prerequisiti

  • I paradossi del “tempo profondo” e la trappola dell’insegnamento della preistoria

    Autore: Antonio Brusa

     

    Il mare e il “tempo profondo”

    Che i tempi potessero essere profondi, gli storici lo hanno appreso dalla lezione di Braudel. Quei tempi così particolari, infatti, nacquero dal suo linguaggio metaforico, dove anche la storia, che nello storicismo tradizionale era sempre stata immaginata come un fiume, si trasformava in mare. In questa larga distesa d’acqua, gli eventi, i personaggi, le cause e gli effetti, che tumultuosamente si inseguivano in quel fiume storicista, trovavano un loro comodo posto, razionale e cartesiano. In superficie quelli di durata brevissima, gli eventi; qualche decina di metri più sotto, le grandi correnti (i processi economici, le durate istituzionali). Più giù, nel profondo, i tempi immobili delle mentalità e del rapporto con l’ambiente. Era una metafora efficace e facilissima, di quelle che i grammatici chiamano catacresi, perché sembrano così naturali, che non si avverte nemmeno la loro essenza retorica: come il mare epistemologico che si mutava, nelle abili mani di Braudel, in un Mediterraneo vero, storico, fatto di durate millenarie e di imperatori che perdevano tutto in un solo giorno del 1588.

    Tutto questo appartiene ormai ad una epistemologia consegnata, talmente diffusa ed accettata, da apparire essa stessa come una catacresi, ovvia e quasi naturale. Perciò, è con un certo stupore che leggiamo come Henry Gee, paleoantropologo inglese, abbia ripreso e rinnovato la metafora braudeliana, cambiandole radicalmente il significato, e abbia trasfigurato il tempo profondo, da trasparente e conoscibile qual era diventato, a luogo impenetrabile e ignoto1. Il tempo profondo, per lui, è quello dei milioni di anni, e si estende talmente a lungo da essere fuori dalla nostra portata. Incommensurabile, perché eccedente la scala della nostra vita, dei nostri sensi e delle nostre stesse possibilità di pensiero.

    Troppa confidenza col “tempo profondo”

    Questo tempo indicibile, tuttavia, è anche il tempo di racconti assai familiari: quelli dei dinosauri, delle estinzioni di innumerevoli specie, delle famiglie di ominidi. Ne abbiamo tale confidenza che siamo indotti, riflette Gee, ad applicare al tempo profondo le abitudini argomentative e narrative della vita quotidiana. Perciò, così come cerchiamo le cause di uno scricchiolio nella stanza accanto o della macchina che non parte, ci sembra scontato che qualcuno cerchi le cause di quegli eventi lontanissimi. E così come mettiamo in fila gli episodi che compongono una storia d’amore, o hanno causato la disavventura capitataci l’altro giorno, raccontiamo tranquillamente di come si è evoluto l’uomo, o di come sono scomparsi i dinosauri. È una magnifica dimostrazione della nostra intelligenza, ci sembra.

    Convinti di ciò, gente comune e scienziati, si sono dati da fare con caparbietà, nell’ultimo cinquantennio del secolo scorso, per rispondere alla domanda: «Perché si sono estinti i dinosauri?», o «dove si trova il sospirato anello mancante?». Henry Gee, accumula ironicamente decine di spiegazioni, spesso palesemente contraddittorie tra di loro, ma tutte accolte con serietà dalla comunità scientifica, e con interesse, sempre più ansioso, da un pubblico vastissimo 2.

    Il tempo profondo non è un tempo quotidiano

    In realtà, un conto è cercare una causa in un universo di fatti che riusciamo a dominare con la nostra intelligenza, un altro cercarla in un tempo profondo, nel quale non si scorgono che pochi rari fossili, separati tra di loro da decine o da centinaia di migliaia di anni.

    Con quale spavalderia epistemologica li connettiamo in un sistema vincolante, al punto da decidere che uno derivi dall’altro? Se nello spazio di tre o quattro milioni di anni – quello del processo di ominazione – troviamo una manciata di ossa fossilizzate, non è perlomeno imprudente legarle in un rapporto addirittura di filiazione solo per il fatto che ci sembrano simili?

