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  • La camera oscura del fascismo. Laboratorio con le fonti iconografiche*

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    di Marco Cecalupo

    *per gentile concessione di Clio ‘92. Questo articolo è parte del numero monografico sul fascismo de “Il Bollettino di Clio”, nuova serie n. 23, giugno 2025, scaricabile online.

     

    1. Un laboratorio con le fonti iconografiche

    Questo laboratorio, ideato dall'Associazione Historia Ludens1, si avvale della metodologia didattica del laboratorio con i documenti sviluppata da Antonio Brusa2, ma nella forma descritta in questo articolo si configura come un compito di realtà.

    Nella sua struttura iniziale è stato condotto da docenti dell'associazione decine di volte in scuole secondarie di primo e secondo grado italiane. Negli ultimi anni, con questa diversa configurazione, è stato condotto con classi terze della Scuola Secondaria di Primo Grado “Leonardo da Vinci” di Reggio Emilia3.

    Tra i docenti è purtroppo opinione comune che le immagini siano un mezzo più immediato e più “semplice” per insegnare e apprendere la storia. Una convinzione errata. Lo studente – si afferma – può “vedere” la storia riflessa e raccontata dalle immagini. La forza dirompente dell'immagine in rapporto al testo scritto – si aggiunge – è universalmente nota e riconosciuta nel campo delle tecniche di comunicazione. Peraltro nel linguaggio comune “iconico” significa appunto dotato di un significato simbolico culturalmente condiviso da un grande numero di persone.

    Nella ricerca storica, invece, le immagini rappresentano una tipologia di fonte che – alla pari di tutte le altre – deve essere opportunamente analizzata, interpretata e confrontata con altre fonti per restituire un frammento di ricostruzione storica o per essere una tessera di un puzzle più ricco e complesso. Dal punto di vista degli studiosi, non esiste un “primato dell'immagine” ma, al contrario, c’è una doverosa attenzione alla loro interpretazione, per non cadere nella trappola comunicativa insita proprio nel mezzo. Si può aggiungere, col linguaggio della storia dell'arte, che la lettura iconologica4 dei simboli racchiusi nelle immagini è indispensabile. E quando si tratta di immagini provenienti da un passato più o meno lontano e misconosciuto, il cambiamento o l'azzeramento dei significati simbolici produce una perdita di senso che va ricostruita.

    Ciò risulta ancor più vero e necessario nel caso delle fonti iconografiche di questo laboratorio, poiché queste hanno uno scopo propagandistico acclarato. Dunque esistono in quanto documenti proprio perché hanno lo scopo esplicito di veicolare (di educare e di imporre con la violenza) un mondo valoriale caratteristico e specifico, storicamente determinato, della cultura fascista in Italia.

     

    2. Una mostra fotografica sul fascismo italiano

    Come si articolano le fasi del laboratorio? Divisa la classe in gruppi, si consegna a ciascuno di essi un pacchetto di riproduzioni di una trentina di fotografie, provenienti da giornali e riviste pubblicate in epoca fascista. Le fotografie sono numerate arbitrariamente per permettere una rapida identificazione. Ogni fotografia è dotata di una breve didascalia descrittiva, spesso comprensiva di una data e un luogo specifico.

    Ciascun gruppo deve realizzare una mostra storica fotografica sul fascismo in Italia, utilizzando le foto che sono state fornite. Per simulare un “effetto di realtà” si specifica che il committente della mostra (per esempio il Comune o un altro Ente) ha messo a disposizione quattro sale espositive e che i gruppi devono dunque suddividere le immagini in quattro insiemi tematici e preparare, oltre alla disposizione delle fotografie, il titolo generale, i titoli delle quattro sale, le didascalie delle immagini, pannelli esplicativi per i visitatori e una brochure pubblicitaria attraverso la quale si sintetizzi il contenuto della mostra e si inviti un pubblico potenziale a visitarla.

