didattica delle immagini

  • “Le immagini non ritraggono la storia, ma la generano”. Sull’uso didattico delle foto coloniali e di guerra. Una sitografia.

    di Antonio Prampolini

    Indice

    1. Le fotografie come fonti storiche

    2. La piattaforma visual-history.de

    3. Le fotografie etnografiche nella sfera coloniale ed eurocentrica

    4. Le fotografie di guerra e di propaganda nei conflitti di ieri e di oggi

    5. Le fotografie iconiche tra storia e mass media

     

    1. Le fotografie come fonti storiche

    Se è vero che ricordare significa innanzitutto richiamare alla mente le immagini del passato, le fotografie, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, hanno plasmato la memoria visiva dell’umanità e il loro dominio sui mass media continua a diffondersi nel XXI secolo con il progredire della digitalizzazione, la trasformazione di Internet in una rete globale e l’espansione del Web.

    A partire dagli anni Novanta del ‘900, con la “svolta visiva” (Visual Turn) negli studi storici, è stata riconosciuta l’importanza delle fotografie come fonti al pari di quelle scritte.1Tuttavia, nel panorama internazionale della didattica e della divulgazione della storia, risulta ancora oggi assai frequente (se non prevalente) un loro utilizzo al solo scopo di illustrare gli eventi e i personaggi del passato. E questo perché le fotografie non sono facili da “leggere”; pur essendo più vicine alla realtà dei dipinti/disegni, non si limitano a riprodurla ma la interpretano (e in alcuni casi la ricostruiscono), e pertanto richiedono un’attenta critica delle fonti.2

     

    L’importanza della contestualizzazione

    Per essere comprese analiticamente occorre studiare il contesto in cui le fotografie sono state prodotte, i canali di distribuzione, la loro ricezione e i cambiamenti di significato che hanno subito nel corso del tempo.
    Le domande tipiche da porsi in questo caso sono:

    • Chi ha scattato le fotografie (un professionista o un dilettante), quando e in quali circostanze, con quali mezzi tecnici e con quali intenzioni?
    • Sono foto istantanee oppure messe in posa o in scena?
    • Chi o cosa raffigurano?
    • Qual è la tradizione estetico-artistica a cui si ispirano?
    • Su quali supporti e con quali finalità sono state diffuse?
    • Come sono state recepite dai destinatari?
    • Sono state modificate o cambiate nel corso degli anni?
    • Sono state sottoposte a processi di reinterpretazione con attribuzione di nuovi significati?

    Quindi, per l’utilizzazione delle fotografie come fonte storica, non ci si può mai limitare alla sola immagine, ma occorre prendere in considerazione altre fonti, che ci permettano di rispondere alle domande appena elencate.3

     

    Evitare generalizzazioni

    Occorre prestare molta attenzione nelle operazioni di generalizzazione, soprattutto quando abbiamo a disposizione una sola immagine. Per giudicare se un’immagine è rappresentativa, infatti, è necessario disporre di una ampia serie di immagini simili e, come abbiamo appena visto, di informazioni provenienti da altre fonti. Se, ad esempio, le foto del 1914 mostrano in diversi paesi europei manifestazioni pubbliche di volontari entusiasti della guerra, non ne consegue necessariamente che lo fosse la maggioranza della popolazione. Chi non era entusiasta era rimasto a casa, e non ci ha lasciato foto che documentino questa sua decisione.4

     

    Il potere delle immagini

    Le fotografie non rappresentano semplicemente eventi che appartengono al passato, ma fanno parte di un processo comunicativo che, pur riferendosi al passato, agisce nel presente. Le fotografie della violenza, in particolare, puntano contemporaneamente in due direzioni: per gli esecutori (soldati/carnefici) significano l’adempimento di ordini che creano identità; per le vittime (soldati e civili nemici), sono una rappresentazione del loro sacrificio/dovere o della loro impotenza di fronte alla violenza. Secondo lo storico tedesco Gerhard Paul gli autori delle immagini violente del XX secolo erano coscienti del loro potere: «le persone erano state uccise affinché diventassero immagini». Le stesse immagini sono un atto di violenza che continua fino ai giorni nostri e che si ripete nelle guerre del XXI secolo, dove le immagini sono altrettanto efficaci quanto l’uso delle armi, poiché esse «non ritraggono la storia ma la generano».5

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 1Fig.1: home page della piattaforma online Visual-History.de Fonte2. La piattaforma visual-history.de

    Nel corso del 2013, l’istituto Leibniz-Zentrum für Zeithistorische Forschung (ZZF), con sede in Germania a Potsdam, fondato nel 1996 per promuovere la ricerca e l’insegnamento della storia contemporanea tedesca ed europea, ha messo in rete una piattaforma digitale sulla Visual History per fornire informazioni riguardanti le attività degli storici e degli altri specialisti in questo ambito e per pubblicare i risultati dei loro studi.6

    La piattaforma consente di effettuare ricerche per Rubriche (Rubriken): Archivi e collezioni (Archive und Sammlungen), Fonti (Quellenbestände), Progetti di ricerca (Forschungsprojekte), Dossier tematici (Themendossiers), Concetti e metodi (Konzepte und Methoden), Dibattiti (Debatten), Recensioni (Rezensionen); per Temi/tag (Themen) e per Pubblicazioni sulla piattaforma (Archiv).

    Ampio spazio viene dedicato alla fotografia. La ricerca per Temi/tag (Themen) segnala numerosi articoli raggruppati nelle diverse categorie in cui viene suddivisa la fotografia (Fotografia privata, Fotografia urbana, Fotografia industriale, Fotografia scientifica, Fotografia etnografica, Fotografia di guerra). Di seguito ne segnaliamo alcuni che riteniamo possano maggiormente interessare gli insegnanti italiani di storia (gli articoli sono in lingua tedesca, ma online è sempre a disposizione il traduttore di Google).

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 2Fig.2: Collotipia, 14,00 x 8,95 cm, India 1910-1920 Fonte3. Le fotografie etnografiche nella sfera coloniale ed eurocentrica

    Sul contesto della prima fotografia etnologica
    Freiwilligkeit und Zwang. Eine Diskussion im Kontext der frühen ethnologischen Fotografie di Matthias Harbeck und Moritz Strickert, 28/09/2020.

    «Nei viaggi commerciali, nelle spedizioni di ricerca e nello svolgimento di attività amministrative fino alla metà del XX secolo furono scattate numerose fotografie in contesti coloniali ed eurocentrici, che raffiguravano la vita degli abitanti delle zone percorse “come immagini straniere veicolate attraverso i diversi meccanismi di distribuzione e consumo”. Alcune raffigurano scene chiaramente allestite come ritratti di gruppo, battaglie o scatti predisposti in studio, mentre altre si suppone siano istantanee scattate sul campo. Altre sono fotografie antropometriche standardizzate che spesso mostrano le persone raffigurate nude o in costumi apparentemente tradizionali e che servivano come fonte di conoscenza per i ricercatori allo scopo di identificare i gruppi. Le persone raffigurate erano spesso viste come antitetiche alla civiltà occidentale».

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 3Fig.3: Il terzo nativo da sinistra spiega la tecnica di lancio del giavellotto degli aborigini australiani, in Colin Ross, Der unvollendete Kontinent, Leipzig 1930. FonteI resoconti di viaggio illustrati fotograficamente dell'inizio del XX secolo
    Ein studentisches Podcast-Projekt über fotografisch illustrierte Reiseberichte des frühen 20. Jahrhunderts
    di Anna Schade, Lukas Kleine-Schütte, Robin Spitzer und Deike Terhorst, 16/07/2021.

    «Nel corso del commercio europeo e dell’espansione coloniale a partire dalla prima età moderna, si sono aperte agli europei nuove opportunità di sperimentare lo “straniero” e lo “sconosciuto” al di fuori del loro continente d’origine. I resoconti di viaggio si affermarono rapidamente come un genere letterario popolare tra la borghesia europea. In un'epoca in cui i viaggi verso gli altri continenti erano riservati solo a pochi, questi hanno plasmato in modo significativo la visione di molti. […] Mentre gli scrittori di viaggio nel XVIII e nella prima metà del XIX secolo cercavano di dare enfasi visiva alle loro impressioni attraverso disegni e schizzi, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, scattando fotografie, essi potevano produrre immagini apparentemente oggettive. Ciò che veniva raffigurato non era più considerato come l'immaginazione di un individuo, ma come la cattura di immagini veritiere. […] Tuttavia, le fotografie non sono documenti trasparenti in un “linguaggio universale”, ma piuttosto, secondo Roland Barthes, segni semiotici la cui “magia” deriva dal fatto che la loro presunta trasparenza conferisce autorità a diverse interpretazioni».

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 4Fig.4: “Dove giungla e cultura si incontrano. Un indiano Kampa ascolta il grammofono” di George Miller Dyott, in: Otto Nordenskjöld, Südamerika: Ein Zukunftsland der Menschheit. Natur / Mensch / Wirtschaft, Stuttgart 1927. FonteFoto e cartoline illustrate del Sudamerica nell'Impero tedesco, 1880-1930
    Indigene und Eisenbahnen, Ruinen und Metropolen. Fotos und Bildpostkarten aus Südamerika im Deutschen Reich, ca. 1880-1930 di Hinnerk Onken, 07/12/2015.

    «La conoscenza del Sud America da parte degli europei è stata trasmessa attraverso le immagini fin dalla prima età moderna, quando il continente americano divenne l’obiettivo dell'espansione europea. Questa tradizione dell'immagine ricevette nuovi impulsi nel XIX e all'inizio del XX secolo: le foto e, successivamente, le cartoline illustrate mostrarono agli abitanti dell'Impero tedesco un'immagine ambivalente del continente che interagiva con idee preesistenti, ma che entrava anche in competizione con esse. L'ambivalenza dell'immagine del Sud America è chiara nei motivi, perché i media visivi mostravano, da un lato [la modernità]: ferrovie e stazioni ferroviarie, paesaggi urbani, edifici rappresentativi, porti, zoo e fabbriche, e dall’altro, immagini di indigeni e di rovine, dipingendo così un quadro completamente diverso. A prima vista, le fonti sembrano mostrare una familiare dicotomia tra tradizione e modernità. Ma un esame più attento rivela che emergono significati ibridi che oscillano a seconda del contesto d'uso».

     

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 5Fig.5: Medici militari italiani curano un indigeno nel corso della Campagna dell’Africa Orientale Italiana (1940-41). Fonte4. Le fotografie di guerra e di propaganda nei conflitti di ieri e di oggi

    Immagini di guerra a confronto nella Germania nazionalsocialista e nell'Italia fascista
    Disziplinierte Bilder. Kriegsbildberichterstattung im nationalsozialistischen Deutschland und faschistischen Italien im Vergleich
    di Markus Wurzer, 06/04/2020.

    «Il regime fascista italiano sperimentò presto il cinema e la fotografia per scopi di propaganda creando non solo un ministero dedicato [Ministero della Stampa e della Propaganda che nel 1937 assumerà la denominazione di Ministero della Cultura Popolare], ma anche un istituto controllato dallo stato, l'Istituto Nazionale LUCE. La guerra d’aggressione italiana contro l’Impero etiope costituì il primo banco di prova di questa “macchina del consenso”. Il regime fascista controllava le immagini per assicurarsi che la campagna militare in Etiopia fosse presentata nella “luce corretta” sia in patria che all'estero. Le immagini [fotografie e filmati] dovevano mascherare la guerra criminale facendola apparire una “missione civilizzatrice”. L’Italia fascista aveva preceduto la Germania nazista nella creazione di un apparato di propaganda finalizzato a “disciplinare” la produzione fotografica e cinematografica. Questo fa sì che si debba dubitare della tesi comune secondo cui i filmati di guerra tedeschi non avevano precedenti al momento della loro realizzazione, costituendo un modello imitato in seguito da altri stati ed eserciti. Si potrebbe invece sostenere che il controllo delle immagini sperimentato dall’Italia nella guerra d'Etiopia fu il vero modello a cui gli altri si ispirarono».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 6Fig.6: : “La vita quotidiana in guerra”, in «Die junge Dame», 22/09/1942. FonteGli eroi nella stampa illustrata di massa del nazionalsocialismo (1939-1945)
    Stillstand der Körper im Krieg. Von den Pflichten des Heroischen und dem Reiz des Alltags in der illustrierten Massenpresse des Nationalsozialismus (1939-1945)
    di Vera Marstaller, 22/07/2019.

    «Nelle riviste illustrate le fotografie della vita quotidiana degli eroi sono quantitativamente più importanti di quelle che mostrano le battaglie al fronte. […] L'uniforme della Wehrmacht appare come un simbolo di eroismo, che può essere compreso visivamente da tutti. […] L'uniforme come abbigliamento dell'eroe rappresenta una "comunità nazionale" basata sulla gerarchia di genere e sulla solidarietà maschile illimitata - e quindi parte di un reciproco riconoscimento dell'onore tra gli uomini il cui obiettivo è proteggere le donne del Terzo Reich dal nemico. La violenta demarcazione del popolo tedesco dagli altri popoli/etnie, sia internamente che esternamente, sembra essere una conseguenza logica e una sfida inerente all'eroismo. La guerra diventa così una guerra per la protezione delle donne, e la costruzione di una situazione permanente di autodifesa si traduce in una guerra di aggressione necessaria all’instaurazione di un nuovo ordine».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 7Fig.7: Una compagnia di propaganda della Wehrmacht al lavoro (21/06/1940). FonteLe compagnie di propaganda della Wehrmacht e i ghetti nella Polonia occupata
    “Juden unter sich”. The Propaganda Companies and the Jewish Ghettos in Occupied Poland
    di Daniel Uziel, 20/04/2020.

    «Una delle più influenti azioni di propaganda antisemita prodotte nel Terzo Reich negli anni 1939-1941 si basò su immagini e resoconti provenienti da vari ghetti della Polonia occupata. Gran parte della materia prima necessaria per la propaganda antisemita veniva raccolta e consegnata dalle Propagandakompanien (PK) della Wehrmacht. […] Anche se i primi ghetti furono istituiti nella Polonia occupata solo alla fine del 1939, i PK riferirono degli ebrei polacchi mentre la guerra era ancora in corso. Per molti aspetti, questi primi resoconti aiutano a stabilire alcune delle caratteristiche chiave della propaganda nazionalsocialista sui ghetti e sui loro occupanti. […] L’antisemitismo veniva utilizzato per legittimare l'aggressione contro la Polonia, delegittimare il diritto di esistere dello Stato polacco e trasmettere un'immagine negativa della nazione polacca».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 8Fig.8: unità fotografica dell'US Signal Corps in addestramento (11/06/1942). FonteLe fotografie delle unità americane US Signal Corps durante e dopo la Seconda guerra mondiale
    Fotografie, Staat und Öffentlichkeit: Signal Corps-Fotografien im und nach dem Zweiten Weltkrieg
    di Annette Vowinckel, 12/01/2015.

    «Le guerre moderne non si combattono solo sul campo di battaglia, ma anche sui media. L'informazione esaustiva sugli scopi bellici e sullo svolgimento della guerra è innanzitutto compito della stampa libera, se esiste. Istituendo reparti di intelligence, gli stati moderni hanno creato uno strumento per prendere nelle proprie mani la produzione e la diffusione delle informazioni di guerra. Nonostante la diversità degli stati in guerra, molto simile era il lavoro di queste unità militari, che a volte venivano chiamati reparti di telecomunicazioni, a volte reparti di intelligence o, nel caso della Wehrmacht, compagnie di propaganda. Oltre alla produzione di messaggi di testo e alla gestione delle telecomunicazioni, l’attività di queste unità spesso comprendeva la realizzazione di fotografie e filmati. Il compito dei fotografi militari era quello di documentare le operazioni di combattimento, ma anche gli eventi dietro il fronte e infine di scattare fotografie aeree del territorio nemico per scopi strategici. […] La storia delle unità US Signal Corps risale al XIX secolo. Come suggerisce il nome, inizialmente i loro compiti consistevano nel trasmettere messaggi con segnali di bandiere o di notte con segnali di torce. A poco a poco, però, si aggiunsero tutte le forme moderne di comunicazione, dalla telegrafia alla radio, dalla fotografia al cinema e alla televisione. La prima guerra fotografata dal personale dell'esercito americano fu la Guerra ispano-americana del 1898. Seguirono la Prima e la Seconda guerra mondiale, la Guerra di Corea, la Guerra del Vietnam e le più recenti guerre in Afghanistan e Iraq. La pratica fotografica delle unità US Signal Corps raggiunse il suo primo apice durante la Seconda guerra mondiale, nel corso della quale più di 700 fotografi realizzarono circa mezzo milione di fotografie».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 9Fig.9: soldato ucraino spara dalla finestra di una abitazione FonteImmagini della guerra in Ucraina: un dossier tematico
    Themendossier: Bilder des Krieges in der Ukraine
    di Christine Bartlitz, 06/04/2022.

    «I media visivi svolgono un ruolo centrale nel raccontare la guerra in Ucraina, nel documentare e interpretare i crimini di guerra. Il potere delle immagini come forza creativa e di mobilitazione nel processo politico è sempre stato grande in tempo di guerra. Attualmente stiamo trasmettendo la guerra quasi in tempo reale. Ci sono anche immagini e video che sono stati manipolati o presi fuori contesto. Nei media e nell'opinione pubblica si discute sulla veridicità delle immagini. Le guerre non si combattono mai solo a livello locale, ma anche a livello globale con parole e immagini, come dimostrano in modo impressionante i videomessaggi al pubblico mondiale del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. Tuttavia, probabilmente, è ancora troppo presto per presentare un quadro storico-visivo completo della guerra in Ucraina: le armi non tacciono, le persone muoiono ogni giorno. Non sappiamo cosa accadrà, come finirà questa guerra. I giornalisti si trovano attualmente ad affrontare sfide particolarmente grandi nella gestione del materiale fotografico».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 10Fig.10: “I primi Hereros arrendevoli”, foto con didascalia tratta da un album del 1907. Fonte5. Le fotografie iconiche tra storia e mass media

    Il popolo Herero: una fotografia iconica della distruzione di un popolo
    Starving Hereros. Zur Geschichte einer „Ikone der Vernichtung“
    di Lars Müller, 19/11/2018.

    «Una fotografia in bianco e nero con nove persone riunite a formare un gruppo: sette in piedi, due sedute. Tutti indossano un perizoma che rivela i loro corpi sottopeso, emaciati, indeboliti. Tre persone si sostengono con un bastone, alcuni indossano collane come gioielli. Si possono vedere anche anelli attorno alle caviglie. Non è chiaro se queste possano essere catene di ferro. Gli occhi sono per lo più rivolti allo spettatore, solo le persone sedute sembrano avere gli occhi chiusi. Sullo sfondo si vede un paesaggio brullo. Osservando più da vicino si possono vedere ulteriori dettagli, che però non sono in grado di fornire informazioni precise sulle persone, sul luogo o sull'ora della foto. La fotografia è stata scattata durante la guerra tedesco-herero [1904-1908] in quello che oggi è lo stato della Namibia. Questa guerra ricevette - e riceve ancora oggi - la massima attenzione nei dibattiti pubblici sui numerosi conflitti armati che l'Impero tedesco intraprese con gli abitanti delle sue colonie. Questione centrale è se lo sterminio quasi completo degli Herero sia il prodotto di una volontà sistematica di porre in essere un vero e proprio genocidio da parte della potenza coloniale tedesca (il primo genocidio del XX secolo). Dal centenario della guerra tedesco-herero nel 2004, questa fotografia di gruppo è quasi onnipresente, nei libri scientifici o divulgativi e negli articoli giornalistici. Viene utilizzata non solo in forma stampata, ma anche in documentari televisivi o materiali didattici online. Gli autori sembrano attribuirgli uno speciale potere esplicativo come sinonimo di “sterminio del popolo Herero”».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 11Fig.11: la presunta orchestra di musicisti prigionieri nel campo di Janovsk nell’atto di suonare il 'Tango della Morte'. FonteIl “Tango della morte”?. A proposito di una foto scattata nel campo nazista di Lemberg/Lviv
    “Todestango”? Über ein Foto aus einem NS-Lager in Lemberg/Lviv
    di Dirk Dietz, 24/10/2022.

    «Il “Tango della morte” è una delle composizioni più conosciute e allo stesso tempo più enigmatiche che si dice siano state suonate nei campi di concentramento e di sterminio delle SS. Secondo la leggenda, fu creato nel campo di lavoro forzato e di transito Janowska a Lemberg/Lviv, l'allora capitale della Galizia, che passò sotto l'occupazione tedesca dopo l'attacco del regime hitleriano all'Unione Sovietica il 22 giugno 1941. Si dice che il vice comandante del campo, l'SS-Untersturmführer Richard Rokita, che era musicista, avesse dato a due musicisti detenuti (Leopold Striks e Yacub Mund) l'ordine di comporre un "tango della morte", che da allora in poi sarebbe stato suonato durante le esecuzioni dei prigionieri. Due fotografie di un'orchestra svolgono un ruolo cruciale nell'autenticare questa leggenda. Una delle due mostra un'orchestra disposta in cerchio in un lager che apparentemente potrebbe essere il campo di lavoro forzato e di transito Janowska a Lemberg/Lviv. La fotografia e la leggenda del “Tango della morte” formano un'unità suggestiva: “l'orchestra dei musicisti prigionieri nel campo di Janovsk suona il 'Tango della Morte'. Torture ed esecuzioni avvengono contemporaneamente". Questa interpretazione fu coniata dai sovietici e fino ad oggi fatta propria da quasi tutti gli studi e le pubblicazioni su Lemberg, il campo di Janowska e il genocidio degli ebrei della Galizia. Tuttavia, l’esistenza di una composizione speciale denominata “Tango della morte” non è certa né vi è alcuna prova che le fotografie mostrino l’orchestra del campo che suona un brano musicale del genere. Finora questa fotografia non è stata sottoposta ad alcun esame critico della fonte, il che fa riflettere se si considera la “svolta pittorica” proclamata circa 30 anni fa. Per molte persone foto e testo formano ancora oggi un'unità suggestiva: l'idea di un "Tango della morte" e la presunta prova più importante di esso: l'orchestra del campo che suona il "Tango della morte"».

     

    Prampolini visual history Leibniz zentrum immagine 12Fig.12: : Il ritratto dell'SS Oberscharführer Erich Muhsfeldt sul profilo Facebook del Museo statale di Auschwitz-Birkenau Fonte“Ha persino un aspetto malvagio…” Il ritratto dell'SS Oberscharführer Erich Muhsfeldt sul profilo Facebook del Museo statale di Auschwitz-Birkenau
    “He even looks evil …“ Das Porträt des SS-Oberscharführers Erich Muhsfeldt auf dem facebook-Profil des Staatlichen Museums Auschwitz-Birkenau
    di Ina Lorenz, 12/10/2015.

    Il 1° gennaio 2011, sul profilo Facebook del Museo Statale Auschwitz-Birkenau era stata pubblicata la foto di un ufficiale nazista, Erich Muhsfeldt, accompagnata dalla scritta: “Il 1° gennaio 1945 Erich Muhsfeldt, comandante dei forni crematori di Auschwitz, fucilò 200 prigionieri polacchi nel campo di Auschwitz II”.
    «Il ritratto dell'SS-Oberscharführer Erich Muhsfeldt è scelto con intelligenza: mostra l’ufficiale nazista in prigionia e offre quindi una immagine insolita, poiché la nostra idea dei nazisti è caratterizzata da uomini in uniforme, decorati con distintivi e medaglie. […]. La fotografia storica dell'SS Oberscharführer ha suscitato un'ondata di commenti. A prima vista, può sembrare strano pubblicare la foto di un colpevole nazista su Facebook e affrontare in questa sede argomenti seri come il nazionalsocialismo e l’Olocausto. Tuttavia, questa pubblicazione offre l’opportunità di esaminare una nuova forma di rapporto con la storia che, in primo luogo, avviene nello spazio virtuale e, in secondo luogo, segue un approccio partecipativo. Ciò sembra tanto più urgente in quanto Gerhard Paul già diversi anni fa aveva predetto che Internet sarebbe diventato a lungo termine il “mezzo visivo più importante per trasmettere la storia e la cultura della memoria”».7

     


    Note

    Sulla Visual History e sulla svolta visiva degli studi storici: A. Prampolini, La Visual History. Che cos’è e quali storie ci fa conoscere, in «Historia Ludens», 10/02/2021, Visual history. L'uso didattico delle fonti iconografiche (sitografia con una prefazione di A. Brusa), in «Historia Ludens», 10/03/2021, La storia nelle immagini. Laurent Gervereau, uno studioso fra public history e didattica della storia, in «Historia Ludens», 18/09/2023; Vedi anche gli articoli di didattica di chi scrive e di Antonio Brusa, pubblicati nella rivista «Visual history».

    Per un approfondimento: Peter Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Carocci editore, Roma, 2002; Adolfo Mignemi, Lo sguardo e l'immagine: la fotografia come documento storico, Bollati Boringhieri, 2003; Giovanni De Luna, La passione e la ragione, Bruno Mondadori, 2004; Gabriele D’Autilia, L'indizio e la prova. La storia nella fotografia, Bruno Mondadori, 2005.

    3 Cfr. Michael Sauer, Bilder als historische Quellen, in «Bilder in Geschichte und Politik», BpB, 28/12/2005.

    Cfr. Michael Sauer,Bilder als historische Quellen, in «Bilder in Geschichte und Politik», BpB, 28/12/2005; Violetta Rudolf,Kontextualisierung oder Eine Fotografie und ihre Geschichte(n), in «Visual History», 07.11.2022.

