di Lucia Boschetti
Il termine inglese debate designa una serie di attività alle quali in italiano possiamo riferirci in senso lato con i lemmi “controversia”, “dibattito”, “disputa” e che, applicati all’ambito educativo, designano in senso lato uno confronto argomentato tra diverse posizioni. Questa estensione semantica rende ragione del fatto che i modelli di debate esistenti sono numerosi ed estremamente diversi tra loro, anche perché, a partire dagli anni Novanta e in modo crescente nel XXI secolo, questo metodo è stato applicato all’interno dei percorsi formativi iniziali e in servizio di svariati ambiti. Le competizioni internazionali sono, inoltre, basate su modelli che mirano a sviluppare abilità retoriche e argomentative trasversali, affrontando tematiche di attualità non collegate ad una specifica disciplina.
Tutto ciò rende impossibile dare un quadro esaustivo degli utilizzi didattici del debate. Tuttavia, possiamo identificare alcuni tratti comuni e alcuni modelli storici di riferimento per contestualizzare la nostra proposta didattica.
Gli elementi essenziali della definizione
Gli elementi essenziali del debate sono quattro
• il debate è definito attraverso una struttura precisa, che prevede una sequenza di “mosse” che devono essere rispettate dai partecipanti. Anche se forme non strutturate di dibattito sono tipiche della vita quotidiana, l’utilizzo di questo approccio in ambito educativo non coincide, dunque, con una discussione libera attorno ad un certo tema. Ciononostante, la struttura del debate varia nei diversi modelli, come vedremo, e può essere più o meno rigida, anche se in nessun caso il dibattito è un confronto disorganizzato o totalmente libero. Nei formati competitivi di debate, dove la strutturazione raggiunge il massimo della precisione, con tempi di esposizione cronometrati, ciò è stabilito rigidamente per permettere la preparazione e la messa in atto di una strategia che tenga conto del tempo a disposizione per sé e per gli avversari (Snider and Schnurer 2002).
• Ha senso organizzare un debate solo quando un argomento presenti chiari margini di discussione, così che si possano identificare almeno due posizioni contrastanti che vengono contrapposte. La struttura del dibattito prevedrà sempre l’alternarsi delle diverse posizioni.
• La riformulazione di ciascuna posizione in modo da ribattere alle critiche provenienti dagli avversari.
• il debate avrà come esito una presa di posizione degli astanti a favore di una delle due posizioni, sulla base di una serie di criteri che bilanceranno la validità e la persuasività dei discorsi proposti.
All’interno di queste linee generali, le forme specifiche dell’interazione perseguono scopi diversi, rispetto ai quali adattano una o più delle condizioni.
Il debate nell'antichità
L’origine del dibattito a scopi educativi è ricondotta da molti autori ai dissoi logoi: i discorsi duplici della sofistica varrebbero a Protagora il titolo di “inventore” dei dibattiti nel V secolo a.C. (Cattani 2001), nonostante le figure di Polidamante e Nestore costituiscano già un riconoscimento del ruolo del dibattito pubblico nell’Iliade (Branham 1991). In India e in Cina le forme più antiche di dibattito sono legate a specifiche cerimonie religiose e alla disputa in campo teologico, che nel II sec. d.C. si struttura attraverso appositi manuali (Branham 1991).
Nella storia dei sistemi formativi europei, le Controversie di Seneca il vecchio e le dispute che, nel XII secolo, si rendono autonome dalla lectio impartita nelle scuole urbane (Siri 2013) sono esempi di pratiche didattiche incentrate sul confronto argomentato tra opinioni contrapposte.
Nonostante questa tradizione antica, solitamente richiamata nelle presentazioni del debate in Italia, è nel contesto della socializzazione borghese nel Regno Unito e negli Stati Uniti della seconda metà del XVIII secolo che si sviluppano su larga scala le prime associazioni di dibattito in senso moderno, le cui procedure si ritrovano nei modelli attualmente in uso nel mondo di lingua inglese. Esse rappresentano una delle forme di intrattenimento culturale, come il teatro e le conversazioni nei caffè, mediante le quali si forma l’opinione pubblica (Habermas 1962).
Fig.1: William Humphrey, rappresentazione satirica dei dibattiti della Robin Hood Society, i cui membri sono riprodotti in modo caricaturale. La stampa, del 1783, è conservata al British Museum FonteLa ripresa del debate in Gran Bretagna: la controversia come spettacolo
Nel XVIII secolo in Gran Bretagna il dibattito era praticato in due luoghi: nelle società pubbliche e in alcuni club privati. Le società pubbliche di dibattito di Londra divennero nel corso del XVIII secolo un’attrazione di crescente successo: l’incremento più rilevante si registrò negli anni Ottanta, quando si arrivò a contarne 35, con un’audience che raggiunse picchi di 1200 spettatori (Andrew 1994). In questo caso, chiunque pagasse un’iscrizione settimanale poteva prendere le parola, a differenza di quanto avveniva nei club privati. Al pari dei caffè britannici, dei salotti parigini e delle società patriottiche tedesche, le società di dibattito erano uno dei luoghi nei quali un numero crescente di persone si confrontava su temi di carattere letterario, artistico e, progressivamente, politico, individuando nella qualità dei propri argomenti l’unico strumento per far prevalere la propria opinione (Speier 1950). Come e forse più di quanto è stato rilevato per quanto riguarda i caffè, ampi strati del ceto medio, fino ad artigiani e commercianti, frequentavano le società di dibattito.
Infatti, pur vantando tra i loro oratori alcuni membri illustri, come Burke e Pitt nel caso delle società londinesi, tipicamente le società pubbliche erano frequentate da uomini della piccola classe media, purché in grado di pagare il biglietto di sei pences (circa la metà di quello per sedere in teatro). A frequentarle erano dunque principalmente piccoli artigiani e commercianti che desideravano un “intrattenimento intellettuale” (rational entertrainment). Associazioni di questo tipo esistevano non solo a Londra, ma anche in provincia: potevano vantare una tradizione consolidata a Birmingham (Iwama 2016) e Norwich e sono attestate, sia pure per poco tempo, a Wolverhampton e Leeds (Thale 1989).
Fig.2: Debating society – Piccadilly da Rudolph Ackermann. The microcosm of London. London: Published at R. Ackermann’s Repository of Arts, 101 The Strand, 1808-10. Fig.3: Thomas Rowlandson, The School of Eloquence (The Grand Debating Society), disegno del XVIII secolo che raffigura un incontro della società di dibattito londinese, probabilmente a tema politico (sullo sfondo, compare la scritta “State of the Nation”). Fonte
Gli obiettivi di queste società cambiano a seconda del punto di vista dal quale le si osserva. Per gli oratori, in particolare quelli che aspiravano ad una carriera politica, erano un’occasione per fare pratica di discorso pubblico davanti ad audience di alcune centinaia di persone. Per gli organizzatori, lo scopo era commerciale: si spiega in questo modo la scelta dei temi, che includevano in circa un terzo dei casi questioni politiche, mentre nella maggioranza delle occasioni erano discussi soggetti quotidiani o triviali, come i tradimenti o la capacità dei sogni di predire il futuro (Thale 1989). In tal modo, per massimizzare i profitti i manager soddisfacevano i gusti di un pubblico ampio, che includeva anche le donne e che partecipava per diletto. Anche l’organizzazione, all’interno di alcune società, di dibattiti riservati alle donne (Andrew 1994) permetteva di ampliare l’affluenza, intercettando un pubblico specifico. Questa finalità commerciale, tuttavia, apriva la possibilità anche alle donne di essere coinvolte in una dimensione pubblica politica, alla quale partecipavano altrimenti solo attraverso la vita delle parrocchie (Heater 2006).
