fotografia e storia

  • L’importanza delle immagini: Gerhard Paul e la storia visiva della Germania nazista

    di Antonio Prampolini

     

    INDICE

    1. Fotografia e propaganda nella Germania nazista

    1.1 La politica delle immagini

    1.2 Il culto del capo e i fotografi personali di Hitler

    1.3 I fotomontaggi antisemiti

    1.4 Le fotografie di guerra

    2. Gerhard Paul e le immagini di una dittatura

    3. Collezioni fotografiche online: sitografia

     

    1. Fotografia e propaganda nella Germania nazista

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 1Fig.1: fotomontaggio propagandistico pubblicato sulla rivista nazista in lingua inglese «The American Illustrated News», agosto-ottobre 1936. Fonte1.1 La politica delle immagini

    I nazisti, che già a partire dagli anni Venti si erano serviti in larga misura della fotografia come mezzo di propaganda del loro partito, dopo la “presa del potere” (30 gennaio 1933), la utilizzarono abilmente come strumento della politica del nuovo regime. Il 1° gennaio 1934 approvarono una legge sulla censura delle attività editoriali la quale stabiliva che i fotografi e i giornalisti erano da considerarsi “servitori dello Stato e del popolo tedesco” e che, pertanto, vietava la pubblicazione di immagini e articoli in cui il regime nazista fosse rappresentato in modo negativo o non adeguatamente celebrativo. Per poter continuare a esercitare la propria professione, i fotografi dovevano iscriversi all’associazione della stampa tedesca (Reichsverband der Deutschen Presse). Erano istituiti tribunali professionali che potevano emettere avvertimenti ai fotografi che non rispettavano le direttive in materia di propaganda, o, nel peggiore dei casi, rimuoverli dall'albo professionale, inoltrando i loro dati alla Gestapo (la polizia segreta della Germania nazista)1.

    Il nazismo era diventato un movimento di massa anche grazie alla propaganda, posta sotto la direzione di Joseph Goebbels a partire dal 1930. Un'attenta coreografia di grandi eventi con uniformi, bandiere, fiaccole e altri simboli esercitava un fascino seducente sui tedeschi e, soprattutto, sui giovani. Il regime si serviva del potere suggestivo delle immagini; le fotografie delle adunate oceaniche alla presenza di Hitler dovevano apparire agli occhi dei più come la rappresentazione plastica della nuova Germania: uno stato forte guidato da un leader carismatico2.

    Il lavoro e il progresso tecnico conoscevano una trasfigurazione mitica. Le immagini dei nuovi edifici, degli impianti industriali e delle autostrade erano “costruite” per testimoniare l'azione del governo nazionalsocialista a beneficio del popolo tedesco. Allo stesso tempo, la propaganda del regime glorificava la figura interclassista del lavoratore. Gli operai, i contadini e i soldati erano raffigurati come i difensori della "comunità nazionale" il cui nucleo e garante dell'ordine morale era la famiglia tradizionale con numerosi figli (le fotografie dovevano mostrare famiglie con almeno quattro bambini).

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 2Fig.2: manifesto ricavato da una fotografia di Heinrich Hoffmann del1935. Fonte1.2 Il culto del capo e i fotografi personali di Hitler

    Durante la Repubblica di Weimar, in anni caratterizzati da una permanente instabilità politica e da un diffuso malessere economico-sociale, i nazisti seppero sfruttare al massimo l’aspirazione del popolo tedesco ad essere guidato da un capo forte e decisionista, capace di infondere in loro sicurezza e speranza in un futuro migliore. Si avvalsero di campagne propagandistiche accuratamente studiate per trasformare Adolf Hitler da estremista poco conosciuto (nato in Austria e non in Germania) a salvatore della patria e uomo del destino della nazione.

    A partire dall'inizio degli anni '30, per rappresentare e allo stesso tempo favorire la crescente popolarità di Hitler, i responsabili della propaganda nazista utilizzarono immagini panoramiche del "Führer", posizionate diagonalmente su entrambi i lati, davanti a folle oceaniche.

    Il fotografo più importante dell’iconografia propagandistica del Terzo Reich fu sicuramente Heinrich Hoffmann, amico e ritrattista personale di Hitler. Le sue fotografie contribuirono in maniera rilevante alla creazione del mito hitleriano nell’immaginario collettivo del popolo tedesco. Nel 1932 Hoffmann pubblicò un opuscolo dal titolo Hitler wie ihn keiner kennt (Hitler come nessuno lo conosce). Per aiutare il popolo a identificarsi con il "Führer", Hitler fu ritratto come un "tedesco normale", un amante dei bambini, della natura e dei cani3.

    Tra i principali fotografi della Germania nazista deve essere annoverato anche Hugo Jaeger che accompagnò Hitler negli anni Trenta e nel corso della Seconda Guerra Mondiale, scattandogli circa duemila fotografie a colori, All’epoca, Jaeger fu uno dei pochi fotografi che utilizzavano pellicole a colori. Un lavoro, il suo, che ci consegna un sorprendente ritratto di Hitler e una straordinaria documentazione visiva della criminale politica del nazismo in Polonia (Ghetto di Varsavia)4.

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 3Fig.3: fotomontaggio “Entartung der Kultur” (Degenerazione della cultura): manifesto per la grande mostra antibolscevica del 1937 a Norimberga. Fonte1.3 I fotomontaggi antisemiti

    Nel 1937 la mostra antibolscevica Grosse antibolschewistische Shau (Grande esposizione antibolscevica), allestita inizialmente nel novembre del 1936 presso la biblioteca del Deutches Museum di Monaco, esponeva in un nuovo allestimento a Norimberga un gigantesco fotomontaggio antisemita sulla “degenerazione della cultura” Entartung der Kultur. Si trattava (come ha osservato Konstantin Akinsha) di una strategia propagandistica di grande effetto, ispirata alle tecniche sovietiche dei decenni precedenti e utilizzata anche nella Mostra della Rivoluzione fascista tenutasi a Roma nel 19325.