    Gerhard Paul,Bilder als generative Kräfte, in «Docupedia-Zeitgeschichte», 13/03/2014; Benet Lehmann,Wie Gewaltbilder erschließen?, in «Visual History», 19.07.2022.

    Per maggiori informazioni sull’istituto ZZF e sulle sue attività: A. Prampolini,La storia contemporanea nel Web. L’esempio della Germania: il Centro per la storia contemporanea di Potsdam, in «Historia Ludens», 21/12/2020.

    Gerhard Paul,Das Jahrhundert der Bilder. Die visuelle Geschichte und der Bildkanon des kulturellen Gedächtnisses, in Das Jahrhundert der Bilder. 1949 bis heute, Göttingen 2008, pp. 14-39.

     

  • Io non condivido

    Autore: Antonio Brusa

    Immagini di guerra, social e didattica della storia

     

    Indice
    •    Introduzione
    •    Testimonianze da una guerra passata, ancora moderna
    •    La globalizzazione del fronte interno
    •    Il ruolo dell’insegnante di storia


    Introduzione
    In tempi angosciosi, nei quali i social network sono invasi da immagini di guerra, vorrei discutere sull’impulso di indignazione e di compassione che mi spinge a condividerle sulla mia bacheca. Ci vorrei ragionare, però, non come cittadino, utente di Fb. Qui ognuno fa la sua scelta. Il tasto “mi piace” serve apposta per sottometterla all’approvazione degli altri. E penso che funzioni, tutto sommato. Ci vorrei discutere come storico e insegnante di storia. C’entra il mio mestiere in questo giro di immagini, mi chiedo; mi aiuta a vedere la questione da un punto di vista particolare, e da questa angolazione mi permette di suggerire qualche riflessione, forse utile per chi fa il mio lavoro?

    La prima considerazione è quasi automatica. Le immagini di guerra fanno parte della guerra. Da sempre. Da quelle graffite nelle grotte neolitiche, a quelle dei raffinati decoratori della ceramica greca, ai bassorilievi romani, ai monaci che adornavano i loro manoscritti con teste mozzate, combattimenti e città sotto assedio: non proseguo una lista che molti saprebbero completare meglio di me. Ritorno, invece, sulla frase di sopra, perché non è a effetto. Le immagini di guerra FANNO parte della guerra, e lo hanno fatto da SEMPRE. L’eroe che uccide, è il campione che ci libera dai malvagi. Noi lo vediamo in azione e ci esaltiamo nella sua ammirazione. E se quella scena la vedono gli altri, i nemici, che stiano ben attenti, rappresentati come sono nella loro prostrazione umiliante. Tutta un’altra storia, invece, se sono loro a uccidere. In questo caso diventano barbari e feroci, e noi le vittime innocenti che suscitano compassione. Sono tanto cattivi, che uno non può non condividere il fatto che bisogna proprio ammazzarli.

    E dagli, con la tua storia antica e medievale, mi direte. Oggi siamo in un’altra epoca, quella della documentazione della realtà. Quelle antiche sono immagini costruite. Nascono con un messaggio “politico” dentro. Sono fatte per eccitare gli animi, incutere paura, giustificare il massacro. Queste no. Ecco il morto, ecco il reporter, tu vedi quello che accade sul campo di battaglia. Tu HAI diritto a vedere quello che succede. Nei tempi andati, era il “potere” che decideva quello che potevi vedere. Oggi è diverso, perché i media sono gli strumenti della democrazia visiva. E i social sono ancora più democratici, perché mettono nelle tue mani questi mezzi. Che ti sei messo in testa, vuoi discutere la democrazia della rete? Vuoi mettere in dubbio il lavoro meritorio di tanti reporter, che, a rischio della vita, documentano i fatti più atroci dei nostri tempi?

    No. Non ne voglio parlare. Non mi avventuro nella diatriba intricatissima, se questa sia o meno la democrazia cognitiva che tutti aspettiamo. Io voglio solo ragionare sul gesto personale della condivisione.


    Testimonianze da una guerra passata, ancora moderna

     

     

     

    Alcuni anni fa, in una piccola e bella mostra sulla Prima Guerra mondiale, organizzata nelle Marche da Costantino Di Sante,  quando ancora non si erano accesi i riflettori del centenario, vidi questa foto di Cesare Battisti, scattata dai suoi carnefici subito dopo la sua esecuzione. La didascalia non ricorda l’eroicità di Cesare Battisti, il “martire purissimo”, come veniva celebrato nei discorsi ufficiali, nella stampa e perfino nei manuali, ma denuncia l’oltraggio del cadavere. Il massimo della barbarie. Quella era una guerra giusta – veniva a dire così la foto - mossa da genti civili contro gli imperi barbari che schiavizzavano dei popoli europei.

    Quell’immagine ebbe una grandissima diffusione. Me ne colpì la versione trovata da Di Sante, perché era stata riprodotta su una cartolina postale. Dunque, venne utilizzata in quello stesso circuito comunicativo, attraverso il quale ormai passavano le rappresentazioni delle bellezze locali (non solo paesaggistiche); si tenevano in vita i rapporti affettivi e ci si diceva spesso delle futilità. Le cartoline postali erano molto meno impegnative di una lettera, e perciò più rapide da scrivere. Oggi sono pressoché scomparse, ma fino a poche decine di anni fa costituivano una fetta importante della comunicazione sociale. Tessevano una sorta di rete meccanica, che funzionava con i treni e le biciclette dei postini. Un social network a pedali.

    In questo modo gli italiani reimpiegarono una fotografia austriaca, scattata per onorare la memoria di un’uccisione, che al di là delle Alpi venne considerata sacrosanta. Battisti, eroe per l’Italia, era un traditore per l’Impero e - a giudicare dalla letteratura successiva e dalle vicende commemorative in quel di Trento - la questione non si chiuse affatto con la pace di Versailles. Non so quanto quella foto circolasse in Austria. La notizia dei fatti, sì. Ne ho trovato una traccia stupefacente nella mostra Am meine Völker, che si visita alla Biblioteca Nazionale di Vienna. Questa esposizione si apre con l’appello alla guerra di Francesco Giuseppe a austriaci, ungheresi, italiani e alle numerose altre genti dell’Impero, “i miei popoli”, e si chiude malinconicamente con il proclamacon il quale Carlo I, il suo successore, annunciò l’autonomia di quegli stessi popoli, un mese prima della capitolazione del novembre 1918.

    Vi ho appreso che, al principio della guerra, qualcuno ebbe l’idea di creare un centro di documentazione al quale i cittadini potessero inviare le loro testimonianze, scritte, visive o materiali del conflitto. Subito il successo fu tale che i depositi non bastavano. Poi, con il declinare degli eventi, l’entusiasmo scomparve e quei centri vennero dimenticati. Furono riscoperti ai nostri giorni dagli storici, che solitamente mostrano grande soddisfazione quando – di un fatto epocale – trovano le testimonianze della gente comune, come questa raffigurazione del supplizio di Battisti.

     

     

     

    Si tratta di un compito. Il disegno di uno scolaro di Graz. Molto probabilmente non conosce la nostra foto. Ce lo dicono il paesaggio, l’atteggiamento dei presenti e la forca, disegnata come fanno sempre i bambini. Ha sentito un racconto. Cesare Battisti marcia, vestito da “cacciatore delle Alpi”, come il ragazzo avrà visto in tante sfilate, questa volta verso il patibolo, dove un prete lo attende con un ufficiale che legge la condanna. Non ho nessun elemento per immaginare i sentimenti e i pensieri profondi di quel ragazzo. Ma ne ho qualcuno per ipotizzare un contesto di quel disegno. Siamo in una scuola. L’insegnante avrà parlato della cattura di Battisti, del processo e dell’esecuzione. Ha pensato che fosse suo dovere di educatore e, probabilmente, gliene giunsero esortazioni pedagogiche autorevoli. Poi ha dato le consegne, e l’allievo si è ingegnato per eseguirle. Forse il compito è stato svolto in classe; oppure a casa, dove lo avranno visto i genitori, ai quali il ragazzo potrà aver riferito il giudizio (“visto!”, se leggo bene) dell’insegnante.

    Quante volte abbiamo visto i disegni dei bambini in tempo di guerra? Quelli strazianti dei piccoli prigionieri di Terezin e quelli delle vittime degli innumerevoli altri conflitti dell’ultimo secolo? Ci commuovono. Li sentiamo come nostri, quei ragazzini. Ma questo ragazzo e quella rivoltante pedagogia di guerra ci turbano. Ci fanno percepire, a un secolo di distanza, l’enorme differenza che intercorre fra una società che vive in guerra, e una, come la nostra, che non la sperimenta da quasi settant’anni. Quello scolaro è lontano da noi, esattamente come quel fidanzato che, pensando di fare una cosa carina, inviò alla sua ragazza la cartolina postale con un boia e un cadavere.

    Quelle immagini, infatti, sono – per uno storico – le fonti (alcune delle tante) che testimoniano della costruzione del fronte interno. Sono strumenti attraverso i quali la gente dietro le trincee venne compattata e schierata contro un nemico, che quelle stesse figurine contribuivano a creare. Il nostro ipotetico fidanzato italiano e lo scolaro austriaco combattevano, per quanto in abiti civili. Senza imbracciare il fucile, ma usando mezzi della vita pacifica e quotidiana, come la posta e la scuola. Perché questi, in guerra, vengono trasformati in armi.


    La globalizzazione del fronte interno

    Sento l’obiezione. Ancora fatti d’altri tempi? Quel fronte interno (della Prima, come della Seconda Guerra mondiale) era strettamente legato al nazionalismo e alle sue aberrazioni. Roba vecchia, che non conta più come allora. Per lo meno, ha una presa assai minore nell’Europa occidentale, laica, civile, imbelle, secolarizzata, disincantata.

     È vero. Le cose sono cambiate, ma in modo sorprendente. Considerate una fotografia celebre, quella del bambino di Varsavia. Fu scattata da un gerarca che si voleva far bello alla corte di Hitler; diventò una denuncia del massacro ebraico. Decontestualizzata, si trasformò in simbolo generico di violenza contro i bambini; fino ad essere capovolta, ai nostri giorni e proprio nel gioco ideologico generato dai conflitti vicino-orientali, e costretta a diventare il simbolo dell’oppressione israeliana nei confronti dei palestinesi. Una vicenda complessa e lunga, raccontata da Frédéric Rousseau , che ha portato quella foto, testimonianza di un’azione di sterminio, a diventare un’icona, ormai scollegata dalla sua origine, comprensibile in ogni parte del mondo, adattabile ad ogni situazione violenta. Un’icona globale. (Ilenia Rossini e Anna Vera Sulam Calimani ne fanno delle recensioni esaurienti (http://www.unive.it/media/allegato/dep/n10-2009/Schede/Recensione_Sullam.pdf; http://www.officinadellastoria.info/magazine

    /index.php?option=com_content&view=article&id=352:recensione-f-rousseau-il-bambino-di-varsavia-storia-di-una-fotografia&catid=68:fotografia-e-storia )

      Un disegnatore danese, Per Marquard Otzen, accosta il disegno del bambino palestinese alla celebre immagine del bambino di Varsavia

     

    E’ vero, dunque. Quel meccanismo, che abbiamo visto attivarsi al tempo di Battisti, è cambiato, perché è diventato pervasivo e potente. Ciascuno di noi se ne rende conto, sfogliando un album di icone globali che vanno dall’insegna di Auschwitz, ai carri merci, ai mucchi di cadaveri, alle fosse comuni, fino ai Che Guevara indossati dai ragazzi di estrema destra.
    E’ cambiato anche un altro aspetto di queste immagini: la loro efficacia nella creazione di un fronte interno. Anche in questo caso, si tratta di una potenza che non ha fatto che crescere, man mano che avanzavano i processi di globalizzazione. Ci basta rammentare – per tutte - la napalm girl, la bambina vietnamita che fugge impaurita dai bombardamenti americani. Entrambe contribuirono potentemente alla creazione di un fronte antiamericano le cui dimensioni coincisero con il pianeta, e con il quale gli Usa, prima potenza militare del mondo, dovettero scendere a patti.

    Ecco:  potenti, duttili e globali, queste sono le nuove armi iconiche a disposizione dei signori delle guerre odierne. Il social è uno dei campi preferiti di questa battaglia. Tu clicchi “condividi” e vieni arruolato. Il signore vanterà un fronte interno smisurato, incomparabilmente più vasto dei bacini ai quali si rivolsero le nazioni del secolo scorso.

    Immagino che la sera, quando si tirano le somme, i capi contino le bombe lanciate sulla testa del nemico, i razzi scagliati, i nemici ammazzati (militari o no, vanno tutti nel mucchio) e le immagini condivise. Trecento razzi, dice uno; duecentomila condivisioni, dice l’altro. Il capo (o il team delle teste pensanti) approva, decide la strategia per il giorno dopo. Vaglia le immagini che hanno avuto più successo: la mamma straziata, la bambina che cerca i libri fra le macerie, il mucchio di cadaveri. Soggetti che una guerra produce con generosità. Non importa come siano state realizzate: se da un reporter coraggioso o da una persona qualunque con lo smartphone, o da un fotografo embedded. Si tratta di individuare quelle che funzionano di più, che hanno iscritto più gente al proprio fronte interno globalizzato. Non importa il motivo per il quale, domani, uno le condividerà: per informare, testimoniare, vendicarsi, indignarsi, chiedere la pace e la fine del massacro. Domani, ognuno combatterà con le sue armi. Uno con il lanciarazzi e l’Ak47, il Raphael o l’Iron Dome. L’altro col tasto “condividi”.

    Ecco perché esito a condividere. Ecco perché non condivido, per quanto il mio primo impulso sia quello di comunicare agli amici la mia rabbia e la mia pietà per gli uccisi, pensando che quella foto dia forza e verità al mio sentimento. Non lo faccio per lo sdegno piccato di chi sospetta di essere strumentalizzato. Perché “non mi va di essere arruolato a mia insaputa”. Ma, perché – come mi ha insegnato il disegno della ragazzino di Graz – io vivo in un altro mondo, che in questo momento è fortunatamente in pace. Posso scegliere il mio ruolo. Entrare nel conflitto, a sostegno dell’uno o dell’altro, o dire basta. Cessate le armi. Ma con quale credibilità chiederò il passo indietro di entrambi, se faccio parte di uno dei fronti? Come posso chiedere la pace, se entro in guerra?

    Perché non contribuire a creare un altro fronte interno, a sostegno di quelli – palestinesi e israeliani – che chiedono la pace, l’hanno chiesta in passato, e oggi sono stati messi in minoranza,  vittime di nemici e di connazionali? Perché non incoraggiarli con la consapevolezza di avere alle spalle un fronte interno grande e potente?

    Non è necessario essere pacifisti, per valutare questa opzione. Non so che cosa farei se gli italiani fossero coinvolti direttamente in un conflitto. Non sono dentro una guerra, quindi non posso giudicare chi si trova nell’inferno e ne segue la logica. Né giudico chi, animato da intenzioni generose, si schiera sul web. Credo, però, che un buon compito per chi si trova momentaneamente in pace, per chi da settant’anni non sperimenta la guerra sulla propria pelle (privilegio unico nella storia), sia quello di aiutare gli altri ad abbassare le armi. E questo non si fa applaudendo i guerrieri, né brandendo le vittime.


    Il ruolo dell’insegnante di storia

    Condividere o no è una scelta personale. Ne ho esposto i miei motivi. Penso che gli autori di moltissime condivisioni ne avranno di altrettanto validi e che se ne possa discutere. In fondo, è il lusso che ci concede lo stato di pace. Quello che so, per certo, è che – essendo una scelta personale – questa non può essere oggetto di valutazione, e quindi di una qualche direttività didattica. Libera per me, libera anche per gli studenti.

    Allora, che cosa insegnare di questa vicenda?
    La storia della circolazione sociale delle immagini, che ho ricordato senza alcuna pretesa di completezza (per questa occorre studiare i lavori di chi se ne è occupato professionalmente, come Giovanni De Luna  o Peppino Ortoleva),  pur nella sua brevità, è sufficiente per alcune risposte. Provo a suggerirne cinque.

    Costruire la profondità temporale dell’evento. La storia fornisce una prospettiva temporale a ciò che sembra un tipico prodotto del presente. C’è un passato, nell’uso bellico delle immagini, che mi permette di riflettere sul fatto che io sono in grado di vedere qualcosa di un evento bellico che si svolge a distanza. Questa vicinanza al fronte di chi sta nel retroterra non è “naturale”. E’ costruita, ha i suoi scopi, le sue regole, i suoi problemi, a volte i suoi controllori. Questo sistema complesso, attivato nelle società fin da tempi lontanissimi, si è modificato nel tempo. Oggi ne viviamo una fase molto particolare e molto efficace. Per mettere in grado il soggetto di valutare questa specificità, occorre che egli sia in grado di ricostruire questa prospettiva. Di conseguenza è importante, proprio per prepararlo a gestire il flusso di immagini belliche odierne, insegnargli a leggere quelle del passato.

    - Comprendere il meccanismo della diffusione sociale delle conoscenze. La storia ci mostra come funziona questo meccanismo intricato, che lega il fronte al retroterra. Quali sono gli interessi, gli attori, gli strumenti della comunicazione, gli effetti. Ti avvisa che accedere a questo sistema è entrare nel gioco, diventarne un soggetto attivo – anche se non lo si vuole. Lo era in passato. Oggi, con i sistemi di computo delle visualizzazioni, e con la possibilità di contribuire alla circolazione delle informazioni, lo è ancora di più.

    - Saper gestire criticamente le fonti. La disciplina storica è il più antico deposito di tecnologia dell’informazione che l’umanità abbia costruito. Lo facciamo da 2500 anni, da quando Erodoto cominciò a raccogliere notizie e a interrogarsi quale fosse verosimile, quale vera e quale invece una fandonia. La storiografia ha elaborato un sistema di critica delle notizie, che ci permette di costruire un’immagine ponderata della realtà, a dispetto della loro fallacia, voluta o inconsapevole (Elena Musci ha mostrato come si possano utilizzare in classe anche le “foto false” del fascismo).  Nessuno di noi “vede” le atrocità della guerra. Noi vediamo documenti visivi di queste atrocità. L’effetto di realismo di queste immagini, accentuato dal movimento e dal suono, ha lo straordinario potere di ingannare il suo fruitore. Il suo disinganno è la premessa insostituibile per un uso corretto delle immagini. Oggi, fornire gli allievi degli strumenti elementari per valutare le notizie, diventa un compito che qualifica l’utilità civile dell’insegnamento della storia.

    - Avere un approccio critico ai media. C’è un’educazione ai media alla quale la storia può fornire un contributo specifico.  Per valutare criticamente un’immagine, occorre sapere chi l’ha scattata, per quale scopo, attraverso quali agenti è stata messa in circolo, qual è l’uso che se ne sta facendo. Senza queste notizie, l’immagine non riuscirà mai a funzionare come documento che aiuta il fruitore a capire quello che succede. E, mentre diminuisce il suo potenziale informativo, aumenta parallelamente il rischio che si presti a essere ingrediente di un discorso politico, ideologico, o di altro genere. Potremmo dire, allora, che un soggetto è educato ai media non solo quando sceglie per sé le immagini dotate di questi requisiti; ma anche quando se ne fa tramite attraverso la rete.

    - Conoscere la storia sociale della guerra e della pace. La storia può (deve) insegnare la differenza che esiste fra una società in guerra e una in pace. Non, come si fa solitamente, le cause, lo svolgimento, i protagonisti e l’esito di una guerra. Deve far capire quanto distanti siano le due società. Quanto diversamente funzionino le rispettive logiche; come si pensi diversamente, la scala diversa dei sentimenti, e gli ordini morali ribaltati.


    C’è infine, una forma di condivisione della quale non parlano mai i guru del web, ma che interessa la scuola da vicino: quella che inzeppa tesine, ppt e ogni genere di elaborato-compito multimediale. Mi capita spesso di vederne, in giro per le scuole. Solitamente i docenti me li mostrano con gli occhi lucenti di soddisfazione. Ne ricordo uno per l’imbarazzo che mi procurò. Era un 25 aprile. Il prof aveva curato, con i suoi allievi, un ppt sulla Liberazione, intitolato Democrazia contro Dittatura. Un montaggio ammirevole, veloce. La musica hard, sparata a mille, commentava una collezione di poveri impiccati, torturati, bruciati vivi, come se ne trovano a bizzeffe nella rete. Immagini scattate dagli stessi boia o con gli smartphone da chi si assiepava a vedere lo spettacolo. Di grande presa emotiva. Osservavo i ragazzi, catturati dai ritmi musicali e iconici. Per quello che riesco a capire era tecnicamente inappuntabile. Per quello che so, era una grave opera di diseducazione.

  • La Rivoluzione industriale nelle immagini

    di Joan Santacana Mestre
    (Traduzione e attività di Antonio Brusa, Alessandra Gabelli e Giuseppe Losapio)

    Joan Santancana Mestre, docente di Didattica delle Scienze Sociali dell’Università di Barcellona, nel suo blog ha pubblicato un laboratorio sulle immagini relativo alla prima parte della Rivoluzione industriale, quella che normalmente nei manuali è identificata come la Prima rivoluzione industriale.

    Il laboratorio è formato da 37 incisioni (illustrazioni di stampo politico, satirico e di denuncia sociale), che rappresentano fenomeni e tecnologie a partire dal 1703.

    Il docente catalano suggerisce di far lavorare gli studenti e le studentesse a gruppi, dando loro il compito di osservare un paio di immagini e di leggere le relative didascalie, invitandoli poi a fare una verbalizzazione di quello che ritengono di aver appreso.

    Aggiungiamo a questa altre attività didattiche che possono essere realizzate sia singolarmente, sia in sequenza, montandole – tutte o alcune - in modo da costruire un percorso più complesso. I percorsi possono essere adattati ai vari ordini e gradi scolastici. Il lavoro in gruppi è sicuramente proficuo, vista la quantità di materiali, ma alcune fasi possono essere svolte singolarmente.

    01Fig.1: Fig. 1. Popolo liberato, la cui felicità sta per cominciare, incrocia le braccia dopo aver tanto lavorato, disegno caricaturale di Charles Joseph Travies de Villers, che mostra uno sciopero a Parigi Fonte

    Preparazione del materiale

    Dopo la descrizione delle attività, troverete la tabella delle immagini, tradotta in italiano. Come vedrete, ogni immagine è corredata da un titolo e da una breve nota che guida all’osservazione. Conviene stampare le immagini su carta un po’ spessa, e ritagliarle in modo da “giocare/lavorare” con 37 carte.

    Tematizzare

    Le carte possono essere classificate nei seguenti nuclei tematici:

    Agricoltura
    Industria tessile
    Fonti d’energia
    Materie prime
    Condizione dei lavoratori o Questione sociale
    Urbanizzazione
    Trasporti
    Colonizzazione

    L’attività, dunque, consiste nel classificare le carte. Può essere svolta tutti insieme, oppure in gruppi: in questo caso, ogni gruppo avrà il mazzo delle 37 carte. Se la classe è competente, si può lanciare l’attività chiedendo alla classe, o ai gruppi, di individuare autonomamente i temi.

    Al termine di questo lavoro, che può durare 15 minuti all’incirca, si propongono i seguenti problemi:

    - Ci sono delle carte che sono presenti in più gruppi? Questo vuol dire qualcosa rispetto alla loro importanza?
    - Ci sono dei temi che si giudicano più importanti degli altri? Per quali motivi?
    - Ci sono dei temi che appaiono del tutto accessori, rispetto al processo complessivo della Rivoluzione industriale?

    In chiusura, si possono proporre le seguenti consegne:

    - Descrivi un tema, citando tutte le immagini che vi sono comprese
    - Descrivi il processo della rivoluzione industriale, citando tutti i temi trattati.

    Periodizzare

    In questa attività si trasformano i temi, visti sopra, in periodizzazioni: cioè si scopre e si ragiona sulla valenza temporale dei singoli aspetti della Rivoluzione industriale.

    In una prima fase si datano le carte. Le date possono essere cercate sia su Wikipedia, sia sulla Treccani ragazzi. Non tutte le carte hanno una data precisa. Di quelle che descrivono dei fatti continuativi (per esempio: il lavoro dei bambini nelle miniere) stabilite in quale momento della cronologia vanno sistemate; di quelle che descrivono dei processi (come la colonizzazione del pianeta), scegliete la data di un evento (per esempio: 1819, l’Inghilterra conquista Singapore) che vi appare significativo.

    Nella seconda, si tracciano quattro cronogrammi e si ordinano cronologicamente le carte relative:

    agricoltura
    industria
    urbanizzazione
    colonizzazione

    Nella terza fase, si confrontano i cronogrammi soffermandosi su quei fenomeni che interessano più linee temporali. Esempio: la carta del luddismo, che verrà messa nel cronogramma della società, ha rapporti sia con il cronogramma dell’industria, sia con quello delle città. Ecco alcuni problemi che possiamo sollevare a partire da queste cronologie:

    - Possiamo affermare che gli eventi più importanti sono quelli che interessano più cronologie?
    - Ci sono eventi nel manuale, non necessariamente trovati nel capitolo della rivoluzione industriale, che possono essere inseriti in queste cronologie?
    - Aggiungendo a queste cronologie una tutta politica (ricavata dal manuale): avrebbe qualche rapporto con gli eventi della Rivoluzione industriale?