A cavallo del decennio, i temi politici diventarono prevalenti e la discussione sulla Rivoluzione francese e le idee ad essa collegata fu all’ordine del giorno, peraltro con una formulazione delle mozioni proposte per il dibattito spesso già orientata a favore dell’estensione del suffragio. Fu a causa di ciò che le società pubbliche di dibattito furono represse per contenere la diffusione delle idee rivoluzionarie.
Fig.4: Un dibattito congiunto del 2014 tra i membri della Cambridge e della Oxford Union FonteIl dibattito parlamentare come modello
Nel tentativo di aggirare le restrizioni imposte dal governo nella repressione delle idee rivoluzionarie, nel corso degli anni Novanta furono istituite alcune società di dibattito non commerciali, con un costo di accesso molto maggiore e organizzate da studenti universitari. Anche se questi esperimenti ebbero un successo limitato e le ultime due società pubbliche furono chiuse a Londra nel 1799, conclusa la fase rivoluzionaria e quella napoleonica, questo modello fu ripreso con l’istituzione delle associazioni universitarie di dibattito, le più importanti delle quali furono quelle di Cambridge (1815) e Oxford (1823).
La Cambridge e la Oxford Union Societies facevano esplicito riferimento alle procedure parlamentari nei loro documenti costitutivi: il parlamento inglese era assunto come modello di assemblea deliberativa. La loro attività si collocava a pieno titolo all’interno della cultura parlamentare britannica, sia perché la prendeva a modello sia perché, a loro volta, le due società contribuivano all’attività del parlamento fungendo da palestre per l’allenamento di futuri membri della Camera dei Comuni: “l’interscambio di pratiche di dibattito tra il parlamento e le società di dibattito produsse una cultura politica unica” (Haapala 2012), che influenzò le varie pratiche di debating pre-esistenti orientandole verso un modello chiaramente ispirato al dibattito parlamentare. Tuttavia, le due società di Oxford e Cambridge erano ovviamente club privati strettamente elitari: erano costituiti in seno a due università ad accesso limitato, che escludevano, oltre ai membri delle classi popolari, le studentesse. Inoltre, la stessa natura di club delle debating societies accademiche comportava che i loro membri costituissero un gruppo ristretto anche all’interno di questa élite (Martin 2000).
Fig.5: Le studentesse della società letteraria Aretean della Muskingum University in Ohio, fotografate nel 1898. Ancora all’inizio del secolo, la società proponeva alcuni dibattiti, prima di scomparire negli anni Venti a favore di altri gruppi di socializzazione. FonteIl debate, strumento di formazione civile delle donne
Ciononostante, le due società furono a loro volta modello per l’istituzione di altri club di debating, compresi quelli che sorsero nei college femminili: pur essendo riservate alle figlie della classe media e medio-alta, queste società coinvolsero le studentesse in una cultura del debate della quale si servivano per “provare ai critici che avevano il potenziale per diventare elettrici responsabili e informate”(Wiggins 2009). Alcune università, inoltre, come quelle di Manchester e lo University College di Londra, proposero attività di debate aperte ad ambo i sessi. Lo studio delle società di dibattito femminili ha messo in evidenza come esse includessero diversi tipi di debate, che ritroviamo ancora oggi nelle formule competitive per studenti, anche delle scuole superiori: il debate all’impronta (impromptu), cioè su temi resi noti poco prima; il debate politico, che seguiva le procedure parlamentari, incluse la campagna elettorale e le riunioni di governo, e il debate generale su “questioni scottanti all’ordine del giorno” (Wiggins 2009). Nonostante la presenza di alcuni temi leggeri1, queste società rivelano che le partecipanti soddisfacevano attraverso il debate aspirazioni intellettuali e di impegno politico.
Simili finalità caratterizzarono anche il rilancio delle società pubbliche avvenuto in alcune città nella seconda metà dell’Ottocento, per esempio a Birmingham. Qui l’attività aveva un chiaro obiettivo di formazione civile e non era un’impresa commerciale: i membri della società si incontravano, oltre che durante eventi aperti al pubblico, in riunioni riservate, durante le quali lo svolgimento dei dibattiti era incoraggiato per migliorare la capacità di discutere in pubblico ma anche l’impegno civile, con la scelta di temi che includevano l’attualità (Iwama 2016). Le società di Birmingham si distinguevano per la provenienza dei membri, appartenenti al ceto medio per alcune, alle classi lavoratrici per altre, ma erano accomunate dal carattere politico di molti dei temi trattati.
Alcune di esse, così come un centinaio di altre nel Regno Unito, si rappresentavano come veri e propri “parlamenti in miniatura”, all’interno dei quali venivano discusse, a livello locale, le questioni affrontate dalla Camera dei Comuni. Tuttavia, anche l’esperienza di Birmingham, significativa per l’impegno civico dei partecipanti, declinò a partire dalla fine del secolo, per la competizione con una crescente offerta di intrattenimento e per una concezione privatistica dell’utilità delle capacità argomentative, che le privava di un ruolo pubblico (Iwama 2016).
Fig.6: La stanza in cui si tenevano i dibattiti della società letteraria maschile Philmatean alla Muskingum University, fotografata ad inizio Novecento. FonteIl debate negli Stati Uniti: le società letterarie
Nel caso degli Stati Uniti, se da un lato i dibattiti universitari rimasero per circa un secolo e mezzo attività extracurricolari, d’altro canto la loro esistenza era perfettamente nota alle autorità universitarie e di fatto costituiva una parte integrante della formazione degli studenti. Le società di dibattito si svilupparono nelle università americane a partire dalle società letterarie, al cui interno gli studenti organizzavano non solo dibattiti, ma anche orazioni e letture, per limitarci alle attività che coinvolgevano la comunicazione orale, esse stesse accompagnate da esercizi di scrittura (Westbrook 2002). Dalla fondazione dell’Harvard Spy Club, nel 1722, a differenza di quanto avvenuto nel Regno Unito, la crescita delle società letterarie fu costante tra XVIII e XIX secolo, raggiungendo la massima espansione prima della guerra civile.
Nel corso del Settecento, la partecipazione alle loro attività extracurricolari era obbligatoria o fortemente incentivata nella maggior parte dei college e fino agli anni Settanta dell’800 esse costituirono un contraltare all’istruzione curricolare, caratterizzata dal ricorso alla memorizzazione e da un’esposizione orale incentrata sulla recitazione anziché sull’argomentazione (Mclachlan 1974) (Greenstreet 1996). Questa tradizione, che aveva la sua origine negli insegnamenti di oratoria delle università scozzesi, si richiamava all’oratoria latina e prestava attenzione soprattutto allo stile (Eastman 2016).
Professionalizzazione dell'arte dell'eloquenza e declino del debate universitario
Tra corsi offerti formalmente dai college figuravano alcune dispute ma si differenziavano nettamente da quelle che impegnavano gli studenti nelle società letterarie – e poi di dibattito – perché erano condotte in latino e con l’obbligo di argomentare seguendo la struttura del sillogismo aristotelico (Harding 1959). Gli aspetti di ricerca legati al dibattito erano di fatto molto limitati per gli studenti, poiché le biblioteche universitarie erano aperte solo poche ore la settimana e prevedevano restrizioni per il prestito agli studenti: per questa ragione, il successo delle società di dibattito implicò anche la costituzione di biblioteche parallele (Hevel 2014). Il fatto che i temi della discussione nelle società studentesche fossero scelti direttamente dai partecipanti e che gli oratori fossero liberi di decidere quale posizione argomentare, aumentava ulteriormente l’attrattiva per queste attività. Tra le attività organizzate dalle società letterarie, il debate era quella più caratterizzata per i contenuti politici, anche se l’esperienza politica avveniva, soprattutto nelle società femminili, anche in modi più indiretti (Kelley 2012) (Harding 1959).