     

     

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 4Fig.4: Fotomontaggo 'Judenvisagen' (Facce di giudei), per la mostra “Der Ewige Jude” (L'ebreo errante), Monaco di Baviera, 1937. FonteUn altro famoso fotomontaggio antisemita, Judenvisagen (Facce di giudei), fu presentato nella mostra Der ewige Jude (L'eterno ebreo), allestita a Monaco sempre nel 1937. In questo fotomontaggio erano state inserite foto che ritraevano personaggi di origine ebraica appartenenti al mondo della cultura, della politica e della scienza. Personaggi di cui venivano esasperati, abbruttendoli, i tratti fisiognomici che denotavano l’appartenenza ad una razza diversa da quella ariana e, per questo, considerata inferiore.

    Maestro della iconografia antisemita era il giornalista e scrittore Hans Diebow che aveva pubblicato nel 1924 Die Rassenfrage (La questione razziale), e numerosi altri pamphlet sullo stesso tema negli anni successivi. Nel 1937 curò la raccolta di illustrazioni, in prevalenza fotografiche, Der ewige Jude (L’eterno ebreo), un’opera feroce e provocatoria che denigrava e ridicolizzava gli ebrei per giustificare la politica antisemita dei nazisti e l’obiettivo di una Germania “Judenfrei”. Le sue pubblicazioni, che avevano contribuito a diffondere l’odio razziale non solo in Germania ma anche negli altri paesi dell’Asse, possono essere definite come una sorta di “foto-album ideologici” dove le parole dovevano essere subordinate alle immagini6.

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 5Fig.5: gruppo di militari facenti parte delle Propagandakompanien. Fonte1.4 Le fotografie di guerra

    Per i responsabili della propaganda nazista la guerra doveva essere drammatizzata e personalizzata utilizzando tutti i mezzi visivi, e, tra questi, in particolare la fotografia.

    Nel 1938 furono create le Propagandakompanien, reparti della Wehrmacht la cui attività era però posta sotto il controllo diretto del Ministero della Propaganda, che comprendevano fotografi, cineoperatori, disegnatori e giornalisti. Il loro compito era quello di fornire immagini della guerra che, puntando sull’emotività, dovevano raffigurare la forza, il coraggio e l’eroismo dei soldati dell’esercito tedesco7.

    Le numerose fotografie prodotte dalle Propagandakompanien nel corso della Seconda Guerra Mondiale erano però in gran parte il frutto di “messe in scena” che, per rassicurare le famiglie tedesche o esaltare le figure dei combattenti, avevano poco o niente in comune con la realtà. Allo scoppio della Secondo conflitto mondiale nel 1939, i fotografi documentarono i successi della Wehrmacht nei vari teatri di guerra. Dopo l'attacco all'Unione Sovietica, nel giugno 1941, le foto contenevano anche immagini che raffiguravano sia le condizioni di estrema indigenza in cui vivevano le popolazioni locali che la violenza dei soldati tedeschi nei confronti degli ebrei. Quando, a partire dal 1943, la sconfitta militare della Germania sul fronte orientale era di giorno in giorno sempre più evidente, i soldati della Wehrmacht venivano ancora rappresentati come combattenti vittoriosi. L’iconografia ufficiale glorificava la guerra e le virtù militari: il cameratismo, la lealtà e il coraggio. I detentori della Croce di Cavaliere della Wehrmacht venivano corteggiati come eroi dalla propaganda nazista; tra questi, in particolare, Erwin Rommel, che godeva di un'alta reputazione tra la popolazione ed era una figura in cui si identificavano molti soldati dell’esercito tedesco.

     

    2. Gerhard Paul e le immagini di una dittatura

    Gerhard Paul è uno storico tedesco che ha insegnato didattica della storia presso la Europa-Universität di Flensburg (Germania) e che da più di trent’anni studia le immagini dell’età contemporanea, intese non solo come una delle possibili fonti della storia, insieme alle fonti scritte e a quelle orali, ma come oggetti che meritano un’indagine storiografica autonoma. Le immagini, a suo parere, sono dotate di una propria «forza generativa» poiché esse non solo riflettono la storia, ma anche la influenzano e la determinano8.

    «Le immagini, [egli osserva] sono più che fonti che si riferiscono a un fatto o evento al di fuori della propria esistenza; sono più che media che usano il loro potenziale estetico per trasmettere interpretazioni [della realtà]. Le immagini hanno anche la capacità di creare prima di tutto realtà, sono dotate di una potenza energetica e generativa»9.

    Numerose sono le sue pubblicazioni (purtroppo nessuna è stata ancora tradotta in italiano) dedicate alle immagini della propaganda e della politica del terrore dei nazisti contro gli ebrei e le popolazioni dell’Europa orientale, e alla iconografia delle guerre, nella consapevolezza che le “guerre moderne” sono diventate sempre più “guerre di immagini” (la Seconda guerra mondiale, la Guerra del Vietnam, la Guerra in Iraq contro Saddam Hussein)10.

    Nel 2020 ha pubblicato Immagini di una dittatura. La storia visiva del Terzo Reich (Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches) nella collana «Visual History» dell’editore Wallstein Verlag11.

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 6Fig.6: copertina di “Bilder einer Diktatur” editore Wallstein Verlag. FonteIn cinquecento pagine, Paul prende in esame l’iconografia del nazismo negli anni che vanno dal 1932 al 1945 utilizzando 42 “immagini chiave”. La selezione riflette il primato della fotografia nella memoria collettiva dei tedeschi. Infatti, due terzi delle “immagini chiave” selezionate da Paul sono fotografie, prodotte sia da fotografi professionisti, alle dipendenze delle agenzie di propaganda del regime o inquadrati in reparti militari, che da fotografi amatoriali (soldati o civili). A ciascuna delle immagini selezionate, riprodotte in ordine cronologico, viene dedicato un capitolo dove l’autore descrive le circostanze della loro creazione, come furono utilizzate e interpretate, e come lui stesso le ha incontrate per la prima volta.

    Nella sua indagine iconografica Paul ha potuto constatare che, nonostante siano trascorsi più di 70 anni dalla fine del cosiddetto Terzo Reich, le foto provenienti dalla propaganda nazista plasmano ancora la visione collettiva di quel periodo storico. Sono onnipresenti in rete, negli articoli dei giornali e nelle mostre, illustrano i libri e i testi scolastici, dove spesso si dimentica che esse non rispecchiano in modo oggettivo e neutrale la realtà, poiché sono spesso il prodotto di “messe in scena”, di costruzioni mediatiche che necessitano di un’attenta critica delle fonti.