    Va inoltre aggiunto che il livello delle pre-conoscenze specifiche può essere anche basso o nullo, poiché si consente loro di utilizzare il manuale in adozione durante tutta la durata dell'attività. Spetta quindi al docente scegliere in quale momento dell'unità o del modulo didattico inserire il laboratorio. Tuttavia si suggerisce di non proporlo come attività terminale, ma al principio o a metà del percorso programmato.

     

    3. L'analisi dei documenti

    La disposizione delle immagini nelle sale e la loro lettura seguono le regole della “grammatica del documento” – la definizione è di Antonio Brusa5 – simile a quella utilizzata dagli storici quando fanno ricerca d'archivio o qualsiasi altro tipo di ricostruzione basata su documenti.

    In primo piano, dunque, si pone l'aspetto cognitivo, il “pensare storicamente”.

    La prima operazione consiste nella selezione, da intendere con un duplice significato: scegliere i temi significativi, quelli più “ricchi” di documentazione; scegliere a quale tema far afferire ogni singola immagine (Tab. 1). Se i partecipanti non sono allenati nella pratica del laboratorio con i documenti, si suggerisce di fornire loro una lista di temi predeterminata dal docente. Nel contesto di questa attività, la lista potrebbe contenere i seguenti temi:

     

    Temi Immagini (inserire qui i numeri dei documenti)
    L'infanzia  
    Gli edifici pubblici  
    I lavoratori  
    La guerra  
    Le colonie  
    Le città  
    La donna  
    L'economia  
    La razza  
    Mussolini  
    Lo sport  
    La scuola  

    Tab. 1 – Tabella utilizzata per l’abbinamento dei temi alle immagini

     

    La lista deve comunque contenere un numero di temi maggiore del numero di sale, e anche alcuni temi “distrattori” ai quali afferiscono poche o nessuna immagine.

    La riduzione a quattro temi (per quattro sale) è una operazione non banale, perché obbliga gli allievi a scartare i temi meno o per nulla rappresentati e ad abbinare temi considerati contigui, facendo attenzione a non escludere nessuna fotografia. È importante che il docente intervenga con suggerimenti nel lavoro di selezione solo nel caso in cui un gruppo stia tralasciando temi che non possono essere elusi6.

    Una volta stabilito, all'interno di ciascun gruppo, quali siano i quattro temi o macro-temi prescelti, si passa alla interrogazione del documento.

    1 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 1 – Le promesse di Mussolini, 2023.

    Gli allievi si chiedono quali informazioni sul tema si possono direttamente o indirettamente ricavare o dedurre da ciascuna immagine. Le domande da sottoporre alle foto non costituiscono un elenco predeterminato, ma cambiano ad ogni documento singolo, poiché dipendono dal punto di vista adottato dal gruppo, dalla sua capacità di analisi e dalla natura stessa della fonte7. L'insieme delle informazioni, raccolto e debitamente trasformato in un testo attraverso connettivi logici e altri strumenti retorici – e soprattutto corredato di un sistema di note di riferimento ai documenti, come nei testi degli storici – costituisce il messaggio che si intende trasmettere in quella sala (ad esempio: qual era l'idea di infanzia del fascismo?) (Fig. 1).

     

    2 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 2 – La vita nelle grandi città, 2023.4. L'interpretazione dei documenti

    La complessità è un dato costitutivo della ricerca storica. E la fase di interpretazione consente di illuminare il senso di un documento nel suo contesto di ideazione, produzione e conservazione. Il confronto di più documenti, inoltre, consente non solo una validazione incrociata delle informazioni, ma anche una lettura reciproca. In termini semiotici, interpretare vuol dire individuare un insieme fluido di significati dietro un insieme di significanti.

    Mentre ragazzi e ragazze studiano come disporre le foto, si fornisce loro un documento scritto – le Direttive per la stampa, redatte dalla Presidenza del Consiglio8 – che getta una luce nuova sul materiale iconografico già selezionato e interrogato.
    Per fare esempi significativi di come questo documento possa trasformare il senso dell'intera attività, si citano qui solo due articoli del provvedimento:

     

    12. DISEGNI E FOTOGRAFIE DI MODE FEMMINILI
    La donna fascista deve essere fisicamente sana, per poter diventare madre di figli sani, secondo le “regole di vita” indicate dal Duce nel memorabile discorso ai medici. Vanno quindi assolutamente eliminati i disegni di figure femminili artificiosamente dimagrite e mascolinizzate, che rappresentano il tipo di donna sterile della decadente civiltà occidentale.