Le società letterarie collegate ai college persero di importanza negli anni immediatamente successivi alla guerra civile, quando il loro numero si ridusse e rimasero in attività solo quelle con una tradizione più consolidata, come Princeton, o particolarmente sostenute dalle amministrazioni universitarie (Keith 2008). Il declino di questo tipo di attività è connesso allo sviluppo dell’università americana, che vide un progressivo cambiamento dei curricoli: nell’ultimo ventennio dell’Ottocento il sistema universitario, con l’accesso di un numero crescente di studenti, perse gradualmente lo scopo di formare una ristretta élite politica e aumentò il numero e la varietà dei corsi offerti. Questa trasformazione fu accompagnata dall’istituzione di corsi dedicati all’eloquenza che si concentrarono sulla capacità di parlare in pubblico come arte performativa, piuttosto che come forma di riflessione critica sui contenuti (Keith 2008).
Da un lato un più intenso impegno sullo sviluppo dell’oratoria all’interno del curricolo formale, dall’altro la competizione con nuove attività extracurricolari, in particolare gli sport e i club musicali e teatrali, e, infine, la popolarità delle confraternite segnarono il declino delle società letterarie e dei loro dibattiti. Paradossalmente, l’integrazione all’interno del curricolo di una gamma di attività legate al parlare in pubblico, incluso il dibattito, andò a svantaggio delle istituzioni che ne avevano promosso e coltivato la diffusione tra gli studenti. Dopo una prima fase di convivenza degli insegnanti di public speaking con quelli di inglese, la fondazione della National Association of Academic Teachers of Public Speaking nel 1914 segnò l’inizio del consolidamento del campo della comunicazione come settore di studi separato dalle altre discipline. Lo studio del debate divenne una delle aree di interesse delle nuove figure professionali di docenti di comunicazione. Fino al secondo dopoguerra, gli studi sulla comunicazione mantennero uno spettro ampio, che andava dallo studio dei contesti sociali e culturali delle diverse forme di comunicazione a quello delle tecniche di persuasione, di modulazione del tono o di dizione, fino lo studio delle patologie del linguaggio, che rappresentò un campo in espansione fino agli anni Sessanta (Dannels and Housley Gaffney 2009). La professionalizzazione delle figure che conducevano ricerche nei diversi ambiti della comunicazione comportò una specializzazione progressiva e una frammentazione del settore, che si tradusse nella divisione tra studi umanistici, legati alla performance oratoria o alla storia culturale, e scienze sociali (Keith 2008).
Il debate rinasce nel curricolo statunitense
Nel corso degli anni Settanta, via via che l’accesso all’istruzione si è ampliato, l’interesse per i corsi di comunicazione è aumentato e, al loro interno, il debate si è ritagliato un ruolo sempre più evidente. Questa nuova fase è stata inaugurata dall’istituzionalizzazione dei programmi trasversali di potenziamento delle capacità di comunicazione. Sulla scorta di ricerche che lamentavano le scarse abilità comunicative dei laureati, un primo programma, denominato Speaking across the curriculum fu intrapreso nel Center College in Iowa nel 1974 (Bellon 2000). Nel corso degli anni Ottanta si svilupparono parallelamente due linee di intervento, denominate Communication across the Curriculum (CAC) e Writing across the Curriculum (WAC), entrambe finalizzate a inserire dei corsi intensivi trasversali rispetto alle discipline studiate nei college. Pur avendo alcuni obiettivi comuni, le due linee di intervento hanno continuato ad essere perseguite in modo parallelo e solo a partire dagli anni Duemila le iniziative dedicate alla scrittura e alla comunicazione orale hanno cominciato ad essere organizzate in modo sinergico. All’inizio degli anni Novanta una ventina di college e università avevano istituzionalizzato programmi intensivi di comunicazione orale, all’interno dei quali sono state proposte le attività di debate (Bellon 2000).
Nuovi fondamenti cognitivi del debate
Le attività di dibattito hanno continuato ad essere collegate all’impegno in senso lato politico, ma gli studi di psicologia ne hanno sostenuto la validità come strumento di apprendimento. Il ricorso al debate è stato sostenuto sulla base di ricerche di stampo costruttivista, che hanno dimostrato che la memorizzazione produce una serie di conoscenze inerti, che non vengono mobilitate dagli studenti se non nel contesto di domande dirette e circoscritte: in contesti nuovi, o al di fuori del setting strettamente disciplinare e scolastico, lo studente non attinge alle conoscenze possedute, anche se rilevanti.
Una rassegna della letteratura sul debate ha evidenziato che i partecipanti a programmi di debate dimostrano una maggiore capacità di porre domande agli interlocutori, riuscendo a elicitare informazioni rilevanti dai propri pari. Ciò si traduce in un miglioramento delle capacità di analisi, di espressione e di organizzazione del discorso (Allen et al. 1999). Altre ricerche hanno messo in evidenza che il debate migliora la capacità di comunicare con gli altri e che questa attività produce un positivo equilibrio tra competizione e cooperazione, poiché in una squadra di debate “la competizione motiva gli individui a cooperare per il bene comune così come per quello individuale”(Snider and Schnurer 2002). Infine, gli studenti coinvolti nelle competizioni di debate si sono rivelati più impegnati, anche al di fuori di esse, nell’affrontare questioni rilevanti sul piano sociale, dal momento che i temi proposti per il debate sono temi di attualità considerati socialmente sensibili.
Fig.7: Studenti di farmacia della University of North Texas impegnati in un debate sull’utilizzo della marijuana a scopo medico, fotografati durante il corso di farmacologia (2019). FonteIl debate e le discipline
A fronte di questo notevole sostegno, però, all’inizio del XXI secolo le ricerche sui programmi di Communication across the Curriculum, dei quali il programma Debate across the Curriculum, come detto, è considerato un esempio specifico, hanno manifestato un nuovo orientamento in senso disciplinare (Dannels 2001). Si è rilevata, infatti, la necessità di calare il debate all’interno delle specificità delle singole discipline, sia per quanto riguarda le loro forme di comunicazione sia in riferimento all’opportunità di una valutazione ancorata agli obiettivi disciplinari. Questo nuovo orientamento è emerso nella conferenza del 2001 della National Communication Association – erede della National Association of Academic Teachers of Public Speaking –. Un cambio di passo è stato invocato in risposta alla richiesta proveniente dal mondo industriale di formare gli studenti non solo permettendo loro di parlare in pubblico con confidenza, ma anche di padroneggiare i codici comunicativi orali specifici di diversi ambienti lavorativi.
Questa esigenza può essere ricondotta a due ordini di ragioni, una di tipo storico e una di tipo epistemologico, sulla quale ritorneremo parlando dell’insegnamento della storia. Dal punto di vista storico, le caratteristiche geografiche e tecnologiche della competizione economica globale richiedono ai lavoratori di sapersi adattare in modo rapido a contesti comunicativi differenti: devono saper adeguare “il contenuto, l’immagine pubblica, il livello di formalità, lo stile, il formato dei loro discorsi per andare incontro ai bisogni di un’ampia platea di cittadini, clienti o colleghi” (Dannels and Housley Gaffney 2009). Dal punto di vista epistemologico, basterà per ora dire che la costruzione della conoscenza avviene anche attraverso scambi comunicativi orali tra parlanti che condividono lo stesso codice comunicativo (per es. quello di un laboratorio biotecnologico). Per esempio, alcune discipline richiedono la capacità di esprimersi in comunicazioni brevi e informali, della durata di 3-5 minuti, oppure di gestire comunicazioni di un lavoro condotto da un ampio team di ricerca, altre, per esempio il design, prevedono che la presentazione orale sia seguita da un esteso feedback dei partecipanti, soggetto, esso stesso, a un codice di condotta (Dannels 2001).
