di Daniele Boschi1
Fig.1: Laura Kipnis, docente universitaria messa sotto inchiesta per un articolo pubblicato su una rivista FonteNel febbraio del 2015 Laura Kipnis, docente alla Northwestern University di Chicago, pubblicò un articolo nel quale deprecava la ‘paranoia sessuale’ che a suo dire si era diffusa nei campus americani. Alcuni studenti chiesero e ottennero che l’università aprisse un’indagine su di lei per le opinioni che aveva espresso nel suo saggio. L’accusa era quella di creare un ambiente ostile nei confronti delle donne vittime di molestie e violenze sessuali e di scoraggiare le denunce per questo tipo di abusi2.
Nell’ottobre dello stesso anno Nicholas e Erika Christakis, marito e moglie, entrambi docenti all’università di Yale, furono aspramente criticati da un gruppo di studenti dopo che Erika Christakis aveva scritto una e-mail nella quale si diceva perplessa circa le raccomandazioni date dall’amministrazione universitaria agli studenti riguardo ai costumi da indossare per Halloween. Nicholas Christakis fu aggredito verbalmente e insultato da alcuni studenti. Successivamente gli studenti organizzarono una ‘Marcia di Resilienza’ e chiesero la destituzione dei due docenti dall’incarico di master e associate master del Silliman College. In seguito a queste proteste i due coniugi si dimisero da quel ruolo ed Erika Christakis abbandonò anche il suo posto di insegnante all’università di Yale3.
Nell’aprile del 2017 Heather Mac Donald avrebbe dovuto presentare agli studenti del Claremont McKenna College (in California) il suo nuovo libro, The War on Cops, molto critico nei confronti del movimento Black Lives Matter. Sulla pagina Facebook dedicata all’evento la scrittrice fu accusata di essere un’esponente del suprematismo bianco e dell’ideologia fascista e fu annunciata l’intenzione di impedire lo svolgimento della conferenza. In effetti una folla di circa 170 manifestanti impedì poi alla Mac Donald di entrare nell’edificio dove avrebbe dovuto parlare e lei non poté far altro che tenere la sua presentazione in una sala vuota dalla quale fu trasmessa in streaming4.
Cancel culture o lotta contro i pregiudizi e le discriminazioni?
Questi tre eventi che ho sommariamente rievocato sono soltanto alcuni tra gli innumerevoli episodi dello stesso tipo accaduti negli ultimi anni nei campus americani: una controversia o uno scontro verbale portano qualcuno a pretendere, e talvolta ad ottenere, una qualche forma di censura o sanzione nei confronti di qualcun altro accusato di aver fatto un commento, o espresso un’opinione, giudicati offensivi.
Perciò molti analisti hanno visto nei college e nelle università statunitensi uno dei principali terreni di coltura del ‘politicamente corretto’ e della cancel culture. Non pochi commentatori hanno espresso serie preoccupazioni riguardo alla crescente intolleranza e alle restrizioni alla libertà di espressione, che sembrano essersi instaurati nei campus americani. Altri osservatori pensano invece che questo allarme sia eccessivo, o addirittura fuorviante, perché ciò che sta accadendo nelle università americane è semplicemente una ulteriore tappa della lunga lotta per il riconoscimento dei diritti di minoranze e gruppi sociali storicamente discriminati e svantaggiati, ad esempio le persone di colore, gli omosessuali e le donne.
Fig.2: Greg Lukianoff, presidente della Foundation for Individual Rights and Expression (FIRE) FonteIl dibattito che si è sviluppato su queste problematiche negli Stati Uniti è molto ricco e articolato e prosegue tuttora. In questo articolo, e in quello che seguirà a breve, intendo rendere conto di due differenti e autorevoli punti di vista sul tema della libertà di espressione nei college e nelle università statunitensi. Entrambi gli approcci sono supportati da originali e approfondite ricerche sui cambiamenti e sugli eventi avvenuti negli ultimi anni nei campus americani. Il primo punto di vista è quello proposto da Greg Lukianoff, da Jonathan Haidt e dalla Foundation for Individual Rights and Expression (FIRE). Il secondo punto di vista è quello proposto dalla associazione PEN America in due importanti rapporti pubblicati nel 2016 e nel 2019.