    «Siamo ancora circondati da immagini dell’era nazista [scrive Paul nell’introduzione a Bilder einer Diktatur]. Uno sguardo ai giornali e alle riviste, allo schermo televisivo [o a quello dei computer e dei telefonini collegati a Internet] conferma continuamente questo fatto: la barriera di confine rotta a Danzica è una metafora visiva dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale; la fotografia dei fratelli Scholl rappresenta in tutto il mondo la resistenza contro Hitler; la rampa ferroviaria di Auschwitz-Birkenau costituisce una icona globale dell’Olocausto. Nel cosmo di queste immagini si è formata la nostra visione del nazionalsocialismo e del Terzo Reich. Quella che era un'esperienza reale per coloro che vivevano in quel momento viene veicolata ai posteri mediaticamente attraverso immagini. La memoria che ne scaturisce proviene spesso dalla stessa propaganda nazista che è stata adottata talvolta in modo acritico, influendo così sul giudizio di quella tragica esperienza storica»12.

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 7 PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 8 Bilder einer Diktatur inizia con una foto scattata a Kiel (Schleswig-Holstein) nel dicembre 1932 e si chiude con una foto scattata a Flensburg (Schleswig-Holstein) il 23 maggio 1945. La prima mostra un candelabro di Hanukkah (candelabro a nove bracci, Menorah, per celebrare la festa ebraica di Hanukkah) posto sul davanzale di una finestra con vista sull’edificio sede della locale direzione del partito nazista (NSDAP) dove sventolava una bandiera con la svastica. La fotografia è una “messa in scena” della fotografa Rachel Posner, moglie del rabbino di Kiel, per rappresentare visivamente la situazione di tensione e di pericolo in cui si trovava la popolazione ebraica a causa delle azioni violente dei nazisti di quella città. Questa fotografia viene utilizzata da Paul per raffigurare simbolicamente la radicale contrapposizione tra il nazionalsocialismo e il mondo ebraico, tema centrale di Bilder einer Diktatur. La seconda foto documenta l’arresto avvenuto a Flensburg di alcuni alti gerarchi nazisti: Karl Dönitz (il successore di Hitler), Albert Speer (il ministro degli armamenti e delle munizioni del Reich) e Alfred Jodl (il capo l'organizzazione Todt). Si tratta anche in questo caso di una “messa in scena” voluta dalla potenza occupante britannica per offrire ai numerosi rappresentanti della stampa internazionale un’immagine iconica della fine della dittatura nazista.

    Circa un terzo delle fotografie di Bilder einer Diktatur sono dedicate alla persecuzione degli ebrei. In molte immagini, gli ebrei vengono ritratti secondo gli stereotipi razziali definiti dai nazisti per rafforzare le tendenze antisemite della popolazione tedesca ed escluderli così dalla “comunità nazionale”, riservata ai soli cittadini di razza ariana. Particolarmente inquietanti sono le foto di Lviv, in Ucraina, che mostrano giovani che compiono violenze sessuali contro donne ebree davanti alla macchina fotografica. Ci sono anche immagini scattate clandestinamente che provengono dalle stesse vittime del terrore nazionalsocialista.

    Per Paul, ciò che colpisce nell’iconografia nazista è la discrepanza tra la violenza degli eventi e la «osservazione apparentemente estranea» di gran parte dei fotografi. Miglia di fotografie venivano pubblicate sui quotidiani e sulle riviste illustrate promosse dal regime per creare un nuovo immaginario delle masse, per renderle partecipi degli eventi e trasformarle in corresponsabili, estendendo così la base di consenso del regime.

    Nel riflettere sui criteri da lui seguiti nella scelta delle immagini in Bilder einer Diktatur, Paul così descrive la dinamica delle immagini nella memoria collettiva:

    «La nostra memoria basata sulle immagini non è mai statica, ma dinamica, caotica e associativa. Ciò vale anche per la memoria dell’era nazista. Alcune immagini sopravvivono al passare del tempo, cambiando interpretazione e significato. Altre immagini vengono dimenticate e scompaiono dalla nostra memoria. Nuove immagini sostituiscono quelle più vecchie. Tra queste ci sono immagini che, a causa del loro potere iconico, sono prive di leggende, mentre altre richiedono l’accompagnamento di un testo descrittivo. Alcune immagini acquisiscono un significato maggiore, vengono collocate nella memoria come immagini di riferimento per un contesto storico più ampio. Tutto questo avviene a seconda dei tempi, dei mutevoli interessi e delle domande che poniamo alla storia»13.

    Grazie all’ampia e approfondita ricerca iconografica sull’era nazista, che affianca alle fotografie ufficiali del regime immagini meno conosciute o del tutto sconosciute, e mostra eventi nelle strade e nelle piazze, così come nei lager o nelle prigioni, nelle stanze private o nei nascondigli, Bilder einer Diktatur è un'opera di grande interesse che può essere utilizzata proficuamente anche in ambito didattico per esercitarsi ad analizzare criticamente le fonti visive, mettendo in discussione la produzione, la ricezione e l’interpretazione delle fotografie di quell'epoca barbarica.

     

    3. Collezioni fotografiche online: sitografia

    Elenchiamo di seguito alcune risorse della rete ad accesso libero e gratuito, che propongono collezioni fotografiche sulla storia visiva della Germania nazista. Per quanto riguarda le collezioni fotografiche sulla Shoah/Olocausto rinviamo alla sitografia dell’articolo Le quattro foto “vere/false” di Auschwitz. Georges Didi-Huberman e il dibattito sulla rappresentazione della Shoah (in «Historia Ludens», 21/01/2024), con la stessa avvertenza: le fotografie digitali che circolano numerose sul web devono sempre essere sottoposte ad una critica delle fonti, con una particolare attenzione sia all’organizzazione che alle finalità dei siti che le pubblicano.

    - In Wikimedia Commons (l’archivio digitale open access di immagini, suoni e video, di pubblico dominio o con licenza libera, creato nel 2004 dalla Wikimedia Foundation, e che funge da repository di file multimediali per i vari progetti della fondazione, tra cui Wikipedia) segnaliamo le categorie (aggregati di file strutturati):

    Category: Nazi Germany

    Category: Nazi propaganda

    Category: Nazi photographers

    Category: Photographs by Heinrich Hoffmann

    Category: Propagandakompanie

    E’ possibile anche effettuare una ricerca in Wikimedia Commons digitando nazi photography nel campo di testo libero; in tal caso, il risultato è un mosaico di immagini non strutturate.