    Complessificare

    In una prima fase, si dispongono le carte a spaglio, su un cartoncino abbastanza grande (70X90, per esempio). Con un pennarello, gli studenti tracciano i collegamenti, che secondo loro, si possono stabilire fra i diversi elementi. A richiesta dell’insegnante li spiegano. Questa attività può essere svolta collettivamente o in gruppi.

    In una seconda fase, la classe lavora in gruppi. Ad ognuno di essi viene indicata una carta che dovrà essere messa al centro del tabellone. Le altre carte dovranno essere collegate in modo ragionato rispetto a questo centro. Le carte centrali potrebbero essere:

    - La filatrice
    - Il luddista
    - Il padrone
    - La signora che usa i nuovi beni di consumo
    - Il colonizzatore (l’ultima carta)

    Ogni gruppo proporrà un testo descrittivo del suo cartellone ai compagni. Si valuteranno insieme le differenze.

    Narrare: l'historytelling

    L’immagine è già di suo una forma di narrazione attiva e, se la si comprende, anche coinvolgente. Il lavoro di tematizzazione è utile perché un fenomeno può essere raccontato dall’interno, da un protagonista, oppure da un punto di vista esterno. Questo lavoro sarà facilitato nel caso gli allievi abbiano già svolto quello della complessificazione.

    Due suggerimenti:

    - il punto di vista interno ovvero raccontare il fenomeno con gli occhi di un contadino che descrive quello che lui vede della Rivoluzione agricola, di un operaio luddista che parla della questione sociale, oppure la scrittura di un diario di un abitante della città o di una relazione da parte dell’autore di una delle invenzioni del tempo, per farla acquistare dal proprietario di una fabbrica. Scritti brevi, molto personali, che diano il senso di una testimonianza diretta, che, perciò dovrà sfruttare bene le informazioni ricavate dalle immagini.

    - il punto di vista esterno di un sindacalista, di un politico o di un giornalista. Il primo sosterrà le sue proposte per risolvere i problemi sociali, che descriverà con passione; il secondo spiegherà al parlamento come governare un processo complesso, che coinvolge attori sociali così diversi; il terzo sarà un giornalista straniero che vuole dare notizia, ai lettori del suo giornale, di ciò che sta accadendo in Inghilterra. A differenza del precedente, questi testi saranno tendenzialmente impersonali.

     

    La narrazione può essere realizzata col metodo dell’historytelling. In questo caso, ha bisogno di una arche-tipizzazione dei profili dei singoli personaggi da inserire nel “viaggio dell’eroe”, cioè in una struttura narrativa che metta in discussione una certezza iniziale del personaggio. La struttura ha diversi passaggi, dei quali non è possibile tenere conto in questa sede. Con questa avvertenza, una traccia narrativa potrebbe essere questa:

    - la partenza. Il nostro eroe vive in una certa situazione e formula una speranza: vuole fare qualcosa. Lui sa di potervi riuscire perché …
    - nel suo percorso incontra diversi ostacoli
    - trova un alleato
    - combatte contro un nemico
    - alla fine, riesce/non riesce nel suo intento.

    Per quanto in un historytelling sia lecito (e desiderabile) inserire elementi di fantasia, il riferimento alle carte è un vincolo da sottolineare. Nel corso del debriefing se ne valuteranno il numero e l’uso. Sarà anche utile confrontare le storie, dal momento che varieranno sensibilmente a seconda del personaggio scelto.

    (per una descrizione più dettagliata dell’historytelling si veda: G. Losapio, Intrecci di storie: l’historytelling nella didattica della storia, in C. Dal Maso (a cura di), Racconti da museo. Storytelling d’autore per il museo 4.0, Edipuglia, Bari 2018, pp. 153-166).

    Ricomporre

    Dividete ogni immagine in tre carte, separando il titolo, l’immagine, le osservazioni. Quindi, otterrete 111 carte. Proponete a ciascun gruppo cinque immagini con i relativi titoli e osservazioni. Saranno, perciò, quindici carte ben mescolate. Il gruppo dovrà, attraverso l’osservazione, abbinare correttamente ogni immagine al suo titolo e alla sua didascalia.

    Un’alternativa ludica consiste nel costruire un memory con queste carte. Si può partire da un minimo di dieci immagini, quindi con trenta carte (ogni immagine = tre carte). Non è necessario che ogni gruppo lavori con le stesse carte. Quindi, utilizzando un solo mazzo di 111 carte si potranno realizzare almeno tre gruppi.

    Sarà un memory originale e impegnativo, perché a tre: scoprire contemporaneamente l’immagine, la sua didascalia e il suo titolo. Memorizzazione assicurata.

     

    Titolo della fonte Fonte grafica Osservazioni
    Attrezzo agricolo per seminare
    (1743)
    02  Una delle condizioni perché esista una industrializzazione è che esista una agricoltura moderna.
     Seminatrice Jethro Trull
    (1703)
      03  Prima della rivoluzione industriale ci fu una “rivoluzione agricola”, che introdusse alcuni attrezzi che facilitarono l’ampliamento delle colture
     Immagine dei campi agricolo in piena trasformazione   04  In territori come Inghilterra, Olanda, Piemonte, Catalogna si iniziò una trasformazione agraria che portò a un grande aumento della produttività dei suoli.
    Recinzioni dei campi
    (enclosures)
      05  Prima di introdurre macchinari nella campagna ci fu il fenomeno delle recinzioni, I proprietari recintarono le terre comuni per coltivarle secondo i nuovi sistemi. I contadini che non avevano accesso a queste nuove coltivazioni furono costretti ad abbandonare le campagne.
     Manifattura tessile con spoletta volante   06  Un’invenzione, la spoletta volante, permise di tessere molto più rapidamente senza molto sforzo
    Filatrice   07  La facilità di tessere aumentò la necessità di filo, che – però - si produceva a mano in modo molto lento.
     Filatrice multipla
    (Jenny)
      08  L’invenzione di una macchina per filare: molto semplice, ma molto efficace. A quel punto c’era filo in abbondanza.
     Telaio meccanico   09  L’abbondanza di filo fece emergere la necessità di telai meccanici più rapidi. Così vennero creati dei telai mossi dall’energia idraulica.
    Macchina a vapore di J. Watt   10  L’invenzione di macchinari mossi dal vapore dell’acqua, ottenuto attraverso l’uso di carbone, permise di azionare meccanicamente i telai.
    La fabbrica a vapore   11  Una sola macchina a vapore poteva muovere molti telai a la volta.
    Era nata la fabbrica!
    Miniere di carbone   12  Il crescente bisogno di carbone dette impulso all’attività mineraria
    Minatori   13  I minatori erano reclutati tra i contadini cacciati dalle terre. Il loro lavoro era duro e spesso molto pericoloso.
    Bambini minatori   14  Per muovere i carrelli nelle gallerie strette si utilizzavano i bambini
    Alcuni animali nelle miniere di ferro e carbone   15  Il carbone si trasportava con dei carrelli su rotaie guidati dagli animali
     Distruzione dei macchinari   16  L’industrializzazione lasciava senza lavoro gli antichi tessitori e coloro che si occupavano dei filati. La loro reazione fu di organizzarsi per distruggere i macchinari.
    Movimento luddista   17  I distruttori dei macchinari vennero chiamati “luddisti” in Gran Bretagna e questa parola assunse il significato di “nemici delle macchine”
    Padrone/proprietario assassinato da un luddista   18  Il nascente movimento operaio si oppose ai macchinari con tutti i mezzi e si diffuse anche l’idea di assassinare i proprietari delle macchine
    Città con quartieri industriali   19  Le città si circondarono di grandi quartieri, pieni di camini del vapore che ingrigivano il cielo.
     Telai azionati da macchine a vapore   20  Le fabbriche, azionate dal vapore, utilizzarono soprattutto donne, perché le potevano pagare di meno per gli stessi compiti svolti dagli uomini
    Nascono città che sono grandi centri industriali   21  Quasi tutte le grandi città europee si trasformano in centri industriali con un significativo aumento della popolazione urbana, a causa della migrazione dei contadini che migravano in città per cercare lavoro.
    Treni a vapore   22  Presto il vapore divenne una fonte di energia che si utilizzò per il trasporto terrestre delle materie prime
    Trasporto dei viaggiatori   23  La ferrovia fu uno dei “figli” della rivoluzione industriale e permise per la prima volta il trasporto facile dei viaggiatori sui grandi distanze
    Battelli a vapore   24  Presto il vapore si utilizzò per muovere ruote ed eliche dei battelli. In questo modo potè nascere un commercio internazionale delle merci più sicuro e più economico
    Battelli con lo scafo di ferro   25  I battelli a vapore funzionavano magnificamente con gli scafi di ferro. Il ferro divenne un elemento strategico per l’economia di molti paesi.
    Contadini cacciati dai campi si accalcano nei quartieri urbani   26  I contadini cacciati si affollarono nei sobborghi e presto rappresentarono un esplosivo problema sociale
    Cresce la povertà   27  La povertà delle classi basse provocò ondate di carestie
    Sfruttamento del lavoro minorile   28  L’industria si rese conto che la manodopera minorile non solo era utile per le miniere, ma anche per i lavori che richiedevano mani piccole
    L'industria invade la campagna con le macchine a vapore   29  Le macchine a vapore, che muovevano telai, treni e battelli, vennero utilizzate anche in campagna
    Si inventano nuovi macchinari per ottenre l'acciaio   30  A metà del secolo XIX ci fu un’invenzione fondamentale per il futuro industriale: il convertitore Bessemer che permetteva di fabbricare acciaio con grande precisione. Adesso si potevano perfezionare moltissimo i nuovi macchinari.
    Miserabili quartieri operai in tutta Europa e nel Nord America   31  Gli antichi contadini si trasformarono in operai dipendenti, chiamati “proletari” perché l’unica cosa che possedevano era la “prole”, cioè i figli.
    Costante aumento della produzione   32  La rivoluzione industriale avviò un processo di costante aumento della produzione.
    D’ora in poi le crisi non sarebbero state per la scarsa produzione, ma per la produzione, a volte così abbondante che non si poteva vendere.
    Aumenta il commercio internazionale   33  Per poter vendere i prodotti era necessario ricorrere al grande commercio internazionale, che era facilitato dai battelli a vapore e dai treni.
    L'industria tessile cresce molto   34  La rivoluzione industriale permise la nascita di una società dei consumi, che poteva acquisire beni, come vestiti, a prezzi molto più bassi di prima.
    Necessità di cotone. 
    Schiavitù
      35  La rivoluzione industriale richiese milioni di tonnellate di cotone. Il commercio degli schiavi fu il risultato di ciò
    Bisogno di mercati e di materie prime   36  La ricerca di nuovi mercati per le materie prime come i metalli, il cotone, il legno, etc, fu all’origine del nuovo colonialismo che nacque nella seconda metà del XIX secolo.
    Le nazioni industriali acquisiscono colonie e le occupano militarmente   37  Il dominio coloniale necessitava di un crescente controllo militare sulle colonie, Così si giustificarono enormi eserciti.
    I paesi industriali sottomettono continenti interi   38  Africa, Oceania e parte dell’Asia furono oggetto prima del colonialismo europeo e poi di quello nordamericano.

     

  • La storia nelle immagini. Laurent Gervereau, uno studioso fra public history e didattica della storia. Sitografia.

    di Antonio Prampolini

     

    Indice

    1. Laurent Gervereau e la Histoire du visuel
    2. Gli articoli online
    2.1 Guerra civile spagnola, Maggio ’68, propaganda politica fra le due guerre mondiali
    2.2 Metodologia e didattica
    3. Interpretare le immagini: il sito decryptimages.net
    3.1 Metodologia e didattica
    3.2 Educazione e immagini
    3.3 Guerra, Missione Apollo, crisi umanitarie, attentato dell’11 settembre, eventi importanti del XX secolo

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 1Fig.1: pubblicazioni di Larent Gervereau Fonte1. Laurent Gervereau e la Histoire du visuel

    Laurent Gervereau è uno dei principali promotori della Histoire du visuel (Visual History)1 in Francia e non solo, ma è praticamente sconosciuto in Italia dove, a tutt’oggi, non è stata tradotta nessuna delle sue numerose pubblicazioni. Intellettuale poliedrico ed eclettico, ha esteso i suoi interessi anche alla museologia e all’ecologia; ha fondato e/o diretto istituzioni, associazioni culturali, riviste e siti web; ha organizzato mostre e prodotto film.2

    Al centro del suo pensiero e della sua azione sta la convinzione che, in una società come la nostra dominata da Internet e dalla multimedialità digitale, «l’educazione alle immagini e con le immagini rappresenta una necessità civica fondamentale tanto quanto insegnare e imparare a leggere».

    A lui si deve, in particolare, l’elaborazione di una “griglia di analisi delle immagini” che comprende tre fasi: descrizione (avvicinarsi all’immagine nella sua materialità: caratteristiche tecniche, stile, tema della rappresentazione); contestualizzazione (a monte della produzione: la storia individuale, la psicologia e il ruolo dell'autore o più in generale i collegamenti tra l'immagine, il suo committente e la società; a valle: la distribuzione dell’immagine, la sua ricezione e impatto sociale); interpretazione (sintesi di tutti gli elementi dell'indagine svolta nelle due fasi precedenti in cui l’analista esprime la propria soggettività sotto forma di una valutazione generale).3

    Per Gerverau è oggi fondamentale lavorare su una «storia globale della produzione visiva» che prenda in considerazione non solo gli aspetti creativi (le arti), ma tutti gli usi e la moltiplicazione industriale delle immagini sui media; così come, nell’era di Internet, in cui tutte le immagini si accumulano in modo indifferenziato sullo stesso schermo, è indispensabile, per una loro corretta interpretazione e valutazione, disporre di precisi punti di riferimento: cronologici (quando e in quale contesto?), geografici (dove e all’interno di quale civiltà?) e tecnici (quale tipo di creazione e quale mezzo?).

    Tra le pubblicazioni di Laurent Gervereau sull’iconografia e la Histoire du visuel è doveroso ricordare:4

    Voir, comprendre, analyser les images, Paris, La Découverte, 1994;
    Les Images qui mentent. Histoire du visuel au XXe siècle, Paris, Seuil, 2000;
    Le monde des images. Comprendre les images pour ne pas se faire manipuler, Paris, Robert Laffont, 2004;
    Dictionnaire mondial des images, (dir. L.G.), Paris, Nouveau Monde, 2006;5
    La Guerre mondiale médiatique, Paris, Nouveau Monde éditions, 2007;
    Images, une histoire mondiale, Paris, Nouveau monde/CNDP, 2008;
    Une histoire générale de l'écologie en images, Paris, Plurofuturo, 2011.

    In questa sitografia, segnaleremo dapprima alcuni articoli gratuitamente accessibili in rete. In una seconda parte, prenderemo in esame la struttura e i contenuti del sito da lui diretto decryptimages.net (Ricordiamo che online è sempre a disposizione il traduttore di Google). Laddove non indicato, gli articoli si intendono di Gervereau.

     

    2. Gli articoli online

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 2Fig.2: manifesto repubblicano della Guerra civile spagnola (Bauset, 1936) Fonte2.1 Guerra civile spagnola, Maggio '68, propaganda politica fra le due guerre mondiali.

    I manifesti di propaganda durante la guerra civile spagnola
    L'affiche de propagande pendant la guerre d'Espagne, in «Matériaux pour l'histoire de notre temps», Année 1986, 7-8, pp. 22-24.

    «In generale, il manifesto repubblicano spagnolo è violento. E ciò è più che normale poiché in una situazione di crisi non possono che nascere rappresentazioni destinate a “scuotere” e mobilitare. I pochi manifesti franchisti che conosciamo (sono molto meno numerosi) non differiscono del resto da quelli repubblicani - così come l'insieme della produzione è simile, dal punto di vista dell'ideazione e della grafica, alla propaganda nazionalsocialista. Troviamo ovunque l’uso della virilità, di grandi ritagli umani, di oggetti eretti come totem urbani, un modo di impressionare attraverso l'ingrandimento dei simboli del potere o dell'orrore, così da provocare adesione o repulsione».

     

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 3Fig.3: manifesto francese del “maggio 68” FonteI manifesti del maggio ‘68
    Les affiches de "mai 68"
    , in «Matériaux pour l'histoire de notre temps», Année 1988, 11-13, pp. 160-171.

    «Pubblicazioni sui manifesti del maggio ‘68 non mancano anche se i documenti sono spesso distribuiti in modo vago, come se le cose fossero evidenti. Per molto tempo la passione, il primato dell'impegno hanno oscurato l'argomento, compiacendosi maliziosamente di trasmettere leggenda, indeterminatezza, dicerie. In una sorta di eroica "aura" di clandestinità, ogni indagine appariva sospetta e soprattutto superflua. Oggi, però, vent’anni dopo – il tempo di una generazione – in un diverso contesto politico (come spesso accade nella storia in cui le tendenze si alternano), gli attori si prestano calorosamente ai tentativi di ricostruzione, accettando le spinose necessità di precisione».

     

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 4Fig.4: manifesto di propaganda per il programma "Revolution Nationale" del regime di Vichy FonteI manifesti politici francesi e tedeschi dal 1919 al 1944: riflessioni sulla nozione di futuro
    Réflexions sur la notion d'avenir dans les affiches politiques françaises et allemandes de 1919 à 1944, in «Matériaux pour l'histoire de notre temps», Année 1990, 21-22, pp. 51-55.

    «All’indomani della Prima Guerra Mondiale, in Francia, nei manifesti politici, il futuro si adorna di colori molto diversi. Un futuro "vuoto", caratterizzato dalla repulsione per l'altro diventa un futuro di cancellazione della guerra. Si verifica innanzitutto uno spostamento semantico: si passa dalla mobilitazione dell'odio contro i tedeschi al più virulento antibolscevismo.
    Anche in Germania, dove la messa in scena dell’odio verso il nemico (francese) non è mai stata così straripante come in Francia (durante la guerra l’accento veniva posto sulla coesione della nazione attorno al Kaiser e al suo esercito, presentati come valorosi cavalieri nel medioevo), l’antibolscevismo si scatena nei manifesti a partire dal 1918».

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 5Fig.5: copertina del volume Quelle est la place des images en histoire? di Christian Delporte, Laurent Gervereau, Denis Maréchal Fonte2.2 Metodologia e didattica

    Immagini e storia
    Images et histoire, in «Matériaux pour l'histoire de notre temps», Année 1995, 37-38, pp. 13-14.

    «Lo storico cerca spesso immagini che possano ravvivare e illuminare il suo discorso, selezionandole secondo il suo gusto, secondo quella che giudica la loro rilevanza e idoneità. I libri scolastici sono stati prodotti in questo modo per molto tempo, passando da illustratori in senso letterale, che producevano tavole particolari su ordinazione, ad un'iconografia selezionata da pubblicazioni contemporanee al momento storico in questione. Resta legittimo voler “animare” un discorso con poche icone opportune, ma l’immagine può però avere un’altra funzione: quella di vera e propria fonte».

     

    Il senso dello sguardo
    Le sens du regard
    , in «Bulletin des bibliothèques de France (BBF)», 2001, n°5, pp. 22-25.

    «Le immagini danno luogo a percezioni [visive] immediate che non stimolano il desiderio a interpretarle. L’analisi delle immagini è invece un’importante fonte di conoscenza che ha un ruolo civico irrinunciabile nell’attuale società di massa, dove le immagini veicolate dalla pubblicità e dalla propaganda non sono mai state così potenti nell’influenzare l’opinione pubblica globale».

     

    La guerra non è fatta per le immagini
    La guerre n'est pas faite pour les images
    , in «Vingtième Siècle. Revue d'histoire» 2003/4 (n°80), pp. 83-88.

    «I mass media, la moltiplicazione industriale delle immagini, l’accumulazione di tutti i media, hanno spostato il territorio della guerra. In passato i movimenti delle truppe, la fortuna o la sfortuna delle armi pesavano su un territorio limitato, con un'onda d'urto ritardata. Al giorno d'oggi, alcuni conflitti non sono più globali in termini di estensione nello spazio, ma, prima ancora che abbiano luogo, partecipano ad una guerra planetaria dell'informazione».

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 6Fig.6: locandina della mostra Les images mentent? Manipuler les images ou manipuler le public curata da Laurent Gervereau, Parigi, 2011. FonteLe immagini mentono? Manipolare le immagini o manipolare il pubblico
    Les images mentent? Manipuler les images ou manipuler le public,
    Parigi, 2011.

    È una mostra che ripercorre la storia delle immagini per riflettere e considerare diversamente il nostro universo visivo, scoprendo i messaggi che ci vengono inviati e di cui non sempre siamo consapevoli. Un universo visivo caratterizzato da un «fenomeno unico nella storia: la circolazione esponenziale di immagini e il loro accumulo, che mescola tutte le epoche, tutti i tipi di immagini e tutte le civiltà».

     

     

     

     

     

     

     

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 7Fig.7: copertina del volume Dictionnaire Mondial des images a cura di Laurent Gervereau (edizione 2006). FontePostfazione alla ristampa del “Dizionario mondiale delle immagini”
    Postface à la réédition du “Dictionnaire mondial des images”
    , Parigi, 2021 (la ristampa non ha poi avuto luogo a causa degli aumentati costi editoriali).

    «Spesso, le immagini sono oggetto di interpretazioni spontanee; i produttori stessi provocano e anticipano queste interpretazioni (pubblicità piena di allusioni e metafore). Ma, in assenza di una vera e propria cultura visiva (conoscenza della storia mondiale del visivo), la propensione ad avere interpretazioni riflesse e ad essere soggetti a influenze (spesso commerciali o politiche) rimane il caso più comune. Stiamo entrando in un periodo [che è possibile definire] come una “guerra mondiale mediatica" in cui è più importante vincere le guerre di opinione che le guerre materiali di territorio».

     

     

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 8Fig.8: vignetta pubblicata sul sito personale di Laurent Gervereau FonteVivere con tutte le immagini del mondo
    Vivre avec toutes les images du monde
    , intervista a Laurent Gerverau in «Hémisphères» N°22 – Vol XXII, 16/12/2021.

    «Il potere delle immagini è molto antico. Da quella che viene chiamata Preistoria, la loro circolazione è intensa. E questo perché gli esseri umani estetizzano l'utile nei loro strumenti e nei loro habitat. Creano immagini e queste creano significati nella loro concezione del mondo. Viviamo da sempre in “immagini materiali”, che produciamo, e in “immagini mentali”. La rottura avviene a metà del XIX secolo con la moltiplicazione industriale delle immagini, a cominciare dalla stampa, dai francobolli, dalle cartoline, dagli imballaggi, dai manifesti commerciali... Poi arriva l'era del cinema e poi della televisione, senza la scomparsa della carta. Oggi è il momento del cumulo delle immagini con Internet. Gli individui, trasmettitori-ricevitori, sono coinvolti in una produzione esponenziale e in una incessante ubiquità, dove la visione indiretta – ciò che viene percepito a distanza – conta più della visione diretta della realtà che li circonda».

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 9Fig.9: logo del sito decryptimages.net Fonte3. Interpretare le immagini: il sito decryptimages.net

    Il sito decryptimages.net è il risultato di una lunga collaborazione tra la Ligue de l'Enseignement e l'Institut des Images.6 È presente in rete dal 2008 ed è diretto da Laurent Gervereau. È un sito ad accesso libero e gratuito, aperto alla collaborazione volontaria di tutti i cultori di storia e analisi delle immagini, che si articola in sei sezioni:

    • Notizie (Actu: Images, Editos);

    • Pedagogia (Pédagogie);

    • Analisi (Analyses: Crossmédia, Télévision, Photographie, Dessins de presse, Peinture – estampes);

    • Esposizioni gratuite (Expos gratuites);

    • Editoriali e audiovisivi di Laurent Gervereau (Decryptcult);

    • Eventi (Événements: Les médiatiques, Repérage).

     

    3.1 Metodologia e didattica

    La storia delle immagini: definizione
    Histoire du visuel, définition
    (articolo redazionale)

    «Nel mondo, la definizione della parola "immagini" è spesso vaga e talvolta si riferisce solo a "seconde immagini", cioè a riproduzioni, a riflessi (la figurazione di un dipinto e non l’oggetto in sé). La parola "visivo" corrisponde all'insieme della produzione umana di immagini ed è quindi più ampia, comprendendo tutti gli aspetti creativi (le "arti"), come tutti gli usi e la moltiplicazione industriale delle immagini su tutti i media, "immagini fisse" o "immagini in movimento". Oggetto di questa scienza è quindi lo studio di tutte le produzioni visive umane fin dalla preistoria».

     

    Servono nuove piste per la scienza storica
    Nouvelles pistes nécessaires pour la science historique

    «È giunto il momento di affermare la necessità di una storia generale della produzione visiva umana. Questa esigenza è innanzitutto pedagogica. Nell’era di Internet e dei videogiochi non è più possibile dare ai bambini/giovani indicazioni solo sull’arte o sulle arti. Stiamo vivendo un cambiamento di civiltà e di generazioni e servono punti di riferimento generali in una fase caratterizzata dalla produzione, circolazione e accumulazione esponenziale delle immagini».