    15. FOTOGRAFIE
    Le fotografie di avvenimenti e panorami italiani devono essere sempre esaminate dal punto di vista dell’effetto politico. Così se si tratta di folle, scartare le fotografie con spazi vuoti; se si tratta di nuove strade, zone monumentali ecc., scartare quelle che non dànno una buona impressione di ordine, di attività, di traffico ecc.

    (Philip V. Cannistraro, 1975)

     

    3 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 3 – I ginnasti della guerra, 2015.Dunque le fotografie prese in esame sono “false”? Tutti i documenti raccontano delle falsità, ci ha insegnato Jacques Le Goff9. Queste fotografie lo fanno intenzionalmente, perché coloro che le hanno messe in circolazione sui giornali intendevano presentare una versione “fascistizzata” della società italiana. È questa l'informazione, importantissima, che se ne ricava (Figg. 2 e 3).

    “Affermazioni come “Le donne erano...” o “Durante i comizi di Mussolini...” vanno dunque riscritte in una forma storiograficamente corretta: “Si voleva che le donne fossero...” e “Sui giornali le notizie sui comizi di Mussolini…”.

    4 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 4 – Siete sicuri di conoscere la realtà dei fatti? 2023.5 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 5 – La verità, 2023.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    La prova del nove di questo cambiamento di senso, è data dalla deduzione che le fotografie ufficiali non riproducono la realtà della società in epoca fascista, bensì propagandano l'immagine che il fascismo vuole dare di se stesso. Per realizzarla, si fornisce agli allievi un nuovo pacchetto di foto provenienti da archivi privati, mai passate attraverso il setaccio della censura di Stato.

    Questa nuova serie di documenti apre la possibilità di raccontare una “storia densa” e problematica. Gli allievi possono provare a disvelare la realtà occultata nei documenti.

    I partecipanti, quindi, rivedono le operazioni di interrogazione e costruiscono nuovi testi e nuove didascalie. Sostanzialmente a cambiare di segno il proprio racconto attraverso la mostra che stanno allestendo. È ciò che accade quando gli storici, dopo aver interrogato i documenti, li interpretano (Figg. 4 e 5).

     

    6 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 6 – Guide per i più piccoli, 2023.7 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 7 – Il fascismo sotto scatto, 2015.5. Raccontare con le immagini: un esercizio di public history

    Quando tutti i materiali richiesti sono stati revisionati, sono pronti per essere assemblati nell'esposizione. Si possono rappresentare le quattro sale su un tradizionale pannello bidimensionale o utilizzare comuni software che consentono la realizzazione di mostre virtuali. Anche questa è una scelta che il docente opera sulla base della conoscenza della classe, delle sue competenze e di quelle degli studenti, degli obiettivi di natura interdisciplinare che ci si pone.

    Ma come valutare l'efficacia didattica di questo laboratorio? I partecipanti che hanno ideato, prodotto e allestito le mostre – nel nostro caso disposte lungo i corridoi della scuola – sono stati invitati a fare da “guida museale” ad altri più piccoli, delle classi prime e seconde dell'Istituto, le cui conoscenze sul fascismo provengono in larga parte dalla comunicazione storica extra-scolastica (Figg. 6 e 7). 

    Successivamente, attraverso un colloquio con questi ultimi, si può misurare il loro grado di consapevolezza su quanto appreso durante la visita alla mostra. 

     8 la camera oscura del fascismo CECALUPOFig. 8 – Il fascismo a scatti. Lea riflette sul laboratorio, 2015.

     

    Fotogallery

    Tutte le immagini si riferiscono ad attività condotte con classi terze della Scuola Secondaria di Primo Grado “Leonardo da Vinci” di Reggio Emilia. Si può notare che tutti i testi dei pannelli esplicativi contengono note di riferimento alle immagini. Si tratta del modello di scrittura documentata tipico degli storici. Altre immagini sono state pubblicate sul blog scolastico “I libri di Leo”.