    Faremmo lo stesso, potremmo dire applicando il medesimo dubbio critico, se avessimo a disposizione, di tutta la storia a noi più conosciuta, soltanto lo scheletro di Ramses II e quello di Napoleone? Sarebbe un errore marchiano, che nessuno azzarderebbe, neppure il divulgatore più temerario, per quanto l’intervallo temporale sia di appena poche migliaia di anni. Perché, allora, l’identico atteggiamento mentale ci sembra scontato per i milioni di anni della preistoria? E ci sembra così elementare, da costruirci su i primi racconti per i bambini?

    Quando affrontiamo questi tempi interminabili, dovremmo, al contrario, partire dalla considerazione della nostra inadeguatezza, e soprattutto, mettere nel conto l’impossibilità di narrare. Invece, la ‘voglia di raccontare’ prende il sopravvento sulla realtà del tempo profondo, e ci spinge a comprimere i suoi spazi immensi in tempi più controllabili, che ci aiutano a concatenare le cose in un rapporto razionale. La storia infinita viene disciplinata entro i confini di una trama familiare, e viene resa raccontabile mediante i connettivi linguistici e logici di tutti i giorni (prima, dopo, perciò, a causa di, ecc.). Ne nascono, inevitabilmente, racconti e immagini stereotipate. L’icona fondamentale dell’evoluzione, quella che campeggia ovunque, dalla pubblicità ai libri di testo, e che vede gli uomini evolversi ordinatamente in fila indiana, è giusto lo stereotipo più famoso, figlio di questa pretesa arrogante di raccontare tutto.3

     

    Allo stereotipo della linea evolutiva umana sono affezionati in moltissimi, dai manuali di storia ai media. E' una sorta di icona onnipresente e, per quanto ciò appaia paradossale, è uno strumento indispensabile per gli antievoluzionisti, dal momento che questa rappresentazione, così semplificata e lontana dalla realtà storica, si presta benissimo ad ogni sorta di obiezione (vedi didascalia successiva).

     

    Dei prerequisiti alquanto dannosi

    Abbandoniamo il nostro paleontologo alla sua epistemologia malinconica, e rivolgiamo il nostro interesse alla didattica, perché è proprio nelle aule che troviamo alcune conseguenze vistose di questa volontà dominatrice del racconto. Qui docenti, sussidiari e guide didattiche, impegnano buona parte delle loro risorse (metafore più o meno azzeccate, quali l’orologio, il libro ecc., e defatiganti linee del tempo, tracciate sui muri dell’aula, e quando non basta dei corridoi della scuola) nell’impossibile tentativo di ‘far immaginare’ queste durate immense.

    Sforzi immani, generati dal tragico errore di attribuire all’incapacità dei bambini una oscurità che dipende, invece, dalla natura oggettiva del tempo profondo. Al posto di rassegnarci, o di chiederci se anche noi, gli adulti, riusciamo veramente a renderci conto delle conseguenze epistemologiche di queste infinite durate, ci ingegniamo a costruire espedienti che, nella stragrande maggioranza, si basano sul principio del rapporto fra l’esperienza quotidiana e l’oggetto esotico da spiegare. La storia di tutti i giorni si trasforma nello ‘strumento facilitatore’, che sembra rendere razionale e raccontabile il tempo profondo. Non ci rendiamo conto che, attraverso questa azione didattica, transitano dal vissuto alla storia modalità discorsive, di comprensione e di problematizzazione, che funzionano nella vita quotidiana, ma producono disastri nella ricostruzione scientifica. Così animati dalle intenzioni più lodevoli, maestre e maestri, quando avviano alla storia i loro allievi, impiantano le fondamenta del percorso formativo proprio là dove, al dire di Henry Gee e di Stephen J. Gould, indimenticato paleontologo e divulgatore, alligna la pianta della malaco- noscenza del passato.