    - Il Bundesarchiv, l’Archivio federale della Germania, conserva circa 12 milioni di immagini, foto aeree e manifesti sulla storia tedesca e non solo. Dal sito dell’archivio è possibile impostare ricerche per periodo. Ad esempio, la ricerca dal 1933 al 1945permette di visualizzare numerose immagini relative alla Germania negli anni del nazismo al potere. L’archivio conserva, in particolare, le fotografie delle Compagnie di Propaganda della Wehrmacht che mostrano l’impiego nelle diverse zone di guerra delle forze armate tedesche durante il Secondo conflitto mondiale. Dal sito dell’archivio è possibile visualizzare le foto: Propagandakompanien der Wehrmacht.

    - Il LEMO – Lebendiges Museum Online permette di accedere a diverse raccolte fotografiche sulla Germania (Fotografien). Nella lista Epoche segnaliamo: Weimarer Republik, NS-Regime, Zweiter Weltkrieg. La ricerca delle immagini può essere impostata per tag, luoghi e persone.

    - Il sito Süddeutsche Zeitung Photo pubblica numerose fotografie dedicate al nazionalsocialismo in Germania: Nationalsozialismus in Deutschland. Le fotografie sono raggruppate per temi e ogni tema propone diversi dossier con le relative immagini (ad esempio, il tema La politica educativa dei nazionalsocialisti comprende tre dossier: Schule im Nationalsozialismus (La scuola nella Germania nazionalsocialista); Universität im Nationalsozialismus(L’università nella Germania nazionalsocialista); Vormilitärische Ausbildung bei der Hitlerjugend(L’addestramento premilitare della Gioventù hitleriana).

     


    Note

    1 Cfr. Thekla Kausch,Die Fotografie im NS-Regime, Deutsches Historisches Museum, Berlin, 18. August 2015.

    2 Cfr. Arnulf Scriba,Die NS-Propaganda, Deutsches Historisches Museum, Berlin, 14. Juli 2015. Sulla fotografia di propaganda: Gabriele D’Autilia,L’indizio e la prova. La storia nella fotografia, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2005, pp. 165-169.

    3 Cfr.Heinrich Hoffmann (photographer), Wikipedia edizione in lingua inglese. Si veda anchePhoto archive of Heinrich Hoffmann, Bayerische StaatsBibliothek.

    4 Cfr.Hugo Jaeger, Wikipedia edizione in lingua inglese. Si veda anche lacollezione di foto a coloridi Hugo Jaeger su flickr.

    5 Cfr. Konstantin Akinsha,Il naso di Alfred Flechtheim. Antisemitismo e immagini nella propaganda nazista, «Storicamente», 5 (2009), no. 54.

    6 Cfr. Konstantin Akinsha,Il naso di Alfred Flechtheim.

    7 Cfr. Carola Jüllig,Propagandakompanien, Deutsches Historisches Museum, Berlin, 29. April 2020.

    8 Per maggiori informazioni bio-bibliografiche su Gerhard Paul: lavoce relativa in Wikipedia edizione in lingua tedesca e ilcatalogo della Deutsche National Bibliothek.

    Bilder als generative Kräfte, nella voceVisual History scritta da Gerhard Paul per la «Docupedia-Zeitgeschichte», 13.03.2014.

    10 Tra le pubblicazioni in lingua tedesca di Gerhard Paul, segnaliamo:Aufstand der Bilder. Die NS-Propaganda vor 1933 (La rivoluzione delle immagini. Propaganda nazista prima del 1933), Bonn 1990;Bilder des Krieges – Krieg der Bilder. Die Visualisierung des modernen Krieges (Immagini di guerra - guerra di immagini. La visualizzazione della guerra moderna), Schöningh, Paderborn 2004;Der Bilderkrieg. Inszenierungen, Bilder und Perspektiven der “Operation Irakische Freiheit” (La guerra delle immagini nella “Operazione Iraqi Freedom”), Wallstein, Göttingen 2005;Das visuelle Zeitalter. Punkt & Pixel, (L'era visiva: punto & pixel ) Wallstein, Göttingen 2015;Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches (Immagini di una dittatura. Per una storia visuale del Terzo Reich), Wallstein, Göttingen 2020. In rete si possono leggere in modalità open access:Die Geschichte hinter dem Foto. Authentizität, Ikonisierung und Überschreibung eines Bildes aus dem Vietnamkrieg (La storia dietro una foto. Autenticità, iconizzazione e sovrascrittura di un'immagine della guerra del Vietnam), in «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History», n. 2, 2005;Die Geschichte der fotografischen Kriegsberichterstattung (La storia del reportage fotografico di guerra), nel dossier «Bilder in Geschichte und Politik» della Bundeszentrale für politische Bildung, 28/12/2005; Kriegsbilder – Bilderkriege (Immagini di guerra, guerre di immagini), in «Aus Politik und Zeitgeschichte», Bundeszentrale für politische Bildung, 16/07/2009;Das Mao-Porträt Herrscherbild, Protestsymbol und Kunstikone (Il ritratto di Mao. Immagine del potere, simbolo di protesta e icona dell'arte), in «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History», n. 6, 2009;“Icons Art” & “Double Take”. Anmerkungen zu einer Berliner Ausstellung (Le icone mediatiche della fotografia e del cinema. Appunti su una mostra di Berlino), in «Visual History», 11/03/2019.

    11 In rete è possibile leggere l’introduzione e alcuni capitoli iniziali (Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches).

    12Cfr. Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches – Einleitung, pp. 9-16.