    (clicca su ogni immagine per ingrandire)

     

     

    Famiglia del Duce
    A – “Famiglia del Duce, non è gradito che se ne parli”, 2015.
    Una razza da difendere
    B – Una razza da difendere, una menzogna da costruire, 2015.
    Ragazzi e ragazze
    C – Ragazzi e ragazze, 2015.
    Il fascismo in mostra Rahel 1
    D – Il fascismo in mostra. Rahel, 2015 (prima parte).
    Il fascismo in mostra Rahel 2
    E – Il fascismo in mostra. Rahel, 2015 (seconda parte).
    Miseria all'estero
    F – “Non si deve dare all'estero la sensazione di una miseria grave che non c'è”, 2015.
    Obiettivo del fascismo
    G – L'obiettivo del fascismo, 2017.
    Lato oscuro del fascismo
    H – Il lato oscuro del fascismo, 2017.
    Obiettivo sul fascismo
    I – L'obiettivo sul fascismo, 2017.
    Maternità fascista
    J – Maternità fascista - I figli della guerra, 2023.
    Soldati bambini
    K – I soldati bambini, 2023.
    Famiglie del fascismo
    L – Le famiglie del fascismo, 2023.

     

    Bibliografia

     

    Le immagini utilizzate nel laboratorio sono tratte da:

    De Felice Renzo (1981), Storia fotografica del fascismo, Bari, Laterza.

     

    Sulla propaganda fascista e i mass-media:

    Cannistraro Philip V. (2022), La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Milano, Edizioni
    Res Gestae.

    Filippi Francesco (2019), Mussolini ha fatto anche cose buone, Torino, Bollati-Boringhieri.

    Salustri Simona (2018), Orientare l'opinione pubblica. Mezzi di comunicazione e propaganda
    politica nell'Italia fascista
    , Milano, Unicopli.

     

    Per approfondire più in generale il tema delle fonti iconografiche nella ricerca storica:

    Burke Peter (2002), Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Roma, Carocci (Eyewitnessing: The Uses of Images as Historical Evidence, 2001).

    Ginzburg Carlo (2000), Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino, Einaudi.

    Haskell Francis (1997), Le immagini della storia. L’arte e l’interpretazione del passato, Torino, Einaudi (History and its Images: Art and the Interpretation of the Past, 1993).

    Hockey David, Gayford Martin (2021), Una storia delle immagini. Dalle caverne al computer, Torino, Einaudi (A History of Pictures: From the Cave to the Computer Screen, 2016).

    Maifreda Germano (2022), Immagini contese. Storia politica delle figure dal Rinascimento alla cancel culture, Milano, Feltrinelli.

    Mignemi Adolfo (2003), Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come documento storico, Torino, Bollati Boringhieri.

    Mignemi Adolfo (2020), A proposito di alcune mostre: “Art Life Politics” e il regime fascista.

     

    Sul laboratorio didattico con documenti iconografici:

    Brusa Antonio (2010), L’atlante delle storie, 2 voll., Firenze-Palermo, Palumbo.

    Brusa Antonio (2017), Una grammatica delle immagini: la cultura iconografica tra manuali e didattica della storia, in “Visual History”, vol. 3, pp. 145-56.

    Brusa Antonio (2020), Le foto iconiche: immagini-mondo e strumenti di formazione storica, in “Visual History”, vol. 6, pp 121-138.

    Brusa Antonio (2021), La grammatica dei documenti e i modelli di laboratorio storico.

    Le Goff Jacques (1978), Monumento/documento, in “Enciclopedia Einaudi”, vol. V, pp. 38-43.

    Musci Elena (2006), Il laboratorio con le fonti iconografiche, in Paolo Bernardi (a cura di), Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, Torino, Utet.

    Prampolini Antonio (2021), Visual History. L’uso didattico delle fonti iconografiche. Sitografia.

     


    Note

    1 http://www.historialudens.it/

    Brusa Antonio (2021), La grammatica dei documenti e i modelli di laboratorio storico.