Non a caso, le ricerche nell’ambito della comunicazione disciplinare si sono sviluppate in particolare sulla spinta delle industrie del design (architettura, graphic design, design industriale) e dell’ingegneria. In risposta a questa richiesta, il modello della Communication across the Curriculum ha dato maggiore enfasi al concetto di comunicazione “situata”, sottolineando che la comunicazione avviene sempre all’interno di un contesto, nello specifico dell’apprendimento all’interno di un contesto disciplinare: si è parlato, perciò, di “comunicazione nelle discipline” (Vo and Morris 2006). Un’evoluzione analoga ha riguardato anche i programmi di scrittura, all’interno dei quali un’attenzione crescente è stata dedicata alle forme di scrittura adeguate ai diversi campi disciplinari rispetto ad abilità generiche come la grammatica e la composizione scritta di base.
Nel momento in cui il debate è stato adottato come metodo di apprendimento in una varietà di insegnamenti, dall’economia (Vo and Morris 2006)alla medicina o alla farmacia (Lin and Crawford 2007) è emersa anche in questo caso l’esigenza di definire in modo più preciso quali forme può assumere all’interno di ciascun ambito disciplinare.
Il progetto Debate across the Curriculum e l'insegnamento della storia
Snider e Schnurer, ai quali si deve un’importante presentazione del metodo Debate across the Curriculum, sintetizzano le finalità del ricorso al dibattito in ambito scolastico in tre punti:
• Divertirsi
• Rendere attuale la conoscenza
• Sperimentare un discorso in pubblico (Snider and Schnurer 2002).
Sulla base di queste finalità, mappano una varietà di formati di debate, tra i quali suggeriscono di scegliere con la massima flessibilità, poiché “non c’è un modo giusto o sbagliato per fare un debate”. Ciononostante, rimangono ferme in tutte le tipologie il ruolo di una terza parte rispetto ai contendenti, cui è demandato il giudizio finale, e la contrapposizione tra due parti, anche se essa, nelle note esplicative, viene potenzialmente superata a favore di una multilateralità che appare necessaria per rendere l’attività più conforme alla complessità di alcuni temi.
Gli autori individuano alcuni vantaggi e svantaggi delle diverse tipologie e propongono degli obiettivi specifici a seconda della disciplina.
La tabella seguente sintetizza le principali caratteristiche dei modelli analizzati.
Role-playing debate
| Ruoli e organizzazione | Prerequisiti | Obiettivi | Limiti |
Assemblea | Un moderatore (spesso il docente) propone il tema, i partecipanti intervengono in modo volontario e alla fine votano una mozione | Non ci sono prerequisiti o preparazione | Introdurre un tema | Rischia di essere monopolizzato da alcuni studenti, si suggerisce di limitare il tempo degli interventi a 1-3 minuti |
Argomentazione spontanea | Due oratori estraggono a sorte un tema. Struttura degli interventi: A(ffermazione): 1 minuti Domande N(egazione): 1 minuto N(egazione): 1 minuto Domande A: 1 minuto Domande e commenti dell’assemblea: 5 minuti | Preparazione di pochi minuti dei discorsi | Utilizzo di uno stile retorico efficace (gli oratori non sono valutabili in base ai contenuti) | Rischia di avere solo finalità di intrattenimento |
Policy-making (dibattito politico) | Normalmente svolto a coppie, gli altri studenti non partecipano, ma individualmente devono scrivere una proposta di risoluzione. La durata è di circa due ore. A1: 9 minuti DN2: 3 minuti N1: 9 minuti A1: 3 minuti A2: 9 minuti DN1: 3 minuti N2: 9 minuti DA2: 3 minuti N1 replica: 6 minuti A1 replica: 6 minuti N2 replica: 6 minuti A2 replica: 6 minuti | Attività di ricerca e valutazione delle fonti, è possibile ridurre i tempi fornendo agli studenti una selezione di articoli | Incoraggiare una presa di posizione a favore di un cambiamento in una politica pubblica | Necessario prevedere il coinvolgimento attivo del pubblico, altrimenti di difficile gestione in classe. È possibile ovviare anche prevedendo un “question time” aperto al pubblico, con domande che sorgono durante l’attività, o un panel di domande preparate in anticipo. Variante: possibile prevedere, anziché due sole parti, che discutono in modo polarizzato, una terza via. |
Dibattito parlamentare | La squadra avversaria può interrompere con domande e critiche A1: 7 minuti N1: 7 minuti A2: 8 minuti N2: 8 minuti N2 replica: 4 minuti A2 replica: 5 minuti Nella versione britannica, c’è una coppia per ogni fase, in quella australiana squadre da 3 membri. Il pubblico esprime approvazione o disapprovazione per gli argomenti in modi concordati. | Temi resi noti qualche decina di minuti prima del dibattito; la ricerca è meno enfatizzata (a seconda del tempo che si lascia) | Sviluppare un ragionamento rapido e persuasivo | Non adatto a una valutazione finale, permette un’interpretazione ampia del tema, perciò rischia di diventare vago. |
Gli studenti impersonano personaggi storici o fittizi. | Preferibile che sia stata condotta una ricerca preliminare sul tema, per capire la scena. | Incoraggiano l’immaginazione e diminuiscono l’ansia da prestazione. | Necessità di individuare temi controversi, che suscitino partecipazione vivace. Variante: possibile prevedere, anziché due sole parti, che discutono in modo polarizzato, una terza via. | |
Processo | Segue l’organizzazione di un reale processo (varia a seconda delle nazioni) | Ricerca di precedenti legali | Comprensione del funzionamento di un processo e dell’evoluzione del diritto | Basso tasso di creatività e complessità della procedura da seguire |
Dibattito al Congresso | Fino a 300 studenti; è possibile porre domande agli studenti che avanzano proposte di legge. L’attività di conclude con la votazione. | Gli studenti preparano in anticipo una proposta di legge (anche a gruppi). Ricevono tutti un dossier, che viene dibattuto secondo le dinamiche parlamentari. La ricerca per la scrittura della mozione impegna gli studenti per una settimana, poi le proposte di legge sono revisionate una volta dall’insegnante, che dà suggerimenti per la correzione (ma non le ricorregge) | Stimola l’interesse verso questioni politiche all’ordine del giorno | Molto impegnativo, per la quantità di mozioni presentate e discusse. Per risolvere il problema, si propone agli studenti di basare le proposte sulla lettura di notizie sui giornali per una settimana. Questo approccio però può condurre ad un certo conformismo |
Il role-playing debate e l'insegnamento della storia
In relazione alla storia, gli autori affermano che tutti i modelli possono essere utilizzati, anche se nella presentazione del role-playing lo ritengono particolarmente adatto in questo campo.
In modo più dettagliato, il role-playing è interpretato concretamente con la proposta di mettere in scena grandi processi storici, oppure di immaginarne di fittizi. Tuttavia, a mio parere questo approccio può portare con sé la confusione tra il ruolo dello storico e quello del giudice: una distinzione che gli studenti sono di per sé portati a sottovalutare e che, invece, dovrebbe essere oggetto di un’attenta riflessione. Inoltre, la proposta che l’insegnante faccia il giudice rischia di essere controproducente nei confronti della squadra che perde; non è definito, infine, se il giudice debba attenersi, nel caso della riproduzione di processi storici, all’esito che ebbero, oppure basarsi sulla qualità dei discorsi degli studenti. Nel primo caso, ciò rende, di fatto, il dibattito praticamente inutile, mentre nel secondo lo priva del contatto con la realtà, a meno che non si preveda al termine il confronto tra il dibattito fittizio e l’esito storico del processo, evidenziando somiglianze e differenze. Questo punto, tuttavia, non è considerato come problematico da Snider e Schnurer.