    13 Cfr.Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches – Einleitung, pp. 9-16.

  • Le quattro foto “vere/false” di Auschwitz. Georges Didi-Huberman e il dibattito sulla rappresentazione della Shoah

    di Antonio Prampolini

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 2Fig.2: foto di Gabriele Croppi in “Shoah and Postmemory”, Edizioni Sonda, 2012. FonteIndice

    1. La rappresentabilità per immagini della Shoah

    1.1 L’importanza delle fotografie nel racconto del genocidio degli ebrei
    1.2 Le fotografie necessitano di una contestualizzazione storica
    1.3 Immagini reiterate all’infinito
    1.4 La personalizzazione della Shoah attraverso gli album di famiglia
    1.5 Il progetto fotografico “Shoah and Postmemory” di Gabriele Croppi

    2. “Immagini malgrado tutto” di Georges Didi-Huberman

    3. Le quattro foto del Sonderkommando di Auschwitz

    4. Le fotografie della Shoah in rete: sitografia

     

    1. La rappresentabilità per immagini della Shoah

    1.1 L'importanza delle fotografie nel racconto del genocidio degli ebrei

    Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la storia della Shoah è giunta a noi anche grazie a numerose testimonianze fotografiche prodotte da diversi soggetti: dai nazisti, dagli eserciti alleati al momento della liberazione dei lager e, eccezionalmente, dalle stesse vittime. Si stima che il patrimonio visivo della Shoah ammonti ad oltre due milioni di fotografie che, oggi, grazie alla digitalizzazione e a Intenet-Web, sono facilmente accessibili non solo dagli specialisti ma anche dal vasto pubblico degli utenti della rete.

    Alcune di queste immagini sono diventate nel tempo delle icone che si sono radicate con forza nell’immaginario collettivo. Si pensi alla scritta Arbeit macht frei posta all’ingresso del campo di Auschwitz, al filo spinato elettrificato che circondava i lager, alle torrette di avvistamento, ai binari di Auschwitz II–Birkenau, e, soprattutto, ai corpi senza vita ammassati nelle fosse comuni o in attesa di essere inceneriti, e a quelli denutriti e scheletriti dei sopravvissuti.

    Diversamente dalla tesi iconoclasta espressa in modo radicale da Marc Chevrie, per il quale «non ci può essere alcuna altra immagine possibile del genocidio se non l’assenza di immagini»1, Marianne Hirsch e Clément Chéroux ne hanno sottolineato, all’opposto, il ruolo fondamentale nella documentazione della Shoah.

    Le fotografie, spiega Marianne Hirsch in “Immagini che sopravvivono: le fotografie dell’Olocausto e la post-memoria”, permettono di accedere al passato e di connetterlo al presente, resuscitandolo attraverso lo sguardo dello spettatore:

    «Le fotografie dell’Olocausto collegano passato e presente attraverso l’“esserci stato” dell’immagine fotografica; sono messaggere di un tempo di orrore che non è ancora abbastanza lontano»2.

    E Clément Chéroux, in occasione di una mostra da lui curata sulle immagini della Shoah, allestita in diverse città europee negli anni 2001-2002:

    «la fotografia è un vero e proprio passaggio di testimone, [interviene] come un prolungamento dello sguardo diretto, un sostituto con il compito di esportare le visioni dell’orrore al di là del perimetro dei campi»3.

     

    1.2 Le fotografie necessitano di una contestualizzazione storica

    Per una corretta interpretazione delle immagini del genocidio degli ebrei è necessario porsi alcune domande preliminari sui motivi per cui sono state prodotte, come ha osservato giustamente Laura Fontana4.

    Con riferimento ai carnefici:
    • Come auto-glorificazione e souvenir della guerra e dello sterminio?
    • Come prova o dono da inviare ai propri superiori gerarchici per mostrare loro un “lavoro” ben fatto, una organizzazione efficiente?
    • Come testimonianza storica, da lasciarsi alle generazioni future?
    • Come necessità burocratica?

    Con riferimento alle vittime:
    • Come atto di resistenza per denunciare i crimini perpetrati dai nazisti?
    • Come dimostrazione della propria esistenza quali esseri umani?
    • Come testamento morale per i propri famigliari?
    • Come atto di speranza e fiducia nella liberazione?

    Domande, queste, che non sempre sono state prese in considerazione dagli studiosi della Shoah, tra i quali è prevalso un uso delle immagini fotografiche condizionato più dalla loro portata simbolica che dalla loro valenza documentale.
    Le immagini sono state spesso scelte per scioccare il pubblico, non per informarlo attraverso una corretta contestualizzazione, e, come ha scritto Clément Chéroux, «per produrre l’impatto desiderato non era necessario che all’immagine fosse associata una didascalia: la foto di per sé era già sufficiente».
    E la conseguenza di ciò viene evidenziata dalla catena di imprecisioni e di errori storiografici che a lungo hanno condizionato l’utilizzo delle fotografie della Shoah.

     

    1.3 Immagini reiterate all'infinito

    Sui media, ma anche nei manuali scolastici e nei testi divulgativi (soprattutto in rete) vengono pubblicate sempre le stesse immagini della Shoah, generalmente prive di adeguate didascalie e soprattutto di schede interpretative. Questa “reiterazione all’infinito” di fotografie con montagne di cadaveri e ritratti di corpi scheletriti dei sopravvissuti alla “soluzione finale” dei nazisti, invece di rafforzare il collegamento con quel drammatico evento della storia del Novecento e invocare il dovere della memoria, alimenta uno sguardo sempre più superficiale e apatico delle nuove generazioni verso la tragedia della Shoah.
    I media contemporanei riempono gli schermi (TV e Internet) di quantità crescenti di “atrocità”, di reportage di guerra che «mettono in scacco la capacità dell’uomo contemporaneo di sentire e di immaginare»5 e, soprattutto, di confrontarsi con la storia. In questo contesto le fotografie della Shoah corrono il rischio di trasformarsi in un «catalogo di un’infamia moderna senza confini, dove tutto si scontorna nell’inflazione delle immagini»6.

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 1Fig.1: Foto della famiglia ebrea polacca Grossman - Ghetto di Łódź. Fonte1.4 La personalizzazione della Shoah attraverso gli album di famiglia

    Le fotografie degli “album di famiglia” delle vittime della Shoah offrono, attraverso “storie di vita”, un percorso alternativo di avvicinamento al genocidio degli ebrei (valido anche in ambito didattico), di comprensione di quell’evento tragico, capace di evitare la diffusa desensibilizzazione, assuefazione generata dalla reiterazione di immagini macabre della morte di massa nei campi di sterminio.

