Invasione Ucraina

  • Come la televisione russa mostra la guerra in Ucraina

    Fabio De Leonardis

    01Fig. 1 - Dmitrij KiselëvNotizie della settimana. Una trasmissione molto popolare

    Per condurre questa breve panoramica, si è scelto di concentrarsi in particolare su una trasmissione estremamente popolare del canale statale Rossija-1, ossia Vesti nedeli (“Notizie della settimana”), condotta dal noto giornalista e documentarista Dmitrij Kiselëv, già direttore del gruppo mediatico Rossija Segodnja (Russia oggi) e considerata uno dei pilastri mediatici del putinismo, tanto da essere accusata dal noto oppositore Aleksej Naval’nyj di essere “fatta di sole bugie”. La trasmissione va in onda ogni domenica sera alle 20 da settembre all’inizio di luglio e dura tra le due ore e mezza e le tre ore. Secondo la fondazione russa “Opinione Pubblica” (FOM), il 61% dei russi guarda la televisione ogni giorno, e il 24% considera questa trasmissione “il miglior programma di approfondimento”. In base ai dati del sito Mediascope.net, nella prima settimana di aprile la trasmissione Vesti nedeli è stata la terza più vista nella regione di Mosca, con il 19,4% dello share. Si tratta quindi di una trasmissione assai rappresentativa dei media di stato russi, sia in termini di contenuti che di ricezione. Si è scelto di concentrarsi sulla puntata del 3 aprile 2022; in quella data non era ancora stata scoperta la portata delle uccisioni avvenute a Buča, quindi si trattava di una giornata senza eventi troppo eclatanti, suscettibili di rendere la trasmissione “eccessiva”.

    02Fig. 2 - “La nostra causa è giusta”La Grande guerra patriottica

    La puntata si apre con il titolo di apertura “La nostra causa è giusta”, citazione dal discorso di guerra di Stalin del 6 novembre 1941. Poiché la “Grande guerra patriottica”, come viene chiamata in Russia la guerra contro gli invasori nazifascisti del 1941-45, ha rimpiazzato la Rivoluzione d’Ottobre come mito fondativo dello stato (al punto che la narrazione di quell’evento è intoccabile, e l’“offesa all’onore e ai veterani” costituisce un reato penale), e considerata la notorietà di quel discorso, il pubblico è immediatamente portato ad associare l’attuale conflitto come una sorta di proseguimento di quell’evento; nell’introduzione si prosegue mostrando immagini di atrocità verso la popolazione civile sovietica da parte degli occupanti, mantenendo in primo piano la scritta “Gli eredi”, che suggerisce una filiazione diretta dei combattenti ucraini di oggi dagli invasori e dai collaborazionisti di ieri.

    03Fig. 3 - I sondaggi sul gradimento dell’operato di PutinIl soldato russo, ‘eroe normale’

    Il presentatore Dmitrij Kiselëv appare presentando dei sondaggi dell’istituto VCIOM che riportano una sostanziale crescita dell’approvazione del pubblico nei confronti dell’operato del presidente Putin da quando è iniziata l’“operazione speciale” in Ucraina (com’è noto, il termine “guerra” non è utilizzato, anche perché sanzionabile). Non vi sono, né vi saranno ospiti in trasmissione: il flusso narrativo è unificato e procede in maniera unidirezionale dal conduttore al pubblico. Si comincia con un reportage dalla regione di Lugansk (Luhans’k) in cui vengono mostrate immagini di combattimenti a distanza tra i miliziani della LNR (la Repubblica Popolare di Lugansk) e “i neonazisti di oggi, compresi alcuni mercenari”; si vedono immagini di distruzioni apportate dall’esercito ucraino, ma la maggior parte del video si concentra sull’attività dei miliziani e dei militari russi, mostrata come se fosse una sorta di lavoro, una quotidianità della guerra in cui tuttavia non si vedono vittime né distruzioni: l’impressione è quella di un “lavoro eroico” apparentemente privo di retorica, ma che proprio per questo permette una maggiore identificazione con il pubblico.

    “I russi non abbandonano la loro gente”