    La cladogenesi

    Nulla di nuovo, si dirà. È il ritorno a Jean Piaget, studioso forse troppo rapidamente messo da parte, che sosteneva come al bambino mancassero le strutture temporali necessarie  per comprendere i tempi passati. Ma si tratta di una citazione affrettata e indebita. Il problema del tempo profondo non ci porta affatto, come si attribuisce all’epistemologo ginevrino, a escludere l’insegnamento della storia o della preistoria in questa fase di scolarità. Ce lo spiega lo stesso Henry Gee, illustrando il modello che, da tempo, ha sostituito la sequenza evolutiva: la «cladogenesi». Questo modello permette di trarre conclusioni scientifiche dalle somiglianze fra i fossili, senza vincolarli a discendenze, filiazioni e progeniture (termini e modalità di connessione che si ricavano dall’analogia fra la vicenda storica e la genealogia familiare: ancora una volta, una struttura cognitiva del quotidiano che si trasforma in un abusivo strumento scientifico).

     

    L'immagine del "cespuglio", attualmente adottata dagli studiosi per rappresentare il fenomeno complesso dell'evoluzione umana, è considerata dagliantievoluzionistiuna sorta di trucco per confondere la realtà semplificata dell'evoluzione lineare.

     

    Non ci sono sequenze lineari, nel cespuglio cladogenetico, ma rami e divaricazioni, tra fossili prossimi o lontani. Inoltre, non tutto in questo cespuglio è chiaro, perché molti accostamenti sono affatto ipotetici. Il modello comunica un’immagine complessiva della vicenda degli ominidi, tale da escludere che la si possa organizzare in un racconto lineare, dominato dai connettivi ‘prima e dopo’ (e dal terrore di comprendere le durate possiamo aggiungere). I connettivi che funzionano meglio sono, piuttosto, quelli della somiglianza e della differenza, e, dipendenti da questi, i connettivi e le espressioni che indicano vicinanza e lontananza. Lo scienziato osserva, compara, registra analogie, valuta ipotesi di prossimità, e, in base a queste, costruisce il suo cladogramma: uno schema che si può spiegare e discutere in ogni suo punto, ma molto restio a ‘essere raccontato’.

    Sicuramente il prodotto finale e sintetico di questo lavorìo (un cladogramma che dia posto a tutti i ritrovamenti fossili) è di una intricatezza difficilmente comunicabile: e aumenta notevolmente di complessità, se si considera l’indispensabilità di apprezzarne la natura probabilistica. Ma, per altro verso, il ragionamento di base che lo genera (trovare analogie e differenze) può appartenere di diritto alle fasi elementari della formazione. Richiede, da una parte, capacità storiche dominabili anche da bambini piccoli (comparare e descrivere); dall’altra, il possesso di strutture linguistiche primarie, per raccontare (descrivere) quello che si è osservato.

    Il paradosso didattico del tempo profondo

    Questo mi sembra il paradosso didattico del tempo profondo. Esso mostra come, in didattica, ciò che appare scontato e facile,  a volte, è proprio ciò che crea problemi. La ‘didattica normale’, quella del buon tempo andato e delle ‘certezze di una scuola che funzionava’, infatti, è presentata – spesso in polemica con le ‘novità disastrose’ della scuola attuale – come un lavoro  che  promuove  la  ‘sicura’  conoscenza  delle  periodizzazioni della preistoria (paleolitico, mesolitico, neolitico), garantisce la conoscenza ‘almeno’ della sequenza degli ominidi, e, in definitiva, la capacità di capire lo «spessore del tempo» (ma, evidentemente, non del «tempo profondo»).

    E, considerando ancora le cose dal punto di vista della didattica tradizionale, laboratori e lavori più accurati, su questo scavo o su quel particolare ominide, vengono considerati una sorta di ornamento didattico, superfluo e magari velleitario. Un di più, da provare solo se c’è tempo (bene prezioso, che in genere manca all’insegnante di storia), se non da evitare, in quanto pericolosa intrusione della pedagogia nel sacrario degli storici. I ragionamenti sul tempo profondo ci dicono esattamente il contrario. Ci incoraggiano a considerare come affidabili i laboratori di preistoria, nei quali gli allievi scoprono il taglio della selce; oppure si interrogano sui modi di sopravvivenza di un gruppo umano di cultura determinata; oppure ancora confrontano due gruppi umani diversi (e altre ‘buone pratiche’ di questo genere). E, sul versante contrario, ci instillano il dubbio che proprio quelle certezze tradizionali e diffuse, basate su di un racconto della preistoria che si vuole sintetico ed esauriente, nel quale gli umani si succedono nei loro tipi (habilis, erectus, sapiens) e nei periodi considerati di prammatica, siano da considerarsi scientificamente alquanto deboli.

