donne romane

  • Lezione 7a. La primavera delle donne romane. Un esempio di laboratorio con variazioni didattiche

    di Antonio Brusa

     

    a. Il problema storico

    Valerio Massimo (I sec. a.C- I sec. d. C) aveva un’idea precisa delle donne. Lui, nato povero, aveva fatto la sua fortuna al servizio di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo il Grande. Il suo patrono gli aveva permesso di entrare nell’alta società romana, presso la quale cominciò a vendere i suoi libri. Il suo best seller – Detti e fatti memorabili (Factorum et dictorum memorabilium, libri IX) - fu copiato e letto per secoli.

    In quel libro troviamo le donne romane. C’erano donne da non imitare, come quella signora che osò avventurarsi fuori di casa a capo scoperto. “La legge comanda che solo i miei occhi possano giudicare della tua bellezza”, sentenziò il marito, punendola duramente. E le andò bene, perché, se fosse andata a vedere i giochi da sola, o si fosse fermata per strada a spettegolare, questi l’avrebbe ripudiata senza batter ciglio. Ma terribilmente peggio andò a quella ragazza che si era innamorata del suo maestro, senza riflettere sul particolare che fosse uno schiavo. Bene fece suo padre – commentò serio il nostro scrittore – a uccidere entrambi.

    E le donne da ammirare? Valerio le descrive tutte insieme, nel capitolo sull’amore fra moglie e marito. Vi troviamo Giulia, moglie di Pompeo, che si spaventò a morte quando le portarono la veste del marito sporca di sangue. Roba da poco, si era trattato di una rissa. Ma lei pensò che fosse ferito gravemente. Era incinta. Cadde a terra e morì. Porzia, invece, moglie di Bruto (l’assassino di Cesare), quando seppe che il marito si era suicidato, disperata cercò di imitarlo. I parenti, che lo sapevano, avevano fatto sparire saggiamente coltelli e pugnali. Lei, allora, afferrò dei carboni ardenti e li ingoiò. Più o meno come Artemisia, regina di Caria, un regno che si trovava nell’attuale Turchia, che, non contenta di aver costruito per il marito Mausolo una tomba così bella che fu considerata una delle sette meraviglie del mondo, volle trasformare il proprio corpo nel suo sepolcro, e ne bevve le ceneri.

    Le donne romane dovevano essere pronte a difendere l’illibatezza da ragazze e la fedeltà da spose. In questo, dovevano dimostrare un coraggio virile. Di Lucrezia, che tutti i romani ricordavano come esempio di pudore, Valerio dice che aveva un animo da uomo, che solo per un maligno errore del caso era finito nel corpo di una donna.

    La Roma antica non doveva essere un bel posto per le donne, potremmo concludere, dopo aver letto il libro di Valerio Massimo. Ma dipende da quanto gli crediamo. Perché, se proviamo a girare per il foro e per i tribunali, o sbirciamo nelle case nobiliari, nelle cui stanze si tramavano spesso i destini di Roma, qualche dubbio ci viene. Lì vedremo donne che discutono cause ai processi, o fanno discorsi nelle basiliche (e non di rado vincono); donne che organizzano complotti e attività politiche, e cambiano amanti come si cambiano i vestiti. In pratica, si comportano esattamente come i loro coetanei maschi, Cesare, Catilina, Cicerone.

    Il fatto è che Detti e fatti memoriabili è una raccolta di aneddoti che voleva insegnare ai contemporanei - soprattutto alla gente altolocata alla quale ormai Valerio Massimo sentiva di appartenere - i “buoni comportamenti di un tempo”. Dei buoni esempi da imitare. Ora, se qualcuno sente il bisogno di fare le prediche agli altri, vuol dire che questi, a suo giudizio, non si stanno comportando bene. Quindi Valerio sceglieva quegli aneddoti proprio perché le donne facevano il contrario di quello che lui riteneva giusto. Uscivano di casa, andavano al circo, parlavano con chi volevano loro, promuovevano azioni politiche e, nei tribunali, accanto alla voce dei grandi oratori, risuonavano anche voci femminili.