Inoltre, la variante di role-playing che identifica la questione storica con il processo perde la possibilità della variante con più punti di vista (multi-sided debate). La possibilità di utilizzare il role-playing applicato a momenti nei quali si è storicamente discusso qualcosa è contemplato ma non approfondito: si propongono, però, gli esempi del proibizionismo, dell’abolizione della schiavitù, della concessione dell’indipendenza alle colonie o del diritto di voto alle donne e della creazione della Società delle Nazioni. Ciò non toglie che sia possibile pensare ad attività di dibattito come role-playing che acquisiscono un carattere disciplinare, in particolare in relazione all’adozione di una prospettiva storica da parte degli studenti.
Altre forme di dibattito elencate sono quelle incentrate sugli usi pubblici della storia, che, come vedremo, si trovano concretamente rappresentate da alcune delle proposte della Historical Association britannica; e le ipotesi di storia controfattuale discusse in assemblea.
Un modello di dibattito parlamentare visto da vicino
La World Schools Debating Championship è stata prima competizione di debate rivolta alle scuole superiori, formalmente organizzata nel 1988 in Australia. Dall’istituzione ad oggi, questa competizione ha coinvolto studenti provenienti da 75 paesi: l’ultima edizione in presenza, svoltasi nel 2018 a Zagabria, ha visto la partecipazione di squadre di 65 diverse nazioni.
Il formato di debate proposto dalla WSDC prevede la costituzione di squadre di 3-5 membri di età compresa tra i 14 e i 20 anni, dei quali, tuttavia, solo 3 per volta sono coinvolti in un dibattito. La lingua della competizione è l’inglese, anche se la padronanza linguistica non è uno dei fattori sui quali si esprime la giuria, fatta salva comunque l’individuazione delle squadre madrelingua, con inglese come lingua straniera o con inglese come seconda lingua (Sanchez 2014; World Schools Debating Championships Tournament Committee and Debate Rules 2020)
La struttura del dibattito, come abbiamo visto nello schema di Snider e Schnurer, è piuttosto semplice: in ciascun dibattito si confrontano due team, uno che ha il compito di sostenere la mozione fornita dal comitato organizzatore e l’altro di controbatterla. È possibile, ma non obbligatorio, che la squadra CONTRO proponga un’alternativa.
Fig.8: Schema di dibattito parlamentare (Sanchez 2014)
I tempi sono leggermente diversi da quelli considerati standard negli Stati Uniti, anche se il principio è lo stesso: i discorsi nei quali si esplicita la propria tesi hanno una durata di 8 minuti, quelli di replica alla squadra avversaria di 4. Nella competizione si affrontano da un minimo di 10 squadre ad un massimo di 24: nel caso di più di 24 squadre, sono previste fasi preliminari ad eliminazione.
Il formato è un esempio di dibattito parlamentare con alcuni aspetti di advocacy (policy-making). Infatti, anche se temi di dibattito si dividono in dibattiti preparati e dibattiti all’impronta, anche i temi di questi ultimi sono resi noti, in forma di bozza, alcune settimane prima del torneo e la mozione definitiva è pubblicata il giorno prima del dibattito.
Le squadre hanno un’ora di tempo per preparare i loro discorsi e non hanno a disposizione alcun materiale di studio (è permesso solo un dizionario e un unico volume enciclopedico, non è ammesso l’utilizzo di supporti digitali) al momento della stesura: pur essendoci stata, dunque, una ricerca preliminare, gli studenti non possono attingere ai materiali prodotti in precedenza.
I discorsi sono valutati in base a tre criteri: l’argomentazione, lo stile e la strategia. Quest’ultimo criterio si riferisce alla comprensione della questione discussa, alla struttura e al rispetto del tempo e alla capacità di identificare le obiezioni mosse dall’altra squadra. Va rilevato che un oratore “che risponde alle problematiche sollevate [dall’altra squadra] con repliche deboli dovrebbe ricevere un punteggio basso per quanto riguarda il contenuto, ma un buon punteggio di strategia”(Stockley 2002): la strategia, quindi, si riferisce alla presa in carico dell’obiezione e non alla qualità con la quale viene gestita.
Fig.9: Fotogrammi dal video della finale dell’edizione del 2017 della World Schools Debating Championship, a Bali FonteTemi e rischi del dibattito parlamentare
I temi di dibattito presentano una questione controversa che si suppone discussa di fronte al parlamento inglese (al quale si riferisce la formula “This house believes that/would…” con cui inizia ogni mozione). In molti casi si tratta di proposte di risoluzioni per una certa politica, che sono concettualmente prossime al modello del policy-making di Snider e Schnurer: gli studenti devono, infatti, rispettivamente proporre una nuova politica o difendere quella esistente, per esempio la tassa patrimoniale.
Tuttavia, la competizione prevede anche proposizioni di valore, che implicano una presa di posizione sulla desiderabilità di una posizione culturale o morale, per esempio “è preferibile salvaguardare la libertà che la vita” (Ryan 2006), pur con alcune precisazioni. La mozione deve essere sempre dibattuta come se dovesse essere approvata da un parlamento e, quando sono formulati principi generali, la qualità dell’argomentazione è valutata in base alla capacità degli oratori di “presentare un caso che possa essere generalizzato e provarlo dal punto di vista logico, piuttosto che basarsi su un gran numero di esempi nella speranza che bastino a portare a termine il lavoro”. Di conseguenza, la qualità dell’argomentazione rimane più rilevante della brillantezza dell’esposizione, rispetto a quanto sostenuto da Snider e Schnurer in riferimento al dibattito parlamentare. A questa categoria può essere ricondotta, per esempio, una delle mozioni dibattute nelle semi-finali della sessione del 2002: “Questa assemblea accetterebbe compromessi sulle libertà civili nell’interesse della sicurezza” (“This House would compromise civil liberties in the interest of security”).
Il formato del WSDC esclude, infine, le mozioni che vertono sulla definizione di un termine, che altri modelli di debate competitivo includono. Per esempio in questo contesto non è ammissibile una mozione come “Gli Stati Uniti sono una democrazia”, che comporta la discussione della definizione di democrazia.
I criteri in base al quale è giustificato questo modello di dibattito, al quale si ispirano vari tornei locali o scolastici, mettono in evidenza che esso è incentrato sulla logica dell’argomentazione e sulle abilità retoriche. Non è scontato, quindi, che il suo utilizzo per l’insegnamento della storia includa delle abilità disciplinari specifiche, cioè che si arrivi alla elaborazione di un giudizio storicamente fondato solo perché si applica questo modello ad un tema storico. Inoltre, una controversia sul significato di un termine e sulle diverse accezioni che esso ha assunto nel tempo potrebbe essere molto produttiva dal punto di vista dello sviluppo di una prospettiva storica su un certo tema.
Il rischio, invece, è che se questo modello di dibattito è applicato ad un tema storico, esso possa essere condotto sulla base di norme e valori che appartengono alla società contemporanea e che vengono proiettati retrospettivamente sul passato, facendo assumere agli studenti un atteggiamento a-storico e favorendo un ragionamento basato su analogie superficiali. Per questa ragione, anche in ambito anglofono sono stati sviluppati alcuni esempi di debate che prevedono un lavoro preliminare di analisi di documenti o informazioni che possono essere utilizzati come prove nell’argomentazione. Questi materiali sono scelti specificamente per far entrare gli studenti nella costruzione della storia e far comprendere che non esiste “una” storia “da imparare” rispetto alla quale poi il dibattito storiografico viene percepito con un certo fastidio, quando non come un sovraccarico di lavoro inutile imposto da qualche insegnante particolarmente pesante (Brusa 2020). Va da sé che la qualità dell’esperienza didattica dipende in primo luogo dalla qualità dei materiali che proponiamo.