    Specularmente rispetto a quanto viene mostrato sulla tv italiana, vengono poi mostrate immagini di civili nei territori “liberati”, dalle cui testimonianze emergono svariate atrocità attribuite al battaglione Aidar: stupri, torture, violenze e assassinii. Vengono inoltre mandate in onda immagini ad alto tasso emotivo di distruzione di centri abitati e di profughi in fuga, e alcuni abitanti di queste località, intervistati, ringraziano i militari russi di averli “salvati”. Sono mostrate, alla fine del reportage, le immagini di contadini che arano i loro campi con dei trattori, a simboleggiare il ritorno alla normalità reso possibile dall’arrivo dei “salvatori”; viene anche sottolineato come prima dell’aratura i militari della LNR abbiano “ripulito” i campi dalle mine e dai proiettili inesplosi con l’aiuto dei soldati russi (si vedono i mezzi militari con le Z in bella mostra, mentre svolgono questo lavoro); un ufficiale della LNR commenta che “i russi non abbandonano la loro gente” (anche questa è una citazione facilmente riconoscibile dal film sovietico La tenda rossa del 1969, ripresa più di recente dal popolarissimo noir russo Il fratello grande 2 del 2000). Si passa poi a Mariupol’, dove un’ex guardia carceraria mostra una camera delle torture, e si mostrano immagini di estese distruzioni attribuite al reggimento Azov, con alcuni abitanti intervistati che spiegano di essere stati usati come “scudi umani”. Sono mostrati poi gli ex uffici dei servizi segreti ucraini, dove la telecamera indulge a lungo sulla bandiera dell’organizzazione neofascista Pravyj Sektor appesa al muro, a dimostrare la collusione dell’estrema destra con le istituzioni dello Stato ucraino. Scorrono poi le immagini del presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov mentre visita un ospedale con dei feriti e ispeziona le sue truppe al fronte e le immagini del bombardamento del deposito di idrocarburi di Belgorod effettuato (si presume) dall’aviazione ucraina, a seguito del bombardamento di analoghe strutture a Kremenščuk, presentato come una risposta diretta al primo. Segue una dettagliata lista di obiettivi militari distrutti da parte del portavoce del Ministero della Difesa Kanašenkov.

    Kiselëv parla poi dei negoziati, presentandoli come frutto del successo dell’operazione speciale, e indugia sul fatto che l’Ucraina sia stata costretta a fare concessioni, mentre la Russia rimane ferma sulle suo posizioni. Il riassunto delle trattative è affidato al capo negoziatore Vladimir Medinskij, il quale è inquadrato in modo che accanto al suo volto figuri la foto del presidente Putin da un lato e della bandiera russa dall’altro. Viene poi dato spazio alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Lavrov, il quale spiega come a muovere la Russia siano state necessità di sicurezza vitali per il paese.

    I paralleli con la Grande Guerra Patriottica, l’enfasi sul “lavoro quotidiano” dei soldati, sull’eroismo di ogni giorno e sul ritorno al lavoro sembrano suggerire l’intenzione autoriale di far risuonare corde ben note nel pubblico più anziano (assai numeroso in Russia), ridestando la memoria dell’URSS e stabilendo una continuità narrativa rispetto a quel passato mirante a rassicurare il pubblico.

    Nelle immagini del reportage successivo, relativo al conflitto nel resto del paese, vengono mostrate immagini del lancio di razzi che colpiscono obiettivi visti attraverso il mirino, a sottolineare il carattere “chirurgico” degli attacchi; laddove vengono mostrate immagini di distruzione, mancano però dalla immagini le vittime umane di queste operazioni, mostrate sempre a debita distanza (il che ricorda le modalità di rappresentazione della Guerra del Golfo del 1991).

    “L’Occidente è imprevedibile”

    Kiselëv passa poi ad elencare tutte le misure prese dagli “ex-partner” occidentali contro la Russia, e di come “in spregio ad ogni decenza” questi si apprestino a metterne in campo altre, dando la parola direttamente alle dichiarazioni ufficiali di Putin, il quale presenta le sanzioni come qualcosa che sarebbe stato imposto indipendentemente dalle azioni della Russia, e miranti a colpire il loro “diritto ad essere indipendenti, il diritto ad essere la Russia”. “L’Occidente è imprevedibile”, sottolinea il conduttore, che spiega quindi la scelta di imporre l’uso del rublo per i pagamenti come una misura di difesa della sovranità e degli interessi nazionali. Sul fatto che le sanzioni danneggino anche i paesi UE viene ridata la parola a Putin, il quale accusa i governi europei di non tener conto degli interessi dei loro stessi cittadini, preferendo servire “il loro padrone oltreoceano” e costringendo la popolazione a “patire il freddo e mangiare meno, in nome della solidarietà atlantica”. Il conduttore aggiunge che tali scelte da parte dei paesi NATO porteranno alla crescita dell’inflazione e a una crisi economica internazionale, lasciando alla fame le popolazioni dei paesi più poveri e accrescendo le diseguaglianze. Fa da contrappeso la rassicurazione sul fatto che il valore del rublo sarà ristabilito e i prezzi caleranno, perché “il paese funziona”.

    04Fig. 4 - Il cancelliere Scholz contestato a un comizio “Prendi questa, Putin”. La russofobia europea