    Come ha giustamente osservato Clément Chéroux:

    «al contrario delle rappresentazioni spersonalizzate delle fosse comuni, le immagini tratte dagli album di famiglia re-individualizzano il nostro rapporto con la Shoah, instaurando un tenue legame con esistenze un tempo simili alle nostre. [...] Queste fotografie costituiscono certamente un cordone ombelicale, ma sono, ancor di più, il legame estremo, l’ultima traccia di coloro che scomparvero durante la “soluzione finale”»7.

    Gli album fotografici delle famiglie ebraiche sono fonti importanti perché permettono di attivare quel processo di rimpicciolimento della storia descritto da Marianne Hirsh; il solo capace, per la studiosa americana, di suscitare sentimenti di empatia verso le vittime della Shoah, poiché è «la smisuratezza di quella tragedia uno degli elementi che pongono in scacco l’immaginazione dell’uomo»8.

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 2Fig.2: foto di Gabriele Croppi in “Shoah and Postmemory”, Edizioni Sonda, 2012. Fonte1.5 Il progetto fotografico "Shoah and Postmemory" di Gabriele Croppi

    Shoah and Postmemory è un progetto di rivisitazione della Shoah del fotografo Gabriele Croppi; un progetto espositivo che ha messo insieme una selezione di fotografie scattate in vari campi di concentramento, quartieri e cimiteri ebraici, durante un suo viaggio in Austria, Germania e Polonia, tra il 2008 e il 2011 (il catalogo della mostra è visionabile online in modalità open access).

    È un tentativo di analizzare le ragioni estetiche, psicologiche e sociologiche che sono alla base della memoria della tragedia della Shoah delle generazioni successive a quella delle vittime e dei testimoni (la “postmemoria” analizzata da Marianne Hirsch9): le generazioni che sono venute a conoscenza del genocidio degli ebrei non più tramite un collegamento diretto con l’evento storico, ma attraverso rappresentazioni simboliche e iconiche diffuse dai mass media.

    Gabriele Croppi «pesca dal repertorio dell’immaginario sedimentato in ognuno di noi scegliendo icone minime dalla portata massima»: binari di treni, pile di scarpe, sequenze di numeri cuciti su divise sudice, una doccia arrugginita, le geometrie del filo spinato che avvolge i lager nazisti. Il suo intento è duplice: «da una parte mostrarci la fisionomia delle sensazioni da lui provate, dall’altra prendere dichiaratamente le distanze dalla diffusa tendenza ad una “museificazione” dei luoghi della Shoah»10.

    Non ci sono cadaveri nelle foto di Croppi. I luoghi da lui ritratti «parlano, oggi, una lingua della commozione». Le sue foto «assolvono a un ruolo non più documentale, ma propriamente emozionale, di evocazione ed invocazione»11.

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 3Fig.3: copertina del libro “Immagini malgrado tutto” di Georges Didi-Huberman, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005. Fonte2. "Immagini malgrado tutto" di Georges Didi-Huberman

    Nell’estate del 1944 alcuni membri del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau (il “comando speciale” composto da prigionieri costretti a “ripulire” le camere a gas trasportando i corpi delle vittime nei forni crematori o gettandoli nelle fosse di incinerazione all’aperto) riuscirono a scattare quattro fotografie di quella terribile realtà. I negativi, nascosti in un tubetto di dentifricio, furono poi fatti pervenire clandestinamente alla Resistenza polacca. Le foto ritraggono scene drammatiche in prossimità del crematorio V di Auschwitz-Birkenau: l’incenerimento all’aria aperta dei corpi dei detenuti gasati e l’ingresso di donne nude nella camera a gas.

    Queste quattro foto sono diventate l’oggetto di una attenta riflessione da parte del filoso-storico dell’arte Georges Didi-Huberman nel suo libro Immagini malgrado tutto (pubblicato in Francia nel 2003 e in Italia nel 2005), col quale egli si inserisce autorevolmente all’interno del dibattito francese (e non solo) sulla rappresentabilità della Shoah12. Come ci ricorda lo stesso Didi-Huberman, quelle foto «erano da tempo note agli storici, ma non erano mai state guardate davvero». Esigevano un’approfondita indagine filologica perché, a suo giudizio, molti erano gli elementi concreti che confutavano «quell’estetica negativa, da molti condivisa, che appunto vorrebbe [il genocidio degli ebrei] irrappresentabile, indicibile, inimmaginabile». Inimmaginabile come avrebbe dovuto esserlo nelle intenzioni stesse dei nazisti che avevano programmato «la scomparsa dei corpi, delle anime, della lingua, delle immagini, dei testimoni, dei documenti, persino degli strumenti della scomparsa stessa»13.

    La tesi di Didi-Huberman è che quelle quattro foto, malgrado la loro lacunosità e incompletezza, hanno il potere di sottrarre la memoria di Auschwitz dall’oblio del trascorrere del tempo, accompagnato dall’inevitabile scomparsa dei testimoni. Immagini certamente parziali ma rappresentative di una tragica verità. E per cogliere questa verità occorre tenere presente il loro doppio regime: sono vere e oscure allo stesso tempo; e per questo non dobbiamo chiedere loro troppo, oppure troppo poco, poiché «intrattengono con la verità di cui rendono testimonianza un rapporto frammentario e lacunoso, ma sono in fondo tutto ciò di cui noi disponiamo»14.

    In Immagini malgrado tutto, Didi-Huberman critica, in particolare, le manipolazioni a cui sono state sottoposte nel corso degli anni le fotografie scattate in condizioni terribili dai membri del Sonderkommando di Auschwitz. Interventi finalizzati a raddrizzare il quadro, ingrandire le figure, eliminare le zone d’ombra. «In queste manipolazioni ciò che viene eliminato è in primo luogo il racconto delle circostanze in cui sono state scattate, la clandestinità, le difficoltà e la paura dietro questo gesto, quello di fotografare e testimoniare, così desiderato. Dunque, dissolvendo la loro oscurità, è la loro verità che viene eliminata»15.

    La posizione assunta da Didi-Huberman sul ruolo delle immagini nella memoria della Shoah ha suscitato diverse e aspre critiche, in particolare da parte di Gérard Wajcman e Elisabeth Pagnoux. La seconda parte del libro Immagini malgrado tutto è interamente dedicata alle risposte dell’autore alle loro critiche; risposte che mettono in luce temi di particolare interesse. Tra questi, innanzitutto, la non assolutezza dell’immagine (l’immagine-lacuna) che costituzionalmente non può dirci tutto, ma che ugualmente deve essere inclusa, senza alcun rischio di delegittimazione, nell’indagine storica.