La Foundation for Individual Rights and Expression (FIRE)
La FIRE è una organizzazione nata nel 1999, col nome di Foundation for Individual Rights in Education, con lo scopo di difendere e promuovere la libertà di espressione e di pensiero nelle università e nei college americani. Per oltre vent’anni ha perseguito questo obiettivo con campagne di informazione, con un’attività di ricerca e pubblicazione di dati, col sostegno offerto anche sul piano legale a docenti e studenti i cui diritti erano stati violati e con proposte di riforme legislative.
Dal 2006 la presidenza della FIRE è stata assunta da Greg Lukianoff, che nel 2015 ne è diventato anche l’amministratore delegato. Nel 2022 l’organizzazione ha assunto la nuova denominazione di Foundation for Individual Rights and Expression e ha annunciato di volere estendere il suo raggio d’azione al di fuori del mondo universitario allargandolo all’intera società statunitense.
The Coddling of the American Mind
Greg Lukianoff, oltre a dare il suo importante contributo alla FIRE, ha analizzato il tema delle restrizioni alla libertà di espressione nei campus americani sotto due diversi aspetti. In un saggio pubblicato nel 2015 con il titolo The Coddling of the American Mind, scritto insieme allo psicologo sociale Jonathan Haidt, si è soffermato soprattutto sull’impatto che tali restrizioni stavano avendo sugli studenti sul piano emotivo e culturale. In un altro saggio, The Second Great Age of Political Correctness, pubblicato nel 2022, ha esaminato principalmente le cause del fenomeno e i suoi effetti sulla libertà di ricerca e di insegnamento5.
Fig.3: Il libro tratto dall’articolo che Lukianoff e Haidt hanno scritto nel 2015 FonteNel primo testo, ben noto agli studiosi del ‘politicamente corretto’ e della cancel culture, la tesi principale dei due autori è la seguente: nelle università e nei college americani si sta diffondendo una tendenza ad eliminare qualsiasi discorso, idea o argomento che potrebbe provocare disagio tra gli studenti o offendere alcuni di loro. Sono anzitutto gli studenti stessi ad invocare diverse forme di protezione, ma sono le autorità accademiche e persino il governo federale che stanno ormai istituzionalizzando una serie di politiche e di interventi che vanno in quella direzione.
Riemerge in tal modo la stessa inclinazione al ‘politicamente corretto’ che si era già affermata tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ma con due importanti differenze. La prima è la maggiore enfasi che ora viene posta sul benessere emotivo degli studenti. La seconda è che il movimento attuale mira a punire chiunque possa interferire con i suoi scopi. Questo impulso alla ‘protettività vendicativa’ (vindictive protectiveness) sta creando una cultura nella quale ognuno deve pensare due volte prima di parlare, per non essere accusato di insensibilità o aggressività, o subire conseguenze ancora peggiori.
Secondo i due autori, tutto ciò non solo rappresenta una minaccia per la libertà di ricerca e di insegnamento, ma rischia anche di avere conseguenze disastrose sul piano emotivo e psicologico per gli stessi studenti che sono oggetto di queste inusitate ed esagerate attenzioni (le ‘coccole’ cui allude il titolo del saggio). Finora si era sempre pensato che il miglior metodo educativo fosse quello socratico, che consiste nell’insegnare agli studenti non che cosa pensare, ma come pensare. Questo metodo mirava ad incoraggiare lo sviluppo del pensiero critico e della capacità di mettere in discussione le idee proprie e altrui.