    Per illustrare quanto affermato, si mostrano immagini di un comizio di Olaf Scholz in cui il cancelliere tedesco viene contestato dal pubblico, accompagnate dal commento che “in Germania sono stati chiusi tutti i media di opposizione e quest’ultima è stata schiacciata: questa è la democrazia”; seguono le immagini del premier polacco Morawiecki, uno di coloro che “premono sul cancelliere tedesco” e che ora è “raggiante perché la russofobia polacca è finalmente diventata mainstream”. Il conduttore suggerisce che la Germania sia vittima delle macchinazioni del nazionalismo polacco, desideroso di vendicare i torti subiti nel passato. Seguono le dichiarazioni del presidente della Lituania Gitanas Nauseda, accompagnate dalla spiegazione del fatto che, nonostante le promesse di Biden di sostituire le importazioni di gas russo con quelle americane, la mancanza di un numero sufficiente di rigassificatori condanna altri paesi che invece non possono permettersi di restare senza carburante, come l’Austria, la Slovacchia e l’Ungheria. Ampio spazio è dato a un discorso di Viktor Orbán in cui quest’ultimo spiega come tale scenario rappresenti la fine dell’economia ungherese, mostrando così le divisioni interne alla UE e quelle in seno al gruppo dei paesi di Višegrad. Partono poi immagini dalla Gran Bretagna, commentando che la riduzione delle importazioni di gas provocherà un impoverimento di massa tra la popolazione di quel paese. Fra le dichiarazioni di vari politici, viene dato ampio risalto a quello della commissaria UE alla concorrenza Margareth Werstager, la quale consiglia di usare meno acqua calda e afferma che ogni volta che si spegne l’acqua quando si fa la doccia bisognerebbe dire “Prendi questa, Putin!”. Il corrispondente ironizza sul fatto che si possa fare lo stesso con la benzina e con gli alimenti, ma ciò non salverà la grande produzione industriale energivora: a sostegno di questa affermazione, vengono riportate le testimonianze di diverse personalità tedesche del settore.

    05Fig. 5 - La preoccupazione degli industriali tedeschiKiselëv poi si sofferma sulla “battaglia delle lettere”, ossia sul fatto che in Occidente la lettera Z e la V state fatte oggetto di ostracismo per la loro associazione con l’intervento russo in Ucraina, e dopo aver riportato le battute su Twitter di un diplomatico cinese, ironizza sul fatto che esse siano anche le iniziali del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, che così dovrebbe ribattezzarsi Ladimir Elenskij (viene usata la trascrizione del nome dal russo, anziché dall’ucraino). “La realtà – spiega Kiselëv – è un’altra cosa”, lanciando un altro reportage dal teatro di guerra.

     

     

    06Fig. 6 - Le distruzioni non vengono occultate, ma non si vedono mai cadaveriMariupol’

    Compaiono qui le immagini spettrali di una Mariupol’ semidistrutta nella quale si aggirano i due corrispondenti. Questi incontrano alcuni militari russi con delle armi “trofeo di guerra”, tra le quali il grosso è costituito da materiale di produzione statunitense, su cui la telecamera indugia a lungo. La distruzione è attribuita ai combattenti ucraini, identificati come “il reggimento nazista Azov” i quali pur di non arrendersi avrebbero costretto la città a patirne le conseguenze. Un soldato testimonia che questi miliziani spesso si travestono da civili, e che i militari russi quindi sono costretti a “filtrare” tutte le persone che incontrano. Sono mostrate inoltre le immagini dall’alto del complesso industriale Azovstal’, dove il reggimento Azov si è asserragliato, contrapposte a quelle dell’ex mercato di Mariupol’ in cui si aggirano civili in cerca di cibo. Alla domanda su come mai li lascino girare indisturbati, uno dei soldati commenta: “al posto loro noi cosa faremmo? Sono civili pacifici”. Sono inoltre mostrate le immagini di un’officina “per la preparazione rapida di bare”, sottolineando che le perdite sono elevate. Sono poi mostrati dei carri armati, “forza principale per la liberazione di Mariupol’”. Il racconto prosegue spiegando che nelle prime settimane del conflitto sono stati fatti prigionieri molti ufficiali ucraini, mentre ora è il turno dei soldati semplici. Ne viene brevemente intervistato uno, che si riferisce ai russi come “i nostri/vostri”, e il quale racconta che i miliziani del reggimento Azov li avevano arruolati con la forza costringendoli a combattere nelle proprie fila, e di come lui si sia arreso dopo la morte di alcuni dei suoi commilitoni. L’inviato spiega come molti prigionieri diventino un sostegno per le truppe della Repubblica Popolare di Doneck/Donec’k (DNR), per le quali svolgono lavori ausiliari, e ne intervista un gruppo, chiedendo loro come li trattino i militari russi: “non vi picchiano?” “no, ci trattano bene”, rispondono tutti. Di uno di loro riferisce un militare che “non lo scambieremo con i nostri prigionieri, perché vuole combattere insieme a noi, è uno dei nostri”. In generale, a differenza da quanto vediamo sui media occidentali, non vengono mai mostrati cadaveri, mentre tutto il reportage suggerisce l’umanità dei militari russi e la benevolenza, ricambiata, verso i civili. Le distruzioni non sono negate, ma la responsabilità è attribuita alla controparte.