     

    Note

    1  H. Gee,Tempo profondo. Antenati, fossili, pietre, Torino, Einaudi, 2006, pp. 4-12. Secondo lui, la metafora fu coniata da John Mcphee, un geologo: ma la data che propone, 1982, parla inequivocabilmente a favore della primazia di Braudel, che sostenne la sua tesi sul Mediterraneo nel 1947, e la pubblicò nel 1949:La méditerrenée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Armand Colin, Paris.

    2 Ivi, pp. 110 ss.

    3 A Stephen J. Gould, naturalmente, il merito di aver lucidamente spiegato l’errore di questo modello: Bravo Brontosauro, Milano, Feltrinelli, 1992, pp. 84 ss. L’elenco impressionante degli stereotipi sulla preistoria, collegabili a questo modello temporale, in W. Stockowski,La préhistoire dans nos manuels scolaires, ou notre mythe d’origines, «L’Homme», 116, 1990, pp. 111-135; e, più recente, A. Brusa, David e il Neandertal. Gli stereotipi colti sulla preistoria, in L. Sarti - M. Tarantini, Evoluzione, preistoria dell’uomo e società contemporanea, Roma, Carocci, 2007, pp. 45-73.

  • Il senso del tempo. Strumenti di valutazione e esercizi per l’apprendimento.

    Prima categoria: didattica; TFA: strumenti

    1. Qualche precauzione, con le liste di indicatori

    Le numerose liste di indicatori per la valutazione, con le quali gli insegnanti di primaria e secondaria di primo grado fanno i conti ormai da qualche decennio (e ai nostri giorni non soltanto loro), vanno strettamente collegate con i contenuti della programmazione. Questa regola, in realtà generale, è molto stringente per la storia. In questa disciplina, infatti, la varietà dei comportamenti didattici, adottati dai docenti, è sorprendente per qualsiasi osservatore: chi studia il locale, il vissuto, società esotiche o di tipo preistorico; chi si attiene rigorosamente al libro di testo, o lavora su testi alternativi o preferisce l’ebrezza del web e dell’autoproduzione (e tanto altro ancora). Questa varietà, a sua volta, andrebbe declinata attraverso gradienti adattati allo sviluppo evolutivo del discente, creando, in questo modo una differenziazione esplosiva, che non è possibile rappresentare se non con liste e ragionamenti di una complessità ingestibile.

    Le liste che seguono, perciò, devono essere adoperate con cautela. Esse hanno un origine piuttosto lontana. Risalgono infatti all’unico momento di vero aggiornamento di massa, tentato in Italia, ormai nei lontani anni ’80, quando venne varato il Piano Pluriennale di aggiornamento per le elementari, e furono messe a punto con l’aiuto di decine e decine di insegnanti pugliesi. Dal momento che la mia competenza in questo campo è piuttosto limitata, per loro redazione mi sono avvalso della esperienza e del senso di misura di Luciana Bresil. Le prime versioni si trovano in: A. Brusa, La storia, in L’aggiornamento dei docenti nella scuola elementare di Puglia, IRRSAE-Puglia, Bari 1992, pp. 99 ss. e in Guida pratica alla valutazione. Orientamenti e strumenti per una valutazione formativa, a cura del Cidi di Forlì, settembre 1994. Si tratta, dunque, di un lavoro datato: come vedrete, la partizione seguita è quella delle vecchie schede di valutazione (che continua a sembrarmi ancora più semplice e realistica delle proposte didattiche successive). In ogni caso, non vuole sostituirsi a repertori più attuali, fra i quali segnalo la Piazza delle Competenze, che alcuni insegnanti di Treviso hanno messo in rete, dove si trovano gli elenchi, a mia conoscenza, più completi.