     

    Rimettere in marcia il pensiero della storia
    Remettre en marche la pensee de l’histoire

    «La produzione visiva umana è considerevole [nella storia dell’umanità]. Prima della scrittura, è una testimonianza essenziale, un “residuo” prezioso. Successivamente accompagna la scrittura o i suoni, e, durante le tre epoche delle immagini industriali dalla metà del XIX secolo fino ad oggi (l'era della carta, quella della proiezione e quella dello schermo), cresce in modo esponenziale. Come pensare che le immagini non siano oggetto di interrogazioni e di conoscenza? In termini pedagogici, imparare a vedere è meno importante che imparare a leggere? In termini di ricerca, possiamo attenerci alla sola “storia dell’arte” separandola dalla questione dei media?».

     

    3.2 Educazione e immagini

    Education et Images.

    «L’uso didattico delle immagini, fisse o mobili che siano, non deve limitarsi al loro semplice ruolo illustrativo. Ecco perché diventa fondamentale comprendere come nascono le immagini. Bisogna cominciare da Internet per comprendere che la rete accumula molte immagini provenienti da molti media. E questo comporta la necessità di studiare supporti diversi come: giornali, stampe, dipinti ad olio, sculture e oggetti, film, fotografie, video... La conoscenza tecnica non è necessariamente destinata a portare alla pratica. Permette di differenziare le immagini dalla produzione alla loro fruizione».

     

    Analizzare l’immagine pubblicitaria
    Analyser l’image publicitaire di Emmanuelle Fantin.

    «Spesso svalutata e percepita come l'emblema del potere della società dei consumi, la pubblicità aggrega convinzioni la cui irruenza sembra senza precedenti. Una mitologia attorno alla natura surrettizia e alle facoltà manipolative della pubblicità è persistita sin dalla sua creazione, alimentata dal discorso antipubblicitario contemporaneo, ma anche da tradizioni teoriche focalizzate sulla natura insidiosa delle logiche commerciali e sulla depravazione culturale che ne deriverebbe. D'altra parte, talvolta è percepito come testimone privilegiato della società e delle sue evoluzioni, o addirittura sede di una creatività traboccante, ai margini dell'arte. Ma la pubblicità è soprattutto un discorso banale e ubiquo: i cartelloni pubblicitari nelle strade o sui mezzi pubblici, le interruzioni televisive e radiofoniche, i banner promozionali sulle pagine web scandiscono continuamente la nostra vita quotidiana. È quindi una profonda familiarità quella che ci lega alla pubblicità, e che spesso ci porta a non interrogarci su queste immagini che ci circondano».

     

    3.3 Guerra, Missione Apollo, crisi umanitarie, attentato dell'11 settembre, eventi importanti del XX secolo.

    Non esiste più un tempo di guerra e un tempo di pace nella guerra mondiale mediatica
    Il n’est plus de temps de guerre et de temps de paix dans la guerre mondiale médiatique

    «L'improvviso risveglio delle coscienze a causa dell'invasione russa in Ucraina è sorprendente, poiché tanto gli Stati quanto le potenze commerciali hanno capito da tempo l'importanza delle guerre d'influenza attraverso lo schermo interposto. Questo si è moltiplicato con i social network e la confusione totale dei generi: immagini di guerra e massacri occupano Tik Tok inondato di musica rock, come un video musicale».

     

    10 immagini che hanno cambiato il mondo
    10 images qui ont changé le monde.

    «Che oggi esista un “mondo delle immagini”, una circolazione planetaria istantanea, un accumulo esponenziale, nessuno ne dubita. Che siamo, per la prima volta nella storia, a contatto con rappresentazioni di tutti i tempi, di tutte le provenienze geografiche e su tutti i media, lo possono vedere tutti. Ma ne traiamo tutte le conseguenze? Molti continuano a difendere le piazze nazionali o le tecniche (pittura a olio o fotografia, cinema o architettura...). Non ha davvero senso quando gli spettatori leggono i giornali, vedono i manifesti, guardano i dipinti in rete e quando i creatori si esercitano nel disegno, scultura, video, fotografia e digitale online contemporaneamente. L'unica soluzione è fornire indicatori cronologici generali che abbraccino l'intero pianeta e tutti i media dell'immagine: una storia mondiale della produzione visiva umana».

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 10Fig.10: i primi passi dell’uomo sulla luna (20 luglio 1969) FonteL’allunaggio della missione Apollo 11: le immagini mentono?
    Alunissons....

    «L'aspetto di fantasia collettiva legato a questa operazione fece sì che molti spettatori esprimessero spontaneamente dubbi fin dalla prima trasmissione delle immagini dell’allunaggio da parte della NASA (20 luglio 1969). Queste foto furono accusate di essere state fabbricate in uno studio. Successivamente, un documentario ha giocato su questo sentimento di dubbio attribuendole a Stanley Kubrick (regista di 2001, Odissea nello spazio, uscito un anno prima nel 1968). Il sospetto è quindi consustanziale a queste immagini».

     

     

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 11Fig.11: le torri Nord e Sud del World Trade Center in fiamme dopo essere state colpite da due aerei di linea dirottati FonteGli attentati dell'11 settembre 2001 al World Trade Center di New York
    World Trade, la quête du sens.

    «La caratteristica di questo evento consiste nella sua stratificazione nel tempo, che ha creato una catena di immagini in movimento/fisse. Lo stupore per l’accaduto è il prodotto di diversi fattori: l'incredulità in un paese che non ha mai conosciuto la guerra sul suo territorio (a parte la guerra civile), e i cui media sono polarizzati al suo interno senza una reale apertura verso il mondo; l'incredulità anche degli spettatori internazionali per i quali New York è un'ambientazione cinematografica familiare. Soprattutto non deriva dalle immagini stesse (povere, "grezze", tipico del registro delle dirette televisive), ma dalla successione delle sequenze, cioè dalla sceneggiatura dell’evento. Ciò contrasta completamente con le vecchie rappresentazioni degli attentati in cui erano visibili solo le conseguenze dei danni».

     

     

    GERVEREAU LAURENT ARTICOLO HL immagine 12Fig.12: la carestia in Etiopia (1983-1985) FonteLo spettacolo delle crisi umanitarie: usi e sfide delle immagini di vittime lontane
    Le spectacle des crises humanitaires: usages et enjeux des images de victimes lointaines,
    di François Robinet.

    «Dal 1968, le immagini di vittime lontane trasmesse in televisione sono state efficaci strumenti di informazione delle tragedie umanitarie nel mondo. Attraverso la messa in scena del disagio dei più fragili, queste immagini ci hanno fatto vedere parte della realtà degli eventi in Biafra, Etiopia, Ruanda e Darfur. Relativamente stabili, queste messe in scena si basano su "immagini simboliche" incarnate da alcune grandi rappresentazioni archetipiche che mirano, oggi come ieri, a produrre emozione e drammaticità negli spazi pubblici in cui vengono trasmesse, a evidenziare l’azione degli operatori umanitari e suscitare la generosità dei telespettatori-donatori. È quindi necessario, per lo storico come per il cittadino, cogliere queste immagini con sufficiente distanza e diffidenza per distinguere la parte di realtà che ci fanno vedere, misurando al contempo il grado di strumentalizzazione politica della sofferenza che talvolta possono anche contenere».

     


    Note

    1 Sulla Histoire du visuel (Visual History): Antonio Prampolini, La Visual History. Che cos’è e quali storie ci fa conoscere e Visual history. L'uso didattico delle fonti iconografiche, con una prefazione di Antonio Brusa, in «Historia Ludens», 10/02/2021 e 10/03/2021. Vedi anche gli articoli di didattica, di chi scrive e di Antonio Brusa, pubblicati nella rivista “Visual history”. 

    2 Per maggiori informazioni sulla vita e sugli studi di Laurent Gervereau: l’autobiografia gervereau.com/parcours.php.

    3 Per un approfondimento, l’articolo: Grille d’analyse des images di Laurent Gervereau, in decryptimages.net.

    4 Per una più ampia bibliografia: fr.wikipedia.org/wiki/Laurent_Gervereau#Bibliographie.

    5 Sul Dizionario mondiale delle immagini: la recensione di Jacques Le Golff Une éblouissante anthologie de l'image, sous toutes ses formes et toutes les latitudes, «Le Monde», 14/12/2006.

    6 Sulla Ligue de l'Enseignement, confederazione di associazioni che in Francia operano nei settori dell’educazione e dell’insegnamento popolare, si veda la voce relativa dell’edizione francese di Wikipedia. L'Institut des Images, creato nel 1992 e presieduto da Laurent Gervereau, ha avuto un ruolo pionieristico nell'educazione all'immagine. Ha organizzato diversi convegni sulla Histoire du visuel (Dove va la storia dell'arte contemporanea?; Possiamo imparare a vedere?; Qual è il posto delle immagini nella storia?).

     

  • La Visual History. Che cos’è e quali storie ci fa conoscere

    di Antonio Prampolini

    PARTE PRIMA: SITOGRAFIA DELLE FONTI E DEI TEMI DI INDAGINE*

    1. Che cos’è la Visual History

    Innanzitutto, che cosa è la Visual History ? Navigando in Internet, una prima risposta la possiamo trovare nelle enciclopedie online.

    Docupedia-Zeitgeschichte (Docupedia – Storia Contemporanea), l’enciclopedia open access del Centro per la Ricerca di Storia Contemporanea di Potsdam (Leibniz-Zentrum für Zeithistorische Forschung Potsdam ZZF) contiene una voce autoriale, a firma Gerhard Paul, dedicata specificatamente alla Visual History.

    Paul, che è uno dei più noti specialisti della Visual History nell’ambito della storia contemporanea, sottolinea come nel corso del primo ventennio del nostro secolo si sia verificato un cambio di paradigma negli studi storici, favorito dalle nuove possibilità offerte dalla rivoluzione digitale e dal Web. Questo cambio ha portato al pieno riconoscimento dell’importanza delle fonti visive. Ha incentivato, soprattutto tra gli storici più giovani, lo studio delle immagini intese non solo come una delle possibili fonti della storia (insieme alle fonti scritte e a quelle orali), ma come oggetti che meritano un’indagine storiografica autonoma poiché condizionano i modi di vedere, percepire, rappresentare e comunicare la realtà.

    In questo nuovo quadro si afferma la Visual History: l’indagine sul ruolo delle immagini nella storia, attraverso un approccio multi e transdisciplinare, che utilizza i criteri e i metodi della storia dell’arte, dell’antropologia, della psicologia e della sociologia.

    Secondo Paul, la Visual History dovrebbe porre al centro delle proprie ricerche la «forza generativa delle immagini» (Bilder als generative Kräfte) poiché esse non solo riflettono la storia, ma anche la influenzano e la determinano.

    «Le immagini, [egli osserva] sono più che fonti che si riferiscono a un fatto o evento al di fuori della propria esistenza; sono più che media che usano il loro potenziale estetico per trasmettere interpretazioni [della realtà]. Le immagini hanno anche la capacità di creare prima di tutto realtà, sono dotate di una potenza energetica e generativa».

    La storia visiva del XX e dell'inizio del XXI secolo dovrebbe, pertanto, a suo parere, dedicare maggiore attenzione a questo potere energetico/generativo delle immagini.

    «I movimenti totalitari hanno ripetutamente e intenzionalmente fatto uso del potere energetico/generativo delle immagini nella storia del Novecento. Le immagini del nemico, dell'ebreo nella propaganda antisemita della "soluzione finale" dei nazisti, la messa in scena di manifestazioni di massa (così come oggi quelle dello straniero o dell'islamista) hanno sempre rappresentato [e rappresentano] un invito all'azione».

    La voce Visual Historydi Docupedia, disponibile oltre che in lingua tedesca (versione 3.0, 13/03/2014) anche in lingua inglese (versione 1.0, 07/11/2011), è un testo consistente e ben articolato che comprende diversi capitoli:

    • La storia nel Visual Turn (Die Geschichtswissenschaft im Visual Turn);
    • Immagini come fonti (Bilder als Quellen);
    • Immagini come media (Bilder als Medien);
    • Immagini come forze generative (Bilder als generative Kräfte);
    • Visual History come campo di ricerca transdisciplinare (Visual History als transdisziplinäres Forschungsfeld);
    • Critica e prospettive (Zustimmung, Kritik, Perspektiven);
    • Bibliografia(Empfohlene Literatur zum Thema).

    In Wikipedia troviamo la voce Visual History non nell’edizione in lingua inglese (come ci si aspetterebbe) ma nell’edizione in lingua tedesca.

    In questa edizione linguistica, la Visual History viene definita come la disciplina che «considera le immagini sia come fonti che come oggetti indipendenti della ricerca storica»; immagini che possono essere sia statiche che dinamiche, analogiche che digitali. Una disciplina che combina i metodi analitici della storia dell’arte, della filosofia, dell’antropologia, dell’etnologia e della sociologia dei media.

    La voce enciclopedica (che, a giudicare dall’argomento e dalla qualità della sua trattazione, è stata scritta da specialisti della materia, anche se in anonimato) analizza il contributo degli storici tedeschi alla Visual History, soffermandosi in particolare sugli studi e le ricerche di Gerhard Paul (l’autore della voce in Docupedia) e Heike Talkenberger, e sull’influenza del modello d’indagine storico-artistica sviluppato da Erwin Panofsky.

    Di Paul vengono presi in esame i tre livelli fondamentali della Visual History; vale a dire la ricerca storica sulle immagini intese come:

    • fonti,
    • media,
    • “forze generative” autonome.

    Di Talkenbergervengono descritti gli approcci all'analisi delle immagini (che dovrebbero essere combinati in modo flessibile):

    • l’approccio di storia della cultura materiale;
    • l’approccio semiotico, focalizzato sul simbolismo dell'immagine e sulla sua funzione comunicativa;
    • l’approccio della ricezione estetica,per indagare il significato attribuito alle immagini dai destinatari dei messaggi visivi.

    Del modello di indagine storico artistica di Erwin Panofsky vengono richiamati i tre “passi iconologici(ikonologischen Dreischritts):

    • la descrizione preiconografica: l’esame della struttura dell’immagine e del suo contenuto;
    • l’analisi iconografica: la decodifica del sistema di riferimenti e dei significati interni all’opera pittorica;
    • l'interpretazione iconologica: la ricerca del significato socio-culturale dell'immagine.

    La voce, molto consistente (la versione stampabile alla data del 22/01/2021 è di 17 pagine in formato A/4), è suddivisa nei seguenti capitoli:

    L’edizione in lingua francese di Wikipedia riporta la voce Histoire du visuel.

    Questa voce definisce la “nuova” disciplina storiografica come quella che ha per oggetto «lo studio di tutte le produzioni visive umane dalla preistoria [ai giorni nostri] e che comprende tutti gli aspetti creativi, come pure tutti gli usi e la moltiplicazione industriale delle immagini [fisse o in movimento] su tutti i media».

    L’Histoire du visuel studia pertanto la totalità delle produzioni visive anche quelle che tradizionalmente non appartengono al mondo dell’arte ma a quello ludico. All'epoca di Internet, tra i miliardi di immagini elettroniche che circolano in rete, quelle che si possono definire creazioni artistiche sono infatti un’esigua minoranza.

    «Oggi è necessario considerare tutte le produzioni visive perché le emanazioni di tutte le epoche, di tutte le civiltà, di tutti i media sono riunite sullo stesso schermo [di un dispositivo elettronico collegato a Internet]».

    La voce descrive le origini e lo sviluppo degli studi iconologici in Francia e la nascita della “nuova” disciplina a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, dedicando un capitolo centrale alla rivoluzione prodotta da Internet nel mondo delle immagini (À l'ère d'Internet, une science en développement nécessaire).

    L’edizione in lingua inglese di Wikipedia non contiene una voce specifica sulla Visual History,ma alcune voci correlate: Visual culture, Iconology, Iconography, con le relative definizioni sintetiche e informazioni bibliografiche.

    • La Visual Culture viene definita come «la cultura espressa nelle immagini» che è oggetto di studio da parte di diverse discipline: dalla filosofia alla storia dell’arte, dalla antropologia alla sociologia.
    • La Iconology è un «metodo di interpretazione della storia culturale e della storia delle arti visive, utilizzato da Aby Warburg, Erwin Panofsky e dai loro seguaci, che vuole scoprire il background culturale, sociale e storico di temi e soggetti nelle arti visive».
    • La Iconography è «una branca della storia dell'arte che studia l'identificazione, la descrizione e l'interpretazione del contenuto delle immagini».

    Alla Visual culture la <encyclopedia.com> (sito in lingua inglese che aggrega informazioni tratte da fonti enciclopediche, dizionari e da altre opere di reference) dedica una voce autoriale assai consistente e ben articolata scritta da Jonathan Beller e pubblicata originariamente nel «New Dictionary of the History of Ideas».

    Beller afferma che la Visual culture, intesa come «una componente specifica della cultura in generale, un insieme di pratiche visive o una disciplina accademica» è il prodotto di una nuova considerazione del ruolo delle immagini alla fine del XX secolo in quella che viene definita “società postindustriale”, dove le tecnologie visive dominano nei media dell’informazione. La voce è strutturata nei seguenti capitoli:

    • The Visual Turn;
    • Visuality;
    • Historical Emergence of the Field of Vision as a Site of Power and Social Control;
    • Historicity of the Senses;
    • Race and Photo-Graphics;
    • Gender, Sexuality and the Image;
    • Alternative Media;
    • Advertising, Attention and Society of the Spectacle;
    • Visuality, Mediation, Simulation and Cybernetics;
    • The Future of Visual Culture and Visual Studies.

    Anche nell’edizione in lingua italiana di Wikipedia non troviamo una voce dedicata specificatamente alla Visual History, ma solamente due voci correlate: Iconologia e Iconografia, che riservano poche righe ai rispettivi argomenti.

    Il portale della Treccani <treccani.it> indirizza il visitatore verso i Visual Studiescon una voce redazionale nel «Lessico del XXI Secolo» (2013) e una voce autoriale nella «Enciclopedia Italiana – IX Appendice» (2015) a firma Roberto Terrosi.

    Terrosi definisce i Visual Studies il «campo di studi accademici che hanno come oggetto il visibile e le pratiche dello sguardo in forme culturalmente organizzate».

    La voce è strutturata in capitoli:

    • Storia dei Visual studies,
    • Temi e protagonisti dei Visual studies,
    • La ‘svolta visuale’,
    • Crisi dei Visual studies?,
    • La politicizzazione dei Visual studies,
    • I Visual studies e l’Europa,
    • Gli studi di ‘cultura della rappresentazione’ in Giappone,
    • Conclusioni.

    2. Che cosa ci fa conoscere?

    Immagini relative a: guerra, nazifascismo, stalinismo, antisemitismo, migrazioni

    La piattaforma digitale bilingue (tedesco – inglese) Visual History del Leibniz-Zentrum für Zeithistorische Forschung Potsdam (ZZF) propone un indice, Themen, che offre un’interessante panoramica delle diverse aree tematiche, nell’ambito della storia contemporanea, in cui trova applicazione la nuova disciplina storiografica (l’indice non comprende articoli sui media audiovisivi). Una panoramica che, pur facendo prevalentemente riferimento ai contributi degli storici tedeschi, può, tuttavia, considerarsi egualmente rappresentativa dei più generali orientamenti a livello internazionale degli studi e delle ricerche della Visual History dal 2013 (anno di attivazione della piattaforma) ad oggi.

    Di seguito, l’elenco delle principali aree tematiche:

    (Cliccare sulle immagini per ingrandirle)

    A. Le fotografie di guerra nel primo e nel secondo conflitto mondiale

    In questa area tematica segnaliamo in particolare:

    Walter Kleinfeldt: fotografie dal fronte 1915–191801. Walter Kleinfeldt: fotografie dal fronte 1915–1918. (Fonte)

    ► 01. Agosto 1916: “Distruzione totale”

    Una raccolta di fotografie, lettere, ritagli del diario di un giovane soldato tedesco (Walter Kleinfeldt) sul fronte occidentale. La recensione sottolinea come nel volume vengono presentate due categorie di fotografie del fronte di guerra scattate da Kleinfeldt: da un lato, quelle che lasciano deliberatamente fuori dal campo visivo i militari morti o feriti e mostrano invece paesaggi distrutti, fucili abbandonati, alberi bruciati; dall'altro, ci sono le fotografie che rendono immediatamente comprensibile la violenza della guerra sugli uomini, come le immagini di caduti e feriti.

    August 1916: “Alles zusammengeschossen” di Lisa-Sophie Meyer, 19/10/2015, recensione del volume Walter Kleinfeldt. Fotos von der Front 1915-1918 di Ulrich Hägele e Irene Ziehe, Waxmann Verlag, Münster/New York, 2014.

    Il sorriso del boia viennese fotografato dopo l'esecuzione del patriota italiano Cesare Battisti a Trento nel 1916.02. Il sorriso del boia viennese fotografato dopo l'esecuzione del patriota italiano Cesare Battisti a Trento nel 1916. (Fonte)

    ► 02. Sul sorriso del boia nella Prima guerra mondiale

    Il sorriso è quello del boia viennese fotografato dopo l'esecuzione del patriota italiano Cesare Battisti nel 1916. Il boia e i suoi assistenti posano come se fossero all'osteria. Solo a una seconda occhiata la vista cattura l'impiccato in mezzo a loro, tenuto come un trofeo dal fiero boia che mostra con le mani il possesso del corpo della vittima.

    Anton Holzer ha usato questa foto per la copertina del suo libro che documenta con una lunga serie di immagini le violenze dell’esercito austroungarico contro la popolazione civile sul fronte orientale. Immagini che dovrebbero entrare a far parte della storia e della memoria del Primo conflitto mondiale accanto a quelle della guerra di trincea sul fronte occidentale, al fine di confutare il mito della presunta guerra "pulita" che non avrebbe coinvolto i civili come vittime dirette delle azioni militari.

    Vom Lächeln der Henker im Ersten WeltKrieg di Christine Bartlitz, 12/08/2014, recensione del volume Das Lächeln der Henker.Der unbekannte Krieg gegen die Zivilbevölkerung 1914-1918 di Anton Holzer, Primus Verlag, 2014.

    Sepoltura di un soldato tedesco sul fronte russo (1941)03. Sepoltura di un soldato tedesco sul fronte russo (1941) (Fonte)

    ► 03. Le fotografie private dei soldati

    L’attacco all’Unione Sovietica del 1941 documentato negli album fotografici privati dei soldati tedeschi.

    Si tratta di album messi insieme nel corso della guerra, che riducono al minimo la finestra temporale tra ciò che viene vissuto e ciò che viene documentato, e che pertanto non subiscono la distorsione retrospettiva, consapevole o inconsapevole, tipica dei racconti fotografici dei soldati tedeschi che, nel dopoguerra, tendono ad esaltare il loro ruolo nella Wehrmacht.

    Die Fotografie der Landser di Armin Kille, 30/11/2020.

    Immagini di propaganda: l’avanzata italiana su Adua (1935).04. Immagini di propaganda: l’avanzata italiana su Adua (1935). (Fonte)

    ► 04. Immagini disciplinate del Fascismo e del Nazismo

    Markus Wurzer analizza, confrontandoli, i reportage fotografici di guerra nella Germania nazista e nell’Italia fascista.

    Nella Germania nazista le immagini di guerra non solo erano state censurate (come già durante il Primo conflitto mondiale) ma anche organizzate/disciplinate da uno specifico apparato di propaganda. E così pure era avvenuto nell’Italia fascista dove i reportage fotografici di guerra erano stati sottoposti ad uno stretto controllo da parte del regime già prima del giugno 1940, in occasione dell’aggressione contro l'Impero Abissino.

    Disziplinierte Bilder di Markus Wurzer, 06/04/2020.

    Cartolina commemorativa dell’incendio di Oradour-sur-Glane e del massacro dei suoi abitanti da parte delle SS in ritirata.05. Cartolina commemorativa dell’incendio di Oradour-sur-Glane e del massacro dei suoi abitanti da parte delle SS in ritirata. (Fonte)

    ► 05. Ricordando il 10 giugno. La cura della memoria a Lidice e Oradour

    L’occupazione nazista dell’Europa è stata accompagnata da distruzioni di città e villaggi.

    Il 10 giugno 1942, Lidice, distante pochi chilometri da Praga, era stata incendiata e rasa al suolo dalle SS tedesche come rappresaglia all’uccisione di un loro alto ufficiale da parte della resistenza. I suoi abitanti erano stati fucilati o inviati nei campi di concentramento.

    Il 10 giugno 1944 a Oradour, un piccolo villaggio nel dipartimento della Haute-Vienne nella Francia centro-occidentale, le SS incendiarono le case e massacrarono tutti gli abitanti.

    Zeina Elcheikh documenta nel suo articolo, con diverse immagini (fotografie, cartoline postali, francobolli, manifesti), sia la distruzione dei due villaggi che la cura della memoria, dal dopoguerra ad oggi, di quegli eventi tragici.

    Remembering 10 June. Curating Memory in Lidice and Oradour di Zeina Elcheikh, 09/06/2020.

     

    B. I movimenti e i regimi politici nell’Europa del Novecento: socialismo, fascismo, nazismo e stalinismo

    In questa area tematica segnaliamo in particolare:

    Sbandieratore, immagine del ’calendario dei lavoratori’ 1923-1929.06. Sbandieratore, immagine del ’calendario dei lavoratori’ 1923-1929. (Fonte)

    ► 06. La Rivoluzione sui muri

    Il volume dello storico dell'arte e della fotografia Wolfgang Hesse (pubblicato open access in Internet <https://core.ac.uk/download/pdf/268020278.pdf>) tratta dei "calendari rossi a strappo" del KPD (Die Kommunistische Partei Deutschlands) nella Repubblica di Weimar.