    Non era il solo a pensarla così. Pensiamo a Sempronia, donna straordinaria, intelligente, colta bella, capace di far politica come pochi, che viene descritta da Sallustio come una escort di lusso. O a Clodia Pulcra, donna dell’alta società che apparteneva alla famiglia Claudia, una delle più prestigiose e antiche di Roma. Lei non si era limitata alla conduzione della sua fastosa abitazione, come una brava “matrona”. Era una delle matronae emancipatae del primo secolo a.C. Nel suo salotto si parlava di letteratura, si programmavano colpi di stato e campagne elettorali. Era il braccio politico di suo fratello Clodio, il grande sostenitore di Cesare. Donna bellissima e disinibita, fra i suoi amanti contò lo stesso Cesare, Pompeo e il grande poeta Catullo, che le dedicò poesie appassionate, chiamandola col nome di Lesbia. Si trovò implicata in un processo politico, nel quale Cicerone, il più temuto oratore romano, difendeva l’accusato, Celio, e lei fu la sfortunata testimone dell’accusa. Cicerone la distrusse con un’invettiva che ci è rimasta, e che potrete leggere nel dossier che segue.

    Non era sempre stato così. Nei tempi antichi era stata dura. Le donne chiuse in casa, velate, non potevano nemmeno bere un bicchiere di vino. Era questo il mos maiorum, il “costume dei padri”. Ma ora il vento era cambiato. Valerio, purtroppo per lui, aveva avuto la sventura di vivere in un periodo – gli ultimi decenni della Repubblica e i primi dell’impero - che gli storici chiamano “la primavera delle donne romane”.

    Non durò molto quella primavera. Se Valerio Massimo era uno scrittore di successo, voleva dire che aveva molti lettori che erano d’accordo con lui, e tanti altri romani importanti, come abbiamo visto: Sallustio, Plinio e Cicerone. Erano uomini di potere. Per loro, tutto il mondo doveva imparare dai romani la severità del mos maiorum. Quindi, si dettero da fare per rimettere le donne al loro posto. Per di più, quando – nel II secolo - si affermò la dinastia Flavia, i nuovi imperatori stabilirono che i funzionari dell’impero dovessero esibire una condotta rigorosa. Dovevano dare il buon esempio al popolo. E, come accade in queste situazioni, chi ci va di mezzo è la sessualità femminile. Il caso di Gallitta, vissuta al tempo di Traiano, è emblematico. Era la moglie di un funzionario imperiale, che si era innamorata di un altro ed era stata accusata di adulterio. Il marito, però, le voleva troppo bene e non si decideva a denunciarla. Niente da fare. Lo scandalo andava eliminato. Gallitta fu condannata all’esilio. Era questa la nuova morale. Noi la conosciamo molto bene, perché ad essa si ispirò una nuova religione che si stava piano piano diffondendo nell’impero. Il Cristianesimo.

     

    b. Il mini-archivio di documenti (con alcune immagini che raccontano la fortuna del mito)

     

    01Fig.1: Antonio Lagorio, detto il Genovesino, Suicidio di Lucrezia (XVII sec.)

    Lucrezia

    Esempio della pudicizia romana, Lucrezia, il cui animo virile per un maligno errore del caso era capitato in un corpo femminile, fu stuprata dal figlio del re Tarquinio il Superbo. Con parole amarissime denunciò l’ingiuria di fronte ai familiari riuniti e, con un pugnale che aveva nascosto sotto il vestito, si uccise.

    Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium, VI, 1, 1

      

    La figlia di Ponzio Aufidiano

    Ammiriamo la forza d’animo di Ponzio Aufidiano, cavaliere romano, che avendo sua figlia perso la verginità con il suo maestro, Fannio Saturnino, non contento di aver fatto suppliziare quello schiavo scellerato, uccise anche la ragazza. Così, per non celebrare le nozze vergognose, ne celebrò il triste funerale.