    3 Un racconto fotografico è stato pubblicato sul blog della scuola

    4 Fra i tanti, si vedano Aby Warburg, Mnemosyne. L’atlante delle immagini, Aragno 2002 e Edwin Panofski, Studi di iconologia, Einaudi, 1999 e, soprattutto, la rivista “Visual History. Rivista internazionale di storia e critica delle immagini”, diretta da Costanza d’Elia, sulla quale A. Prampolini, Visual history, che cos’è e quali storie ci fa conoscere, in Historia Ludens, 10 febbraio 2010. 

    5 Brusa Antonio (2021), La grammatica dei documenti e i modelli di laboratorio storico.

    6 “I documenti non esistono in natura. È lo storico che, scegliendo dei resti del passato, li trasforma nella materia prima dello storico”, Brusa (2021), La grammatica dei documenti e i modelli di laboratorio storico, cit.

    7 Riprendendo la lezione di Marc Bloch, Antonio Brusa afferma: “I documenti sono muti, anche quelli scritti, addirittura quelli orali. Non furono prodotti per raccontare delle storie, ma per le necessità pratiche dei tempi: fare una guerra, sbarcare il lunario, costruire una città o un’abitazione. Siamo noi moderni che li interroghiamo e ne ricaviamo le informazioni. Trasformiamo quegli “oggetti di uso” in “strumenti di conoscenza”, Ibidem.

    8 Il testo completo in Cannistraro Philip V. (1975), La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Bari, Laterza.

    9 Cfr. Le Goff Jacques, Monumento/documento, in “Enciclopedia Einaudi”, Torino 1978, vol. V, pp. 38-43.

     

     

  • Lezione 14. Politicità degli stereotipi sul medioevo: tra propaganda e luoghi comuni*

    di Giuseppe Sergi

    Il medioevo e il VAR

    Dossier di  “Mundus” interamente dedicato al Medioevo.1. Il Dossier di questo numero di “Mundus” è interamente dedicato al Medioevo: un autentico manuale destinato al docente.

    Se persino nel giornalismo calcistico si arriva a scrivere che il mancato ricorso al Video Assistant Referee in alcune competizioni internazionali significa «essere rimasti al medioevo» vuol dire che è il medioevo stesso, in sé, a essere uno stereotipo. Usato persino per un gioco che deve la gran parte delle sue regole attuali alla fine del secolo XIX, risulta altrettanto ingiustificato l’uso frequente dell’aggettivo «medievale» a proposito di matrimoni orientali combinati, lavori agrari imposti per compensi da fame, fedeltà «feudali» nei partiti politici, bande di camorra che taglieggiano gli abitanti di un territorio. È malcostume culturale che attinge a un medioevo «immaginario»1, l’unico davvero presente nella cultura diffusa.

    Se si ha la pazienza di fare una collazione fra le diverse voci medievistiche di Wikipedia e il dossier del 2010 di «Mundus»2 il confronto è sconfortante: sembra che si parli di realtà del passato completamente diverse fra loro. Sensazione simile a quella provata da uno spettatore, pur colto, che si trovi ad assistere a uno dei numerosi seminari, convegni o atelier che negli ultimi anni vedono sempre più coinvolti dottorandi e altri attrezzatissimi giovani medievisti. Quello spettatore può reagire commentando «ma questo non è medioevo». Fughiamo subito un dubbio: la medievistica professionale non è impegnata a rivalutare i «secoli bui»3 ma, analizzando con rigore vari aspetti del millennio cosiddetto medievale, si trova non a suggerire soltanto progressi e approfondimenti, non a proporre letture positive di un lungo periodo storico indubbiamente tormentato, bensì a combattere radicatissimi luoghi comuni che colorano di sé una nebulosa di conoscenze di cui risulta difficile liberarsi.