Un nuovo e pericoloso approccio educativo
Del tutto diverso è invece l’approccio educativo basato sulla ‘protettività vendicativa’, che ha un impatto negativo sugli studenti per almeno due motivi. In primo luogo, non li prepara in modo adeguato alla loro futura vita professionale, nella quale essi dovranno confrontarsi, senza alcuna protezione, con persone che hanno idee diverse dalle loro. In secondo luogo, questo metodo genererà probabilmente negli studenti dei modelli di pensiero molto simili a quelli che la psicoterapia cognitivo-comportamentale ha da tempo identificato come cause della depressione e dell’ansia.
Tali modelli di pensiero si configurano come vere e proprie distorsioni cognitive, tra le quali vi sono anzitutto il ragionamento emotivo, la costante previsione di futuri eventi negativi, la tendenza ad esagerare l’importanza delle cose, il catastrofismo, nonché l’abitudine ad etichettare globalmente in modo negativo sé stessi e gli altri focalizzando l’attenzione soltanto su alcune caratteristiche di una persona.
Secondo Lukianoff e Haidt tali modelli di pensiero sono chiaramente operanti dietro alcune pratiche che si sono diffuse nei campus americani, come ad esempio la tendenza a giudicare offensivi determinati comportamenti o parole soltanto sulla base delle reazioni emotive di chi si ritiene offeso, i trigger warning, la denuncia delle micro-aggressioni e la pratica delle disinvitations.
Fig.4: Un esempio di ‘trigger warning’ FonteTrigger warning, micro-aggressioni, disinvitations
Qualche chiarimento per chi non sia già addentro a questo dibattito. Con l’espressione trigger warning ci si riferisce alla pratica molto diffusa negli Stati Uniti per cui un docente avvisa in anticipo i propri studenti che in una prossima lezione o corso affronterà un argomento, o presenterà testi o materiali didattici, che potrebbero suscitare disagio in alcuni suoi allievi. Sebbene in molti casi siano gli studenti a chiedere queste precauzioni, a volte sono le stesse autorità accademiche a raccomandare questa pratica. Ad esempio nel 2013 allo Oberlin College in Ohio una apposita commissione ha pubblicato una guida (poi ritirata per le proteste di alcuni docenti) che raccomandava di usare trigger warning prima di trattare argomenti come il classismo e i privilegi, e di eliminare completamente o rendere facoltativi i materiali che avrebbero potuto scatenare reazioni negative tra gli studenti. In altre università gli studenti hanno richiesto trigger warning per testi come Mrs. Dalloway di Virginia Woolf, in quanto avrebbe potuto incoraggiare inclinazioni al suicidio (è accaduto alla Rutgers University nel New Jersey), e le Metamorfosi di Ovidio, perché mostrano episodi di violenza sessuale (è accaduto alla Columbia University di New York).
Il termine ‘micro-aggressioni’ ha origine, invece, negli anni Settanta e si riferiva già allora a sottili e spesso inconsapevoli provocazioni o allusioni razziste. Ma questa definizione, sostengono gli autori del saggio, si è estesa negli ultimi anni fino a comprendere virtualmente qualsiasi cosa che possa essere percepita come offensiva. Essi riportano a titolo di esempio il caso di un docente della Università di California di Los Angeles, accusato di ostilità nei confronti degli studenti di colore perché correggendo un elaborato aveva segnato come errore il fatto che la parola ‘indigeni’ fosse stata scritta con la lettera iniziale maiuscola. Persino scherzare sulle micro-aggressioni può essere considerata una micro-aggressione, come ha scoperto uno studente della Università del Michigan, il quale è stato licenziato per questo motivo dal quotidiano del campus per il quale lavorava.
Infine, con il termine disinvitation ci riferisce alla pratica di cancellare una conferenza o un altro evento organizzato presso una università in seguito a proteste di studenti o docenti. A questo proposito gli autori riportano i dati raccolti dalla Foundation for Individual Rights in Education (FIRE), secondo la quale negli Stati Uniti tra il 2000 e il 2015 sono state lanciate almeno 240 campagne per impedire a personaggi pubblici di partecipare ad eventi nei campus. La maggior parte di questi episodi si è verificata dopo il 2009 e tra i casi più eclatanti vi sono le disinvitations dell’ex-Segretario di Stato Condoleezza Rice e della direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde entrambe avvenute nel 2014.