Nel corso delle edizioni della WSDC, la storia è stata oggetto di discussione, attraverso una serie di mozioni:
- This house believes that compensation should be paid for the injustices committed by previous generations (2001, ripetuta nel 2009)
- This house believes that the world is facing a clash of civilisations (2004)
- This house believes that Holocaust denial should be a crime (2007)
- This house believes that humanities courses should be part of every undergraduate programme (2008)
- This house believes that cultural treasures should be returned to their areas of origin (2009)
- Ths house believes that versions of history taught by states through the education system should not be designed to promote national pride (2017) (https://debate-motions.info/)
Queste mozioni affrontano una prospettiva ben precisa, cioè propongono delle riflessioni sul ruolo pubblico della storia e non utilizzano il dibattito per sviluppare capacità di ragionamento storico. Quindi: si parla di storia, la si pone anche al centro del dibattito, ma il dibattito non è un modo per fare storia in classe.
Fig.10: Partecipanti al Great Debate della Historical Association britannica, dal sito internet dell’associazione. FonteModelli di debate storico: il "Great debate" della Historical Association britannica
I tre modelli di dibattito specificatamente storico discussi di seguito rappresentano alcune esperienze attualmente in corso nel mondo anglofono, che si differenziano per livello di strutturazione e obiettivi. Nel complesso, si noterà che gli autori, anche quando ricorrono al termine debate, lo fanno in riferimento a una gamma di significati più ampia rispetto alla definizione di “competizione (una gara, una sfida) fra due antagonisti, in cui, a differenza di quanto si verifica in una semplice discussione, ha un ruolo importante una terza parte (l’uditorio, il giudice) di cui ciascuno dei contendenti cerca l’approvazione” (Cattani 2001). In alcuni casi, come vedremo, ciò giustifica anche scelte lessicali diverse, ritenute più adeguate al contesto della disciplina.
Il Great Debate della Historical Association è per alcuni aspetti il più simile e per altri il più diverso dalla tradizione classica del debating politico.
È il più simile perché i discorsi sottoposti al giudizio implicano una postura proattiva analoga a quella dell’advocacy di una specifica politica, anche se la formula non è quella. Se si guarda alle regole della competizione e alle domande proposte ai candidati per esercitarsi, compaiono per esempio:
- Si dovrebbe continuare a celebrare il Columbus Day in America?
- Si potranno mai superare i danni causati dall’imperialismo?
- Sarebbe opportuno rimuovere la statua di Winston Churchill dalla piazza del parlamento? (Historical Association 2020c)
Al pari del dibattito parlamentare, il Great Debate richiede un linguaggio persuasivo e un ragionamento rapido e incisivo: la guida per i partecipanti suggerisce a questo proposito degli espedienti retorici precisi, come il tricolon, l’antitesi, le metafore e le figure retoriche di suono. Inoltre, gli oratori devono prestare attenzione al linguaggio non verbale e paraverbale, curare la prossemica e la mimica.
Come nel caso del WSCD, la qualità del discorso è valutata in base alla struttura dell’argomento e allo stile (chiarezza e capacità di persuadere). Tuttavia, vi sono alcune differenze sostanziali.
La più macroscopica è che il Great Debate è una competizione a distanza, nella quale gli studenti non si confrontano direttamente, ma presentano un discorso di 5 minuti di fronte ai giudici, che votano il migliore. Anche se le attività di preparazione si svolgono a piccoli gruppi, è normalmente un solo studente per istituto a partecipare alla competizione (Historical Association 2020a). Per questa ragione, non c’è un’interazione né all’interno delle squadre né a livello competitivo tra le diverse squadre. Sono piuttosto i singoli oratori a dover considerare, per costruire un discorso convincente, più lati della questione sulla quale riflettono. La competizione, dunque, appartiene più propriamente al public speaking che al dibattito e solo nella fase di preparazione a gruppi potrebbe essere utilizzata come strumento didattico in classe.
Vi sono, d’altro canto, due criteri disciplinari che differenziano questa attività dai tornei di dibattito generici e la situano nell’ambito della didattica della storia: agli studenti è richiesto esplicitamente di dimostrare l’utilizzo e la riflessione sui criteri di significatività storica, applicati al tema in questione, e la capacità di collegare il proprio discorso ad un contesto storico più ampio (Historical Association 2020b).
Storia controversa nel modello della Historical Association
La Historical Association britannica è stata promotrice anche di una ricerca, condotta nel 2007, sull’insegnamento della storia “emotiva e controversa” che ha incluso esplicitamente il dibattito (debate) tra i metodi individuati a questo scopo (“Teaching Emotive and Controversial History 3-19 A Report from The Historical Association on the Challenges and Opportunities for Teaching Emotive and Controversial History 3-19” 2007). Le attività proposte partono dalla definizione di storia controversa perché “c’è o è percepita un’ingiustizia […] ci sono disparità tra la storia insegnata a scuola, storie di famiglia o di comunità e altre storie (Woolley Mary 2008)”.
Un primo elemento da tenere presente, quindi, è che in questo caso il dibattito è proposto come metodo per affrontare temi storici di cui gli studenti percepiscono di per sé il potenziale conflittuale. Anzi, dalle testimonianze dei docenti emerge che in questo caso il ricorso a questa attività ha anche lo scopo di diminuire la conflittualità tra gli studenti, fornendo loro uno strumento per considerare diverse prospettive.
Il rapporto T.E.A.C.H. non propone un modello di dibattito strutturato rigorosamente, quanto piuttosto diversi modi per approcciarsi alla discussione di un tema storico controverso, accomunati da una serie di caratteristiche generali. Tali caratteristiche, dunque, valgono anche per il dibattito in senso stretto.
1) Lo studio della storia, secondo la didattica anglofona, è basato in primo luogo sull’indagine (enquiry approach). È fondamentale, cioè, che ogni lezione parta da una domanda chiaramente formulata e precisata nel tempo e nello spazio alla quale gli studenti devono rispondere attraverso una ricerca autonoma sui materiali proposti. Imparare a formulare adeguatamente la domanda è parte dell’apprendimento degli studenti. Vediamo, quindi, quali sono le sue caratteristiche. Si è già detto che la domanda deve essere ristretta nello spazio e nel tempo: gli insegnanti hanno quindi cura di formularle in questo modo e, quando propongono una ricerca agli studenti, li guidano nel fare altrettanto, individuando le criticità nelle prime formulazioni.
Per esempio, una domanda come “Quanto successo hanno avuto le organizzazioni internazionali nel Novecento?”, nonostante contenga una specificazione temporale, è troppo ampia e generica perché uno studente possa avere la conoscenza fattuale per esprimere un parere argomentato. Ma se chiediamo “Fino a che punto la Società delle Nazioni è stata efficace nel risolvere le dispute sui confini sorte in Europa negli anni Venti?” abbiamo limitato la domanda ad una sola istituzione, e ad un arco temporale e spaziale che ci permette di individuare una decina di esempi che possono essere discussi. La questione dell’ampiezza della domanda dipende dall’obiettivo dell’attività e dal livello di profondità cui l’analisi intende spingersi.
2) La domanda deve riguardare un problema aperto, di cui si intende mostrare la complessità andando oltre le semplificazioni.