    [Cliccare sulle immagini per ingrandirle]

    Le categorie del Medioevo inventato

    La lettura del medioevo generata dall’Umanesimo e poi circostanziata dall’Ottocento alla metà del Novecento (fino alla ‘ripartenza’ dovuta al grande Marc Bloch), continua a essere quella dominante. Le cause, individuate nella pigrizia della manualistica scolastica4 e nella scarsa qualità della divulgazione5, sono state ampiamente analizzate: la diagnosi si è concentrata sulla carenza di etica professionale e di cultura delle redazioni editoriali e del giornalismo; e, inoltre, sui percorsi stentati di una public history che è ancora lontana dal garantire presa diretta con la ricerca specialistica e sano distacco dalle attese condizionanti dei destinatari6. Fin qua l’indice risulta puntato su informazioni superate, interpretazioni vecchie, e sulla sostanziale neutralità (inconsapevole?) dello stereotipo medioevo e dei suoi sottostereotipi interni7.

    In riflessioni degli scorsi anni ho individuato le cause del mancato aggiornamento in alcune categorie. La «semplicità» di alcune immagini tramandate da generazioni: come la piramide feudale e come l’azienda curtense compatta, chiusa all’esterno e fondata sull’«economia naturale» del baratto. La «deformazione prospettica» che, conducendo a vedere prima ciò che del passato è più vicino a noi, fa immaginare come residui medievali pratiche sociali in realtà nate dopo: un esempio è la famiglia allargata dell’età moderna o dell’Ottocento, mentre quella medievale era una two generations family, cioè coniugale-nucleare8; in parte è valido anche un altro esempio, quello della dinastizzazione dei poteri, molto più moderna che medievale9. E poi due categorie di psicologia della conoscenza, pur apparentemente opposte fra loro: l’«assimilazione», per cui al lettore inesperto di storia interessa ciò che è confrontabile con il presente (come l’alimentazione, l’abbigliamento, ma anche l’eterna oppressione dei ricchi sui poveri); e il «distanziamento», in cui l’esotismo di un passato lontano e oscuro valorizza il progresso e determina curiosità per ciò che è radicalmente diverso. È singolare che, nel senso comune poco acculturato, possano convivere due atteggiamenti mentali opposti: quello che genera affermazioni del tipo «non cambia mai nulla, chi può opprime sempre gli altri», e quello che suona la fanfara dell’unidirezionalità dello sviluppo e di «quanto si stava peggio un tempo». Sul piano politico-sociale in fondo questa compresenza non deve stupire, in entrambi i casi produce acquiescenza: perché è troppo difficile cambiare cose rimaste immutate per secoli, o perché basta affidarsi a un flusso positivo della storia.

    Uso politico del passato medievale

    Con l’ultima considerazione affiora la politicità, se pur generica, dell’uso del passato, e di quello medievale in particolare. La maggior parte degli esempi – finora appena accennati – non è ascrivibile alle «false notizie»10 costruite ad arte per fini più o meno propagandistici. Ci troviamo di fronte a ignoranza trasmessa, confortante e comoda, difficilmente scardinabile come tutti i pregiudizi: si potrebbe dedicare interamente al medioevo un volume come il ben più vario Il pregiudizio universalepubblicato nel 201611.

    È tuttavia utile, anche per non cedere alla rassegnazione, individuare elementi di quella «politicità» in vari luoghi comuni che continuano pervicacemente ad accompagnare il medioevo immaginario.

    La deformazione prospettica: il concetto di popolo

    Battesimo di Clodoveo.2. Battesimo di Clodoveo, “Chronique de Burgos”, Besançon, BM, ms 1150, circa XV sec.

    Appunto la «deformazione prospettica» è il terreno di coltura – psicologico e intellettuale – dell’operazione propagandistica che è più evidentemente e consapevolmente politica: il nazionalismo. È ben noto che Eric Hobsbawm ha dimostrato i meccanismi otto-novecenteschi di «invenzione» di nazioni grandi e piccole12. La scuola medievistica di Vienna – e Walter Pohl in particolare13 – ha cancellato l’idea che alla definizione dei diversi popoli in movimento nel primo medioevo corrispondano identità etniche. Patrick Geary ha illustrato bene il meccanismo di falsificazione14: i politici – ma anche molti storici asserviti o disattenti – partendo da rivendicazioni del presente cercano nel medioevo «realtà sociali e culturali distinte, stabili e oggettivamente identificabili», con il risultato di «cancellare quindici secoli di storia» perché del medioevo «sanno pochissimo». Anzi – insiste Geary – è proprio l’«oscurità» dell’alto medioevo «a renderlo facile preda dei sostenitori del nazionalismo etnico: alcune rivendicazioni possono essere fondate impunemente su un’appropriazione del periodo delle migrazioni, proprio in quanto pochissimi lo conoscono davvero».