Fig.5: Un esempio di micro-aggressione FonteLe conclusioni del saggio del 2015
Lukianoff e Haidt concludevano il loro saggio ribadendo che i tentativi di proteggere gli studenti da parole, idee e persone che potrebbero provocare loro un disagio a livello emotivo sono un male non solo per gli studenti stessi, ma anche per il loro futuro inserimento nel mondo del lavoro e più in generale per la democrazia americana, già paralizzata da una crescente faziosità. E suggerivano diverse contromisure, come l’adozione a livello federale di una più rigorosa definizione dei comportamenti sanzionabili come molesti e offensivi e una diversa e più liberale politica da parte dei college e delle università. Questi ultimi avrebbe dovuto eliminare i codici di linguaggio, scoraggiare ufficialmente la pratica dei trigger warning e far crescere la consapevolezza dell’importanza di trovare un equilibrio tra la libertà di espressione e la necessità di far sentire ben accetti tutti gli studenti.
I cambiamenti nelle università e nei college americani negli anni Duemila
Fin qui il saggio del 2015. Ma come ho già anticipato, Greg Lukianoff ha poi ripreso e sviluppato la sua analisi secondo una diversa prospettiva in un saggio pubblicato all’inizio del 2022, incentrato non più sull’impatto emotivo e psicologico della nuova atmosfera intellettuale sulla popolazione studentesca, ma sui mutamenti avvenuti a livello amministrativo e politico nelle università e nei college americani e sulle conseguenti restrizioni alla libertà della ricerca e dell’insegnamento.
In questo nuovo saggio, Lukianoff parte dalla distinzione tra due ‘grandi ere’ del politicamente corretto. La prima è quella che si aprì negli anni Ottanta e si concluse nel 1995 quando un tribunale decretò che il codice di linguaggio (speech code) adottato dalla Stanford Law School era incostituzionale. Seguì un lungo periodo durante il quale il politicamente corretto, scomparso dal dibattito pubblico, si sviluppò sotterraneamente nel mondo delle università, per poi riemergere clamorosamente nella seconda decade degli anni Duemila, quando ebbe inizio la seconda delle due ‘ere’.
Secondo Lukianoff, una serie di importanti mutamenti precedettero e prepararono l’avvento della seconda stagione del politicamente corretto. Anzitutto nei primi anni Duemila aumentò il numero dei college che adottavano codici di linguaggio molto restrittivi. Parallelamente molte università introdussero appositi programmi che miravano a individuare e sanzionare i comportamenti che manifestavano una qualche forma di pregiudizio (‘bias-related incident programs’, ‘bias response teams’o BRTs). Non a caso fu in quel periodo che si cominciò a parlare di trigger warning, micro-aggressioni e disinvitations, fenomeni che ho già descritto sopra.
Questi cambiamenti furono promossi non tanto dai docenti, ma da una classe di amministratori in forte espansione numerica. L’istruzione universitaria divenne molto più costosa e notevolmente più burocratizzata. Tra i docenti e ancor più tra gli amministratori crebbe il peso del personale di orientamento politico progressista e diminuì corrispondentemente quello dei conservatori. Infine, il National Council for Accreditation of Teacher Education (NCATE) raccomandò che ai futuri docenti fosse richiesto di dimostrare il proprio impegno a favore della giustizia sociale; e non pochi college aderirono a tale richiesta.
La seconda ‘grande era’ del politicamente corretto
Tutti questi processi ebbero una serie di effetti a cascata che, unitamente ad altri fattori come la diffusione dei social media, aiutano a spiegare l’avvento della seconda ondata del politicamente corretto che si manifestò a partire dal 2014, sia con una ripresa dell’interesse per l’argomento nel dibattito pubblico, sia con una serie di conflitti scoppiati in varie università e degenerati poi in alcuni casi anche in aperta violenza. Lukianoff cita come casi emblematici lo scontro avvenuto nel 2015 tra gli studenti e il sociologo Nicholas Christakis sui costumi di Halloween, che ho ricordato all’inizio di questo articolo, e gli episodi di violenza verificatisi nel 2017 a Berkeley e al Middlebury College nel Vermont, dove una docente di nome Allison Stanger fu aggredita e riportò gravi lesioni durante le proteste scoppiate in occasione di una conferenza del controverso politologo Charles Murray6.