    07Fig. 7 - Prigionieri di guerra ucraini. “Non vi picchiano?” “No, ci trattano bene”.L’‘Ucraina nazista’

    Terminato il reportage dalla DNR, Kiselëv spiega che per gli uomini ucraini dai 18 ai 60 anni su ordine del presidente è stato vietato lasciare il paese, ma molti cercano comunque di scappare, e che già fiorisce un business in cui la fuga in Occidente costa dai due ai diecimila dollari. Segue un altro reportage dall’Ucraina in cui si mostrano dei bambini che, messisi in riga, ripetono il saluto dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera, ora saluto ufficiale delle forze armate ucraine, “Gloria all’Ucraina / Gloria agli eroi”; si specifica inoltre che i bambini stanno imparando a riconoscere “i loro” chiedendo ai passanti di pronunciare uno shibboleth, la parola ucraina poljanica. Vengono poi mostrati roghi di libri russi “una tradizione nazionalista”, e la cacciata di un pope ortodosso del patriarcato di Mosca da una chiesa; si parla di come a un consolato sloveno sia stato imposto di ammainare la propria bandiera, perché il tricolore ricordava quello russo; vengono poi mostrate le immagini della “tournée” di Zelens’kyj in diversi parlamenti, in cui il presidente ucraino “senza vergogna bolla sempre più paesi come nemici” e “prende a calci chi rifiuta di applicare sanzioni alla Russia e di fornirgli armi”, arrivando ad accusare persino gli USA. Mentre scorrono le immagini dell’incontro tra la neopresidente del Parlamento Europeo Metsola e Zelens’kyj, l’inviato fa notare come non vi siano riprese all’esterno, insinuando che in realtà tali incontri non avvengano a Kiev. Vengono poi mostrate le immagini di un “colonnello” ucraino arrestato dai suoi durante “un’orgia con un travestito” e quelle di un supermercato, dove una voce fuori campo afferma che un prodotto lì in vendita è probabilmente arrivato lì in origine come aiuto umanitario. Seguono le immagini di militari ucraini che escono da un’ambulanza, a suggerire come le ambulanze vengano utilizzate in maniera impropria.

    La ‘guerra gentile’ dei russi

    08.jpgFig. 8 - Soldato russo chiede alla padrona di casa di poter entrare per cercare eventuali militari ucraini nascosti

    Parte poi un’ulteriore reportage dal “settore meridionale” in cui viene mostrata un’operazione speciale dei militari russi per verificare la presenza o meno di militari ucraini in una casa. Viene qui sottolineato come i militari entrino in un edificio “con estrema gentilezza”, chiedendo il permesso alla padrona di casa, ma poi trovandovi nascosti tre militari travestiti da civili che “preparavano un attentato”: le successive immagini di interrogatorio e di uomini armati impegnati nella ricerca di armi ricordano quelle di un film d’azione, genere assai popolare in Russia, e il corrispondente chiude spiegando che è “in questo che consiste la smilitarizzazione”.  l servizio successivo viene mostrata una folla di civili a cui i militari russi distribuiscono generi alimentari, commentando che “molti civili si rivolgono alle nostre truppe chiedendo aiuto: i negozi ci sono, ma non ci sono soldi”, perché “le autorità di Kiev non pagano pensioni e stipendi, come da tempo fanno con il Donbass”. Commenta un soldato sul finale, che “occorre sempre restare umani”.

    09Fig. 9 - Civili ucraini in attesa degli aiuti alimentari forniti dai russi

    Bandera, eroe nazionale ucraino

    Nella parte successiva, Kiselëv la mette sul piano storico: mostra alcune immagini di documenti ricavati da archivi aperti di recente da cui emergerebbero nuovi dettagli sulle stragi, gli stupri e le ruberie compiute dai nazionalisti ucraini negli anni della Grande Guerra Patriottica, e su cui il presentatore indugia aggiungendo che gli eredi di Bandera (che combatté coi nazisti e contro i sovietici) abbiano ereditato dai loro predecessori tutto il peggio e si comportino allo stesso modo: “gente così va annientata o processata. È in questo che consiste la denazificazione”. Segue un servizio del caporedattore del canale Istorija Denisov, il quale racconta le origini e l’evoluzione ideologica del nazionalismo ucraino. Denisov mostra un libro per bambini riccamente illustrato dedicato all’attività dell’UPA, l’organizzazione paramilitare nazionalista ucraina attiva fra il 1942 e il 1949, di cui faceva parte anche l’organizzazione di Bandera, che ne costituiva l’elemento principale, denunciando come nelle scuole ucraine venga portato avanti un vero e proprio lavaggio del cervello; un altro storico, Bogdan Bezpal’ko, nota come il nazionalismo ucraino banderista abbia un carattere “quasi religioso”, e che esso produce “un esercito di zombi”; si fa poi riferimento al film polacco Wolyn, in cui viene dato molto spazio alle atrocità commesse dall’UPA in Polonia, paese che pure – sottolinea il conduttore - ha sostenuto e sostiene l’Ucraina post-Majdan, e di come questa pellicola sia stata messa al bando in Ucraina. Viene inoltre citata l’opera di uno storico polacco, Aleksander Korman, il quale accusa l’UPA di genocidio, documentandone le atrocità con diverse prove fotografiche. Dopo aver descritto nel dettaglio le atrocità inflitte dall’UPA alle sue vittime, la voce fuori campo ricorda come il fondatore dell’UPA Roman Šuchevič, ucciso nel 1950 dai servizi sovietici, sia stato riabilitato e decorato post-mortem col titolo di “Eroe dell’Ucraina” nel 2007. Viene poi riportata la vicenda della collaborazione tra l’UPA e il regime hitleriano nel corso dell’invasione dell’URSS, in particolare i pogrom da questi attuati a Leopoli nel luglio del 1941; si ricorda successivamente il caso dell’eccidio di Chatyn’, e si sottolinea come la responsabilità di quest’ultimo, che l’URSS aveva attribuito ai soli tedeschi, fosse in realtà condivisa con le SS locali, una delle quali, Hrihoriy Vasiura, riuscì a lungo a nascondere il proprio passato prima di essere scoperto, processato e fucilato nel 1986. Viene sottolineato che i dettagli del processo non furono resi pubblici per intervento dell’ex segretario del PC ucraino Ščerbic’kyj, il quale chiese di non far trapelare informazioni sulla partecipazione dei nazionalisti ucraini ai massacri onde evitare di esacerbare i rapporti interetnici.