    La tradizione dei calendari a strappo risale all'ultimo terzo del XIX secolo. Diversamente dai “calendari del popolo”, i “calendari rossi” non contenevano “storie eroiche” ma dati e immagini della storia generale del mondo, dei movimenti democratici e dei lavoratori tedeschi.

    La recensione di Mario Keßler propone, contestualizzandole, diverse immagini estratte dal volume di Wolfgang Hesse.

    Die Revolution als Wandschmuck di Mario Keßler, 16/03/2020, recensione del volume Der rote Abreißkalender. Revolutionsgeschichte als Wandschmuck di Wolfgang Hesse, Eigenverlag, Lübeck 2019.

    ’Idea Vincit’, linoleografia di Otto Heinrich Strohmeyer del 1926.07.’Idea Vincit’, linoleografia di Otto Heinrich Strohmeyer del 1926. (Fonte)

    ► 07. I francobolli a favore e contro la guerra e il fascismo

    I francobolli emessi dallo Stato sono “veicoli illustrati” nella “epoca della riproducibilità tecnica delle immagini” (Walter Benjamin) con i quali lo Stato ha diffuso soprattutto nel passato (e diffonde ancora oggi) i simboli del proprio potere, della propria ideologia, della propria storia ben oltre i confini nazionali.

    Nell’articolo citato, Esposito analizza in particolare il simbolismo racchiuso nei francobolli che riproducono immagini dell’aviazione (i “veicoli alati”) sia con riferimento alle riflessioni dello storico dell’arte Aby Warburg che alla produzione filatelica dell’Italia fascista.

    Beflügelte Bilderfahrzeuge für und wider Krieg und Faschismus di Fernando Esposito, 18/05/2020.

    Gli abitanti di Sülfeld ritratti davanti al monumento a ricordo della vittoria dei nazionalsozialisti alle elezioni del Reichstag del 5 marzo 1933.08. Gli abitanti di Sülfeld ritratti davanti al monumento a ricordo della vittoria dei nazionalsozialisti alle elezioni del Reichstag del 5 marzo 1933. (Fonte)

    ► 08. Mobilitazione rurale a favore del nazismo

    La presa del potere da parte dei nazisti è stata accompagnata da una diffusa mobilitazione delle zone rurali della Germania a favore del nuovo regime. Anche Sülfeld, un piccolo villaggio dello Schleswig-Holstein, fu investito dall'ondata di euforia nazionale innescata dalla vittoria del NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei – Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) alle elezioni del Reichstag del 5 marzo 1933.

    Kraus e Ullmann ricostruiscono tale mobilitazione con l’aiuto delle fotografie scattate nel villaggio di Sülfeld negli anni trenta.

    Sülfeld schafft dem 5. März 1933 ein Denkmal di Alexander Kraus e Maik Ullmann, 24/09/2018.

    Lavori forzati in un “campo correttivo” dell’Unione Sovietica.09. Lavori forzati in un “campo correttivo” dell’Unione Sovietica. (Fonte)

    09. Le immagini delle carceri e dei “campi correttivi” nell’URSS

    Le immagini fisse e in movimento scattate nelle carceri e nei “campi correttivi” dell’Unione Sovietica tra gli anni '30 e '70 del Novecento.

    Le istituzioni statali penali e giudiziarie dell'Unione Sovietica facevano spesso appello a cineasti e fotografi per una rappresentazione ufficale, in chiave pedagogica e propagandistica, del sistema penitenziario.

    L'articolo di Irina Tcherneva esamina in primo luogo le diverse concezioni visive della reclusione, il modo in cui le immagini plasmano lo sguardo delle istituzioni penali che hanno commissionato le immagini. In secondo luogo, l’articolo affronta le finalità e gli usi dei documenti visivi da parte delle istituzioni e dei detenuti.

    For an Exploration of Visual Resources of the History of Imprisonment Photo and Film in Penal Spaces in the USSR (1940–1970) di Irina Tcherneva, in «The Journal of Power Institutions in Post-Soviet Societies», n. 19/2018.

    (L’articolo non è presente nell’indice tematico della piattaforma digitale Visual History)

    Stalin il grande timoniere dell’URSS.10. Stalin il grande timoniere dell’URSS. (Fonte)

    ► 10. Il culto della personalità di Stalin nei manifesti di propaganda sovietici

    Dall'inizio del regime sovietico, i manifesti sono stati considerati come un mezzo di vitale importanza per comunicare ed educare la vasta popolazione dei territori dell'URSS. Nonostante lo sviluppo e la diffusione del cinema, il poster rimase, durante gli anni della leadership di Stalin, una forma primaria di propaganda, prodotta sotto uno stretto controllo centralizzato che rifletteva le priorità del regime.

    Anita Pisch analizza i manifesti di propaganda di Stalin sia da una prospettiva iconografica che iconologica, impiegando la metodologia utilizzata per la prima volta da Erwin Panofsky.

    The personality cult of Stalin in Soviet posters, 1929–1953 di Anita Pisch, 2016.

    (l’articolo non è presente nell’indice tematico della piattaforma digitale Visual History)

     

    C. L’antisemitismo, la persecuzione degli ebrei e la Shoah

    In questa area tematica segnaliamo in particolare:

    Caricatura antisemita su un documento fiscale inglese del 1233.11. Caricatura antisemita su un documento fiscale inglese del 1233. (Fonte)

    ► 11. La prima caricatura antisemita?

    La più antica caricatura antisemita conosciuta è un disegno su un documento fiscale inglese del 1233. La caricatura mostra tre ebrei dall’aspetto strano in compagnia di demoni ed evidenzia la somiglianza dei loro nasi a becco.

    Questa caricatura è diventata un’immagine iconica tra gli storici. È pubblicata sul sito web educativo degli Archivi nazionali del Regno Unito.

    Sara Lipton ne propone una lettura critica per esaminare ogni aspetto dell’immagine al fine di comprendere il suo significato politico e il ruolo che gli ebrei hanno in essa.

    Die erste antisemitische Karikatur? di Sara Lipton, 30/03/2020.

    Partenza del transatlantico St. Louis dal porto di Amburgo il 13 maggio 1939.12. Partenza del transatlantico St. Louis dal porto di Amburgo il 13 maggio 1939.(Fonte)

    ► 12. L’odissea del St. Louis

    Il 13 maggio 1939 il transatlantico tedesco “St. Louis”, con a bordo 937 ebrei (uomini, donne e bambini) in fuga dalla Germania nazista, iniziava dal porto di Amburgo la traversata oceanica con destinazione Cuba. Due settimane dopo raggiungeva il porto dell'Avana. Ma lo sbarco veniva rifiutato dalle autorità cubane.

    Iniziava così una vera e propria odissea con il ritorno in Europa dei passeggeri e la ricerca di porti di altri paesi in cui poter sbarcare e mettere in salvo gli ebrei.

    Sono state conservate numerose fotografie del viaggio e delle condizioni di vita sulla St. Louis. L’articolo qui citato mostra alcune foto commentate da estratti di due testimonianze contemporanee: il diario di Erich Dublon e il reportage di viaggio di Fritz Buff.

    Die Irrfahrt der St. Louis di Eva Schöck-Quinteros, 17/06/2019.

    ’Juden unter sich’ (Ebrei tra di loro), «Berliner Illustrierte Zeitung», 24  luglio 1941.13. “Juden unter sich” (Ebrei tra di loro), «Berliner Illustrierte Zeitung», 24 luglio 1941. (Fonte)

    ► 13. Gli ebrei nel ghetto

    I Propagandakompanien (PK) della Wehrmacht e i ghetti ebraici nella Polonia occupata.

    Una delle più influenti azioni di propaganda antisemita prodotte nel "Terzo Reich" era basata negli anni 1939-1941 su immagini e rapporti provenienti da vari ghetti nella Polonia occupata. Gran parte del materiale era stato raccolto dalle Propagandakompanien (PK) della Wehrmacht.

    Per Daniel Uziel, l’analisi del contributo delle Propagandakompanien alla politica antisemita dei nazisti richiede di prendere in esame non solo i materiali visivi, ma anche i contesti storici in cui sono stati prodotti. Ciò include gli aspetti organizzativi, le strategie di propaganda del regime, la situazione di guerra generale e locale.

    “Juden unter sich” di Daniel Uziel, 20/04/2020.

    I sopravvissuti Alfred Stüber (a destra) e Ludwig Stikel in una foto scattata dopo il 20 aprile 1945 nel campo di concentramento di Buchenwald.14. I sopravvissuti Alfred Stüber (a destra) e Ludwig Stikel in una foto scattata dopo il 20 aprile 1945 nel campo di concentramento di Buchenwald. (Fonte)

    ► 14. L'auto-rappresentazione dei sopravvissuti ai campi di concentramento

    Quasi tutte le fotografie di prima della liberazione dei campi di concentramento sono state scattate dalle SS con l'intenzione di presentarli come un sistema gerarchico altamente efficiente e una organizzazione funzionale senza violenze arbitrarie.

    I prigionieri vi appaiono come una folla docile e silenziosa.

    Dopo la liberazione dei campi nel 1945, gli internati sopravvissuti vengono raffigurati nelle foto scattate dai militari degli eserciti alleati come vittime anonime di un’immane tragedia.

    Sandra Starke vuole, invece, indagare la produzione di immagini “proprie e autodeterminate” degli ex-internati, utilizzando alcuni esempi riferiti al campo di concentramento di Buchenwald.

    Zur visuellen Selbstrepräsentation von KZ-Überlebenden di Sandra Starke, 26/10/2020.

    Erich Muhsfeldt sul profilo Facebook del Museo statale di Auschwitz-Birkenau del 2 gennaio 2011.15. Erich Muhsfeldt sul profilo Facebook del Museo statale di Auschwitz-Birkenau del 2 gennaio 2011. (Fonte)

    ► 15. Erich il malvagio

    Il primo gennaio 1945, Erich Muhsfeldt, capo del commando dei forni crematori di Auschwitz, sparò e uccise 200 prigionieri polacchi nel campo di Auschwitz II.

    Il primo gennaio 2011 il Museo di Stato di Auschwitz Birkenau ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto di Muhsfeldt. La fotografia ha innescato una marea di commenti.

    Nell’articolo citato, Ina Lorenz analizza la nuova modalità di trasmissione visiva della storia nello spazio virtuale.

    He even looks evil … di Ina Lorenz, 12/10/2015.

    Poster della conferenza internazionale “An End to Antisemitism” (Vienna, 2018).16. Poster della conferenza internazionale “An End to Antisemitism” (Vienna, 2018). (Fonte)

    ► 16. Le immagini contro l'antisemitismo

    L’articolo prende in esame le immagini utilizzate nella lotta contro l'antisemitismo e focalizza la sua attenzione sul poster della conferenza internazionale "An End to Antisemitism", che si è svolta a Vienna nel febbraio del 2018.

    Per Axster il poster della conferenza suggerisce una mancanza di sensibilità alle implicazioni razziste dell’antisemitismo e testimonia la necessità di mettere in relazione la lotta contro l'antisemitismo con quella contro il razzismo.

    Fallstricke im (visuellen) Kampf gegen Antisemitismus di Felix Axster, 10/06/2019.

     

    D. Le migrazioni e le immagini dello straniero

    In questa area tematica segnaliamo in particolare:

    Copertina del catalogo di una mostra sui flussi migratori: “Fuga, Espulsione, Integrazione, Patria” (2005).17. Copertina del catalogo di una mostra sui flussi migratori: “Fuga, Espulsione, Integrazione, Patria” (2005). (Fonte)

    ► 17. Immagini che colpiscono

    Un’analisi del “potere discorsivo” delle immagini nelle mostre a tema sull’emigrazione.

    Gli eventi storici o i diversi aspetti/fenomeni della vita sociale sono spesso rappresentati da poche immagini consolidate che sono passate attraverso un processo di selezione e canonizzazione che è alla base della loro efficacia mediatica.

    Ed è proprio questo processo che l’autore dell’articolo citato vuole approfondire svolgendo una ricerca sulle immagini dell’emigrazione nelle mostre a tema che sono state organizzate in Germania tra il 1974 e il 2013.

    Bilder mit Impact di Tim Wolfgarten, 29/06/2020.

    Richiedenti asilo davanti all'Ufficio immigrazione in Puttkamer Strasse.(18 agosto 1978, Berlino Ovest).18. Richiedenti asilo davanti all'Ufficio immigrazione in Puttkamer Strasse.(18 agosto 1978, Berlino Ovest). (Fonte)

    ► 18. I rifugiati nelle immagini della stampa tedesca

    Le fotografie giocano un ruolo centrale nella comunicazione dei mass media. I fenomeni migratori vengono differenziati attraverso le fotografie pubblicate sui giornali e sulle riviste. Esse comunicano punti di vista etici e legittimano il bisogno di azione.

    Questo progetto di ricerca raccoglie le fotografie per la stampa pubblicate in cinque quotidiani e settimanali nazionali nella Repubblica Federale di Germania («Frankfurter Allgemeine Zeitung», «Stern», «Spiegel», «Süddeutsche Zeitung», «Die Welt» - e in alcuni casi «Zeit» e «Tageszeitung») e utilizzate nei dibattiti sull’emigrazione dagli anni Cinquanta alla metà degli anni Novanta.

    Zur visuellen Produktion von “Flucht” und “Asil” in Pressefotografien der Bundesrepublik di Lisa-Katharina Weimar, progetto di ricerca, 26/09/2017.

    Immigrati italiani nella “Klein Neapel” (Piccola Napoli) a Wolfsburg (ottobre 1962).19. Immigrati italiani nella “Klein Neapel” (Piccola Napoli) a Wolfsburg (ottobre 1962). (Fonte)

    19. Gli italiani, “lavoratori ospiti” nella stampa degli anni ‘60

    Violetta Rudolf ha svolto un interessante ricerca sulle immagini e sulle relative didascalie delle foto di lavoratori immigrati italiani pubblicate dalla stampa locale di Wolfsburg (la citta della Bassa Sassonia sede dell'industria automobilistica Volkswagen) all’inizio degli anni Sessanta del Novecento.

    La ricerca vuole fare emergere dalle immagini tutto quello che non è possibile ottenere dalle fonti scritte e orali, evidenziando l’importante funzione comunicativa delle fotografie sui giornali nell’orientare l’opinione pubblica.

    Auf fotografischen Spuren italienischer „Gastarbeiter“ in der Wolfsburger Tagespresse 1962 di Violetta Rudolf, 23/01/2019.

     

    * Tutte le fonti e gli articoli segnalati nella sitografia erano consultabili in rete alla data del 08/02/2021.

    Parte Seconda: Visual history. L'uso didattico delle fonti iconografiche

  • Quattro modelli di verifica in storia per la quinta. A distanza e in presenza

    di Cesare Grazioli

    1. Copiare o non copiare. Questo è un problema

    Insegnante di scuola superiore catapultato per la prima volta nella didattica a distanza, ho dovuto apprendere in fretta, molto sulla mia pelle e spero il meno possibile su quella dei miei studenti. Gli aspetti negativi sono evidenti a tutti, dalla difficoltà di mantenere i rapporti umani alla grande dilatazione del tempo di lavoro (che sembra essere la norma per tutti coloro che, fuori dalla scuola, fanno smart working da tempo). Ci sono però anche notevoli aspetti positivi: il più interessante è lo stimolo a progettare e a praticare forme di valutazione che evitino il plagio/aiutino/“interferenza esterna”, o comunque si vogliano chiamare le copiature.

    Sembra questo un problema che tocca con intensità diversa le differenti discipline: mi è parso ad esempio quasi paralizzante per Matematica e Inglese, quasi irrilevante per Informatica, ma qui parliamo di Storia e, per quanto mi riguarda, Storia nel Triennio di una scuola superiore (l’I.I.S. “Blaise Pascal” di Reggio Emilia, con indirizzi sia liceali sia tecnici). Ho definito interessante e stimolante questa sfida non certo perché io ami “giocare a guardie e ladri” con i miei studenti. La questione stimolante è che prove di verifica ed esercitazioni “non copiabili”, cioè per le quali non serva andare su internet né sia decisivo potere sbirciare il libro di testo, devono inevitabilmente andare oltre la semplice assimilazione di nozioni e mettere in gioco le capacità di ragionare nelle diverse forme che il sapere storico chiama in causa. In altri termini, devono essere verifiche di competenze.

    A questo proposito, penso che, malgrado il gran parlare – e lo scrivere nelle programmazioni – di competenze e abilità, forse la vera “prova del nove” di un insegnamento/apprendimento per competenze sta nella possibilità di somministrare (per noi) e di svolgere (per i nostri studenti) verifiche “non copiabili”.

    2. La storia è una materia pratica e scritta

    Chiarisco che mi riferisco a valutazioni su prove (individuali o di gruppo) scritte, che nell’esperienza mia e della mia scuola sono largamente prevalenti. So che molti colleghi in altre scuole continuano a privilegiare le interrogazioni orali, o addirittura a considerare la Storia “materia orale”. Non perderò tempo a confutare questo luogo comune “scolastichese”, del tutto infondato sul piano della Storia-disciplina, che viceversa è da sempre attività scritta e pratica nelle sue procedure di ricerca.

    Osservo invece, in modo molto pragmatico, che per fare almeno due o tre interrogazioni orali significative ad ogni studente in un quadrimestre, servirebbe una quantità di tempo scolastico abnorme, tale da dimezzare, o peggio, il già misero tempo d’aula (le due ore settimanali, cioè circa 50 ore nette all’anno, se va bene). Per tacere della abissale differenza di affidabilità e di significatività tra una verifica scritta che, a fine modulo, esplora tutto il percorso svolto, in modo equanime per tutti gli studenti, e un’interrogazione individuale (dopo la quale, tutti lo ricordiamo dai nostri trascorsi come studenti, per uno o due mesi non si apre più il libro!).

    3. Prove di verifica, ma anche esercitazioni

    Riconosco peraltro che la didattica a distanza presenta, anche su questo punto, situazioni nuove e diverse. Molti colleghi sono tornati alle interrogazioni orali perché scoraggiati dall’impossibilità di controllare i propri studenti in verifiche scritte a distanza. Più interessante è il fatto che, con gli orari di lezione a distanza ridotti (di circa 1/3) rispetto al normale quadro orario settimanale, si possono concordare interrogazioni a piccoli gruppi di 3-4 studenti per volta, fuori orario (in “buchi” della mattina, o al pomeriggio): è vero che queste interrogazioni costano a me insegnante 5 o 6 ore extra-orario, ma in compenso avrò un pacco in meno di verifiche scritte da correggere. In queste condizioni, farò anch’io una tornata di interrogazioni orali extra-orario, ma non è di queste che voglio parlare.

    Le verifiche di cui sto parlando hanno anche altre caratteristiche che ritengo molto positive, anzi di gran lunga più importanti del non essere “copiabili” (o di esserlo poco).

    In primo luogo, molte di esse riducono o addirittura azzerano la distanza e/o la differenza tra la fase della verifica e quella dell’apprendimento, tanto che in taluni casi possono essere collocate indifferentemente alla fine del percorso, appunto come verifiche, oppure diventare esse stesse la traccia del percorso di apprendimento per gli studenti, individuale o di gruppo.

    Inoltre si tratta di verifiche di tipologie molto diverse l’una dall’altra, proprio perché si adattano alle diverse competenze sollecitate e alle diverse metodologie di lavoro di volta in volta utilizzate. Al riguardo, penso che sia importante variare le tipologie di verifica, e che sia sbagliato somministrarle sempre della stessa tipologia, come se fosse l’unica possibile: nel caso più tipico, la serie delle tre o quattro domande aperte con 10-12 righe di spazio per le risposte, sulla falsariga della tipologia più seguita della vecchia terza prova d’esame.

    4. Primo modello: immagini e racconti. Storia mondiale dal 1945 ai primi anni settanta

    La prima verifica si è basata su un album di immagini, che già avevo presentato alla classe (in dimensioni maggiori, adatte a una presentazione) come forma di ripasso del modulo. Confesso che l’idea originaria era solo quella di un’esercitazione che servisse agli studenti per ricordare fatti e vicende e nomi di protagonisti, dunque di proporre un’esercitazione di riconoscimento di immagini.

    Poi però l’idea si è sviluppata, perché ho pensato che quelle immagini potessero valorizzare una delle grandi caratteristiche della Storia: il fatto che, come tante tessere di un mosaico, o pezzi di un lego, i singoli tasselli della storia possono essere combinati diversamente, e tali diverse combinazioni danno origine a “storie” diverse. Di fatto, ho chiesto a ciascuno studente di costruire una sua storia, anzi due. L’espediente di farlo partire per la prima storia non da un’immagine a sua scelta, bensì da quella corrispondente al suo numero d’ordine del registro (ad esempio: fare partire dalla immagine n.1 l’ipotetico studente Aldo Abate), ha fatto sì che la classe, composta da 26 studenti, abbia costruito 26 storie diverse. In questo modo era impensabile scambiarsi suggerimenti, perché ognuno doveva produrre un “pezzo unico”.

    Data la novità assoluta delle consegne, per non rischiare che qualcuno ne fosse del tutto disorientato, ho poi fornito un esempio svolto, come si vede qui sotto. Il tempo disponibile era di 2 ore per consegnare su Class-room la prima storia, quella più ampia, con me presente dall’altra parte dello schermo. Ho poi lasciato tempo per completare nel pomeriggio la seconda storia. Se si preferisce evitare questa complicazione e appesantimento del lavoro, si potrebbe anche limitare il compito chiedendo di costruire una sola storia, la prima. Pubblichiamo qui le foto in due versioni: la prima, formato grande e didascalie lunghe, potrà servire al docente per una presentazione; la seconda, in formato piccolo, potrà essere riprodotta e distribuita agli allievi, nel caso si voglia sperimentare questa prova di verifica. Il file pdf che contiene le consegne e un esempio svolto può essere scaricato qui.

    Consegne del primo modello

    Costruisci due storie a partire dalle immagini. La prima storia sarà centrata sui problemi politici del secondo dopoguerra; la seconda tratterà delle questioni economico-sociali e culturali. Segui le regole elencate sotto.

    Prima storia

    • Parti dall’immagine corrispondente al tuo numero d’ordine sul registro e scegli liberamente – in tutto l’album – almeno altre cinque immagini (meglio se di più), che, secondo te, hanno attinenza con la prima.
    • Dunque, se sei il primo nell’elenco prendi l’immagine n.1, se sei il secondo la n. 2 e così via. Nel tuo testo queste immagini saranno contrassegnate dai loro numeri.
    • Tieni presente che non puoi prendere più di tre immagini consecutive.
    • Oltre alle sei immagini dell’elenco, cercane altre due (su google immagini o su altri siti), che siano di soggetti diversi da quelli già scelti (ad es. se hai inserito Kennedy, non puoi inserire un’altra sua foto). Contrassegna queste nuove immagini con le lettere dell’alfabeto (perciò in totale userai almeno otto immagini).
    • Utilizza queste immagini per costruire la tua storia. Ogni volta che ne userai una, la dovrai citare nel tuo testo con il numero o la lettera corrispondenti.

    Seconda storia

    • Scegli cinque immagini, liberamente, a partire dal gruppo di immagini fra la n. 31 e la n. 40.
    • A queste ne puoi aggiungere altre tratte da internet, se lo ritieni opportuno, e contrassegnale anch’esse con le lettere dell’alfabeto.
    • Utilizza queste immagini per costruire la tua storia. Ogni volta che ne userai una, la dovrai citare nel tuo testo con il numero o la lettera corrispondenti.

    Caratteristiche del testo

    • I testi avranno un titolo significativo, dovranno essere corretti e scorrevoli nella forma e corredati dalle immagini scelte, che segnalerai nel testo con il numero o con la lettera dell’alfabeto corrispondenti.
    • I testi saranno in cartelle word, carattere Arial o Calibri, dimensioni 12, giustificato, interlinea singola.
    • Le immagini tratte dall’elenco saranno indicate con numeri o lettere in formato 12, in grassetto (es: 5). Le immagini extra saranno riprodotte al principio del testo. Le altre non devono essere riprodotte, basta citarne il numero). Le indicherai con una lettera in formato 12, in grassetto (es. A).
    • La prima storia sarà di lunghezza compresa tra 1 e 2 cartelle (con i margini che sto usando qui). La seconda potrà essere un po’ più breve.

    Esempio svolto / traccia di correzione

    Titolo: Il cambiamento del clima politico-sociale tra gli anni cinquanta e i sessanta. Immagini utilizzate: 9, 2, 13, 14, 10, 11, A, B, 22, C, 21, 17, 27, 39, 24, 25 (totale: 13 + 3 extra = 16)

    [Questo esempio è un po’ concentrato, perché finalizzato soprattutto a farti capire come devi muoverti; inoltre ha un numero di immagini maggiore di quello che ci si attende che tu utilizzi.]

    Negli anni cinquanta il clima politico, sociale e culturale nelle società avanzate fu molto teso sia a Est che ad Ovest, influenzato dalla durezza dello scontro a tutto campo di quel decennio, il più aspro della guerra fredda. Anche dopo la fine della guerra di Corea (9), che aveva fatto temere una terza guerra mondiale per di più con le nuove armi atomiche, e dopo la morte di Stalin (2) nello stesso anno, le cose cambiarono solo in parte. Nel mondo comunista, il nuovo segretario generale del partito comunista sovietico Nikita Krusciov (13) avviò la destalinizzazione e pose le basi per quello che venne poi definito il “disgelo” con l’Occidente, ma non allentò il clima repressivo nei confronti dei “paesi fratelli”, cioè gli alleati-sudditi dell’Europa orientale. Lo si vide soprattutto nel 1956, quando fu repressa con i carri armati la rivolta esplosa in Ungheria (14), senza che l’Occidente desse alcun segnale di reazione.