Fig.6: Le proteste contro Charles Murray al Middlebury College FonteNegli stessi anni aumentarono enormemente i tentativi, non di rado riusciti, di censurare docenti o altri intellettuali, impendendo loro di parlare, chiedendo loro pubbliche scuse o incoraggiando sanzioni disciplinari nei loro confronti. A partire dal 2015 vi sarebbero stati almeno 200 tentativi, dei quali 101 coronati da successo, di ottenere la revoca dell’invito a parlare pubblicamente in un campus.
Nello stesso periodo, quindi tra il 2015 e il 2021, sono stati riferiti alla FIRE 471 tentativi di ottenere il licenziamento o la punizione di un docente universitario in contrasto con la libertà di espressione garantita dalla costituzione americana. In quasi tre quarti di questi episodi vi è stata una sanzione di qualche tipo e in 106 casi la perdita di un incarico. La frequenza di questi tentativi è enormemente aumentata da 30 nel 2015 a 122 nel 2020. E vi sono stati ben 172 docenti di ruolo che hanno ricevuto sanzioni, dei quali 27 sono stati licenziati.
Le conclusioni del saggio del 2022
Lukianoff conclude il suo saggio affermando che durante la seconda ‘grande era’ del politicamente corretto l’istruzione universitaria in America è diventata troppo costosa, troppo illiberale e troppo conformista ed è entrata in un periodo di crisi profonda, per uscire dal quale occorre agire in modo risoluto adottando urgenti contromisure.
Le università dovrebbero abbandonare immediatamente tutti i codici di linguaggio; adottare una dichiarazione che definisca la libertà di espressione come un valore essenziale della loro missione educativa; difendere in modo chiaro e forte il diritto alla libertà di espressione degli studenti e dei docenti; insegnare la libertà di parola, il metodo della libera indagine e la libertà accademica; raccogliere dati e consentire ricerche sull’esistenza nei campus di un clima favorevole al dibattito, alla discussione e al dissenso. Infine coloro che fanno donazioni ai college dovrebbero subordinarle alla realizzazione di questi cambiamenti.
Le critiche nei confronti della FIRE
Le analisi svolte da Lukianoff, da Haidt e dalla FIRE, per quanto autorevoli, hanno comunque suscitato diverse critiche. Lo stesso Lukianoff ha riportato alcune obiezioni avanzate nei confronti di coloro che come lui hanno espresso allarme per le crescenti restrizioni alla libertà di espressione nel mondo universitario e più in generale nella società americana.
In particolare Lukianoff ha riferito le obiezioni fatte da Adam Gurri, fondatore della rivista online “Liberal currents”, sulla quale ha pubblicato il 20/09/2021 un lungo articolo nel quale ha preso di mira soprattutto il ben noto saggio di Anne Applebaum The New Puritans. L’argomento principale di Gurri è che i critici della cancel culture sostengono tesi che non vengono dimostrate perché non tengono conto di alcune fondamentali caratteristiche e imperfezioni di tutte le società umane:
“Tutte le relazioni sociali creano vulnerabilità e dipendenze che possono dar luogo ad abusi. Questo è un fatto fondamentale, tipico della natura sociale degli esseri umani, una condizione di base rispetto alla quale tutte le più specifiche modalità organizzative devono essere giudicate. La maggior parte dei nostri dibattiti pubblici, tuttavia, danno per scontato che la semplice occorrenza di alcune specifiche ingiustizie sia sufficiente per mettere sotto accusa l’intero sistema. Sebbene non si debba divenire arrendevoli nell’affrontare i problemi dei nostri giorni, il quesito diagnostico dovrebbe sempre essere: ‘qual è il nostro termine di confronto’?. In nessun altro caso l’incapacità di effettuare confronti ragionevoli porta più spesso a conclusioni ridicole che nel dibattito sulla ‘cancel culture’7”.