    Certamente, il passaggio dall’ambiente prevalentemente cognitivo degli anni ’80 a quello più nebuloso e incerto delle “competenze”, che domina da un paio di decenni, va discusso attentamente. Qui mi limito a osservare che, quale che sia la filosofia pedagogica presupposta da questi cambiamenti, a un docente di storia continuano a interessare fondamentalmente due aspetti: le conoscenze che l’allievo apprende; e le modalità con le quali usa queste conoscenze. E il pericolo che continuamente corre è, come è stato notato ormai da molto tempo, quello del formalismo, generato appunto dalla difficoltà di collegare in modo realistico il nome di una certa “abilità” con una operazione storica ben definita. Per questo motivo, questa lista è fatta in modo che ogni voce possa suggerire un’esercizio o una pratica precisa e si chiude con un paio di esempi.

    I traguardi di competenza delle Indicazioni 2012 sono distinti per livelli della primaria e della secondaria di primo grado. In questo elenco, invece, li troverete uniti, in modo che, operazione per operazione, si possa vedere lo scarto fra ciclo preparatorio (composto da scuola dell’infanzia e i primi tre anni della primaria; e ciclo di storia generale, composto dai due anni terminali della primaria e i tre anni della media), ma si possano anche immaginare i modi di combinarli.

    1. Gli indicatori sul tempo

    1. Ordina e colloca nel tempo fatti e eventi

    Questa voce richiama il più antico e tradizionale dei comportamenti didattici: chiedere agli allievi se sanno “quando è accaduto un evento”. Col passare del tempo questa richiesta si è - per così dire - scolorita: credo che nessuno pretenda che un bambino “sappia le date”. E questa prestazione è richiesta sempre meno anche nelle medie. Ma i secoli e i periodi, quelli sono abbastanza duri a morire. A questa interpretazione, consolidata nella pratica, si aggiungono oggi le nuove richieste, nate dalle sottoclassi in cui il concetto viene articolato (durata e periodizzazione).

    Risolvo, dunque, questa complessità, “declinando” ciascun indicatore a seconda dei contenuti di studio. Ognuno di essi, infatti, è articolato in :

    - vissuto: tutto ciò che si riferisce alla vita personale, all’ambiente, alle storie orali e che - soprattutto - viene studiato adoperando i racconti stessi degli allievi o di chi partecipa alla lezione.

    - rappresentato: gli stessi contenuti possono essere studiati a partire da scritti, materiali video; inoltre, racconti e rappresentazioni di vario genere possono essere il terreno sul quale si provano operazioni utili per la storia.

    - storico: racconti, rappresentazioni, documenti e tutto ciò che fa diretto riferimento alla produzione storiografica.

    Attenzione, però: fra di essi non si deve immaginare una propedeuticità dogmatica, dettata dallo stereotipo pedagogico secondo il quale il vissuto va studiato esclusivamente nel primo ciclo, mentre nel secondo si studierebbe “la storia”. E’ del tutto errato ritenere che “il vissuto” sia più facile, e quindi precedente alla storia raccontata. Così come egualmente errato è ritenere che il vissuto sia roba da bambini e che non lo si possa richiamare quando si studia la storia generale.

    L’identica accortezza deve valere nel presumere scale di difficoltà fra un indicatore e l’altro. Non è sempre detto. Ad esempio: “Mette in ordine cronologico eventi in un contesto narrativo” (1.12) è un’operazione la cui difficoltà dipende in larga misura dal testo che l’allievo deve analizzare. Infatti, è un’operazione che posso proporre dopo aver raccontato la favola di Cappuccetto Rosso, la vita di Annibale o il processo che porta alla rivoluzione industriale; dipende, ancora, dalla lunghezza e dalla complessità testuale di questi racconti. Invece: “Ordina cronologicamente i contenuti di studio dell’intero anno” (1.15) si riferisce a operazioni ovviamente terminali. Anche in questo caso, è la l’attività concreta - non prevedibile all’inizio dell’anno, quando si elabora il progetto formativo - che decide il livello di difficoltà.

    1. 1 Mette in ordine cronologico i fenomeni studiati.

