didattica povera

  • La giornata della Preistoria. Il giorno in cui la storia non fu noiosa

    di Antonio Brusa

    L’altra domenica, il MuSe ha battuto il suo record di presenze giornaliere, 3792 visitatori. «La tempesta perfetta – mi ha detto Giovanni, che ci lavora come animatore (non so bene i loro job title, c’è una gerarchia articolata: mi perdonerà) – il tempo non è bello, quindi le famiglie sono venute, e oggi è la Giornata della Preistoria. Avremo le masse». Ci sono andato anch’io. Volevo vedere le attività. Molte di queste erano curate dagli operatori del Museo delle Palafitte di Ledro. Li conosco tutti e ne ho parlato altre volte, qui su Historia Ludens.

    Nell’isola di Lost1. Nell’isola di Lost, ci sono vulcani, boschi e pianure, e bisogna cavarsela con pochi oggetti

    Nell’isola di Lost2. Gruppi di bambini discutono animatamente, osservati da genitori partecipi

    C’era Romana, che faceva Lost in Prehistory, il gioco che ho pubblicato qualche anno fa in Piccole Storie. Lei lo ha magnificamente riadattato, preparando una grande mappa dell’isola e tre belle scatole, ciascuna delle quali contiene un certo numero di oggetti. I bambini si dividono in tre gruppi di naufraghi, che occupano tre ambienti diversi di quest’isola. Devono sopravvivere superando le catastrofi che, implacabilmente, Romana prospetta loro. Adesso c’è l’eruzione del vulcano, poi arrivano i pirati, poi viene la tempesta. I bambini si ingegnano, cercano soluzioni, annaspano. Ma non fanno in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che il computer malvagio, nascosto nella montagna (avete presente Lost, la serie televisiva?), toglie loro un certo numero di oggetti. Quindi, ogni volta devono superare le difficoltà con sempre minori risorse tecnologiche. Sopravvivere, privi di tutto ciò che oggi consideriamo necessario. Ma vivere. Ecco la condizione umana, tanto e tanto tempo fa, nella preistoria profonda.

    Avevo progettato questo gioco per far capire ai bambini che cos’è il tempo storico. A scuola sono convinti che sia una striscia, un calendario, una sfilza di anni che rotolano. No. Per lo storico il tempo è differenza. Più due momenti sono diversi, più sono distanti. Più sono uguali, più (come ci capita di dire) il tempo non passa mai. La preistoria è il tempo più lontano da noi, perché è il più diverso. Fai storia e filosofia nella medesima attività. E, vi confesso, è esaltante quando vedi che il gioco funziona, che i bambini si divertono, e alla fine ci ragionano su. Anche, perché, tutt’intorno a loro, ci sono i genitori che li guardano, certo orgogliosi dei figli, ma forse attirati anch’essi dal ragionamento. Non vuoi che ne parleranno tornando a casa in macchina?

    I laboratori della selce e delle collane3. I laboratori della selce e delle collane

    In un angolo c’era Giovanni, con un collega del MuSe. Lui taglia la selce. Mi ha regalato una bifacciale perfetta (ci metto un quarto d’ora a farla, mi ha detto). Chissà la rapidità degli acheulani. Mi ha mostrato anche una foglia di lauro, indistinguibile da quelle antiche. Ma ecco un blocco, con i segni chiari della scheggiatura levallois: questo è neandertal sputato. Lo riconosco perfino io. Di fianco, manco a dirlo, c’è lo splendido Uomo di Neandertal del MuSe, che ci guarda. Trionfalmente nudo (se ne fece anche una discussione sulla convenienza pedagogica di questa nudità, ma i bambini non fanno una piega, semmai sono i maschi adulti che, qualche metro più in là, sbirciano nella scollatura della donna neolitica china sulla macina). Seduti attorno a Giovanni, chi prova a scheggiare un piccolo arnione, chi rifinisce il bordo di un qualcosa che potrebbe essere un raschiatoio, chi fabbrica collane. Giovanni e il suo collega guidano i bambini con poche indicazioni sottovoce, più con i gesti che con le parole, perché, nel frattempo, lavorano anche loro qualche strumento. I bambini seguono attenti. Alla fine (dopo che Giovanni ha tolto il filo della selce, taglientissima, se no), ciascuno ottiene il suo strumento. E se ne vanno, felici, lui e i genitori, a fare un’altra attività.