    "A. California,1964"/>

    "B. a Washington nel 1964"/>

    C. Una manifestazione studentesca nel ‘68

    Anche a Ovest, peraltro, la guerra fredda alimentò un clima molto teso, sia pure in forme e modi diversi. In particolare negli Stati Uniti, all’inizio del decennio esplose una specie di moderna “caccia alle streghe” che prese il nome di “maccartismo”, dal nome del senatore repubblicano Joseph McCarthey (10): egli lanciò una martellante campagna contro spie comuniste, vere o presunte, creando un’atmosfera di persecuzione soprattutto nel mondo della cultura, dell’arte e del cinema. Le vittime più illustri di quell’atmosfera furono i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg, (11) processati per spionaggio a vantaggio dell’Urss e messi a morte sulla sedia elettrica nell’estate del 1953, nonostante la mobilitazione a loro favore da parte di un ampio movimento dell’opinione pubblica internazionale.

    Negli anni sessanta quel clima politico, sociale e culturale cambiò profondamente, perché emersero nuovi soggetti collettivi che contestarono i valori tradizionali, le gerarchie imperanti, i privilegi di alcuni e la mancanza di diritti di altri. Ciò accadde dapprima negli Stati Uniti, in particolare ad opera di due soggetti: gli studenti, soprattutto in California, nell’università di Berkeley presso San Francisco, ove nacque il movimento detto del “Free speech” (A); e la minoranza afro-americana, ancora soggetta di fatto a un regime di apartheid: famosa fu ad esempio la marcia di Washington del 1964 (B), che reclamò la parità dei diritti, guidata da un leader prestigioso, Martin Luther King (che sarebbe poi stato vittima dell’intolleranza e del razzismo che egli combatteva, nel 1968, quando fu assassinato 22).

    Tra i giovani studenti di quel movimento di contestazione si diffusero ampiamente parole d’ordine, slogan e valori anti-imperialisti e anticapitalisti, largamente influenzati dall’ideologia marxista (C): si contestava apertamente il crescente coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, durante gli anni della presidenza di Johnson (21), e si prendevano come modelli ed eroi alcuni personaggi di orientamento comunista come Che Guevara a Cuba (17) e Ho Chi minh (27), leader del Vietnam del Nord. Ciò accadde sia negli Stati Uniti sia in Europa, ove il momento culminante fu il cosiddetto Maggio francese, all’università della Sorbona a Parigi, ove gli scontri tra giovani e forze dell’ordine assunsero per giorni caratteri di guerriglia urbana (39).

    Anche nei paesi comunisti si diffusero movimenti di contestazione, che però furono repressi con la forza, come accadde nel caso della cosiddetta “Primavera di Praga”, ovvero il tentativo, da parte dello stesso gruppo dirigente del partito comunista cecoslovacco guidato da Alexander Dubcek (24), di creare un “socialismo dal volto umano”, cioè di attuare riforme: ma nell’estate del ’68 a Praga quel tentativo venne stroncato, così come era accaduto a Budapest, in Ungheria, dodici anni prima, dall’intervento delle forze armate del patto di Varsavia. Il leader sovietico Leonid Brezniev (25), promotore della repressione, formulò in quella occasione la teoria della “sovranità limitata” a cui dovevano sottostare i “paesi fratelli”, ovvero gli alleati-sudditi dell’Europa orientale.

    Commento

    Nell’insieme, la verifica ha funzionato piuttosto bene, con un ventaglio di prestazioni comprese tra un 8,5 e due 8 (cioè una verifica molto buona e due buone), nei casi di elaborati originali, ricchi e fluidi nella forma espositiva; e, all’estremo opposto, tre verifiche incerte (5,5) e una gravemente insufficiente (4,5). Questi casi negativi lo sono stati per due o più dei seguenti difetti: trattazioni frettolose e superficiali, con molti errori formali. Inoltre, non hanno riportato fatti o processi storici fondamentali per il percorso scelto. Prive di titolo. Quest’ultimo limite si è rivelato molto penalizzante, in particolare per il primo testo: è emerso chiaramente, infatti, che non si trattava affatto di una semplice dimenticanza e che il non avere deciso il titolo era indizio del problema di fondo, cioè non avere scelto un percorso, una focalizzazione, con la conseguenza che il testo appariva faticoso da seguire e poco efficace. La grande maggioranza delle prove, peraltro, si è distribuita nelle posizioni intermedie: sei casi di sufficiente (6), tre più che sufficienti (6,5), tre discreti (7) e tre abbastanza buoni (7,5).

    5. Secondo modello: argomentazioni e controversie. La Guerra fredda

    Credo che la seguente verifica non abbia bisogno di particolari spiegazioni. Gli argomenti e gli esempi a sostegno delle due tesi da sviluppare sono individuati e selezionati autonomamente dagli studenti, dal momento che l’argomento è trattato diffusamente nel libro di testo. Non si tratta, quindi, di un Debate, come è ormai in uso in molte scuole, e del quale presenterò un esempio di quarta in un prossimo intervento su HL, quanto piuttosto di un esercizio di argomentazione e di ricerca rapida sul testo.

    Consegne del secondo modello

    Sviluppa le due tesi seguenti A e B, portando argomenti ed esempi a loro sostegno, in modo da produrre due distinti saggi storiografici.

    • Nei due testi argomentativi dovrai curare anche l’efficacia comunicativa, che ovviamente comprende gli aspetti linguistico-formali.
    • Potrai consultare, moderatamente, il libro di testo.

    Tesi A

    Quasi subito dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, la guerra fredda precipitò nuovamente l’Europa in una condizione estremamente critica, e ad Est tragica: da Centro del mondo, infatti, il Vecchio Continente si trovò declassato al ruolo di periferia di due imperi (americano e sovietico), sotto l’incubo di una possibile guerra atomica, e l’Europa orientale sotto un regime oppressivo e negatore di ogni libertà politica ed economica.

    Tesi B

    A un'Europa che era da secoli, anzi da un millennio l’area più bellicosa del mondo, e che nel primo Novecento aveva conosciuto i due più sanguinosi e distruttivi conflitti della storia umana e orribili genocidi, la Guerra fredda regalò, sotto l’ombrello ingombrante ma protettivo delle due nuove superpotenze mondiali, l’inizio di un’epoca di pace interna eccezionalmente lunga (che dura tutt’ora); a Ovest essa assicurò anche un trentennio di straordinaria crescita economica, e l’avvio di un processo di unificazione politica che era impensabile fino a pochi anni prima.

    Esempio svolto/traccia di correzione

    Argomenti ed esempi a sostegno della tesi A

    Ad appena due anni dalla fine della seconda guerra mondiale, La Guerra fredda riportò a una situazione di tensione quasi paragonabile a una guerra vera e propria; anzi, forse peggiore, per l’incubo di una possibile guerra atomica provocata dalla corsa al riarmo attuata dalle due superpotenze: una guerra atomica di cui l’Europa sarebbe stata quasi certamente bersaglio e vittima, dato che la principale posta in gioco, tra le due superpotenze, era proprio il controllo o il vero e proprio dominio sull’Europa. Dunque l’Europa, abituata a sentirsi e di fatto ad essere “Centro del mondo”, o comunque ad avere da secoli un ruolo di primissimo piano, per la potenza economica, politico-militare e tecnologico dei suoi Stati più potenti, si trovò ad essere in balia di due nuove super-potenze, che la relegarono in un ruolo secondario e subalterno.

    L’Europa occidentale ebbe sì importanti aiuti economici dagli Usa, con il piano Marshall, ma quegli aiuti servirono soprattutto a legare gli Stati europei agli Usa (legame poi rafforzato con la nascita della Nato), e a condizionarli politicamente, tanto che tutti quei paesi finirono per avere al potere governi conservatori e filo-atlantici, che emarginarono all’opposizione i partiti di diverso orientamento; inoltre, in ultima analisi gli aiuti del Piano Marshall finanziavano in gran parte le aziende americane che producevano quelle merci.

    Molto più gravi, però, furono i condizionamenti subìti dai Paesi dell’Europa orientale, ai quali l’Urss impose il suo modello economico, sociale e politico (comprese le “purghe” staliniane che l’Urss aveva già subìto alla fine degli anni trenta), oltre che il suo dominio militare, e represse con la forza ogni tentativo di ribellarsi o di cercare strade parzialmente diverse: così accadde con il blocco di Berlino nel 1948, e ancora di più con la costruzione del muro nel 1961; accadde con le repressioni in Polonia e in Ungheria, nel 1956, e contro la “Primavera di Praga” in Cecoslovacchia nel 1968.

    Commento

    Nell’insieme, la verifica ha certamente funzionato, ossia è risultata attendibile e significativa. Gran parte degli studenti ha lavorato bene o abbastanza bene. Essi sono entrati nella logica del costruire due testi argomentativi di segno opposto, dato che di fatto la TESI A chiedeva di argomentare ed esemplificare i danni della guerra fredda per l’Europa, mentre la TESI B chiedeva di argomentarne ed esemplificarne i vantaggi, sempre per l’Europa.

    Un errore, o meglio un travisamento delle tesi riscontrato in un certo numero di elaborati, è stato il seguente: parlare solo dell’Europa orientale a proposito della prima tesi, e solo dell’Europa occidentale a proposito della seconda tesi; ovvero, di fatto, sostenere che la guerra fredda ha pesantemente danneggiato i paesi sotto il dominio sovietico mentre si è risolta in una grande vantaggio per l’Europa occidentale. E’ una posizione certamente sostenibile, e diversi storici lo hanno fatto. Però le due tesi che si dovevano sviluppare erano altre, come sopra riassunto e come emerge dalla traccia di correzione.

    Tra i punteggi, ci sono stati cinque 8, tre 7,5 e un 7; c’è stata qualche verifica appena sufficiente (6-), ma solo due sotto quella soglia: una incerta (5,5) e una sola gravemente insufficiente (3), nell’unico caso di alunno che, anziché lavorare in autonomia, è andato a pescare su internet, tra l’altro in modo poco efficace (perché la prova non si prestava a questo) e platealmente maldestro.

    6. Terzo modello: il finto testo personale. Nazismo e fascismo.

    Il motivo che mi spinge a presentare questo esempio e il successivo è che, mi pare evidente, anche in questi casi si tratta di verifiche che costringono a pensare, a mettere in campo competenze diverse, a fare i conti con la complessità e la problematicità della storia. Ho somministrato queste prove in presenza, ma penso che potrebbero tranquillamente essere utilizzate anche nella Dad.

    Consegne. Scrivi otto brevi testi con le caratteristiche qui sotto indicate

    • Sei un intellettuale italiano di orientamento liberale, e nella primavera del 1920 riporti sul tuo diario il tuo scoraggiamento per il clima politico e sociale del Paese.
    • Sei la fidanzata di uno squadrista di Ferrara, e a metà del 1922 racconti in una breve lettera a tuo zio, emigrato in Argentina, la situazione italiana, così come la senti descrivere dal tuo amato.
    • Sei un dirigente socialista e nel 1927 scrivi un telegramma a un tuo compagno di partito esule a Parigi, per aggiornarlo su quanto sta accadendo in Italia.
    • Winston Churchill

    • Sei un giovane tedesco che nel 1935, di ritorno dall’annuale raduno del partito a Norimberga, descrive quel raduno in una lettera alla madre (o alla fidanzata, scegli tu).
    • Sei lo stesso tedesco di cui sopra, che, in condizioni psicologiche completamente diverse, scrive al padre dal fronte russo ove egli si trova, alle porte di Stalingrado, all’inizio di gennaio del 1943.
    • Sei un ebreo polacco e nel 1940 scrivi da Varsavia a un tuo parente emigrato a Brooklyn (New York).
    • Sei Winston Churchill, appena nominato primo ministro nel maggio 1940 e in una chiacchierata informale e privata, con la tua consueta foga, rinfacci ai tuo predecessore Neville Chamberlain, che si è appena dimesso, le gravi conseguenze della linea politica da lui finora seguita.
    • Sei un giornalista americano del New York Times e prepari gli appunti (in forma di scaletta) per un reportage dall’Italia in cui descriverai ai tuoi lettori la complessa situazione politico-militare della penisola nell’estate del 1944.

    Commento

    Ho somministrato questa prova (come anche la prossima) alcuni anni fa, per cui non posso riferirne gli esiti in dettaglio come per le due precedenti. Ricordo le forti differenze tra chi era riuscito a “entrare nella parte”, cioè ad assumere il punto di vista richiesto, e chi non l’aveva fatto, con esiti, in alcuni casi, inverosimili, ma molto utili da essere riesaminati in sede di correzione. Ad esempio (nella seconda situazione proposta) il doversi mettere nei panni della fidanzata di uno squadrista rendeva inverosimile descrivere gli atti di quest’ultimo in modo “neutro” o addirittura critico, presentandoli come “violenze” o “atti criminali”; è infatti più probabile che quella fidanzata avrebbe esaltato i “nobili e generosi atti” dell’amato che contribuiva a “liberare finalmente l’Italia dalla canaglia sovversiva”, e così via.

    7. Quarto modello: due esempi di finte interviste

    A. Un questionario ai nonni sulla Seconda guerra mondiale

    Consegne

    Per incarico del tuo prof. di Storia hai dovuto preparare un questionario per intervistare i tuoi due nonni paterno e materno, uno reggiano e l’altro di origine calabrese. Entrambi avevano la tua età nel 1944, e hai chiesto loro se quell’anno videro o vissero in prima persona le seguenti situazioni. Scrivi accanto a ciascuna delle seguenti situazioni: R, se è stata vista o vissuta dal nonno reggiano; o C, se dal nonno calabrese; oppure E, se da entrambi; o N, se da nessuno dei due.

    • _____ vivere nel continuo pericolo dei bombardamenti degli Alleati.
    • _____ vivere nel pericolo dei bombardamenti tedeschi.
    • _____ arruolarsi nell’esercito regio a fianco delle truppe alleate, cioè anglo-americane .
    • _____ sopportare che il cibo e i beni essenziali fossero razionati col tesseramento.
    • _____ doversi nascondere per evitare di essere forzatamente arruolato nel nuovo esercito della Rsi.
    • _____ rispondere al “bando Graziani” e arruolarsi nell’esercito della Rsi.
    • _____ andare in montagna per unirsi alle formazioni partigiane.
    • _____ diventare un importante esponente del Clnai.
    • _____ operare clandestinamente nei Gap, i gruppi partigiani che facevano sabotaggi nelle città.
    • _____ subire il pericolo dei rastrellamenti e della conseguente deportazione nei lager in Germania.
    • _____ essere tentato di denunciare un conoscente ebreo, per avere la forte ricompensa fissata per legge.
    • _____ dover cercare per la famiglia, alla “borsa nera” (cioè di contrabbando, ad altissimo prezzo), un po’ di cibo in più di quello previsto dal razionamento.

    Commento

    Questo esercizio, brevissimo nell’esecuzione (dato che si tratta solo di scegliere per 12 volte una delle 4 lettere, come in un questionario a scelta multipla), può essere somministrato da solo, in 15-20 minuti, o essere inserito all’interno di una verifica più ampia sulla Seconda guerra mondiale. In entrambi i casi, risulta molto spiazzante per gli studenti. E’ da chiarire che l’esercizio ha senso solo se l’insegnante non ha già presentato a lezione queste situazioni, in modo che gli studenti siano costretti a ragionare su quante difficili scelte ci si potesse trovare a dovere compiere, in quel 1944, e quanto pesasse il trovarsi da una parte o dall’altra della Linea Gotica, in una situazione estrema come quella del nostro Paese in quel periodo storico.

    Anche se i risultati del questionario sono stati molto scarsi (come in questo caso è accaduto, per molti studenti, nei diversi anni in cui ho somministrato l’esercizio), qui non è importante il punteggio conseguito, bensì il fatto che, proprio per essersi dovuti scervellare per scegliere la lettera giusta, e spesso avendola sbagliata, poi in sede di correzione si è capito in quale complessa situazione i propri nonni-coetanei si erano trovati nel 1944. E’ il tipico caso in cui la valutazione ha comunque un prevalente valore formativo, e diventa anzi una potentissima occasione di apprendimento.

    B. Scrivere una finta intervista. Dal secondo dopoguerra ai primi anni novanta

    • Sei un esperto di storia orale e intervisti i seguenti personaggi (due immaginari, uno reale), per ricostruire la storia dell’età repubblicana attraverso testimonianze orali.
    • Fa attenzione: non chiedi loro di raccontare la propria biografia. Chiedi di raccontare.
    • la storia italiana dal loro punto di vista, cioè selezionando ciò che essi hanno vissuto come importante.
    • Scrivi la testimonianza sotto le rispettive biografie.

    Salvatore P. Nato nel 1935 a Palermo, orfano del padre (ucciso a Portella della Ginestra l’1.5.47), nel 1955 emigrò a Torino e poco dopo entrò a lavorare alla Fiat Lingotto; nel 1972 diventò membro del consiglio di fabbrica, come delegato del suo reparto (verniciatura); nel 1976 passò a fare il funzionario della Fiom (la categoria dei metalmeccanici della Cgil), incarico che ricopre quando viene intervistato, nel 1982, a 47 anni …

    … … spazio di 12-14 righe.

    Gianni A(gnelli) Nato nel 1921 a Torino, nipote del fondatore della Fiat, alla morte del nonno nel 1945 (e per la morte prematura del padre, Edoardo), vide condurre l’azienda di famiglia dal manager Vittorio Valletta, per un ventennio: in quegli anni, oltre a fare la “dolce vita”, fece esperienza dirigenziale come presidente della Juventus, fino a quando, nel 1966, assunse la presidenza della Fiat. Negli anni ’70 fu anche presidente della Confindustria. Dalla fine degli anni ’70 affidò la gestione diretta della Fiat al manager Cesare Romiti. Viene intervistato nel 1982, a 60 anni …

    … … spazio di 12-14 righe.

    Luisa B. Nata nel 1946 in Brianza, dopo il liceo si trasferì a Milano, dove frequentò l’Università statale, partecipando ai primi gruppi femministi e poi al movimento del ’68. Dopo la laurea in architettura nel ’71, visse per alcuni di anni in una Comune con altre donne, e fece lavori vari. Nel 1976 entrò in uno studio di design. Nel 1979 si mise in proprio, aprendo uno studio di design e arredamento, e negli anni successivi divenne una “donna in carriera”, con un’azienda che occupa alcuni dipendenti. Viene intervistata nel 1993, a 47 anni …

    … … spazio di 12-14 righe.

    Esempio/traccia di correzione

    Salvatore P. Nato nel 1935 a Palermo, …

    È verosimile che lui ricordi:

    • Le dure condizioni di vita nel Sud, sia economiche politiche per la repressione sulle lotte contadine, e per la presenza della mafia (vedi l’eccidio di Portella della Ginestra), e il fatto che la svolta della riforma agraria pose fine alle lotte ma non migliorò molto le condizioni di vita dei contadini del Sud, tanto che molti dovettero emigrare a Torino.
    • Il trauma iniziale, per le condizioni di lavoro nella grande fabbrica, e anche di vita, nella città del nord, per molti immigrati.
    • Il graduale inserimento degli immigrati nel nuovo clima di combattività operaia negli anni ’60, tra compagni in gran parte anch’essi giovani immigrati, dai fatti di Piazza Statuto.
    • Le nuove forme di lotta, dall’autunno caldo del ‘69, con le quali fu ottenuto un importante contratto di categoria, poi lo Statuto dei lavoratori; e i nuovi organismi, i consigli di fabbrica, che rappresentavano soprattutto gli operai di linea (non qualificati), come lui.
    • Il suo coinvolgimento a livello sindacale, in una fase in cui c’era una forte coscienza sociale e politica tra gli operai.
    • Le rivendicazioni nel segno dell’egualitarismo, entro cui ci fu l’importante conquista della riforma della scala mobile, che venne unificata per operai e impiegati di tutte le categorie (1975).
    • La tensione prodotta, anche nelle fabbriche, dal terrorismo, che il sindacato cercò di isolare.
    • La delusione per il mancato “sorpasso” elettorale nel ’76 del Pci rispetto alla Dc, e forse anche la delusione per i pochi risultati dei successivi governi di solidarietà nazionale.
    • Per il periodo più recente, il senso di sconfitta e di arretramento del movimento sindacale, dopo la vertenza dell’autunno dell’80, conclusasi dopo la marcia dei quadri a favore della Fiat.

    Gianni A(gnelli) Nato nel 1921 a Torino, …

    È verosimile che lui ricordi:

    • Gli anni della grande crescita della Fiat, condotta da Valletta, con i nuovi modelli, la 600 e poi la 500, utilitarie adatte a un mercato di massa per l’Italia.
    • Gli anni favorevoli del boom economico, con l’ottimismo, l’atmosfera esuberante di quegli anni, per lui e la sua cerchia, ma anche per gran parte della società, anche nella vita privata.
    • Le difficoltà crescenti dalla seconda metà dei sessanta ai settanta, sia per l’estremismo delle lotte operaie, sia per l’inazione dei governi, poco efficaci nel contenere l’inflazione, dai ‘70.
    • Le difficoltà strutturali dell’economia italiana, a causa del rialzo del prezzo del petrolio.
    • La moderazione dei vertici sindacali, che avevano consentito di siglare l’accordo sull’unificazione della scala mobile nel ‘75, quando egli era presidente della Confindustria (e che, visto retrospettivamente, egli considera forse un errore, perché quell’accordo doveva combattere l’inflazione, ma al contrario la alimentò).
    • L’eccessivo potere conquistato sui posti di lavoro dalle frange operaie più estremiste, cosa che aveva dato spazio al terrorismo.
    • La conflittualità esasperata che aveva messo in difficoltà le aziende, specie le maggiori e più sindacalizzate, come la sua, mentre l’inflazione continuava a crescere.
    • L’energica iniziativa del gruppo dirigente della Fiat, con a capo Romiti, che con una dura vertenza ha ridimensionato il sindacato e attuato una ristrutturazione che ha ridato competitività all’azienda.
    • La perdurante preoccupazione per le frange terroristiche, e per i conti pubblici dello Stato, anche se la situazione economica generale gli appare ora migliorata.

    Luisa B.

    Nata nel 1946 in Brianza…

    È verosimile che lei ricordi:

    • gli anni all’università, allora ancora frequentata da pochi studenti, e tra questi pochissime le ragazze, come lei, proveniente dalla provincia ancora tradizionalista.
    • per lei, proveniente dalla provincia molto tradizionalista, l’enorme differenza con la cultura giovanile urbana in cui si trovò catapultata, con le nuove mode, dalla minigonna alla musica leggera.
    • la politicizzazione nel movimento studentesco, con le occupazioni e le lotte nel Sessantotto.
    • il trauma delle bombe fasciste a Piazza Fontana alla fine del ’69, primo episodio della “strategia della tensione”.
    • l’emergere di una nuova coscienza femminile e femminista, con le lotte che portarono a molti cambiamenti nel costume, come la grande battaglia ai tempo del referendum sul divorzio, nel 1974, la legge sul nuovo diritto di famiglia, a metà dei 70, e l’altra battaglia importante, qualche anno dopo, del referendum a difesa della legge sull’aborto.
    • che nella seconda metà dei ’70 quel clima di lotte si era in gran parte spento, e al contempo era degenerato negli anni di piombo, che pesarono negativamente, e coinvolsero nella “lotta armata” anche alcune sue ex compagne di tante lotte studentesche e femministe.
    • che negli anni ’80 si è aperta una fase più favorevole all’iniziativa individuale, alla possibilità di fare carriera anche per le donne che hanno saputo valorizzare sia il proprio ruolo, sia le opportunità di nuovi settori lavorativi, nei servizi, e in aree non legate al tradizionale sistema della fabbrica fordista, anche grazie alle nuove tecnologie informatiche.
    • che in quegli stessi anni ’80 il nuovo Psi di Craxi sembrava in grado di modernizzare la vita politica italiana, superando l’immobilismo dei due maggiori partiti, Dc e Pci… … mentre ora, nel 1993, è delusa e scandalizzata per il sistema di corruzione che è emerso con le indagini del pool di Mani pulite, e preoccupata per il futuro dell’economia.

    Commento

  • Come nel caso delle precedenti interviste sulla Seconda guerra mondiale, anche queste tre “finte interviste” sulla storia del secondo dopoguerra le ho somministrate alcuni anni fa. Per quanto mi ricordi, i risultati erano stati molto diversi tra gli studenti, ovvero si erano rivelate altamente discriminanti.
  • Alcuni esiti erano stati davvero brillanti, ma molti avevano incontrato due tipi di difficoltà di segno opposto, che qui cerco di riassumere. Da una parte, la difficoltà di “assumere un punto di vista” cioè di selezionare gli aspetti della storia che è plausibile immaginare siano stati più rilevanti e significativi (cioè si siano depositati nella memoria) di soggetti sociali diversi come i tre proposti. Chi non c’è riuscito, ha ovviamente scritto storie ben poco diverse, o non ha saputo “ricordare”, ad esempio, le lotte alla Fiat Mirafiori nei modi opposti che dovrebbero emergere dai racconti del lavoratore immigrato e del proprietario dell’azienda.
  • Dall’altra parte, alcuni studenti si erano troppo “schiacciati” nella dimensione biografica, finendo per “ampliare” il profilo biografico già dato per ciascuno dei tre soggetti, e dunque avevano parlato di “se stessi”, non della storia d’Italia vista dalla propria prospettiva sociale.