    Id, VI, 1, 3

     

    La moglie di Sulpicio Gallo

    Cacciò la moglie perché se ne era andata in giro a capo scoperto. “La legge, disse, comanda che solo i miei occhi possano giudicare la tua bellezza. La circostanza che ti sia fatta vedere in giro in maniera troppo provocante ti rende necessariamente sospetta e colpevole”.

    Idem, ibidem, 3, 10

     

    La moglie di Antistio Vetere

    Quinto Antistio Vetere scoprì la moglie per strada che parlottava di nascosto con una liberta (una schiava liberata). Allora, preoccupato per gli sviluppi che questa colpa poteva comportare, ripudiò la moglie - cioè la cacciò e la costrinse a divorziare - perché è meglio prevenire il peccato che vendicarlo.

    Id., 3, 11

     

    La moglie di Publio Sempronio Sopho

    Publio Sempronio Sopho ripudiò la moglie per il solo fatto che era andata ai giochi senza avvisarlo.

    Id, 3, 12

     

    Caia Afrania

    Caia Afrania, moglie di un senatore, era una donna litigiosa, in tribunale si difese sempre da sé: non perché le mancassero gli avvocati, ma perché era l’impudenza fatta persona. E così, stancando ininterrottamente i giudici con le sue urla, divenne la personificazione dell’intrigo femminile, al punto che alle donne di cattivi costumi si suole appioppare il soprannome di “Caia Afrania”.

    Ibidem

     

    Porzia

    I tuoi castissimi amori, Porzia, saranno celebrati per secoli, perché, non appena venisti a sapere che tuo marito Bruto, sconfitto a Filippi da Augusto, si suicidò, non avendo la possibilità di ucciderti anche tu, perché i parenti te lo impedivano, non avesti paura di metterti in bocca dei carboni accesi e di imitare col tuo spirito femminile la morte virile di tuo padre: e io non so dire chi di voi sia stato di animo più forte, perché lui si uccise con la spada, come molti; ma tu ti sei data una morte nuova, che nessuno aveva mai udito.

    Valerio Massimo, ibidem, Libro IV

     

    Giulia, figlia di Giulio Cesare

    Un grande amore legava Giulia, la figlia di Cesare, a suo marito Pompeo. Un giorno le riportarono indietro la veste di Pompeo, tutta sporca di sangue. C’era stato un tumulto al campo Marzio, durante l’elezione degli edili, una carica politica romana. Dei feriti si erano avvicinati a Pompeo e ne avevano imbrattato la veste col loro sangue. Ma Giulia pensò che gli avessero fatto qualche violenza, si spaventò e cadde a terra tramortita. Per l’agitazione sopraggiunsero le doglie, dal momento che era incinta, abortì e morì di colpo. E fu un disastro per tutto il mondo, perché con la sua morte si sciolse quel vincolo di parentela fra Cesare e Pompeo, che fino ad allora aveva garantito pace e tranquillità, e ne nacquero furiose guerre civili.

    Valerio Massimo, ibidem, libro IV

     

    La moglie di Egnazio Metennio

    Poiché aveva bevuto del vino dalla botte, fu uccisa a frustate dal marito, e Romolo (il primo re di Roma) lo assolse dall’omicidio. Un’altra donna, che aveva forzato la cassetta dove erano le chiavi della cantina, fu costretta dai suoi parenti a morire di fame. I parenti baciavano le proprie donne proprio per accertarsi se queste puzzassero di vino.

    Plinio il Vecchio, Storia Naturale.

     

    02Fig.2: J.-B. Suvée, (1795) Cornelia, madre dei Gracchi. 

    Cornelia

    Cornelia, la madre dei Gracchi, poiché una signora campana, che era sua ospite, le stava mostrando i suoi gioielli, la interruppe e, indicando i figli che erano tornati da scuole, le disse: “Questi sono i miei gioielli”.