    10Fig- 10 - Un libro illustrato per bambini sull’UPAUna guerra senza cadaveri

    In generale, nella rappresentazione mediatica del conflitto si nota come lo Stato ucraino e i suoi rappresentanti, ad eccezione della breve parte in cui viene mostrata quella che viene sprezzantemente definita “la tournée” di Zelens’kyj, sia assente: il “nemico” viene individuato a più riprese nei reggimenti di neonazisti Azov e Aidar; i soldati russi sono mostrati come “eroi del quotidiano” dotati di umanità e comprensione, mentre i civili sono vittime innocenti che accettano di buon grado l’aiuto dei russi. Sono totalmente assenti le immagini truculente dei cadaveri a cui ci hanno abituati i nostri media, e laddove vengono mostrate immagini di repertorio della Seconda guerra mondiale, i dettagli più scabrosi sono offuscati. La narrazione è univoca e onnicomprensiva, non c’è spazio per alcun dubbio o dibattito: dopo che i vari servizi dal fronte hanno stabilito che le cose stanno come descritto, e dopo aver spiegato che le sanzioni sono inefficaci e sono solo il frutto dell’inimicizia americana nei confronti della Russia, il lungo excursus storico sottrae alla controparte ucraina ogni legittimità, riducendola esclusivamente al (certamente deprecabile) nazionalismo di stampo banderista. Non vi è spazio per una narrazione che renda conto di altre forme di nazionalismo ucraino di diverso orientamento politico pure esistenti (ancorché oggi marginalizzate), né vi è spazio per un excursus storico sul formarsi dell’Ucraina come comunità immaginata politico-culturale. In sostanza, tutta la trasmissione sembra orientata a sostanziare le affermazioni fatte da Putin nel discorso di cui vengono riportati alcuni passaggi. L’effetto emotivo sul pubblico è quello da un lato di spaventarlo, mostrando un’Ucraina ridotta a un covo di banderisti e una UE inaffidabile totalmente alla mercé di un America guerrafondaia, dall’altro quello di rassicurarlo sul fatto che il presidente e l’esercito se ne stanno occupando e stanno risolvendo il problema. Se sui media italiani e occidentali in generale prevalgono le immagini di distruzione e di brutalità, finalizzate a smuovere e indignare il pubblico per spingerlo a schierarsi attivamente con la NATO e la UE a sostegno dell’Ucraina aggredita, il modo in cui Vesti nedeli racconta la guerra tende invece a ‘acquietare’ il pubblico, producendo un effetto di adesione passiva in cui l’agentività è lasciata al presidente e alle forze armate.

  • PERCHÉ? L’invasione dell’Ucraina pone molte domande, e ha poche risposte

    di Isidoro Davide Mortellaro

    01Fig.1: Russia e Ucraina si tengono per mano, in piedi su Putin, vestito delle ricchezze rubate alla Russia. Disegni di bambini raccolti da attivisti ucraini e russi. Fonte: Through Art, Children Plea For Peace In UkraineDopo la caduta del Muro

    La caduta del Muro di Berlino giunse come un vero e proprio cataclisma sul blocco socialista aggregato attorno all’URSS, dando origine a crisi e dinamiche diverse da quelle dell’esperienza cinese. Il mondo intero ne fu scosso ma reagì in modo unitario, sia pure sotto il segno dell’unilateralismo americano. Gli strappi inferti al tessuto internazionale dall’Iraq di Saddam furono risarciti grazie alla mobilitazione internazionale, ma anche al prezzo di una nuova guerra globale fortemente voluta dagli USA. Le aperture di Gorbaciov alla riunificazione tedesca aprirono comunque una pagina nuova. L’Europa intera pensò che fosse il momento di muoversi per strade inedite, dall’Atlantico agli Urali. Nasceva l’Unione europea.

    Per la prima volta nella storia un impero vedeva messa in discussione la sua esistenza senza guerre o terremoti. Al G7 di Londra del 1991, aperto finalmente all’URSS, Gorbaciov chiese aiuto per una inedita transizione: la sua mano tesa però non fu stretta da nessuno. I Grandi lasciavano cadere ogni prospettiva di collaborazione nel domani indeterminato di un futuro mutamento di sistema. In risposta arrivò il Golpe di agosto con un complessivo rivoluzionamento di uomini e regimi della ormai ex-Unione Sovietica.