    Possibili rimedi per evitare questi opposti rischi, o per limitarli, potrebbero essere i seguenti: fornire una delle tre storie come “esempio già svolto”; oppure, forse ancora meglio, assegnarne una delle tre come prova formativa, domestica, poi correggerla e, sulla base di questa correzione, assegnare in aula lo svolgimento delle altre due.

  • Visual history. L'uso didattico delle fonti iconografiche. Sitografia.

    di Antonio Prampolini

    Prefazione
    Immagini e didattica della storia
    (Antonio Brusa)

    Le immagini da sempre fanno parte, o dovrebbero far parte, del corredo dell’insegnante. Almeno dai tempi lontanissimi di Niccolò Cusano. Da molto meno tempo sono entrate nell’armamentario dell’insegnante di storia, con l’eccezione degli insegnanti della primaria. Infatti, le immagini sono state a lungo considerate un sussidio necessario per i bambini, quando si pensavano incapaci di studiare argomenti lontani nel tempo e nello spazio, e per questo bisognosi di un sussidio visivo.

    Le immagini entrano nei manuali molto tardi, intorno agli anni ’70 del secolo scorso. Pian piano, invadono prima quelli delle medie e poi quelli delle secondarie superiori. Resta ancora ben chiusa la cittadella dei manuali per l’università, tetragoni a qualsiasi intromissione in un ambiente che è considerato esclusivo della parola scritta.

    Furono richieste dai docenti? No. Furono gli editori che scoprirono che i documenti potevano animare la pagina del testo e così, mentre i manuali antichi recavano appena il busto di qualche personaggio famoso e qualche monumento, a partire dagli anni ’60 (dopo la famosa riforma della media) miniature, templi classici, stampe del Settecento e foto contemporanee diventarono, e lo sono ancora, il mezzo per vivacizzare una materia considerata da molti piuttosto grigia. Ma appunto: fonti usate come illustrazioni. Cioè usate al grado più basso della comunicazione, come supporto e rinforzo emotivo del testo. Non come materiale sul quale lavorare per ricavare informazioni nuove, rispetto al testo. Utilizzate, dunque, banalmente: basterebbe solo questo per giustificare il fatto che di solito non vengono usate, quando si spiega e si fa studiare il manuale.

    Tuttavia, i mezzi – la Lim in particolare – e la didattica a distanza hanno invitato molti a inserire immagini nelle loro lezioni; e, a volte, vengono dati compiti che le richiedono, come produrre un ppt su un determinato argomento. Quindi, anche da questo versante, le immagini entrano nella scuola.

    Ma come vengono usate? Come illustrazioni o come fonti?

    E qui si apre il secondo problema (dopo quello dei manuali). Per usarle come fonti occorre essere ben preparati. Perché le immagini sono le fonti più ingannevoli. Sono facili da leggere molti pensano. Tutti le capiscono si dice (e si aggiunge che nel Medioevo erano la Bibbia dei poveri, dimenticando che c’era sempre un prete che le spiegava). Non è così. Le immagini ti ingannano perché in una prima lettura ti dicono, certo, qualcosa: ma poi, per comprendere che cosa effettivamente ti hanno detto, devi saperle interrogare, confrontare con altre fonti, soprattutto collegarle ad altre informazioni. Altrimenti sarai subalterno di interpretazioni altrui, com’è destino di moltissimi consumatori di immagini, veicolate da vecchi e nuovi media.

    Ma, domanda che i lettori di HL conoscono a memoria: dove i docenti possono apprendere a usare in classe le immagini come fonti storiche? Un’inchiesta di pochi anni fa, svolta presso 402 insegnanti di storia contemporanea delle nostre Università, ha mostrato che, sì, molti sono convinti che le immagini siano importanti. Ma pochi ne fanno uso nelle loro lezioni, anzi, c’è qualcuno che afferma con franchezza che sono una perdita di tempo (V. Cappi, A. Mignini, Vedere, sentire e ascoltare. L’uso dell’audiovisivo nella didattica della storia contemporanea, in “Studi culturali, 12, 2, 2015, pp. 197-215). Questo fa specie, per una comunità di studio come quella italiana, che vanta esperienze e studiosi notevoli, da un precursore quale Emilio Sereni, fino a Giovanni De Luna, a Alfonso Mignemi e a tanti altri (ne fa una bella rassegna Matteo Stefanoni, Fotografia e storia, in «Officina della storia», 30 marzo 2013). Per non parlare di «Visual History», la pregevole rivista storica, attenta anche alla didattica, diretta da Costanza D’Elia.

    Dunque, occorre rimboccarsi le maniche (operazione anche questa conosciutissima dai lettori di HL) e fare da soli. Noi di Historia Ludens stiamo raccogliendo materiali per questi docenti, e per invogliare tutti coloro che non usano ancora le immagini come fonte storica a prendere coraggio e buttarsi nella mischia.

    Antonio Prampolini ha lavorato a una sitografia internazionale, della quale è uscita la prima parte (Sitografia delle fonti e dei temi di indagine), mentre ora pubblichiamo questa, riservata specialmente alla didattica. Come sempre: non spaventatevi della lingua. Google traduttore il suo mestiere comincia a farlo in modo accettabile, almeno per capire i testi.

    ***

    Indice

    1. Metodologia storiografica e didattica

    2. Tipologie documentarie (fotografie, audiovisivi, incisioni, mappe, vignette, fumetti)

    3. Le epoche, gli eventi e i luoghi della storia

    (Alcuni articoli/siti sono stati segnalati sia nella seconda che nella terza sezione della sitografia. Tutti gli articoli e i siti elencati nella sitografia erano consultabili in rete alla data del 10/03/2021.)

    ••• Cliccare sulle immagini per ingrandirle.

    1. Metodologia storiografica e didattica

     
    La “Defenestrazione di Praga01. La “Defenestrazione di Praga”, 23 maggio 1618. (incisione di Matthäus Merian il vecchio, 1593-1650). (Fonte)

    ► 01. Immagini come fonti storiche

    (Bilder als historische Quellen) di Michael Sauer, 28/12/2005. Articolo pubblicato sul sito della Bundeszentrale fűr politische Bildung (BpB), l’Agenzia federale tedesca per l’educazione civica, nella sezione dedicata alla Visual History.

    In quanto fonti storiche le immagini sono state a lungo trascurate. E questo ingiustamente, perché sono portatrici di un ricco patrimonio di conoscenze.

    Michael Sauer s’interroga per quali argomenti le immagini siano particolarmente adatte e quali siano i problemi metodologici che nascono quando si ha a che fare con il loro utilizzo storiografico.

    “Georg Gisze”, un mercante tedesco a Londra02. “Georg Gisze”, un mercante tedesco a Londra, dipinto da Hans Holbein il Giovane (1532). (Fonte)

    ► 02. Le fonti delle immagini nell’insegnamento della storia

    (Bildquellen im Geschichtsunterricht). Diapositive sul tema di Michael Reschke, seminario di studio, Neuss (Renania Settentrionale-Vestfalia), 17/11/2008.

    Prima guerra mondiale: soldati francesi in trincea prima dell’assalto03. Prima guerra mondiale: soldati francesi in trincea prima dell’assalto. (Fonte)

    ► 03. Il ruolo dell’immagine nella lezione di storia

    (La place de l’image dans la leçon d’histoire) di Guillaume Zicola, tesi di ricerca, 15 giugno 2011.

    Zicola, dopo avere constatato che l’uso delle immagini nell’insegnamento della storia è cresciuto notevolmente negli ultimi trent’anni, illustra un progetto pedagogico su questo tema.

    Indice: Le statut de l’image pour l’historien, une place croissante depuis 30 ans; L’image, représentation d’une réalité ou représentation de la réalité; Forger une culture de l’image, un réel projet pédagogique; Bilan général des pratiques scolaires.

    Visual History und Geschichtsdidaktik. Bildkompetenz in der historisch-politischen Bildung04. “Visual History und Geschichtsdidaktik. Bildkompetenz in der historisch-politischen Bildung” di Christoph Hamann, Herbolzheim, 2007. (Fonte)

    ► 04. Storia contemporanea, storia visiva e apprendimento storico

    (Zeitgeschichte, Visual History und historisches Lernen) di Christoph Hamann in «Lernen aus der Geschichte», 24 gennaio 2012.

    Facendo propria la riflessione di Gerhard Paul: «l'appropriazione storico-culturale del passato è essenzialmente una storia visiva», Hamann analizza il ruolo e l’influenza dei media nella percezione e nell’interpretazione della storia.

    Christoph Hamann ha pubblicato nel 2007 uno studio sui rapporti tra la Visual History e la didattica della storia (Visual History und Geschichtsdidaktik. Bildkompetenz in der historisch-politischen Bildung).

    Copertina della rivista «Social Studies - Research and Practice»05. Copertina della rivista «Social Studies - Research and Practice». (Fonte)

    ► 05. Guardando al passato: usare l'arte come prova storica nell'insegnamento della storia

    (Past Looking: Using Arts as Historical Evidence in Teaching History) di Yonghee Suh, in «Social Studies Research and Practice», Vol. 8, N. 1, 2013.

    Case study comparativo di come tre insegnanti di storia delle scuole superiori negli Stati Uniti usano le arti (pittura, scultura, fotografia, cinema) nello svolgimento della loro attività didattica.

    Le immagini artistiche vengono utilizzate come prove storiche per tre scopi: primo, insegnare lo spirito di un'epoca; secondo, insegnare la storia della gente comune, invisibile nei documenti ufficiali; terzo, insegnare il processo di scrittura della storia.

    La rivoluzione digitale e la storia del futuro06. La rivoluzione digitale e la storia del futuro. (Fonte)

    ► 06. Immagini per insegnare, immagini per apprendere
    di Andrea Torrente, in «Educazione&Scuola», 08/10/2013.

    La “rivoluzione digitale” ha influito sull’utilizzazione delle immagini nel mondo della scuola cambiando: «il loro posto nelle lezioni, le competenze che ogni alunno deve acquisire, le precauzioni tecniche e documentaristiche ed, infine, le immancabili conseguenze pedagogiche».
    Immagine tratta dal sussidiario “Poster”, classe IV (2009), Giunti Scuola07. Immagine tratta dal sussidiario “Poster”, classe IV (2009), Giunti Scuola. (Fonte)

    ► 07. Le immagini nei libri di storia per la scuola primaria
    di Maila Pentucci, in «Form@re, Open Journal per la formazione in rete», Numero, 2.

    Per rispondere alle modalità di apprendimento simultanee dei “nativi digitali”, i manuali di storia sono sempre più ricchi di elementi iconografici. Elementi che richiedono una didattica specializzata per la loro decodifica ed interpretazione. Maila Pentucci analizza alcuni manuali di storia della scuola primaria al fine di comprendere come le immagini possano essere «portatrici di sapere o invece ingenerare stereotipi e misconoscenze negli alunni».

    Logo del sito web di CLEMI - Le centre pour l’éducation aux médias et à l’information08. Logo del sito web di CLEMI - Le centre pour l’éducation aux médias et à l’information». (Fonte)

    ► 08. Storie di immagini... o immagini che cambiano la storia

    (Histoires d'images... ou les images qui changent l'Histoire) di Isabelle Dumez-Feroc, sul sito CLEMI, 2016

    «Quando le immagini sono tracce tangibili di una realtà, possono comunque essere fonti di informazioni affidabili? Quali immagini potrebbero essere utilizzate da alcuni al servizio di messaggi di propaganda? Dove finisce l'informazione e dove inizia la manipolazione della comunicazione?».

    Queste sono le domande di fondo che Dumez-Feroc si pone nell’analizzare alcune fotografie iconiche che hanno ritratto la morte e la sofferenza di bambini e che hanno catturato l’opinione pubblica mondiale negli ultimi cinquantanni.

    Prima guerra mondiale: una fabbrica di armi09. Prima guerra mondiale: una fabbrica di armi. (Fonte)

    ► 09. La comunicazione visiva in tre manuali di storia
    di Ubaldo Nicola, in «La ricerca», n.10, 04/08/2016.

    Quali sono i valori suggeriti ai lettori dalle immagini nei libri di testo sulla storia del Novecento?

    Ubaldo Nicola indaga i contenuti della comunicazione visiva in tre manuali di storia per le scuole medie inferiori, rispondendo a domane del tipo: «Quali valori sociali e culturali veicola? Qual è il livello di riflessione concettuale che l’accompagna? Si riscontrano casi di un suo uso mistificante?».

    Barbottina legge nella sua barbacasa (serie televisiva di cartoni animati “Barbapapà”)10. Barbottina legge nella sua barbacasa (serie televisiva di cartoni animati “Barbapapà”). (Fonte)

    ► 10. L’immagine, l’evento e la didattica della storia
    di Vanessa Roghi, in Novecento.org, n. 7, febbraio 2017.

    L’autrice analizza l’influenza della TV nella costruzione dell’immaginario storico degli studenti. Riflette sulle rappresentazioni del passato derivanti dalle immagini contemporanee della storia. Propone infine alcuni percorsi didattici basati sull’utilizzo di archivi audiovisivi online dedicati alla storia delle donne.

    “Serment du Jeu de Paume” (Giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789) quadro di JacquesLouis David (1748-1825)11. “Serment du Jeu de Paume” (Giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789) quadro di JacquesLouis David (1748-1825). (Fonte)

    ► 11. L’immagine e le pratiche didattiche nell’insegnamento della storia

    (L’image et les pratiques d’enseignement en historire en classe de seconde en France) di Alexis Jaoul, in «Revue de recherches en littératie médiatique multimodale», Volume 7, maggio 2018.

    Laurent Gervereau ha proposto una griglia di lettura multidisciplinare delle immagini della storia per agevolarne l’interpretazione critica da parte degli studenti (Voir, comprendre, analyser les images, Paris, 2004).

    Alexis Jaoul applica la griglia di Gervereau all’analisi del capitolo Rivoluzioni, Libertà, Nazioni all’alba dell’età contemporanea (1770-1850), pubblicato nel sito <edubase> (Édubasehistoire-géographie).

    Le Umanistiche Live SS1 – Rizzoli Education12. Le Umanistiche Live SS1 – Rizzoli Education. (Fonte)

    ► 12. Fare storia con le immagini. Un esempio di lezione inclusiva
    di Davide Apolloni e Nicoletta Manfrin, Rizzoli Education, 06/10/2020.

    Una proposta per la scuola secondaria di primo grado (audiovideo + slide) che vuole offrire possibilità di apprendimento della storia anche a studenti con DSA o a chi ha difficoltà ad avvicinarsi alla pagina scritta.

    Kameramänner vor dem Schloss, Berlino, 190713. Kameramänner vor dem Schloss, Berlino, 1907. (Fonte)

    ► 13. Analizzare le fonti delle immagini

    (Bildquellen untersuchen), SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011 – 2021).

    Le fonti iconografiche devono essere valutate in modo critico come le fonti testuali. Ogni immagine è stata creata da un disegnatore, artista o fotografo con uno scopo specifico e ci mostra solo una parte del passato e da una certa prospettiva.

    Il sito offre alcuni moduli per l’analisi di diverse fonti iconografiche.

    Divisione della Bretagna in cinque dipartimenti (1790)14. Divisione della Bretagna in cinque dipartimenti (1790). (Fonte)

    ► 14. La storia attraverso le immagini

    (L'Histoire par l'image): sito web che esplora gli eventi della storia francese del periodo 1643-1945 utilizzando dipinti, disegni, incisioni, sculture, fotografie, manifesti, documenti d'archivio (attualmente, sono disponibili online 2812 opere,1551 studi e 118 animazioni).

    Le opere d’arte, qualunque sia la loro natura (pittura, scultura, fotografia, disegno, incisione, ecc.), sono troppo spesso utilizzate come semplici illustrazioni quando invece meritano di essere analizzate al di là della breve didascalia che le accompagna. Esse ci rivelano molto spesso ciò che anima la società di un tempo, le sue motivazioni, i suoi costumi, le sue paure o le sue infatuazioni.

    Astrolabio del sultano al-Ashraf 1291 d.C.15. Astrolabio del sultano al-Ashraf 1291 d.C. (Fonte)

    ► 15. Insegnamento dell'alfabetizzazione visiva

    (Teaching Visual Literacy): sezione del sito web della American Historical Association – AHA - che propone agli studenti sia esercizi introduttivi sull’utilizzo delle fonti iconografiche in generale che esercizi specifici sull’arte islamica e su quella europea del Medioevo (Islamic Pictures e European Pictures).

    “Emigrants Crossing the Plains” olio su tela di Albert Bierstadt, 186716. “Emigrants Crossing the Plains” olio su tela di Albert Bierstadt, 1867. (Fonte)

    ► 16. Immaginare la storia degli Stati Uniti

    (Picturing United States History): sito web del progetto digitale nato dalla collaborazione tra l'American Social History Project e il Center for Media and Learning presso la City University di New York Graduate Center. Il sito fornisce saggi online, conferenze e lezioni riflessive in aula per aiutare gli insegnanti a utilizzare le fonti visive sulla storia degli Stati Uniti nelle loro classi.

     

    [Vai all'Indice]

     

    2. Tipologie documentarie (fotografie, audiovisivi, incisioni, mappe, vignette, fumetti)

     
     La foto Nick Uts dell'8 giugno 1972 come appariva il giorno successivo sulla prima pagina del “New York Times” 17. La foto Nick Uts dell'8 giugno 1972 come appariva il giorno successivo sulla prima pagina del “New York Times”. (Fonte)

    ► 17. La storia dietro ad una foto. Autenticità, iconizzazione e sovrascrittura di un'immagine della guerra del Vietnam

    (Die Geschichte hinter dem Foto. Authentizität, Ikonisierung und Überschreibung eines Bildes aus dem Vietnamkrieg) di Gerhard Paul, in «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History», edizione online, n. 2, 2005.

    «Le immagini non riflettono solo la storia. Piuttosto, sono in grado di modellarla come un atto pittorico. Sono testimonianza e giudizio allo stesso tempo».

    Ciò è particolarmente vero per la fotografia della bambina Kim Phúc, che, proposta e intesa come “documento autentico” della guerra del Vietnam, è stata riprodotta milioni di volte ed è così diventata un'icona. Come tale, ha condotto una vita propria nella memoria collettiva e ha generato una propria realtà che ha poco in comune con quella originariamente raffigurata.

    Paul indaga minuziosamente questa immagine iconica utilizzata negli anni per un'ampia varietà di scopi politici, commerciali e religiosi, in diversi contesti.

     Ingresso al campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz. 18. Ingresso al campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz. (Fonte)

    ► 18. Camminando nel passato: usare le immagini per viaggiare nel tempo

    (Stepping into the past: use images to travel through time) di Caille Sugarman-Banaszak, in «Teaching History», 29/04/2008. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Per preparare un viaggio di studio in Polonia e ad Auschwitz, l’autore ha proposto ai suoi alunni una serie di foto dei luoghi da visitare risalenti agli anni dal 1920 alla Seconda guerra mondiale. Le stesse foto sono state poi riutilizzate nel corso del viaggio per orientarsi, ritrovare quegli stessi luoghi e fotografarli.

    Una volta ritornati a scuola, è stato fatto un ulteriore confronto tra le immagini di ieri e quelle di oggi. Permettendo così agli studenti di scoprire e comprendere la “memoria del passato” di cui i luoghi sono portatori.

    Scene di vita ebraica in Europa tra il 1939 e il 194519. Scene di vita ebraica in Europa tra il 1939 e il 1945. (Fonte)

    ► 19. Utilizzo di foto di famiglia per portare alla luce la diversità dei mondi ebraici

    (Using family photos to bring the diversity of Jewish lives to life) di Morgan Baynham, in «Teaching History», 21/03/2011. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Baynham utilizza gli album di famiglia per mostrare ai propri studenti (Year 9) i diversi quadri di vita degli ebrei, prima, durante e dopo la Shoah, nelle differenti nazioni, scardinando così i luoghi comuni nella rappresentazione del mondo ebraico fatti propri e diffusi dal regime nazista.

    Abitazioni degli operai americani impiegati nell’industria del cottone (1913, Floyd Cotton Mill. Rome, Georgia)20. Abitazioni degli operai americani impiegati nell’industria del cottone (1913, Floyd Cotton Mill. Rome, Georgia). (Fonte)

    ► 20. Guardare al passato per aiutare il presente: il ruolo delle foto storiche nelle classi di storia medie e secondarie

    (Looking at the past for help in the present: The role of historical photos in middle and secondary history classes) di Jearl Nix e Chara H. Bohan, Georgia State University (USA), 2014.

    Una guida di come i docenti possono introdurre le foto storiche nelle loro lezioni di storia insegnando agli studenti a leggere criticamente le immagini.

    Copertina della rivista  «Contemporary Issues in Technology and Teacher Education»21. Copertina della rivista «Contemporary Issues in Technology and Teacher Education». Rome, Georgia). (Fonte)

    ► 21. Cosa vede l’occhio? Interpretazione di fonti fotografiche primarie online di storia

    (What Does the Eye See? Reading Online Primary Source Photographs in History) di Stephane Lévesque, Nicholas Ng-A-Fook, Julie Corrigan, in «Contemporary Issues in Technology and Teacher Education», Vol. 14(2), 2014.

    Uno studio esplorativo di come un campione di insegnanti canadesi interpreta le immagini di storia nello svolgimento dell’attività didattica in ambito scolastico.

    Execution of Nguyen Van Lem (Eddie Adams, 01/02/1968)22. Execution of Nguyen Van Lem (Eddie Adams, 01/02/1968). (Fonte)

    ► 22. The Saigon Execution: “La foto che fece perdere la guerra”

    Antonio Brusa Prima Parte - Laboratorio su una foto iconica: lettura e contestualizzazione, in «Historia Ludens», 19/06/2020;

    Antonio Brusa Parte Seconda - Laboratorio su una foto iconica: il rapporto col presente. Con un'appendice interdisciplinare di filosofia e storia dell'arte, in «Historia Ludens», 26/06/2020.

    Fra le cause della sconfitta degli Stati Uniti nella Guerra del Vietnam si citano spesso i media e, in particolare, alcune foto iconiche che avevano mostrato, con una diffusione su scala mondiale, la brutalità di quel conflitto.

    Brusa propone agli insegnanti e agli studenti dei corsi di storia un’analisi di quelle immagini fotografiche attraverso un percorso laboratoriale composto da quattro fasi: Prima fase: lettura della fonte; Seconda fase: Lettura critica e contestualizzazione della fonte; Terza fase: dalle icone ai selfie; Quarta fase: “The American Tragedy”, fra storia e archeologia dei sentimenti.

    Prima guerra mondiale: soldati canadesi nelle trincee sul fronte franco-tedesco23. Prima guerra mondiale: soldati canadesi nelle trincee sul fronte franco-tedesco. (Fonte)

    ► 23. Fotografie come fonti di storia: lesson plan per un’analisi delle foto

    (Photographs as History: Photo Analysis Lesson Plan), Canadian War Museum.

    Il lesson plan prevede la scelta da parte degli studenti di una fotografia della Prima guerra mondiale nell’ambito delle collezioni del museo e la sua successiva analisi.

    A conclusione della lezione, agli studenti viene chiesto di riflettere sul ruolo che in generale le fotografie possono svolgere nello studio della storia.

    Prima guerra mondiale: cartolina postale americana dal fronte franco-tedesco24. Prima guerra mondiale: cartolina postale americana dal fronte franco-tedesco. (Fonte)

    ► 24. Lesson plans al museo

    (Museum lesson plans), The National WWI Museum and Memorial, Kansas City (USA).

    Lesson plans e altre risorse didattiche online create dal museo sulla base delle immagini fotografiche conservate nelle proprie collezioni e relative alla Prima guerra mondiale.

    Seconda guerra mondiale: una linea del tempo visiva25. Seconda guerra mondiale: una linea del tempo visiva. (Fonte)

    ► 25. Immaginando la guerra in Europa. Una linea del tempo visiva

    (Picturing the War in Europe.A Visual Time Line), National Archives and Records Administration, Maryland (USA).

    Le time lines sono uno strumento utile per comprendere gli eventi storici complessi. Nella proposta dei National Archives gli studenti sono invitati ad associare ad una cronologia della Seconda guerra mondiale fotografie dotate di una valenza iconica riferita ai singoli eventi.

    Logo dell’Archivio Luce26. Logo dell’Archivio Luce. (Fonte)

    ► 26. Luce per la didattica: sito dell’Istituto Nazionale Luce con le offerte per le scuole

    È un progetto dell’Archivio Luce ideato e realizzato nel 2015 da Patrizia Cacciani e Letizia Cortini per diffondere nelle scuole l’educazione al linguaggio audiovisivo e alla sua storia attraverso le fonti fotografiche e cinematografiche dell’Istituto.

    Fonti visive che vengono messe a disposizione delle scuole con l’organizzazione di seminari e laboratori, sia online che in presenza, mirati soprattutto alla valorizzazione delle storie locali.

    Sul sito sono pubblicati i link alle diverse esperienze didattiche promosse e/o supportate dall’Istituto Luce dal 2015 ad oggi.