    Valerio Massimo, ibidem, Libro IV, cap. IV

     

    Ortensia

    Ortensia, figlia del grande oratore Quinto Ortensio Ortalo, poiché erano state imposte alle donne delle tasse pesantissime, e non osando nessuno prendere la loro difesa, discusse lei, con coraggio e bravura, la causa in tribunale: riproducendo, infatti, l’eloquenza di suo padre, ottenne per le donne l’esonero dalla maggior parte delle tasse.

    Valerio Massimo, ibidem.

     

    Sempronia

    Sempronia partecipò alla congiura di Catilina per conquistare il potere a Roma. Era una donna, ma aveva compiuto azioni temerarie più di un uomo. La fortuna le aveva dato tutto: la nascita, la bellezza, il marito, i figli. Conosceva la letteratura greca e quella latina. Cantava e ballava con eleganza, più che non sia concesso a una donna onesta. Sapeva fare tutto ciò che spinge gli uomini a innamorarsi. Il pudore e la dignità erano l’ultima cosa per lei. Teneva poco al denaro e al buon nome.

    Andava a caccia degli uomini che le piacevano. Non manteneva quasi mai la parola data. Non pagava i debiti e fu perfino complice di alcuni delitti. Per la lussuria e la povertà si era rovinata. Eppure, non mancava di intelligenza. Componeva versi e battute di spirito, sapeva esprimersi con modestia, con languidezza o con sfrontatezza. E possedeva una buona dose di umorismo.

    Sallustio, La congiura di Catilina, XXV, 1-5

     

    Gallitta

    Gallitta era sposa di un tribuno militare, che stava per presentarsi come candidato alle cariche pubbliche. Si era innamorata di un centurione e perciò era stata accusata di adulterio. Il caso fu portato al giudizio dell’imperatore Traiano. Questi punì il centurione, licenziandolo dall’esercito e esiliandolo. Ma la colpa era stata punita solo per metà. Il marito di Gallitta, infatti, non si decideva a sporgere denuncia per amore di sua moglie. Anzi se l’era tenuta ancora in casa, anche dopo l’imputazione di adulterio, come se fosse soddisfatto di aver allontanato il rivale. Però, la donna andava necessariamente condannata anche contro voglia: perciò, fu mandata in esilio.

    Plinio il giovane, Lettere.

     

    03Fig.3: Charles Guillaume Brun, 1860, Lesbia e il passero

    Clodia Pulcra

    Ammettiamo che una donna senza marito abbia aperto la sua casa alle voglie di ognuno e si sia messa a condurre una vita da prostituta; che si sia data a frequentare le feste di uomini conosciuti appena, in città, in villa, in mezzo al gran mondo, che frequenti una località di svago come Baia, vicino Napoli; ammettiamo infine che una donna si faccia giudicare per quella che è non solo per come si muove e si veste, per il genere di persone di cui si circonda, per l'ardore che mette negli sguardi e per la licenziosità dei discorsi, ma anche per quel suo abbracciare e baciare la gente, per il contegno che tiene sulle spiagge, per le gite in barca e per i banchetti che frequenta.

    Cicerone, Pro Caelio.

     

    c. Le proposte didattiche

     

    1. Un laboratorio ludico: Il Bingo delle donne romane

    Materiali: i documenti del dossier, stampati possibilmente in foglietti separati (14 in tutto)

    10 carte/gettoni, ognuno dei quali riporta una di queste scritte:

    - Famiglia
    - Marito
    - Figli
    - Comportamento delle donne in pubblico
    - Comportamento delle donne in privato
    - Virtù delle donne
    - Difetti delle donne
    - Rapporto delle donne con la politica
    - Donne e cultura
    - Somiglianze e differenze fra uomini e donne

    Scopo del gioco: cercare nei documenti notizie utili

    Tempo: 45 min.

    Procedimento

    La classe viene divisa in gruppi. Ad ognuno di questi viene consegnato il dossier dei 14 documenti. L’insegnante lo presenta brevemente e descrive il gioco.