    «L’immagine non è “nè tutto né niente”. Se l’immagine fosse tutta [la realtà], bisognerebbe senz’altro concludere che non ci sono immagini della Shoah. Ma proprio perché “l’immagine non è tutta [la realtà]”, che è legittimo constatare quanto segue: ci sono immagini della Shoah che, pur non dicendo tutto – e tantomeno “il tutto” – della Shoah, sono comunque degne di essere guardate e interrogate come fatti precisi e come testimonianze di questa tragica storia»16.

     

    3. Le quattro foto del Sonderkommando di Auschwitz

    Nei lager nazisti vigeva il divieto più assoluto di scattare fotografie delle camere a gas, dei forni crematori e delle fosse di incinerazione. Proprio per questo le quattro fotografie del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau costituiscono una testimonianza fondamentale delle pratiche di stermino degli ebrei e, nello stesso tempo, ci raccontano del grande coraggio di coloro che, nonostante il divieto, resero possibili quelle fotografie17. Destinati come gli altri detenuti ad essere eliminati, volevano con quelle immagini comunicare all’esterno la terribile realtà dei lager, che per nazisti doveva rimanere segreta, e trasmetterne la memoria alle future generazioni.

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 6Fig.4: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 5Fig.5: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 6Fig.6: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 7Fig.7: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Nella prima foto vediamo i componenti del Sonderkommando impegnati nel loro “lavoro quotidiano”, che consiste nel trascinare i corpi appena estratti dalla camera a gas nelle fosse di incinerazione, mentre un fumo denso li avvolge. Sullo sfondo un boschetto di betulle. Il fotografo (un componente del Sonderkommando), per non essere scoperto dalle SS che sovrintendono alle operazioni del crematorio, ha dovuto nascondersi nell’ingresso della camera a gas appena svuotata, dove l’oscurità lo protegge e scattare la foto da un’apertura che incornicia l’immagine.

    Nella seconda foto, l’inquadratura del Sondercommando al lavoro appare più frontale e leggermente più ravvicinata. E’ come se il fotografo avesse preso coraggio per strappare un’immagine da quell’inferno dantesco in cui egli stesso è prigioniero e condannato a morte.

    La terza foto è stata scattata dall’improvvisato fotografo all’esterno della camera a gas, probabilmente correndo e con la macchina nascosta tra le mani, impossibilitato a puntarla con precisione. L’inquadratura è storta e in un angolo si intravedono le donne già svestite e spinte dalle SS verso la camera a gas in cui credono di doversi fare una doccia.

    La quarta foto è un’immagine astratta, rovinata dalla luce abbagliante del sole che filtra dai rami delle betulle. Un’inquadratura dal basso verso l’alto in cui si intravedono solamente le cime degli alberi e che, a prima vista, potrebbe sembrare inutile, ma che invece ci ricorda le condizioni drammatiche in cui sono state scattate le foto del Sonderkommando di Auschwitz- Birkenau in quella tragica estate del 1944.

     

    FOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 8Fig.8: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-BirkenauFOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 9Fig.9: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-BirkenauFOTOGRAFIE DELLA SHOAH IMMAGINE 10Fig.10: Fonte: Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Le quattro foto, oggi conservate presso il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, vennero diffuse per iniziativa della Resistenza polacca con alcune modifiche. Per fare risaltare l’attività del Sonderkommando nelle fosse di incinerazione, furono rimosse nelle prime due foto le cornici nere e, per rendere più nitide le figure umane, venne ritagliata e ingrandita la terza foto dove appaiono, in un angolo, le donne che si incamminano verso la camera a gas.
    Modifiche, queste, che però offrono una visione distorta degli eventi (come sottolineato da Didi-Huberman) dando l’impressione che l’eroico fotografo del Sonderkommando avesse potuto fotografare liberamente, senza alcun pericolo, quelle terribili scene di morte nel crematorio di Auschwitz.

     

    4. Le fotografie della Shoah in rete: sitografia

    Nell’elenco che segue segnaliamo alcune risorse della rete, ad accesso libero e gratuito, che propongono collezioni fotografiche dedicate alla Shoah/Olocausto, utilizzabili anche in ambito didattico.
    Un’avvertenza: le fotografie digitali che circolano numerose sul web devono sempre essere sottoposte ad una critica delle fonti, con una particolare attenzione sia all’organizzazione che alle finalità dei siti che le pubblicano.

    - In Wikimedia Commons (l’archivio digitale open access di immagini, suoni e video, di pubblico dominio o con licenza libera, creato nel 2004 dalla Wikimedia Foundation, e che funge da repository di file multimediali per i vari progetti della fondazione, tra cui Wikipedia) è possibile accedere a due categorie (aggregati di file) dedicate all’Olocausto:

    Category: Holocaust historical photographs, suddivisa in sei sottocategorie:

    Historical photographs of Holocaust deportation‎,

    Historical photographs of Nazi concentration camps‎,

    Historical photographs of Nazi ghettos‎,

    Holocaust historical photographs by country‎,

    Holocaust murders in progress‎,

    Exhibition The persecution of the Jews in photographs‎;

     

    Category: Sonderkommando photographs.

    Sui fotografi dell’Olocausto, la Category: Holocaust photographers.

    - In Wikipedia, edizione in lingua italiana, troviamo alcune voci interessanti dedicate alle fotografie e ai fotografi del genocidio degli ebrei: Fotografie dell'Olocausto, Foto del Sonderkommando, Auschwitz Album, L'ultimo ebreo di Vinnitsa.

     

    - La Britannica propone una articolata raccolta di immagini e video sull’argomento: Holocaust: Media.

    - Sul sito dello Yad Vashem (l'Ente nazionale per la Memoria dell’Olocausto con sede a Gerusalemme) è possibile accedere ad una vasta collezione di immagini, Photo Collections, organizzata per Soggetti, Tipo di materiale, Fotografi, Diritti d’autore. Il sito pubblica, in particolare, le foto dell’Album di Auschwitz. Le foto furono scattate dai fotografi dell'Erkennungsdienst, il servizio di identificazione del campo di sterminio di Auschwitz II-Birkenau. Le foto mostrano l'arrivo degli ebrei ungheresi stipati nei carri bestiame, le operazioni di selezione con la separazione degli abili al lavoro dagli inabili (vecchi, donne e bambini) destinati alle camere a gas.