    Il nuovo assetto dell'Europa Orientale

    Archiviata la mutazione cui Gorbaciov – sia pure domando a stento le prime spinte separatiste - stava dando corso con il referendum sulla conservazione dell’URSS e la successiva creazione dell’“Unione degli Stati sovrani”, Eltsin accantonò Gorbaciov e l’URSS. Nasce la CSI, Comunità degli Stati Indipendenti, con l’esclusione di Lettonia, Lituania ed Estonia che riconquistano a distanza di oltre mezzo secolo l’indipendenza.

    Nascono allora Federazione Russa, Ucraina e Bielorussia: figlie di un parto plurigemellare attivato dalla dissoluzione dell’URSS in CSI. Successiva giunse l’associazione alla Confederazione delle altre 9 repubbliche (compresa quella caduca della Georgia). Gemmate – per reciproco riconoscimento e in sovrana autonomia - da un unico grembo con grandi comuni tradizioni ma marchiate anche da odi insanabili. In particolare per l’Ucraina l’ Holodomor, con i suoi milioni di morti, sta lì a dividere e contrapporre ancor oggi, nei racconti di nonni e genitori, memoria e vita di chi abita quelle terre.

    2Fig. 2: “Non oscurare il sole con le nuvole della guerra” Through Art, Children Plea For Peace In UkraineGli Usa restano "potenza europea"

    Vale la pena di osservare come all’indomani della nascita della CSI, l’Ucraina – similmente a Bielorussia e Kasakistan – rinunci ai propri arsenali atomici per renderli alla Federazione Russa o disfarsene: ereditati dall’URSS (con circa 4300 testate nucleari, ovvero il 16% circa del complesso delle atomiche sovietiche) le avrebbero permesso, se avesse voluto, di ergersi tra i Grandi della Terra con pollice sul bottone rosso della distruzione totale.

    In Europa intanto scoppiava, lungamente covato, il bubbone jugoslavo, degenerato ben presto in guerra civile grazie alle divisioni e agli egoismi degli europei, incapaci di una visione del mondo e di una strumentazione di sicurezza comune e grazie all’emergere di nazionalismi virulenti. L’ignavia europea avrebbe permesso di lì a qualche anno, in un periodo costellato di massacri e barbarie etniche, di dare pieno riconoscimento alla profezia-promessa lanciata dal segretario di Stato americano, James A. Baker III, all’indomani della caduta del Muro: «gli USA sono e rimarranno una potenza europea». Saranno i loro bombardamenti, prima in Bosnia e poi in Kosovo, a mettere fine a quei massacri ma anche a dare nuovo lustro all’Alleanza Atlantica e al suo cuore militare, la Nato, proprio nel cuore della nuova Europa. Nasceva così, proprio nel cuore d’Europa, accanto e in sovrapposizione alle permanenti carenze strategiche dell’UE, l’attrattore potentissimo della Nato. Una calamita, amministrata con grande sapienza dagli USA e con somma negligenza dagli europei.

    La Nato nel XXI secolo

    Il bagliore dell’11 settembre ci introduce al Terzo Millennio. È da lì, da quella porta di fuoco che la Nato entra nel XXI secolo e si espande in un vortice di allargamenti continui. Avevano cominciato Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria nel marzo 1999, ma è dopo l’11 settembre e l’apertura del fronte afghano che i movimenti si fanno convulsi e continui fino ad inglobare altre 11 repubbliche tutte ad Est, tutte allevate e cresciute nell’universo o sotto il controllo sovietico. Un mondo intero ripudia il vecchio controllore per cercare sicurezza nell’entità, fino ad allora diabolicamente esecrata per quasi mezzo secolo. Il tutto senza inaugurare grandi basi militari, se non postazioni per la difesa missilistica specie dopo l’11 settembre (un impegno militare relativamente modesto, dunque, per quanto vissuto dai Russi come minaccia).

    Le profferte e le effusioni dei vari MAP, Membership Action Plan, nei confronti di Bosnia ed Erzegovina, Georgia o Ucraina hanno animato la cronaca più recente. Per quanto riguarda l’Ucraina, si deve ricordare che domande e inviti si sono finora risolti nel riscontro da parte occidentale di alcuni impedimenti nel processo di democratizzazione delle istituzioni ucraine: incompleta garanzia del controllo civile sulle forze armate, scarsa presenza di civili all’interno dei ministeri chiave ecc. Né è possibile dimenticare le strane – a guardarle oggi – liaisons tenute a battesimo soprattutto dall’11 settembre tra Russia e Alleanza Atlantica: proprio allora vede la nascita il Russia-Nato Council, con le sue molteplici forme di cooperazione nella guerra afghana: una cornice ancora più ampia entro cui hanno trovato una sistemazione più organica i rapporti a lungo intessuti tra Nato e Russia fin dal 1991 all’interno del North Atlantic Cooperation Council, vieppiù rafforzati nel 1994 dal programma Partnership for Peace.

    Val la pena di ricordare che tutte queste forme di cooperazione e reciproco riconoscimento non sono mai state revocate da parte russa, anche in momenti di estrema tensione: ad esempio, quando nell’aprile 2014 la Nato all’unanimità decise di sospendere ogni pratica cooperazione con la Federazione Russa in risposta all’annessione della Crimea. C’è voluto l’incidente nell’ottobre 2021, con cui la Nato ha espulso dal quartier generale di Bruxelles otto ufficiali russi accusati di spionaggio, perché la Russia si decidesse ad ordinare la chiusura della dipendenza Nato di Mosca.