    L’insegnante estrae da un contenitore, dove li ha deposti precedentemente, un gettone per volta e legge l’indicazione relativa. Ad ogni gettone, gli allievi devono indicare quali notizie su quell’argomento si trovano nei documenti. L’insegnante controlla e assegna uno o più punti, a seconda delle notizie trovate. Se qualcuno fa obiezione, rilevando un errore dell’altro gruppo, e questa obiezione è accolta, prende il punto che viene tolto all’avversario.

    Il gioco va condotto rapidamente (20 min max).

    Debriefing: l’insegnante e gli allievi rivedono i documenti e li discutono (10 min.)

    Fine dell’attività: l’insegnante fa una lezione ricapitolativa del problema, servendosi del testo qui presentato (15 min).

     

    2. Lezione documentata

    Materiali: i documenti del dossier, stampati possibilmente in foglietti separati (14 in tutto)

    Scopo dell’attività: collegare testo e documenti

    Tempo: 30 min. max /60 con la prova eventuale

    Servendosi del testo qui presentato, l’insegnante prepara la lezione. Fa attenzione che in questa non siano mai citati i nomi dei personaggi. Distribuisce agli allievi, divisi in gruppi, i documenti. Li avverte che, quando si fermerà, vuol dire che sta pensando a un documento. Gli allievi dovranno indicare quale.

    Per favorire questa attività, il testo si basa, quasi frase per frase, sui documenti del dossier.

    Questa attività può essere graduata. Sarà molto semplice se l’insegnante citerà gli episodi quasi alla lettera (“una volta una donna rubò le chiavi della cantina”); diventerà più complicata man mano che il testo avrà una forma più astratta (era proibito alle donne assumere sostanze inebrianti). (20 min)

    Debriefing: si riflette sul rapporto fra testo (la lezione) e documenti (10 min.)

    Eventuale prova: l’insegnante assegna ad ogni allievo quattro documenti scelti a caso. L’allievo dovrà scrivere un breve testo, citandoli correttamente. (30 min)

     

    3. Miniarchivio con fonti omogenee

    Materiali: i documenti del dossier, stampati possibilmente in foglietti separati (14 in tutto)

    Scopo dell’attività: simulare la ricerca storica; capire la differenza fra interrogazione e interpretazione; motivare affermazioni facendo riferimento a documenti.

    Tempo: 2 h

    Procedimento

    L’insegnante divide la classe in gruppi e assegna a ciascuno di questi il dossier di documenti, preparato come indicato sopra. Presenta l’attività, invitando gli allievi a immaginare che ogni gruppo sia un Dipartimento di storici, che deve presentare una relazione ad un convegno sulle donne romane. Se i gruppi sono quattro. Ad ognuno verrà assegnato un tema, ricavati (scelto o estratto a sorte) dall’elenco delle carte/gettoni, riportato nel gioco sopra. (10 min.)

    Prima fase: Interrogare (20 min.)

    Ogni gruppo dovrà cercare il maggior numero di notizie riguardanti il tema scelto. Le trascriverà su una scheda, corredata fatta secondo questo modello:

    Titolo della scheda: Le donne per strada
    Contenuto: Dovevano andare a capo coperto
    Fonte: Valerio Massimo, Detti e Fatti memorabili, cap. VI

    Per accelerare il lavoro, l’insegnante suggerirà (se gli allievi non l’hanno capito da soli), che conviene distribuirsi i documenti, e scrivere contemporaneamente le schede.

    Al termine, ogni gruppo comunica quante notizie ha ricavato. Se lo ritiene opportuno, l’insegnante interviene, aiutando i gruppi in difficoltà.

    L’insegnante chiede a ogni gruppo di comunicare agli altri, brevemente, che cosa ha trovato.