    - L’United States Holocaust Memorial Museum – USHMM, una delle principali istituzioni, con sede a Washington, che a livello mondiale si dedicano alla conservazione della memoria del genocidio degli ebrei, mette a disposizioni degli utenti della rete una collezione di fotografie (trenta immagini dell’orrore) scattate dall’esercito americano durante la liberazione dei lager nazisti: World War II Liberation Photography. Il sito del museo-memoriale USHMM pubblica anche un interessante album di una famiglia ebraica (the Grossman family) prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Le fotografie del tempo di guerra documentano la vita quotidiana nel ghetto di Łódź (Polonia), comprese scene di strada e deportazioni. Per visualizzare in ordine alfabetico tutte le immagini storiche del Museo-Memoriale che illustrano persone, luoghi ed eventi prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto, consultare la Lista Immagini.

    - Il Mémorial de la Shoah, con sede a Parigi, è il principale centro europeo per la preservazione, la ricerca e la diffusione della memoria del genocidio degli ebrei. Possiede una collezione composta da più di 300.000 fotografie, un terzo delle quali è disponibile online, riguardanti in particolare la storia degli ebrei nella Francia occupata dalla Germania nazista e nel territorio controllato dal Governo di Vichy tra il 1940 e il 1944. Nella sezione La photothèque del sito del memoriale possibile impostare ricerche sulla documentazione scegliendo: i campi di concentramento-sterminio, la tipologia di documento, le date di riferimento.

     


    Note

    1 Citato in La postmemoria: arte e testimonianza della Shoah nell’età digitale di Claudio Vercelli, 7 Marzo 2021. Tra i sostenitori della tesi iconoclasta in Francia, ricordiamo, oltre all’interprete dell’iconofobia tipica dell'ebraismo Claude Lanzmann, anche gli autori delle violente critiche rivolte a Georges Didi-Huberman (Images malgré tout): Gérard Wajcman e di Elizabeth Pagnoux.

    2 Marianne Hirsch, Immagini che sopravvivono: le fotografie dell’Olocausto e la post-memoria, in «Storia della Shoah» (a cura di Cattaruzza M., Flores M., Levis Sullam S., Traverso E.), vol. III, Riflessioni, luoghi e politiche della memoria, Torino, UTET, 2006, pp.385-421.

    Sempre citato in La postmemoria: arte e testimonianza della Shoah nell’età digitale di Claudio Vercelli. Il catalogo della mostra, Memoria dei campi. Fotografie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti, 1933-1999 è stato pubblicato dalla casa editrice Contrasto nel 2001.

    4 Laura Fontana, Usi e abusi dell’iconografia della Shoah: insegnare Auschwitz attraverso le fonti visive, Assemblea Legislativa Emilia Romagna, s.d..

    5 Maurizio Guerri, Ancora immagini della Shoah? Günther Anders e la fiction “Holocaust”, Novecento.org, n. 15, febbraio 2021.

    6 Claudio Vercelli, La postmemoria: arte e testimonianza della Shoah nell’età digitale, 7 Marzo 2021.

    7 Si veda il catalogo della mostra curata da Clément Chéroux Memoria dei campi. Fotografie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti, 1933-1999. Il catalogo è stato pubblicato dalla casa editrice Contrasto nel 2001.

    8 Maurizio Guerri, Ancora immagini della Shoah? Günther Anders e la fiction “Holocaust”, Novecento.org, n. 15, febbraio 2021.

    9 Marianne Hirsch, The Generation of Postmemory: Writing and Visual Culture After the Holocaust, Columbia University Press, 2012.

    10 Shoah e postmemoria, articolo redazionale pubblicato il 21/01/2012 su photographers.it.

    11 Helga Marsala, Il volto dell’Olocausto, dalla rappresentazione del male alla postmemoria. Le immagini di Gabriele Croppi, 27/01/2015.

    12 Per informazioni bio-bibliografiche su Georges Didi-Huberman, si veda la voce di Wikipedia in lingua francese a lui dedicata. Si veda anche la voce Images malgré tout.

    13 Con Didi-Huberman nel tempo delle immagini di Andrea Pinotti, «Il Manifesto», 07/09/2007.

    14 Georges Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto, Cortina, Milano 2005, p. 52.

    15  Daniela Angelucci, «Immaginario malgrado tutto». Note su Didi-Huberman, in Fotografia e culture visuali del XXI secolo a cura di Enrico Menduni e Lorenzo Marmo, Roma Tre-Press, 2018, pp.69-75.

    16 Georges Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto, Cortina, Milano 2005, p. 89. 

    17 Dalla testimonianza di un sopravvissuto del Sonderkommando: «Nel giorno in cui sono state scattate le foto alcuni di noi dovevano seguire la persona con la macchina fotografica. Dovevano cioè vigilare attentamente sull'avvicinarsi di chiunque non conoscesse il segreto e soprattutto sulla presenza nella zona di eventuali SS. Alla fine arrivò il momento. Ci riunimmo tutti presso l'ingresso occidentale che conduce dall'esterno alla camera a gas del crematorio V: non vedemmo nessuna SS nella torre di guardia che sovrastava la porta dal filo spinato, né vicino al luogo dove dovevano essere scattate le foto. Alex, l'ebreo greco, ha tirato fuori velocemente la sua macchina fotografica, l'ha puntata verso un mucchio di corpi in fiamme e ha premuto l'otturatore. Ecco perché la fotografia mostra i prigionieri del Sonderkommando che lavorano ammassati. Accanto a loro c'era una delle SS, ma dava le spalle all'edificio del crematorio. Un'altra foto è stata scattata dall'altro lato dell'edificio, dove donne e uomini si spogliavano tra gli alberi. Provenivano da un trasporto che doveva essere assassinato nella camera a gas del crematorio V» (Janina Struk, Photographing the Holocaust: Interpretations of the Evidence, I. B. Tauris, London, 2004, p. 114).

     

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