    Allora, perché?

    Ma allora perché? Perché questa escalation? Perché far piovere bombe sulla testa di un paese «non solo vicino a noi … ma parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale … nostri compagni, tra le persone a noi più care»? (come ha dichiarato più volte Putin). Perché muover guerra non a nemici giurati ma alle viscere profonde di quella che per lui è la «Grande Madre Russia». Una “guerra civile” che sospende il mondo su un baratro indicibile: «la Russia moderna anche dopo il crollo dell’URSS resta una potenza mondiale, con un proprio arsenale nucleare e altro ancora (nuovi tipi di armi) … Chiunque tenti di ostacolarci, e ancor di più di creare minacce per il nostro Paese, per il nostro popolo, deve sapere che la risposta della Russia arriverà immediatamente e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia». Perché sospingere il pianeta sull’orlo dell’impensabile. Perché giungere ad allertare le forze nucleari?

    3Fig. 3: Senza commento Through Art, Children Plea For Peace In UkraineUna prima risposta: la spaventosa crisi russa

    La risposta che leggiamo più spesso è nella paura russa di essere accerchiata dalla Nato. I fatti che abbiamo citato sopra ci dicono che, per quanto l’espansione della Nato fosse vista con ostilità, non aveva mai prodotto reazioni così ultimative. Forse, allora, la risposta è nei processi che hanno sconvolto e rifatto questo immenso paese dopo l’inabissamento dell’URSS? Nella curva spaventosa in discesa del suo PIL negli anni di Eltsin a fatica e malamente messa all’insù da Putin: un paese oggi di 140 milioni di abitanti, ma con indici produttivi inferiori a quelli italiani, inflazionati da gas e petrolio, ma fortemente penalizzati dalle importazioni nelle alte tecnologie. Con una demografia sconvolta dalla mancanza di futuro e prospettive, destinata, secondo le prospezioni più accreditate, a calare ai 132 milioni di abitanti nel 2050 rispetto agli attuali 144 o ai 149 del 1991. A crescere, e in maniera decisa, sono le spese militari, giunte ad oltre il 4% del PIL. Lì forse un segno della ricerca affannosa per conservare uno spazio e un ruolo rimessi duramente in discussione da un pianeta in subbuglio, dall’ascesa della Cina e dell’India.

    In ogni caso, una risposta controproducente. Per Putin: cosa resta del leader da tanti acclamato fino a pochi giorni fa per la sua visione degli equilibri mondiali, per la sua capacità di riportare la Russia a nuovi fasti globali?
    E per la stessa Russia: come reggere ad una impresa e ad una possibile occupazione militare ben più dure e devastanti di quelle in Afghanistan? E senza calcolare l’effetto delle sanzioni. Sui russi stessi prima ancora che sull’Europa e sul mondo?

    Che la storia fosse alla «fine», come si disse alla caduta del Muro, si rivela oggi veramente una favola dei tempi andati. Oggi più che mai la guerra si dimostra una risposta sbagliata e terribile ai problemi mondiali, e, più che mai il no alla guerra si rivela il primo dovere dei cittadini, a cominciare da quelli europei.

  • Putin storico. Quando la storia si arma.

    di Antonio Brusa

    2022 02 28 12 27 03 putin on horse no shirt Jedimentat44 FlickrPutin a cavallo FonteMentre scrivo, il sito del Cremlino è oscurato da un attacco di Anonymus. Quando vi si potrà accedere di nuovo, spero sia ancora online un articolo di storia che Wladimir Putin ha pubblicato il 12 luglio del 2021, alle h. 17.00. Lo avevo letto prima dell’invasione, e pensavo di usarlo nei miei lavori sugli abusi storici in Europa Orientale. Fortunatamente, Luigi Cajani lo aveva scaricato e così lo posso commentare brevemente. Avverto subito che non deve far notizia il fatto che un Presidente della Repubblica scriva un articolo di storia, almeno in Europa Orientale, dal momento che Lukashenko e qualche altro dittatorello caucasico sono storici professionisti. L’articolo si intitola On the Historical Unity of Russians and Ukrainians ed è scritto in inglese: indirizzato, perciò, a un pubblico mondiale. Nasce, così esordisce Putin, dal suo desiderio di spiegare per bene una sua frase, pronunciata durante un’intervista: “la Russia e l’Ucraina sono un solo popolo”. E spiegare per bene significa, per lui, “fare la storia di Russia e Ucraina”.

    Oggi, di questo articolo ci colpisce la chiusa: And I will say one thing – Russia has never been and will never be ”anti-Ukraine“. And what Ukraine will be – it is up to its citizens to decide.

    “E io dico una cosa sola: la Russia non è mai stata e non sarà mai “anti-Ucraina”. E l’Ucraina sarà ciò che i suoi cittadini decideranno”.

