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  • Crociate contro Jihad. Tecniche di disinformazione storica

    Autore: Antonio Brusa

    Le Crociate contro il Jihad. Questa guerra, del tempo dei cavalieri e dei re che partivano per Gerusalemme, è la chiave dei conflitti contemporanei.

    Questa copertina è di una chiarezza esemplare, ben rinforzata dall’immagine, nella quale un cavaliere francese se la deve vedere con un guerriero musulmano che lo abbranca, mentre un altro mena un fendente al povero cavallo. Lo storytelling, come si usa ormai, è semplice e diretto. Lo capiscono tutti, anche quelli che non sanno che cosa furono le crociate e il jihad medievali e che a malapena riescono a indicare sulla carta geografica dove si trova Gerusalemme. Insomma, ci sono dei cattivi, con la faccia scura, e dei buoni. E questa storia dura da mille anni. Vogliamo parlare di Charlie Hébdo e dell’Isis?

    La rivista è pubblicata da un gruppo serissimo (Vie-Le monde) ed è un numero speciale di Giugno 2015. Fa bella mostra di sé nelle edicole francesi, insieme con uno stuolo di pubblicazioni che, dal tempo delle Torri Gemelle, si diffonde – in Francia come nel resto del mondo - sui problemi dei rapporti fra Occidente e mondo musulmano. E’ un numero ben informato, di storia alquanto tradizionale, dove il lettore trova notizie accurate sulle otto crociate, i loro protagonisti, le città simbolo, e i soggetti collettivi, fra i quali (oltre agli immancabili ordini cavallereschi), troviamo le donne combattenti: argomento, per la verità, sul quale Régine Pernoud ci aveva ampiamente informati fin dal 1992.

    Il lettore più attento avrà la sorpresa di trovare anche una breve intervista a Jean Fleuri, l’autorità francese sul tema, che non a caso apre il numero con una bella introduzione. Questo contributo, però, si trova verso la fine (pp.76-78): parla della differenza fra Crociate e Jihad e inizia con questo occhiello: “Specialista di storia medievale, Jean Fleuri ritiene che comparare le crociate di ieri al jihad di oggi non abbia alcun senso”. Esattamente il contrario di quello che racconta la copertina. Ecco uno stralcio dell’intervista:

     

         Dunque è pertinente la comparazione fra Crociate di ieri e Jihad di oggi?

    - No! La sola comparazione possibile riguarda le differenze fra il modo con cui si formarono i due movimenti, la Crociata cristiana e il Jihad.

          Il Jihad è descritto da alcuni estremisti come una risposta, ritardata di novecento anni, alle Crociate. Questo argomento è condiviso, secondo lei, dai musulmani orientali?

    - Gli estremisti, che fanno regnare il terrore tagliando la testa di ebrei, cristiani o musulmani che non condividono il loro punto di vista, hanno costruito una versione semplificata della cultura e della storia. La loro visione è condivisa dai musulmani orientali che hanno un’idea della loro religione altrettanto rudimentale.

          Si può dire che la situazione attuale dei cristiani d’Oriente, spesso drammatica, trova la sua origine nell’epoca delle crociate?

    - E’ quello che i musulmani che simpatizzano per i Jihadisti vogliono far credere. Ma cominciano a crederlo anche molti occidentali, di confessioni diverse. La storia non supporta questa teoria. Dopo la conquista dei territori cristiani d’Oriente da parte delle armate musulmane del VII secolo, le popolazioni (cristiane e ebree) hanno subito ora periodi di sottomissione protetta ora periodi di persecuzione e di esclusione. Esse vissero le crociate come una liberazione, ma ben presto furono disilluse. La precarietà della loro situazione riprese con lo scacco degli stati crociati. Si è accentuata di recente dopo gli interventi di George W. Bush e ora, con i jihadisti, diventa genocidio.

     

    Vi invito alla lettura completa dell’intervista, nella quale lo storico francese mette sotto accusa i governi occidentali, che - sostiene - hanno già messo nel conto la sparizione dei cristiani d’Oriente, per riportare la vostra attenzione sul meccanismo comunicativo. Lo storytelling  (cioè il racconto che ha lo scopo di comunicare il senso di un problema al maggior numero di persone) è quello della copertina. Esso contrasta con la realtà storica, e Fleuri lo afferma con decisione. Ma quanti lettori si daranno la briga di leggere tutta la rivista, e andranno fino in fondo, nella rubrica del dibattito, per rendersi conto che avevano capito male? O meglio, che la copertina li aveva ingannati? E quanti, ancora, non avendo nessuna intenzione di comprare una rivista storica, si formeranno le loro convinzioni dal muro di copertine, che tappezzano come manifesti le edicole?

    Già in Historia Ludens ho mostrato un caso italiano assai simile, a proposito della mostra per il centenario dell’Editto di Costantino (2013), nel cui catalogo, sperso in mezzo a decine di articoli, si trova il contributo di Arnaldo Marcone, che spiega come quello non fu un editto, non fu emanato da Costantino e se vogliamo cercare il suo autore è proprio quel Galerio, acerrimo persecutore dei cristiani, come sapevano benissimo nel IV secolo, quando, proprio per questo motivo, decisero una damnatio memoriae che continua incredibilmente fino ai nostri giorni. Se ne possono citare tanti, di casi simili (anche televisivi), che funzionano allo stesso modo. Il messaggio fondamentale solletica le corde dello stereotipo diffuso. Poi, a supporto, si cita la sua critica. Tanto, chi la va a leggere era in genere quello che la conosceva.

    Ma se questo è il “meccanismo della comunicazione”, non sarebbe il caso che gli storici si convincessero che, per interagire con le conoscenze diffuse, è sullo “storytelling” che dovrebbero imparare a mettere le mani?

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