    1.11 in un contesto di vita vissuta

    1.12 in un contesto narrativo

    1.13 in un contesto narrativo specifico (un racconto storico, una descrizione di una società, in una biografia storica, ecc.)

    1.14 ordina cronologicamente i contenuti studiati nell’annno

    1.15 ordina cronologicamente i contenuti studiati nell’intero corso

    1.2 Ordina adoperando:

    1.21 connettivi linguistici (mentre, dopo, molto tempo prima ecc.)

    1.22 strumenti grafici: diagrammi a stella, a blocchi, di flusso ecc.

    1.23 numerici: ordinali (primo secolo, secondo giorno, ecc.) e cardinali: date di vario genere.

    1.3 Rileva durate diverse in ambiti:

    1.31 di vita vissuta

    1.32 in contesti narrativi o comunque rappresentati

    1.33 in racconti storici

    1.4 Misura durate diverse adoperando:

    1.41 espressioni linguistiche (è durato a lungo, finisce in un attimo ecc.)

    1.42 strumenti grafici (cronogrammi di vario genere)

    1.43 strumenti numerici: cronologie e cronogrammi con indicatori di misure temporali.

    1.5 Analizza fenomeni con lo strumento della durata

    1.51 analizza fenomeni di vita quotidana (scopre, ad esempio, la stratigrafia temporale di “essere a scuola”: la lezione di storia dura mezz’ora; il libro che si adopera è vecchio di due anni; la scrittura esiste da 5 mila anni; l’abitudine a stare in un ambiente riparato da mura dura da 10 mila anni).

    1.52 analizza fenomeni comunque rappresentati: una scena riprodotta in un quadro, una fotografia, un racconto ecc..

    1.53 analizza fenomeni storici: un quadro di vita quotidiana romana; la scoperta dell’America; la Rivoluzione Industriale, ecc.

    1.6 Situa fenomeni in periodi o quadri conosciuti

    1.51 contestualizza dei fatti appartenenti al vissuto in una periodizzazione della sua vita (ecc)

    1.52 riporta ai contesti storici studiati fenomeni o oggetti studiati (situa l’ascia di pietra e l’aratro nel neolitico; le macchine al tempo della Rivoluzione Industriale; le Crociate nel periodo medievale, ecc).

    2. Comprende eventi e trasformazioni

    Questo indicatore si riferisce a operazioni che fanno parte del bagaglio delle esperienze didattiche introdotte negli ultimi decenni. Come nel caso precedente, si deve tener conto di quanto il contenuto influisca sulla qualità dell’operazione. L’attività del “riconoscere un evento” varia sensibilmente a seconda dei contesti nei quali si deve operare. Perciò, leggendo la lista seguente, si tenga mentalmente conto dell’articolazione proposta sopra (vissuto, rappresentato, storico). Non la riproduco, quindi, in questa lista per non creare una casistica troppo complicata. In realtà, ogni indicatore dovrebbe essere inquadrato in una tabella a doppia entrata. Ad esempio:

     

     

    Vissuto

    Rappresentato

    Storico

    Adopera il concetto di evento

     

     

     

    Adopera il concetto di struttura

     

     

     

     

    2.1 Conosce / adopera i concetti di evento e di durata

    2.11 In modo informale (sa che alcuni fenomeni durano poco o molto, li distingue e li riconosce)

    2.12 In modo formale: adopera espressamente i concetti richiesti

    2.13 Gerarchizza eventi e strutture in modo informale e soggettivo (esprime delle scale di rilevanza fra eventi, basata su criteri personali)

    2.14 Gerarchizza eventi e strutture rispetto a parametri dati (ad esempio: la necessità di sopravvivere, o di vincere una guerra, o - col tempo e l’incremento di competenze - rispetto all’economia o al potere, ecc.)

    2.2 Conosce/adopera termini specifici:

    2.21 ciclo, ritmo

    2.22 congiuntura, cambiamento

    2.23 stabilità, persistenza, ecc.

    2.3 Distingue situazioni o descrizioni statiche e dinamiche

    2.31 Riconosce una situazione o una descrizione statica

    2.32 Riconosce una situazione o una descrizione dinamica

    2.33 Gerarchizza dinamiche rispetto a parametri dati (date alcune situazioni in evoluzione - cambiamenti economici, politici, sociali ecc. - li mette in un ordine di importanza).