    Chi, poi, vorrà vedere Putin che si cimenta da storico, troverà che inizia il suo racconto con quel Principato di Kiev che nel IX secolo signoreggiava su un vastissimo territorio, dal mar Baltico al mar Nero. Quel principato fu distrutto dall’Orda d’oro, a metà XIII secolo, e la Russia ne fu l’erede. Il suo compito fu da subito quello di ricostituirlo, per dare unità ai popoli che parlavano russo e professavano la religione ortodossa. Questa fu la missione dei vari zar che si batterono strenuamente contro nemici, che volevano impadronirsi di questo o di quel pezzo di eredità kievana: in primo luogo, i cattolici lituani e polacchi, ai quali si unirono successivamente gli austroungarici. Furono questi che sobillarono gli Ucraini, facendo credere loro di essere una nazione oppressa dai Russi. Infatti, l’Ucraina non esisteva a quel tempo. Semplicemente. È una creazione recentissima – sostiene Putin - costruita dai bolscevichi, che, con la loro mania di aggiustare i confini, assemblarono una regione con terre diversissime, dal Donbass alla Galizia e alla Bessarabia, che chiamarono Ucraina. Questa poi, ottenuta l’indipendenza, coltivò la russofobia, l’odio verso la Russia, nonostante gli aiuti e il denaro (dell’oleodotto) che questa generosamente non ha mancato di fornirle, e ha inventato l’Holodomor, il genocidio degli Ucraini, che fu certo una tragedia, ma non per colpa dell’Urss e dei bolscevichi.

    Putin dichiara le sue fonti: documenti pubblici, consultabili da tutti, e quella Cronaca dei tempi passati, che, scritta vari decenni dopo la caduta di Kiev, ne costituisce praticamente l’unica fonte scritta. Utilizzando le medesime fonti, anche gli Ucraini raccontano una storia che vanta origini ben più antiche di quella russa, perché affondano nella preistoria più remota, quando in Ucraina nacque la civiltà Trypilliana. Una cultura straordinaria, democratica e agricola, che si estese dal mar Nero fino all’Italia (non so se la cosa ci dovrebbe preoccupare). Anche per loro, però, momento fondativo fu quello del principato di Kiev, che lasciò la sua eredità alle terre del sud e quindi all’Ucraina. Eredità che una città del nord – Mosca – cerca in ogni modo di usurpare. Ma invano, perché il suo popolo non può nemmeno chiamarsi russo, ma moscovita. Il popolo ucraino, invece, si forma nella sua strenua lotta contro moscoviti e polacchi, nel corso dei secoli della modernità. Certo, a volte chiede l’aiuto di Mosca, ma da questa venne ripagata con persecuzioni, oppressione politica e culturale e, finalmente, con le due grandi tragedie, l’Holodomor e Chernobyl. L’indipendenza, ottenuta una prima volta durante la Prima guerra mondiale, poi annullata dal dominio sovietico, venne riacquistata nel 1991, con la dissoluzione dell’Urss.

    Come in Rashomon, l’indimenticabile film di Kurosawa, la medesima storia viene raccontata anche da Bielorussi, Lituani e Polacchi in forme sempre diverse, tutte però – come garantiscono i narratori – rigorosamente basate sulle fonti. Hobsbawm non avrebbe dubbi: si tratta di un caso esemplare di invenzione della tradizione. Con la differenza che sono storie scritte da studiosi che conoscono bene i suoi libri e, quindi, si accusano vicendevolmente di “inventare miti”. Queste storie hanno in comune alcune cose semplici ed evidenti: puntano a costruire un’identità nazionale, additano i nemici di questa identità, vedono il passato come il tempo delle malefatte subite e il presente come il momento per un loro risarcimento. È il modello di storia nazionalista, inventato nell’Ottocento, ripreso pari pari dalle nuove nazioni sorte sulle ceneri del Patto di Varsavia. Il modello ottocentesco ha qualcosa a che vedere con la Prima guerra mondiale e, rivestito di ideologia, anche con la Seconda. Su questa attuale, vedete voi. Speriamo tutti che finisca quanto prima, in modo da poterla studiare con calma e riflettere sui guasti della storia identitaria. Non solo per le connessioni più o meno dirette che ha coi conflitti, ma soprattutto perché viene meno al suo dovere di intelligenza critica dei fatti e delle credenze.

    Ps: Una curiosità tutta italiana. Per chiarire quanto le differenze linguistiche fra ucraino e russo siano irrisorie - “il linguaggio scritto è identico e le differenze vernacolari trascurabili” - Putin ricorre a un esempio italiano: dice che è un po’ come la lingua dei residenti di Roma e di Bergamo. Non gli poteva andare peggio.


    Riferimenti

    - Antonio Brusa, Cronaca dell’invenzione di una tradizione: i miti di fondazione dell’Ucraina, dalla preistoria al medioevo, in “Historia magistra”, anno ix, n. 23 2017.

    - ID., Miti di trasformazione. Morte e risurrezione dell’Ucraina: mitopoiesi storica dall’età moderna a quella contemporanea, ibidem, anno ix, n. 24 2017.

    - ID., Un inquietante laboratorio memoriale. Politiche della memoria e insegnamento della storia in Europa Orientale, ibidem, anno xi, n. 31 2019.

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