    Collezioni e archivi audiovisivi in rete (Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico)27. Collezioni e archivi audiovisivi in rete (Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico). (Fonte)

    ► 27. Visioni dalla storia: le fonti audiovisive nella didattica

    Blog curato da Letizia Cortini, una studiosa esperta del rapporto tra cinema e storia, tra didattica e uso delle fonti fotografiche e audiovisive.

    Il blog comprende diverse sezioni: Link utili, Didattica e strumenti, Nel web si racconta, Percorsi, Punti di vista, Segnalazioni, Visionando nella storia.

    Tra gli articoli della Cortini, segnaliamo:

    Gli “archivi d’impresa” sono importanti non solo per la ricerca storica ma anche per l’insegnamento della storia nel mondo della scuola.

    Il loro patrimonio di immagini (fotografie e filmati) permette di meglio comprendere «i processi produttivi e le storie degli uomini che li hanno realizzati».

    Occorre però «educare lo sguardo» per “leggere” correttamente le immagini. E il mondo della scuola dovrebbe farsi carico di questo ineludibile compito pedagogico.

    Nell’articolo, Letizia Cortini sottolinea, segnalando le relative problematiche, la necessità inderogabile di una “educazione visiva” dei giovani basata sull’utilizzo, in generale, delle fonti audiovisive e, in particolare, delle collezioni di immagini degli archivi d’impresa.

    Il Numero 16 (2013) degli Annali dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod), Le fonti audiovisive per la storia e la didattica,è stato curato da Letizia Cortini.

    L'Annale è suddiviso in tre parti: I. Storia, Cinema, Televisione, Linguaggi; II. Il lavoro di alcuni autori nella "arena della storia"; III. Il lavoro nella scuola. Contesti, strumenti e metodologie.

    Tre sono i contributi della Cortini all’Annale Aamod:

    • Visionare, indagare, scoprire la storia attraverso le immagini.

    Nell’introduzione al volume collettaneo Le fonti audiovisive per la storia e la didattica, Letizia Cortini constatava (nel 2013) come l'Italia fosse penalizzata da « un ritardo incredibile nella diffusione del linguaggio audiovisivo e fotografico nelle scuole di ogni ordine e grado», nonostante che, in ambito storiografico, l’uso delle immagini, sia fisse che in movimento, costituisse ormai una realtà consolidata.

    La Cortini auspicava, pertanto, che nel mondo della scuola si creassero le condizioni per una utilizzazione «sistematica e consapevole», sia da parte degli insegnanti che degli studenti, delle fonti visive della storia.

    • Film di propaganda e militanza, cinema amatoriale e di famiglia, tra finito e non finito.

    Il cinema di propaganda statale nasce in Italia, come in Europa e in America, nel corso della Prima guerra mondiale, e conosce un enorme sviluppo negli anni Trenta e Quaranta nei paesi del Vecchio Continente a regime totalitario (in particolare, nell’Italia fascista, nella Germania nazista e nella Russia sovietica).

    Letizia Cortini passa in rassegna la produzione cinematografica di “propaganda e militanza” in Italia, con uno sguardo anche all’Europa e all’America, dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, dagli anni del dopoguerra alla fine del Novecento, per arrivare all’inizio degli anni Duemila.

    L’articolo è completato da un’analisi della produzione cinematografica “amatoriale e di famiglia” e della sua rilevanza storiografica.

    • Risorse, strumenti e verifiche sul web.

    Nella parte conclusiva del volume collettaneo Le fonti audiovisive per la storia e la didattica, Letizia Cortini propone, sia agli insegnanti che agli studenti, una sitografia con le risorse offerte dalla rete per un proficuo e corretto utilizzo delle fonti visive nell’insegnamento della storia.

    «Studi culturali», XII, 2, 201528. «Studi culturali», XII, 2, 2015. (Fonte)

    ► 28. Vedere, sentire e ascoltare. L’uso dell’audiovisivo nella didattica della storia contemporanea
    di Valentina Cappi e Alfredo Magnini, in «Studi culturali», XII, 2, 2015.

    In che modo l'audiovisivo è utilizzato nella didattica della storia contemporanea, all'interno delle università italiane?

    Per rispondere a questa domanda, Valentina Cappi e Alfredo Magnini hanno svolto, tra marzo e dicembre 2014, una ricognizione sull’utilizzazione delle fonti audiovisive (come materiali e come strumenti) da parte dei/delle docenti di storia contemporanea nelle università italiane.

    I campi recintati in Inghilterra (enclosures), raffigurati in un dipinto del Settecento29. I campi recintati in Inghilterra (enclosures), raffigurati in un dipinto del Settecento. (Fonte)

    ► 29. Rappresentare un luogo: quello che si ottiene può essere più di quello che si vede

    (Picturing place: what you get may be more than what you see) di Jane Card, in «Teaching History», 31/08/2004. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Le immagini abbondano nelle aule di storia e vengono usate in molti modi diversi. Aggiungono colore al passato stimolando l'interesse degli studenti per la storia; ma possono essere utilizzate più proficuamente per sviluppare la loro alfabetizzazione visiva.

    Jane Card propone alcuni esempi di attività di studio relative a illustrazioni antipuritane del periodo di Carlo I d’Inghilterra (1600-1649) e a incisioni del XVIII Secolo, per esplorare gli aspetti della società inglese in quegli anni e per analizzare gli effetti economici e sociali delle enclosures (le recinzioni delle terre comuni indivise nell’Inghilterra del Settecento).

    Hereford Mappa Mundi presso la Cattedrale di Hereford (Inghilterra)30. Hereford Mappa Mundi presso la Cattedrale di Hereford (Inghilterra). (Fonte)

    ► 30. Tracciare mappe e mappare menti: cosa possono dirci le mappe sulle persone che le hanno create

    (Plotting maps and mapping minds: what can maps tell us about the people who made them) di Evelyn Sweerts, Marie-Claire Cavanagh, in «Teaching History», 31/08/2004. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Le mappe realizzate in passato, come la Mappa Mundi medievale, possono offrire numerose rivelazioni. Possono raccontare agli storici l'estensione del mondo "conosciuto" in tempi diversi e gli atteggiamenti delle persone verso il noto e l'ignoto.

    Sweertes e la Cavanagh hanno predisposto un progetto trasversale storico-geografico per gli studenti dello Year 7 (corrispondente alla nostra prima media) della London Comprehensive School, organizzato in 5 lezioni (una geografica e quattro storiche) incentrate sulla Mappa Mundi (1290) e The Travels of Sir John Mandeville (XIV Secolo).

    Sezione della mappa del mondo di Ebstorf (Sec. XIII-XIV)31. Sezione della mappa del mondo di Ebstorf (Sec. XIII-XIV). (Fonte)

    ► 31. Viste del mondo sulle mappe

    (Weltbilder auf Karten) di Ute Schneider, 28/12/2005.

    Articolo pubblicato sul sito della Bundeszentrale fűr politische Bildung (BpB), l’Agenzia federale tedesca per l’educazione civica, nella sezione dedicata alla Visual History.

    Le mappe memorizzano le conoscenze geografiche e la cultura del loro tempo, e possono essere comprese solo se vengono visualizzate nel contesto della loro contemporaneità. E questa è la tesi di fondo dell’articolo che guida Ute Schneider nello studio delle mappe.

    Poster che denuncia il patto Molotov-Ribbentrop, basato su un fumetto del 1939 di Clifford Berryman32. Poster che denuncia il patto Molotov-Ribbentrop, basato su un fumetto del 1939 di Clifford Berryman. (Fonte)

    ► 32. Sviluppare la capacità di osservare da diversi punti di vista attraverso le vignette umoristiche: strategie per analizzare differenti visioni di tre spartiacque nella storia moderna della Germania

    (Developing multiperspectivity through cartoon analysis: strategies for analysing different views of three watersheds in modern German history) di Ulrich Schnakenberg, in «Teaching History», 09/08/2010. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Lo studio delle vignette può essere un'esperienza coinvolgente per gli studenti ma può anche presentare notevoli difficoltà.

    Ulrich Schnakenberg propone un modello di analisi di questo tipo di fonte mostrando come le vignette possano essere utilizzate per esplorare la storia moderna della Germania da molteplici prospettive.

    Will Eisner, Grafisches Erzählen. Graphic storytelling, Wimmelbach 199833. Will Eisner, Grafisches Erzählen. Graphic storytelling, Wimmelbach 1998. (Fonte)

    ► 33. La cultura della storia nei fumetti: i Comics nell'educazione storico-politica

    (Geschichtskultur in Sprechblasen: Comics in der politisch-historischen Bildung) di Christine Gundermann, 05/08/2014. Articolo pubblicato sul sito della Bundeszentrale fűr politische Bildung (BpB), l’Agenzia federale tedesca per l’educazione civica, nella sezione dedicata alla Visual History.

    Gli insegnanti di storia da alcuni anni hanno scoperto i fumetti. Quello che inizialmente era stato considerato un approccio esotico alla cultura popolare ora è diventato un approccio riconosciuto a livello didattico e pedagogico.

    L’articolo di Christine Gundermann intende fornire una breve panoramica del mercato dei fumetti con contenuto storico e presentare le discussioni che hanno accompagnato il loro utilizzo nell’insegnamento della storia.

    Fumetto: “Maus” di Art Spiegelman34. Fumetto: “Maus” di Art Spiegelman. (Fonte)

    ► 34. L’Olocausto nei fumetti

    (Der Holocaust im Comic) di Martin Frenzel, 05/08/2014.

    Articolo pubblicato sul sito della Bundeszentrale fűr politische Bildung (BpB), l’Agenzia federale tedesca per l’educazione civica, nella sezione dedicata alla Visual History.

    Nell’analizzare i fumetti sull’Olocausto, Martin Frenzel fa propria la fondamentale riflessione di Peter Reichel: «la memoria nei media culturali [e quindi anche nei fumetti] seleziona e completa, inventa e interpreta, sminuisce, demonizza e trasfigura, in una parola: cambia il passato nel processo della sua visualizzazione» (Erfundene Erinnerung. Weltkrieg und Judenmord in Film und Theater, München 2004).

     

    [Vai all'Indice]

     

    3. Le epoche, gli eventi e i luoghi della storia

     

    IL MEDIOEVO

    Hereford Mappa Mundi presso la Cattedrale di Hereford (Inghilterra)35. Hereford Mappa Mundi presso la Cattedrale di Hereford (Inghilterra). (Fonte)

    ► 35. Tracciare mappe e mappare menti: cosa possono dirci le mappe sulle persone che le hanno create

    (Plotting maps and mapping minds: what can maps tell us about the people who made them) di Evelyn Sweerts, Marie-Claire Cavanagh, in «Teaching History», 31/08/2004. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Le mappe realizzate in passato, come la Mappa Mundi medievale, possono offrire numerose rivelazioni. Possono raccontare agli storici l'estensione del mondo "conosciuto" in tempi diversi e gli atteggiamenti delle persone verso il noto e l'ignoto.

    Sweertes e la Cavanagh hanno predisposto un progetto trasversale storico-geografico per gli studenti dello Year 7 (corrispondente alla nostra prima media) della London Comprehensive School, organizzato in 5 lezioni (una geografica e quattro storiche) incentrate sulla Mappa Mundi (1290) e The Travels of Sir John Mandeville (XIV Secolo).

    LA FIRENZE DI COSIMO DE' MEDICI

    Benozzo Gozzoli, Il corteo dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi36. Benozzo Gozzoli, Il corteo dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi. (Fonte)

    ► 36. L’uso pubblico delle immagini come strategia di mantenimento del potere

    I Re Magi: una fonte iconografica per conoscere la storia del Quattrocento. Cosimo de’ Medici, Bisanzio e l’Occidente di Vincenzo Medde, in «Historia Ludens», 03/12/2017.

    La strategia di conquista e mantenimento del potere, la necessità di coltivare l’immagine pubblica di uomo potente, ricco, colto e generoso, il soddisfacimento del personale gusto estetico, le ansie di salvezza indotte dall’insegnamento della Chiesa spinsero Cosimo de’ Medici (1389-1464) ad impegnarsi in un vastissimo e dispendioso programma di costruzione, restauro, decorazione, arredamento di chiese, cappelle, conventi, palazzi. La strategia di mantenimento del potere includeva anche l’uso pubblico delle immagini, come mostra Il corteo dei Magi commissionato da Cosimo, Piero e sua moglie Lucrezia nel 1459, e dipinto da Benozzo Gozzoli (1420-1497).

    LA SCOPERTA DELL’AMERICA

    “Il primo sbarco di Colombo in America”, dipinto del pittore spagnolo Dióscoro Teófilo Puebla Tolín (1862).37. “Il primo sbarco di Colombo in America”, dipinto del pittore spagnolo Dióscoro Teófilo Puebla Tolín (1862). (Fonte)

    ► 37. Il Vecchio Mondo incontra il Nuovo Mondo. Immagini della “Scoperta” dell’America

    (Alte Welt trifft neue Welt | Bilder der “Entdeckung” Amerikas). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    L’INGHILTERRA DEI SECOLI XVII E XVIII

    I campi recintati in Inghilterra (enclosures), raffigurati in un dipinto del Settecento38. I campi recintati in Inghilterra (enclosures), raffigurati in un dipinto del Settecento. (Fonte)

    ► 38. Rappresentare un luogo: quello che si ottiene può essere più di quello che si vede

    (Picturing place: what you get may be more than what you see) di Jane Card, in «Teaching History», 31/08/2004. Articolo citato in Lo studio in classe delle fonti storiche di Francesca Vinciotti, in «Historia Ludens», 2014.

    Le immagini abbondano nelle aule di storia e vengono usate in molti modi diversi. Aggiungono colore al passato stimolando l'interesse degli studenti per la storia; ma possono essere utilizzate più proficuamente per sviluppare la loro alfabetizzazione visiva.

    Jane Card propone alcuni esempi di attività di studio relative a illustrazioni antipuritane del periodo di Carlo I d’Inghilterra (1600-1649) e a incisioni del XVIII secolo, per esplorare gli aspetti della società in quegli anni e per analizzare gli effetti economici e sociali delle enclosures (le recinzioni delle terre comuni indivise nell’Inghilterra del Settecento).

    SPARIZIONE DELL’ANCIEN RÉGIME, MASSACRO DI SCIO, RIVOLUZIONE DEL 1830, LAICITÀ

    Presa della Bastiglia e arresto del governatore M. de Launay (14 luglio 1789)39. Presa della Bastiglia e arresto del governatore M. de Launay (14 luglio 1789). (Fonte)

    ► 39. Insegnare la storia attraverso le immagini

    (Enseigner avec L'Histoire par l'image), Académie de Grenoble, 2011-2017.

    Indice delle risorse online: Comment l'ordre ancien disparaît-il progressivement pour un nouveau cadre politique et social? di Alexandre Bouineau; Autour des massacres de Scio vus par Delacroix: analyser une oeuvre picturale par des regards croisésdi Alexandre Bouineau et Anthony Merle; La Liberté guidant le peuple est-elle un témoignage de la révolution de 1830 ou une mise en scène de cette révolution? di Alexandre Bouineau et Aurélie Carles; Proposition à partir de la lithographie "l'urne et/ou le fusil" de L-M Bosredon di David Lanaro; Comment la laïcité est-elle devenue une des principales valeurs de la République? di Florence Belliard et Alexandre Bouineau.

    LE RIVOLUZIONI (1770-1850)

    “Serment du Jeu de Paume” (Giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789) quadro di JacquesLouis David (1748-1825)40. “Serment du Jeu de Paume” (Giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789) quadro di JacquesLouis David (1748-1825). (Fonte)

    ► 40. L’immagine e le pratiche didattiche nell’insegnamento della storia

    (L’image et les pratiques d’enseignement en histoire en classe de seconde en France) di Alexis Jaoul, in «Revue de recherches en littératie médiatique multimodale», Volume 7, maggio 2018.

    Laurent Gervereau ha proposto una griglia di lettura multidisciplinare delle immagini della storia per agevolarne l’interpretazione critica da parte degli studenti (Voir, comprendre, analyser les images, 1994).

    Alexis Jaoul applica la griglia di Gervereau all’analisi del capitolo Rivoluzioni, Libertà, Nazioni all’alba dell’età contemporanea (1770-1850), pubblicato nel sito <edubase> (Édubasehistoire-géographie).

    LA RIVOLUZIONE FRANCESE. IL TERZO STATO

    “Si può sperare che il gioco finisca presto”: il Terzo Stato porta sulle spalle il Clero e la Nobiltà, caricatura del 178941. “Si può sperare che il gioco finisca presto”: il Terzo Stato porta sulle spalle il Clero e la Nobiltà, caricatura del 1789. (Fonte)

    ► 41. Il Terzo Stato.Caricatura

    (Der dritte Stand | Karikatur). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    LA RIVOLUZIONE FRANCESE. IL TERRORE

    Caricatura “The Zenith of French Glory” (Lo Zenith della Gloria francese) di James Gillray (1793)42. Caricatura “The Zenith of French Glory” (Lo Zenith della Gloria francese) di James Gillray (1793). (Fonte)

    ► 42. Regime giacobino. “Virtù e Terrore”

    (Jakobiner-Herrschaft | “Tugend und Terror”). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    LA “RIVOLTA DEI TESSITORI” (SLESIA, 1844)

    Weberaufstand: la “Rivolta dei Tessitori” in Slesia, 1844, dipinto di Carl Wilhelm Hübner (1846)43. Weberaufstand: la “Rivolta dei Tessitori” in Slesia, 1844, dipinto di Carl Wilhelm Hübner (1846). (Fonte)

    ► 43. Rivolta dei tessitori 1844. Conseguenze ed effetti

    (Weberaufstand 1844 | Folgen und Wirkung). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    LA PRIMA GUERRA MONDIALE

    Prima guerra mondiale: soldati canadesi nelle trincee sul fronte franco-tedesco44. Prima guerra mondiale: soldati canadesi nelle trincee sul fronte franco-tedesco. (Fonte)

    ► 44. Fotografie come fonti di storia: lesson plan per un’analisi delle foto

    (Photographs as History: Photo Analysis Lesson Plan), Canadian War Museum.

    Il lesson plan prevede la scelta da parte degli studenti di una fotografia della Prima guerra mondiale nell’ambito delle collezioni del museo e la sua successiva analisi. A conclusione della lezione, agli studenti viene chiesto di riflettere sul ruolo che in generale le fotografie possono svolgere nello studio della storia.

    Prima guerra mondiale: cartolina postale americana dal fronte franco-tedesco45. Prima guerra mondiale: cartolina postale americana dal fronte franco-tedesco. (Fonte)

    ► 45. Lesson plans al museo

    (Museum lesson plans), The National WWI Museum and Memorial, Kansas City (USA).

    Lesson plans e altre risorse didattiche online create dal museo sulla base delle immagini fotografiche conservate nelle proprie collezioni e relative alla Prima guerra mondiale

    Prima guerra mondiale: “Jeder Schuß ein Russ” (Ogni colpo un russo), cartolina postale tedesca spedita nel settembre del 191446. Prima guerra mondiale: “Jeder Schuß ein Russ” (Ogni colpo un russo), cartolina postale tedesca spedita nel settembre del 1914. (Fonte)

    ► 46. Immagini del nemico. Una cartolina illustrata tedesca della Prima guerra mondiale

    (Feindbilder | deutsche Bildpostkarte im Ersten Weltkrieg). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    LA REPUBBLICA DI WEIMAR

    Foto scattata a Berlino il 31 luglio 1932 di fronte a un seggio elettorale in occasione dell’elezione del Reichstag47. Foto scattata a Berlino il 31 luglio 1932 di fronte a un seggio elettorale in occasione dell’elezione del Reichstag. (Fonte)

    ► 47. Crisi della Repubblica di Weimar. Manifesto elettorale

    (Krise der Weimarer Republik | Wahlplakat). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    LA PROPAGANDA NAZIONALSOCIALISTA

    “Lichtdom” (Cattedrale di luce), raduno nazista a Norimberga (8 settembre 1936)48. “Lichtdom” (Cattedrale di luce), raduno nazista a Norimberga (8 settembre 1936). (Fonte)

    ► 48. Il potere delle immagini

    (Propaganda | Macht der Bilder). Modulo didattico per l’analisi di fonti iconografiche proposto da SEGU (Selbstgesteuert Entwickelnder Geschichts-Unterricht) – Lernplattform für offenen Geschichtsunterricht (2011-2021).

    L’OLOCAUSTO

    Fumetto: “Maus” di Art Spiegelman49. Fumetto: “Maus” di Art Spiegelman. (Fonte)

    ► 49. L’Olocausto nei fumetti

    (Der Holocaust im Comic) di Martin Frenzel, 05/08/2014.

    Articolo pubblicato sul sito della Bundeszentrale fűr politische Bildung (BpB), l’Agenzia federale tedesca per l’educazione civica, nella sezione dedicata alla Visual History.

    Nell’analizzare i fumetti sull’Olocausto, Martin Frenzel fa propria la fondamentale riflessione di Peter Reichel: «la memoria nei media culturali [e quindi anche nei fumetti] seleziona e completa, inventa e interpreta, sminuisce, demonizza e trasfigura, in una parola: cambia il passato nel processo della sua visualizzazione» (Erfundene Erinnerung. Weltkrieg und Judenmord in Film und Theater, München 2004).

    LA SECONDA GUERRA MONDIALE

    Seconda guerra mondiale: una linea del tempo visiva50. Seconda guerra mondiale: una linea del tempo visiva. (Fonte)

    ► 50. Immaginando la guerra in Europa. Una linea del tempo visiva

    (Picturing the War in Europe.A Visual Time Line), National Archives and Records Administration, Maryland (USA).

    Le time lines sono uno strumento utile per comprendere gli eventi storici complessi. Nella proposta dei National Archives gli studenti sono invitati ad associare ad una cronologia della Seconda guerra mondiale fotografie dotate di una valenza iconica riferita ai singoli eventi.

    LA STORIA DEGLI STATI UNITI

    “Emigrants Crossing the Plains” olio su tela di Albert Bierstadt, 186751. “Emigrants Crossing the Plains” olio su tela di Albert Bierstadt, 1867. (Fonte)

    ► 51. Immaginare la storia degli Stati Uniti

    (Picturing United States History): sito web del progetto digitale nato dalla collaborazione tra l'American Social History Project e il Center for Media and Learning presso la City University di New York Graduate Center.

    Il sito fornisce saggi online, conferenze e lezioni riflessive in aula per aiutare gli insegnanti a utilizzare le fonti visive sulla storia degli Stati Uniti nelle loro classi.

    LA GUERRA DEL VIETNAM

     La foto Nick Uts dell'8 giugno 1972 come appariva il giorno successivo sulla prima pagina del “New York Times” 52. La foto Nick Uts dell'8 giugno 1972 come appariva il giorno successivo sulla prima pagina del “New York Times”. (Fonte)

    ► 52. La storia dietro ad una foto. Autenticità, iconizzazione e sovrascrittura di un'immagine della guerra del Vietnam

    (Die Geschichte hinter dem Foto. Authentizität, Ikonisierung und Überschreibung eines Bildes aus dem Vietnamkrieg) di Gerhard Paul, in «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History», edizione online, n. 2, 2005.

    Le immagini non riflettono solo la storia. Piuttosto, sono in grado di modellarla come un atto pittorico. Sono testimonianza e giudizio allo stesso tempo. Ciò è particolarmente vero per la fotografia della ragazza Kim Phúc, che, proposta e intesa come “documento autentico” della guerra del Vietnam, è stata riprodotta milioni di volte ed è così diventata un'icona. Come tale, ha condotto una vita propria nella memoria collettiva e ha generato una propria realtà che ha poco in comune con quella originariamente raffigurata.

    Paul indaga minuziosamente questa immagine iconica utilizzata negli anni per un'ampia varietà di scopi politici, commerciali e religiosi, in diversi contesti.

     Execution of Nguyen Van Lem (Eddie Adams, 01/02/1968) 53. Execution of Nguyen Van Lem (Eddie Adams, 01/02/1968). (Fonte)

    ► 53. The Saigon Execution: “La foto che fece perdere la guerra” di Antonio Brusa,

    Prima Parte - Laboratorio su una foto iconica: lettura e contestualizzazione, in «Historia Ludens», 19/06/2020;

    Parte Seconda - Laboratorio su una foto iconica: il rapporto col presente. Con un'appendice interdisciplinare di filosofia e storia dell'arte, in «Historia Ludens», 26/06/2020.

    Fra le cause della sconfitta degli Stati Uniti nella Guerra del Vietnam si citano spesso i media e, in particolare, alcune foto iconiche che avevano mostrato, con una diffusione su scala mondiale, la brutalità di quel conflitto.

    Brusa propone agli insegnanti e agli studenti dei corsi di storia un’analisi di quelle immagini fotografiche attraverso un percorso laboratoriale composto da quattro fasi: Prima fase: lettura della fonte; Seconda fase: Lettura critica e contestualizzazione della fonte; Terza fase: dalle icone ai selfie; Quarta fase: “The American Tragedy”, fra storia e archeologia dei sentimenti.

    [Vai all'Indice]

     

    Parte prima: La Visual History. Che cos’è e quali storie ci fa conoscere

Questo sito utilizza cookies tecnici e di terze parti per funzionalità quali la condivisione sui social network e/o la visualizzazione di media. Chiudendo questo banner, cliccando in un'area sottostante o accedendo ad un'altra pagina del sito, acconsenti all’uso dei cookie. Se non acconsenti all'utilizzo dei cookie di terze parti, alcune di queste funzionalità potrebbero essere non disponibili.