    2.4 Periodizza

    2.41 In modo informale e soggettivo (ad esempio divide la propria vita in varie fasi secondo un proprio parametro)

    2.42 Rispetto a parametri formali (periodizza la propria vita rispetto al parametro “scolarizzazione”).

    2.43 Conosce l’esistenza di una periodizzazione generale della storia ( ad esempio: antica, medievale, moderna e contemporanea).

    1. Alcuni esempi di attività

    1. La piramide dei tempi

    E’ impossibile rendere conto, in questo breve spazio, della complessità di una programmazione, delle sue unità di lavoro e dei suoi esercizi. Tuttavia, penso che alcuni esempi potranno aiutare il docente a intuire in quale modo organizzare la propria attività, in modo che sia omogenea con gli indicatori qui accennati.

    Si prenda l’indicatore 1.5 (analizzare adoperando lo strumento “durata”). Esso fa riferimento alla conquista più conosciuta della storiografia di Fernand Braudel, secondo il quale il “tempo” è, in realtà, una “stratificazione di tempi”. Non è uno dei concetti più agevoli della storiografia contemporanea. Un modello di esercizio lo renderà comprensibile e aiuterà gli allievi a trasformarlo in strumento di indagine.

    Partiamo da un esempio di esercizio, riferibile al punto 1.51. Ecco un allievo che studia. E’ una scena nella quale si condensano molti tempi. La matita, la scrittura, la carta, e potremmo aggiungere: la Tshirt e il pantalone, sono gli elementi che riconosciamo nel disegno. Ognuno di questi oggetti ha un tempo. Discutendo con gli allievi, cerchiamo di valutare la durata temporale di ciascuno di essi.

     

    Li mettiamo in ordine: scrittura, pantalone, carta, matita, tshirt. Sapendo che non è necessario essere precisi nelle lunghezze delle relative durate, in questa prima fase (1.42, disegnamo il “Diagramma temporale” del bambino che scrive. Ne viene fuori una sorta di piramide come questa:

     

    Inserisci il disegno di Helena. Magari la didascalia può essere: Disegno di Helena, classe …

    Lo stesso strumento si trasferisce in ambito storico (1.53). Si supponga di raccontare la battaglia di Lepanto. Durò una sola giornata, il 7 ottobre del 1571. Questo è il tempo dell’evento. Ma le armi che i contendenti adoperavano avevano tempi più lunghi: esistevano da circa due secoli. Le idee che dividevano i contendenti avevano anch’esse tempi diversi: i musulmani, da una parte, la cui antichità risaliva a circa mille anni prima; i cristiani, dall’altra, antichi di 1570 anni. E finalmente, quale tempo attribuire alla capacità degli uomini del mediterraneo di navigare? 10 mila anni potranno rendere questo tempo enorme.

     

     

    La battaglia di Lepanto. Qui, tutti i dati di questo straordinario evento della storia mediterranea

    L’insegnante racconta. Gli allievi, che hanno già imparato a costruire questo speciale diagramma temporale (lo potremmo chiamare “piramide dei tempi”), disegneranno il diagramma di Lepanto. Se sono in grado di misurare, lo faranno secondo i crismi, descritti nell’indicatore 1.43; altrimenti sarà 1.42.

    Suppongo che un insegnante racconti una decina di eventi importanti, durante l’intero corso di studi. Se per ognuno di essi propone questa attività, disporrà, al termine, di dieci “identikit di eventi”, con i quali confrontare altrettanti momenti storici e interrogarsi sulle durate e sulla stratigrafia temporale degli eventi. Potrà presumere, probabilmente, che qualche allievo abbia acquisito la consapevolezza che ciò che accade è sempre ricco di tempi (A. Brusa, Guida al manuale di storia, Ed. Riuniti, Roma 1993 (II edizione), p. 158).