    Seconda fase: interpretare

    L’insegnante invita a controllare gli autori dei documenti. Sono tutti maschi. Informa gli allievi sulle idee che gli uomini del tempo avevano delle donne, spiega il significato del “mos maiorum). Invita a rileggere le notizie trovate e a interpretarle (vanno lette in genere “all’incontrario). (15 min)

    Terza fase: costruire un testo

    Ogni gruppo prepara una relazione sull’argomento scelto, nella quale citerà i documenti opportuni. (15 min. Eventuale lavoro a casa)

    Quarta fase: La discussione

    Ogni gruppo affida a un suo oratore il compito di leggere (o recitare) la relazione. Dopo averle ascoltate, i gruppi faranno le loro osservazioni: rilevano documenti non letti, letti male, interpretazioni che non funzionano. Ogni osservazione accettata attribuisce un punto al gruppo. Il gruppo che ribatte con successo all’osservazione prende un punto. (40 min.)

    Quinta fase: Lezione conclusiva

    L’insegnante fa una lezione sintesi, nella quale si serve del testo qui presentato, inquadra il tema nel periodo storico generale, tiene conto anche dei problemi emersi nel corso dell’attività. (20 min.)

    Sesta fase: prova (eventuale)

    L’insegnante affida a ciascun allievo la scrittura di un testo, su uno dei temi non assegnati dell’elenco. Sono sei temi: quindi si possono dare compiti differenziati.

    Esempi di testo

    I due esempi mostrano che non è necessario scrivere testi lunghissimi e che, inoltre, questo esercizio può dar luogo a riferimenti semplici (come nel primo testo) e complessi, come nel secondo. Nel primo, infatti, i riferimenti sono puntuali, a frasi che si trovano facilmente nei documenti. Nel secondo, invece, nelle note bisogna scrivere delle argomentazioni, che non trovano un riscontro diretto nella documentazione, ma sono frutto di nostri ragionamenti.

    a. Testo descrittivo: per ogni frase segnata dal numero, riportare in calce il documento dal quale l’informazione è stata ricavata.

    Le donne romane camminavano velate per le strade (1) e non potevano parlare con nessuno (2). In casa erano sottoposte a una disciplina severissima da parte della famiglia (3). Non potevano bere vino (4). Non potevano innamorarsi liberamente di chi volevano (5).

    Alcune però studiavano (6), sapevano suonare e diventavano celebri nei tribunali (7).

    b. Testo interpretativo: le frasi segnate dai numeri possono essere dimostrate con dei ragionamenti ricavati dai documenti del dossier.

    Gli scrittori romani – tutti maschi – ci hanno tramandato dei ritratti parziali delle donne romane (1). Infatti, quando descrivono delle donne attive, autonome e presenti nella società, tendono a metterle in cattiva luce (2). Il loro ideale di virtù è essenzialmente maschile: e a questo le donne devono adeguarsi (3).

    L’idea di questo laboratorio e le descrizioni delle donne vengono dal libro di Corrado Petrocelli, Il silenzio e la stola, Sellerio, Palermo 1990, che sarà utile per cercare altre notizie sulla condizione femminile a Roma. A questo si potranno aggiungere F. Dupront, La vita quotidiana nella Roma repubblicana, Laterza, Bari 1990, molto attenta alla storia delle donne nel periodo preso in esame da questo laboratorio. Negli ultimi decenni la storiografia delle donne e di genere si è enormemente arricchita. In rete si può sfruttare l’utile sintesi di Francesca Lamberti, L’identità romana: pubblico, privato, famiglia, in G. Traina (a cura di), Storia d'Europa e del Mediterraneo, Sez. III. L'ecumene romana, Vol. 6, Da Augusto a Diocleziano, Salerno Editrice, Roma 2009, p. 667-707, ora in:

    https://www.academia.edu/4234674/L_identit%C3%A0_romana_pubblico_privato_famiglia_in_AA_VV_cur_G_Traina_Storia_dEuropa_e_del_Mediterraneo_Sez_III_Lecumene_romana_Vol_6_Da_Augusto_a_Diocleziano_Salerno_Editrice_Roma_2009_p_667_707

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