    Kahoot4. <em>Kahoot!</em>  E il testo a risposta multipla diventò un gioco

    Peccato le nuvole. Si rinuncia al tiro con l’arco (a Ledro ne hanno una ricca collezione). Si ripiega allora al piano dove si raccontano le favole di preistoria (me le sono perse, purtroppo), oppure – unica concessione alla tecnologia – al gioco del kahoot. Non è roba nuovissima. Molti insegnanti lo conoscono già e quelli più scafati sono “oltre”. Lo vedevo, però, in azione per la prima volta. L’idea è elementare. Carichi delle domande a risposta multipla, che vengono proiettate sulla Lim. I partecipanti si collegano con il loro smartphone e rispondono. Il programma calcola la velocità delle risposte, controlla la loro esattezza e, man mano, assegna i punteggi. Alla fine c’è un vincitore. Dove sta il bello, direte? Be’, nel fatto che tutti vedono la domanda e si risponde insieme. Insomma, è proprio il contrario del solipsismo del quale la vulgata incolpa il cellulare. Dal canto suo, la conduttrice abilmente infila, a ogni item, una qualche notizia di preistoria (e le domande sono anche belle, direi). Tiene bene il ritmo, si va spediti. Le otto domande scorrono in una ventina di minuti. Ma nel frattempo nessuno ha perso un colpo. Tutti si sono praticamente sorbiti una lezione di preistoria, e se ne vanno felici e contenti. A giocare ancora, bambini, ragazzi e genitori. E anche un professore amico mio, che si è incanaglito (gli davo di gomito, dai, sbagliane una) e, no, ha voluto vincere lui, se ne va col pacchetto di libri premio.

    Il clou. La tombola preistorica. Un grande spazio, tutti seduti per terra. Si riconoscono i gruppetti familiari. Un pannello sul quale si segnano a mano i numeri. Donato, del Museo delle Palafitte, li commenta ad alta voce, aggiungendo ad ogni numero, che è associato a un qualche oggetto preistorico, un commentino in tono. Anche qui, nulla di tecnologicamente avanzato. Ma le discussioni familiari, le mamme che approfittano per guidare i ragazzi (e magari portarli fuori strada), i gridolini di gioia, quello che credeva di aver vinto e invece no, e quello che aveva vinto veramente, e andava a ritirare il premio. Certamente: dinamiche elementari. Ma sono stati un’ora e mezzo a cincischiare con termini come “bifacciale”, “bulino”, “raschiatoio”, “palafitte”, che indubbiamente non appartengono al lessico familiare. E poi: quanta fatica fa un insegnante, per parlare di ste cose a una banda di ragazzi? E quanta una guida, che li deve tirare per i capelli, di fronte a una teca di oggetti?

    Tombola Preistorica5. La folla dei giocatori alla Tombola Preistorica

    Da un lato, vedo un tappeto con delle ciotole di colore e dei pennellini. Quello che resta del piccolo laboratorio di tatuaggi preistorici con l’hennè (sono andati tutti a giocare a tombola).

    Ecco, questa è stata la “Giornata della Preistoria”. Ne ho fatto una descrizione troppo partecipata? Vero. E se qualche lettore penserà “tutto qui?”, gli darò ragione. Tutto qui. Ma era coinvolgente, piccoli e grandi ne sono stati catturati, e non sono stati mollati per tutto il pomeriggio. Attorno a queste attività, il MuSe di Trento. Chi non lo conosce, può solo immaginare il dispiego di tecnologia comunicativa di questo museo, l’intelligenza con la quale è stato pensato e le emozioni che riesce a creare con i suoi allestimenti. La gente passa, guarda, tocca gli schermi attivi, si affolla intorno agli exibit.

    Tecnologia? Tanta ce n’è nel MuSe. Ma se pensate che il suo successo sia in questa, sbagliate di grosso. Fermatevi un momento, e guardate gli operatori. Chi staziona presso delle installazioni, pronto a suggerire qualcosa o a rispondere a domande. Chi, in uno spazio apparentemente improvvisato, imbastisce uno spettacolino in tema. Qui lo chiamano Instant Theatre (ne abbiamo fatto uno anche noi, io e Romana Scandolari, “il Guinness dei Primati”, nel quale una bambina ha vinto, e quel professore di sopra è arrivato ultimo). Chi tiene un laboratorio, chi gestisce un gioco. Raccoglie un po’ di bambini, li mette intorno a un tavolo e fa far loro qualcosa. Sono le persone – ben formate – che costituiscono il motore di questa macchina di scienza e storia.

    La riprova è in questa giornata. Al MuSe viene un sacco di gente. Sempre. Ma domenica, 1 ottobre 2017, hanno fatto il record. Lo hanno fatto anche perché sono venuti quelli del Museo delle Palafitte di Ledro, dove (forse in omaggio all’età del bronzo) non c’è traccia di video, smartphone, interattività, realtà virtuale o aumentata, full immersion e quarte dimensioni. Fanno tutto a mano, e fanno 45 mila visitatori l’anno. Didattica povera, ma intelligente. La possono fare tutti, questa didattica, anche quei musei dove non ci va nessuno, e che piangono «Ah se avessimo la realtà aumentata… ». Certo, se venissero tanti soldi e tanta tecnologia, tanto di guadagnato. Ma la realtà di piccoli musei, fortemente attrezzati sul piano di questa “didattica povera” (ne potete leggere una rassegna su «Mundus», nn. 7/8, curata da Massimo Tarantini), toglie alibi a tutti, da subito. A ricchi e a poveri.

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