    1. Periodizzare

    Ricaveremo un secondo esempio dal campo di problemi sotteso all’indicatore 2.4 (periodizzare): certamente uno dei più sfuggenti nella scuola primaria (ma anche di quella secondaria di primo grado), dal momento che l’attività del periodizzare è una delle più complesse, profonde e astratte, contemplate dal laboratorio dello storico. E’, infatti, una particolare forma di suddivisione del tempo che non dipende dalla sua “misura”, ma dai problemi che si ritengono importanti. Ad esempio, se consideriamo il millennio passato dal punto di vista dell’economia, il 1780 (data topica della Rivoluzione Industriale), è periodizzante: cioè divide il millennio in due parti dette, “la società preidustriale” e “industriale”. Al contrario, se adoperiamo il metro della religione, il Cinquecento sarà il secolo periodizzante, e le due parti si potranno chiamarsi: il periodo dell’unità dei cristiani; il periodo della loro divisione.

    Si possono esemplificare queste operazioni in contesti di vita quotidiana (2.41):

    - Si invitino gli allievi a redigere la cronologia della propria giornata.

    - Li si invitino a scegliere una sola data, tale che spezzi la cronologia in due sole parti. Deve essere la più importante e, ai loro occhi, la più significativa.

    - Ora dovranno attribuire un nome a ciascuno dei due periodi individuati.

    L’indentica operazione potrà essere eseguita adoperando dei parametri prefissati: il divertimento, lo studio, la scolarizzazione, il diventare adulti, ecc. E potrà essere applicata a lunghezze temporali diverse: una settimana, un anno, tutta la vita.

    Come si sarà intuito, le stesse operazione possono essere applicate a racconti (una favola, un libro, un’avventura, ecc.) e, finalmente, a racconti storici. Conviene, al principio, che questi racconti siano fatti dall’insegnante. Riguarderanno i contenuti di studio: Roma, o i Boscimani, o l’Italia nel dopoguerra, ecc. L’insegnante confezionerà dei racconti molto brevi e sintetici, inserendo abilmente in questi gli eventi che potranno concorrerere al ruolo di “eventi periodizzanti”. Li legge o li racconta, chiedendo alla classe di prendere nota dei fatti e di redigere una cronologia. Poi si proverà a ragionare su questa. Gli allievi possono creare i periodi a proprio piacimento e discutere la differenza (2.41); oppure si può lavorare adottando i parametri forniti dal docente (2.42).

    Infine, un’osservazione sul rapporto fra vissuto e storia. Immaginiamo che l’allievo abbia fatto propria questa sequenza operativa: estrarre gli eventi da un racconto, costruire un cronogramma, individuare l’elemento periodizzante, nominare i periodi. Proviamo ora a proporgli un lavoro che solitamente si considera un prerequisito: periodizzare la propria vita. Immaginiamo che questo accada alla fine della media: non pensate che avrà uno strumento per capire e problematizzare la propria biografia?

     

    Abilità, competenze o operazioni storiografiche?

    Supponiamo di aver realizzato pratiche di questo tipo. Potremo dire che l’allievo ora possiede il “senso del tempo”, “la capacità di misurarlo”, la “capacità di periodizzarlo”? e potremo distinguere se questa è un’abilità o addirittura è una competenza spendibile nel mondo reale? Non ho mai saputo rispondere a questa domanda, ma non vorrei nemmeno inoltrarmi in una controversia infinita. So per certo, però, che se un allievo di oggi fa questo genere di operazioni capirà che cosa voglio dire, quando gli spiego che la storia non è un fluire indistinto di eventi, ma un complicato intreccio di tempi che hanno velocità diverse. Lo capirà un po’ meglio di quei miei allievi, di tanto tempo fa, che si dovevano accontentare della mia spiegazione (e io mi dovevo accontentare del fatto che loro me la sapessero ri-raccontare). Capirà, forse un po’ meglio, che cosa intendo, quando gli spiegherò che un evento, un qualsiasi evento, come ci ha insegnato Braudel, è un vulcano attraverso il quale esplodono tutti i tempi passati. E che ci sono vulcani modesti e poco pericolosi e altri che fanno paura. E, forse, sarà questa consapevolezza che avrà qualche possibilità di aiutarlo nella sua vita.

     

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