Benché gli strali di Gurri fossero rivolti soprattutto contro la Applebaum, egli ha poi esteso le sue critiche anche ai dati raccolti dalla FIRE e riportati da Lukianoff nei suoi saggi. Scrive infatti Gurri che, tenendo conto anche dei dati raccolti da altre associazioni, il numero totale dei casi riportati dalla FIRE “è molto piccolo sia in relazione all’ampiezza delle popolazioni da cui sono tratti che in rapporto al periodo di tempo in cui sono accaduti. Se un qualsiasi altro problema nella vita sociale accadesse con questa frequenza e a questa scala, noi lo considereremmo effettivamente risolto”.
Lukianoff ha risposto alle critiche di Gurri osservando in primo luogo che fino a poco tempo fa anche il licenziamento di un singolo docente di ruolo per le sue opinioni o pubblicazioni sarebbe stato giudicato come un fatto assai grave; il licenziamento di ben ventisette docenti di ruolo nel giro di pochi anni non ha precedenti e non può non suscitare allarme. In secondo luogo, le restrizioni alla libertà di espressione non sono uniformemente diffuse in tutte le università americane, ma si concentrano in quelle considerate migliori, cioè quelle in cui si sta formando la gran parte della futura classe dirigente del paese. Infine, afferma Lukianoff, Gurri non considera il cosiddetto chilling effect, ossia il fatto ben noto che quando le persone non sanno quali opinioni, battute scherzose o idee potrebbero metterle nei guai, tenderanno ad autocensurarsi.
Dietro la campagna della FIRE ci sono i conservatori?
Un’altra critica riguarda l’indipendenza e la neutralità politica che la FIRE, della quale Lukianoff è presidente dal 2006, ha sempre rivendicato. La natura super partes della fondazione è stata però contestata da Jim Sleeper, giornalista e scrittore, in un articolo pubblicato sulla rivista online “The American Prospect” (19/10/2016). Sleeper ha richiamato l’attenzione sul fatto che la FIRE riceve fondi cospicui da organizzazioni vicine ai conservatori come la Earhart Foundation, la Lynde and Harry Bradley Foundation e la Scaife Family Foundation. Tutte queste organizzazioni - sostiene Sleeper – alimentano l’ostilità nei confronti della political correctness presentandola come una minaccia per la libertà accademica e per l’economia di mercato. Inoltre alcuni tra i più stretti collaboratori di Lukianoff sono di orientamento conservatore. Dunque la campagna della fondazione, lungi dall’essere ispirata da un nobile ideale di libertà, avrebbe una ben precisa connotazione politica e ideologica.
Lukianoff ha risposto a queste critiche evidenziando il fatto che lo staff della FIRE comprende collaboratori di orientamento politico molto vario e che in moltissimi casi la fondazione ha preso le difese di docenti e studenti che avevano espresso idee di sinistra o prive di una precisa connotazione politica.
I dati e le analisi pubblicate sul sito della FIRE supportano almeno in parte le affermazioni di Lukianoff. Ad esempio nel database Scholars Under Fire sono registrati gli attacchi alla libertà di espressione subìti dai docenti di qualsiasi colore politico e, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, i docenti presi di mira per le loro idee di sinistra non sono affatto così rari e sono divenuti più numerosi negli ultimi anni. Inoltre nel suo saggio del 2022 Lukianoff ha condannato espressamente le molte iniziative prese recentemente dai repubblicani, in singoli Stati o località, per introdurre leggi o direttive che proibiscono nelle scuole la lettura di libri o addirittura la trattazione di argomenti che possono risultare diseducativi o offensivi per gli studenti.
