà accanto a Canne, a Carlo Magno e a Robespierre, monumenti di una storia sclerotizzata, sempre più estranea a questo XXI secolo. Al contrario, bisognerebbe rendere “potenti” le parole della storia. Renderle capaci di interpretare il mondo. Non annegarle nel brodo delle competenze trasversali. Penso, quindi, che rileggere la storia con gli occhi del presente (che è poi una cosa vecchia come il cucco, ma più passa il tempo e più ne apprezzo la difficoltà) sia ancora la soluzione per coniugare le istanze formative che piovono da tutte le parti con le materie di studio, e mantenere la barra dritta di una scuola che sa “disciplinare i pensieri”.
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