3) I concetti di secondo ordine sono posti come obiettivo di apprendimento: somiglianze e differenze, cambiamenti e continuità, ragioni ed esiti (o cause ed effetti), interpretazione e uso di un’ampia varietà di fonti. Inoltre, il testo è pervaso dall’attenzione per l’adozione di una prospettiva storica: anche questo concetto può dunque essere considerato tra quelli da utilizzare.
Tuttavia, il rapporto sottolinea a più riprese che l’utilizzo dei concetti di secondo ordine non è possibile se non sulla base di conoscenze di primo ordine: l’impianto è, quindi, sorretto dalla convinzione che “la storia venga insegnata sia come un corpo di conoscenze che come una forma di sapere” (Teaching Emotive and Controversial History 3-19 A Report from The Historical Association on the Challenges and Opportunities for Teaching Emotive and Controversial History 3-19, 2007). Il rapporto raccomanda, perciò, che il ricorso al dibattito sia collocato meticolosamente all’interno della programmazione, in modo da garantire il tempo e l’approfondimento necessari.
La Historical Association britannica ha continuato, negli anni successivi al rapporto T.E.A.C.H., a proporre esempi di dibattiti applicati alla storia pubblicando i modelli e i risultati di alcune sperimentazioni nel suo periodico, ad accesso libero, “International Journal of Historical Learning, Teaching and Research”. Su questa rivista ha trovato spazio l’elaborazione del modello della storia dialogata (van Boxtel and van Drie 2017), che propongo di considerare la versione storica del modello assembleare del dibattito proposto da Snider e Schnurer. Le due autrici hanno proposto e sperimentato questo approccio in Olanda, avendo come riferimento teorico la didattica della storia di matrice statunitense e canadese (Seixas, Lévesque, Wineburg).
Questo modello condivide tutti i punti generali anticipati nel rapporto T.E.A.C.H. e formalizza in modo più preciso le fasi del lavoro e il ruolo dell’insegnante. Tuttavia, come è segnalato anche dal ricorso ad una diversa terminologia, non propone la contrapposizione tra due parti, ma tra diversi gruppi che articolano argomentazioni alternative. Poiché, tuttavia, Snider e Schnurer includono tra le varianti del dibattito quello multilaterale, è possibile inserirlo nella loro tipologia.
Il modello della storia dialogata
Rispetto al dibattito assembleare, la storia dialogata prevede un’attività di ricerca, nel caso specifico svolta in classe, e può essere proposta con due finalità: introdurre un tema (come l’assemblea per Snider e Schnurer) ma anche approfondire un concetto di secondo ordine (nei casi specifici, i concetti di cambiamento e di somiglianza/differenza).
Le fasi in cui si articola l’attività sono le seguenti:
1) la presentazione della domanda attorno alla quale si svolgerà il dibattito. Se il dibattito serve a lanciare un tema, le autrici suggeriscono l’utilizzo di una domanda di tipo valutativo: per esempio: quali sono state le cause più importanti della prima guerra mondiale? Oppure: quale persona o evento è stato più importante per lo sviluppo della democrazia in Olanda?
2) una lezione dedicata al concetto storico di secondo ordine che si intende utilizzare, se gli studenti non sono già familiari con esso: per esempio quello di rilevanza storica;
3) una fase di lavoro a coppie o piccoli gruppi, durante la quale gli studenti sono impegnati nello studio di un dossier di sette-otto documenti, che comprende fonti primarie e, in misura maggiore, secondarie chiaramente collegate al concetto di secondo ordine che si utilizza. Il compito degli studenti è individuare in ciascuna fonte evidenze favorevoli o contrarie alla tesi loro affidata, per esempio sostenere l’importanza di un certo personaggio o evento. L’importanza del personaggio o evento può essere definita in relazione alla sua capacità di incidere nel proprio tempo (percezione dei contemporanei, profondità dei cambiamenti e quantità di persone coinvolte), per le conseguenze che ha avuto, fino al presente, o per il suo significato simbolico (Phillips 2002);
4) un esercizio che serve agli studenti a preparare la condivisione del materiale con gli altri gruppi. Nell’esempio sullo sviluppo della democrazia in Olanda, gli studenti dovevano prima presentare brevemente le informazioni tratte dal dossier che avevano analizzato, relativo ad uno dei dieci personaggi selezionati dall’insegnante, e poi, tornando in gruppo, stilare una motivata classifica della loro importanza. In un altro esempio, dovevano collocare sei personaggi vissuti in durante la seconda guerra mondiale in un grafico a quadrante che riportava nelle due dimensioni le coppie resistenza-collaborazionismo e interesse personale-interesse collettivo;
5) la discussione: nel caso dell’attività sulla democrazia in Olanda, si trattava di mettere a confronto e argomentare le diverse graduatorie, in modo da pervenire ad una graduatoria di classe sostanzialmente condivisa. La discussione comporta la presentazione delle diverse ipotesi e degli argomenti a sostegno, l’esplicitazione delle obiezioni e la replica.
In uno dei due casi sperimentati da van Boxtel e van Drie, l’attività comportava un lavoro scritto per casa: la ricomposizione del lavoro in un racconto, che può assumere anche la forma di un compito di realtà (per esempio, la stesura di una lettera per l’allestimento di una mostra o di un museo), serve ad ogni studente per rielaborare individualmente gli esiti della discussione collettiva. Mancando negli altri esempi, questa operazione non può però essere considerata una caratteristica distintiva del tipo di dibattito proposto.
Al docente vengono affidate tre operazioni e una omissione, che distinguono l’interazione dialogata da quella monologica. Nell’interazione monologica, infatti, il docente pone una domanda alla quale si aspetta una breve risposta, che ha la funzione di dare il là alla sua riformulazione di quanto detto dagli studenti in modo da precisarlo e ampliarlo.
Nell’interazione dialogica, invece, il docente deve riassumere in diversi punti il ragionamento collettivo; chiedere agli studenti di elaborare maggiormente le loro affermazioni e invitare il resto della classe a interagire con le affermazioni dei compagni. Potremmo dire che il docente nel primo caso coglie gli assist, anche quando non sono precisi, e fa gol, mentre nel secondo caso imposta l’azione, giocando tra difesa e centrocampo a seconda delle necessità.
L’individuazione di queste due forme di interattività è un concetto utile per focalizzare l’attenzione sulle due differenti modalità di costruzione della conoscenza: mentre nella prima forma di lezione partecipata l’insegnate elicita gli interventi degli studenti allo scopo di assicurarsi che stiano seguendo il percorso che ha delineato, nel secondo caso egli stimola, attraverso domande mirate, una costruzione collettiva del percorso, soprattutto favorendo la condivisione e la rielaborazione delle informazioni tra gli studenti.
La storia dialogata: valutazione e aspetti critici
Il successo dell’attività viene valutato esplicitamente in base alla qualità del ragionamento storico, cioè dell’analisi e della valutazione di dinamiche di cambiamento, dei rapporti di causalità e del confronto tra fenomeni distanti nello spazio, nel tempo o appartenenti a diverse società2.
Il modello della storia dialogata pone in evidenza, rispetto ai precedenti, alcuni punti: in primo luogo, il ricorso alla discussione è considerato funzionale allo sviluppo di alcune operazioni del ragionamento storico, indipendentemente dal carattere sensibile delle questioni affrontate. Al contrario, un approccio analogo è stato sperimentato per stimolare l’interesse degli studenti nei confronti di temi considerati ostici per la loro complessità, per esempio la rivoluzione industriale (Phillips 2002). Anche se richiede attenzione per formulare una domanda aperta e stimolante, questo tipo di approccio non implica che gli studenti siano inizialmente interessati al tema ma, invece, può avere come scopo esattamente quello di rovesciare un pregiudizio che vorrebbe un determinato evento, processo o personaggio storico assolutamente insignificante per gli studenti. Il fatto che, nel progettare il ciclo di lezioni, il docente inizi con l’individuare la componente del ragionamento storico che intende potenziare colloca, inoltre, l’attività saldamente all’interno della didattica della disciplina: non si tratta, quindi, di imparare genericamente ad argomentare, quanto, per esempio, di argomentare l’importanza storica, il rapporto tra concause di un certo fenomeno, le conseguenze di un altro ecc., facendo riferimento a fonti che devono essere state valutate per la loro attendibilità.