Un diverso possibile approccio al problema
Infine una terza possibile critica nei confronti delle posizioni sostenute da Lukianoff e dai suoi collaboratori è quella che secondo cui il loro approccio, anche se evidenzia la reale difficoltà di garantire una effettiva ed ampia libertà di espressione nei college e nelle università, è comunque parziale perché non tiene conto della complessa situazione sociale, culturale e politica nella quale vanno collocate le tensioni e i conflitti registrati nei campus americani negli ultimi anni. Quest’ultima è in estrema sintesi la prospettiva adottata da PEN America, una associazione di scrittori ed artisti che si batte anch’essa da lungo tempo per la libertà di espressione negli Stati Uniti. Esamineremo in dettaglio le sue analisi in un prossimo articolo.
BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA
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BOLLAG, Sophia, Investigators find Prof. Laura Kipnis did not violate Title IX, “The Daily Northwestern”, 05/06/2015.
GOLDBERG, Michelle, The Middle-Aged Sadness Behind the Cancel Culture Panic, “The New York Times”, 20/09/2021.
GURRI, Adam, The Case Not Made: A Response to Anne Applebaum's "The New Puritans", “Liberal Currents”, 20/09/2021.
KIPNIS, Laura, Sexual Paranoia Strikes Academe, “The Chronicle of Higher Education”, 27/02/2015.
KIPNIS, Laura, My Title IX Inquisition, “The Chronicle of Higher Education”, 29/05/2015.
KIRCHICK, James,New Videos Show How Yale Betrayed Itself By Favoring Cry-Bullies, “Tablet”, 22/09/2016.
LUKIANOFF, Greg – HAIDT, Jonathan,The Coddling of the American Mind, “The Atlantic”, settembre 2015.
LUKIANOFF, Greg, Jim Sleeper Gets It Wrong in ‘The New York Times’, FIRE, 04/09/2016.
LUKIANOFF, Greg, The Second Great Age of Political Correctness, “Reason”, gennaio 2022.
PEN America, AND CAMPUS FOR ALL Diversity, Inclusion, and Freedom of Speech at U.S. Universities, 17/10/2016.
PEN America, CHASM IN THE CLASSROOM. Campus Free Speech in a Divided America, 02/04/2019.
RIZZACASA D’ORSOGNA, Costanza, Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana, Bari-Roma, Laterza, 2022.
SLEEPER, JIM, Political Correctness and Its Real Enemies, “The New York Times”, 03/09/2016.
SLEEPER, JIM, The Conservatives Behind the Campus ‘Free Speech’ Crusade, “The American Prospect”, 19/10/2016.
Note
1 Ringrazio Steven C. Hughes, professore emerito di storia della Loyola University Maryland, per aver letto e commentato questo articolo e per le sue preziose indicazioni in merito al dibattito sullacancel culture negli Stati Uniti.
2 Una accurata ricostruzione di questa controversia si può leggere in PEN America,AND CAMPUS FOR ALL Diversity, Inclusion, and Freedom of Speech at U.S. Universities, 17/10/2016, pp. 59-63.
3 Anche questa vicenda è stata ricostruita in modo assai dettagliato e preciso in PEN America, AND CAMPUS FOR ALL, cit., pp. 46-51
4 Questo caso è stato riportato in PEN America, CHASM IN THE CLASSROOM. Campus Free Speech in a Divided America, 02/04/2019, pp. 30-31.
5 Lukianoff ha affrontato queste tematiche anche in numerose altre pubblicazioni. Ma qui per esigenze di sintesi mi soffermo soltanto su questi due testi. Sulle tesi di Lukianoff vedi anche l’intervista da lui rilasciata a Costanza Rizzacasa D’Orsogna e da lei riportata nel suo libro Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana, Bari-Roma, Laterza, 2022, pp. 29-38.
6 Vedi anche su questo episodio PEN America, CHASM IN THE CLASSROOM, cit., p. 30.
7 È mia la traduzione dall’inglese di questo brano e di quello riportato nel capoverso immediatamente successivo.