Tuttavia, uno dei temi scelti, quello dello sviluppo della democrazia in Olanda, si segnala per l’ampiezza dell’arco cronologico considerato, che richiede una preconoscenza di almeno alcuni dei temi affrontati da parte degli studenti e una accurata riflessione sui fattori che, nei diversi periodi, hanno condizionato vari soggetti nell’accentuare o sminuire l’importanza di uno dei personaggi o eventi proposti agli studenti. Le autrici si propongono esattamente di lavorare sul modo in cui l’importanza che attribuiamo al passato cambia, per aumentare la consapevolezza degli studenti del carattere dinamico ed aperto di questo processo. Da questo punto di vista, diventa determinante la capacità dei testi inseriti nel dossier di dare conto dei punti di vista di diversi soggetti e del loro cambiamento nel tempo. Un approccio di questo tipo è sottinteso alla questione sulla statua di Colombo proposta dalla H.A. per il great debate, nel momento in cui la scrittura del discorso comporta l’esplicito utilizzo della categoria di significatività storica.
Infine, è la discussione sottolinea la cooperazione rispetto alla competizione e lascia del tutto in secondo piano gli aspetti retorici del discorso.
Il Roy Rosenszweig Centre for History and New Media
Le stesse caratteristiche contraddistinguono la proposta di discussione di classe presentata sul portale per l’insegnamento della storia curato dal Roy Rosenzsweig Centre for History and New Media della George Mason University, su fondi del Dipartimento per l’Istruzione del governo federale statunitense3.
La sezione dedicata alla discussione, curata da Abby Reisman, chiarisce subito che l’attività ha un’organizzazione “più simile a quella di un’assemblea deliberativa che a quella di un acceso dibattito” ed esplicita il debito teorico nei confronti dell’attivismo deweyano (Reisman n.d.). Questo aspetto è indicativo delle due diverse tradizioni alle quali si deve la diffusione del modello del debate nelle scuole: da un lato, un’impostazione centrata sul carattere professionale della formazione scolastica, che acquisisce importanza crescente a partire dagli anni Settanta per la transizione dall’economia fordista a quella post-fordista, dall’altro la tradizione del civismo di Dewey, che viene reinterpretata nel caso specifico della storia all’interno della teoria del ragionamento storico (historical thinking).
In questo caso il lavoro sui documenti è lasciato interamente all’attività del singolo studente, con il vincolo molto blando di trovare tre citazioni a supporto della propria ipotesi, tratte da almeno due documenti. Benché una specifica fase dell’attività sia dedicata alla condivisione delle regole per la discussione e il materiale per gli insegnanti includa indicazioni su come proporre obiezioni, il rischio che si può intravvedere è che gli studenti si concentrino solo sulle evidenze che supportano la costruzione del proprio argomento, dando una lettura superficiale degli altri documenti o di diverse informazioni contenute nei due documenti che selezionano.
La discussione plenaria, effettivamente, ha lo scopo di raffinare questo tipo di approccio, spingendo gli studenti ad elaborare maggiormente il proprio argomento tenendo conto delle posizioni degli altri e di eventuali obiezioni. Per questa ragione, la guida fornisce indicazioni molto più dettagliate sulle azioni che deve compiere l’insegnante rispetto a quelle richieste allo studente4. Tutte queste azioni devono essere condotte allo scopo di “spingere gli studenti a ragionare” piuttosto che per fornire una risposta preordinata alla domanda posta.
Tuttavia, il fatto di non avere due chiare posizioni di partenza, come nel modello del debate competitivo, può limitare la vivacità della discussione o, addirittura, farla sembrare superflua.
Alcuni di questi problemi sono evitati dai brevi dibattiti inseriti nel curricolo americano Reading Like a Historian, elaborato dallo Stanford History Education Group, al quale anche Reisman ha collaborato. Pur non essendo isolate come proposte di debate, queste lezioni suggeriscono all’insegnante di organizzare una discussione tra gruppi con tesi opposte per far esercitare gli studenti nel confronto tra documenti. In questo modo il dibattito diventa un esercizio collettivo di corroborazione. Per esempio, nei semplici dibattiti sulla democrazia ateniese e sull’utilizzo della bomba atomica (scritto da Reisman e Fogo) inclusi tra le lezioni di storia mondiale, le schede di lavoro richiedono esplicitamente agli studenti di prendere nota delle principali argomentazioni dell’altro gruppo. Particolarmente dettagliate sono le schede che accompagnano il dibattito sulla democrazia ateniese, che sono elaborate secondo un approccio denominato Structured Academic Controversy (SAC). Questa procedura richiede una fase non presente negli altri esempi fin qui discussi, ossia la riformulazione da parte di una coppia degli argomenti dell’altra, finché la prima non dichiara che sono stati correttamente intesi. Questo passaggio merita, mi pare, di essere sottolineato, perché mette in luce l’importanza che viene attribuita all’ascolto e alla comprensione degli argomenti altrui.
L’aspetto più interessante, per il discorso fin qui condotto, è che questo approccio controversiale viene presentato come “un’alternativa alla mentalità del debate” perché lo scopo non è insegnare ad avere la meglio in una discussione, ma a “comprendere posizioni alternative e formulare sintesi storiche”. Ciò che deve emergere alla fine del dibattito è, quindi, la complessità del tema: il gruppo classe può tranquillamente trovarsi, al termine dell’attività, a riconoscere che non è possibile chiudere il dibattito assumendo una posizione univoca. Ciò che conta è, però, aver capito quali sono le ragioni per le quali la questione rimane aperta.
Note
1 Wiggins riporta, tra i titoli dibattuti nel 1912 nella Girton’s Spontaneous Speaking Society, per esempio, “Che non è irrazionale credere nei fantasmi”. Temi di intrattenimento erano più frequenti per i dibattiti all’impronta.
2 Gli indicatori del ragionamento storico considerati sono:
1) porre domande storiche (per rispondere a quella che incornicia la discussione);
2) connettere eventi, processi e azioni delle persone a specifiche circostanze e caratteristiche del tempo, del luogo e a cambiamenti in atto su una diversa scala (i.e. adottare una prospettiva storica);
3) utilizzare conoscenza storica fattuale (fatti, concetti e cronologia);
4) dimostrare una comprensione critica dell’epistemologia storica (comprendere le asserzioni storiche come giudizi basati sulla valutazione di argomenti e non come verità fattuali);
5) formulare ipotesi basate su evidenze tratte da fonti adeguatamente valutate.
3 Il centro di ricerca elabora e mette a disposizione degli insegnanti di tutti gli ordini scolastici una serie di risorse, tra le quali guide per l’insegnamento e lezioni pronte da svolgere, con la collaborazione dell’American Historical Association e dello Stanford History Education Group.
4 Queste includono: 1. invitare gli studenti a supportare le loro affermazioni con un preciso riferimento ai documenti; 2. riformulare un’idea che uno studente non riesce ad esprimere chiaramente, per permettere agli altri di comprenderla e intervenire; 3. stimolare interventi in senso opposto (qualcuno la pensa diversamente?); 4. incorporare nel discorso commenti fatti in precedenza; 5. richiamare conoscenza fattuale necessaria al ragionamento; 6. porre domande specifiche sui documenti; 7. esemplificare il proprio ragionamento.
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