    Vere e proprie politiche governative d’indirizzo – verso la scuola e verso la produzione storiografica – risultano attuali nell’est europeo15. In generale, con operazioni che non sono mai giustificate – sia che si tratti di nazionalismi ‘grandi’ oppure di comunità linguistico-culturali rimaste fuori dal disegno dei confini otto- novecenteschi – sono collocate in quel ‘prima’ oscuro (rispetto al quale solo i medievisti possono essere «professionisti della smentita») origini identitarie destinate a crollare a fronte di analisi accurate, quelle che dimostrano non solo la falsità di etnogenesi inventate, ma anche – caso per caso – che Alberto da Giussano non è mai esistito o che re Arduino d’Ivrea non era portatore di consapevoli rivendicazioni italiche16.

    Il «prima oscuro» (ritenuto scarsamente controllabile) si presta a spingere nel contenitore-medioevo vari argomenti che possono essere gestiti da destra e da sinistra (uso questi concetti in modo semplice e approssimativo).

    La piramide feudale

    Contadini che battono cereali.3. Contadini che battono cereali. “Salterio cisterciense”, Besançon, BM, ms 0054, f. cv, 1260.

    La summenzionata piramide feudale – purtroppo anche manualisticamente ritenuta funzionante già dagli anni di Carlo Magno – piace a destra per nostalgia di anni di ordinata gerarchia di poteri delegati da Dio, ed è mantenuta da sinistra da chi pensa che la rivoluzione francese abbia abbattuto un sistema che non si era creato solo nell’antico regime, ma che era un residuo medievale. Così si confermano due errori: non si vede l’autogenesi di signorie rurali non delegate e costruite da dòminiche non erano feudatari; si immaginano già nel medioevo alto e centrale feudi che contemplassero esercizio di autorità sui sudditi, secondo una prassi che è reperibile soltanto dal Due-Trecento in poi (perché in precedenza sui feudi non si aveva potere).

    L’autarchia della curtis

    L’immaginaria curtis chiusa e autarchica piace ai passatisti che evocano la semplicità della convivenza fra uomini non condizionati dal denaro, ma è anche denunciata – nei funzionamenti che non ha mai avuti17 – dai progressisti che ne fanno simbolo di ciò che precede il capitalismo, poi giudicato bene dal liberalismo e male dal marxismo: ideologie poi convergenti, con percorsi diversi, nel giudicare peggiore il precapitalismo, con una constatazione ovvia ma che d’altra parte impedisce la comprensione di meccanismi che caratterizzano almeno cinque secoli di storia. Non a caso entrambe insistono su una figura socio-economica, quella dei servi della gleba, che trova ben pochi riscontri nelle fonti.

    Il comune borghese

    Se saliamo di livello troviamo che un certo economicismo pigro accomuna le ideologie liberale e socialista nel giudicare il comune medievale (in particolare quello italiano) come tappa fondamentale di una rivoluzione borghese. Che cosa trascurano entrambe? L’origine prevalentemente aristocratica del primo ceto consolare comunale18; l’obiettivo scientemente perseguito dalle famiglie mercantili di salire di rango e di adottare stili di vita militari e cavallereschi19.

    Le nostalgiche comunità rurali

    Passiamo dal comune cittadino alle comunità rurali: questo è uno dei campi delle nostalgie variamente declinate. Le comunità medievali sono evocate positivamente – come modelli di solidarietà, di convivenza armonica, della prevalenza di interessi condivisi che mettono fra parentesi l’individualismo – sia da un certo comunitarismo cattolico sia da una parte dei più democratici movimenti per i «beni comuni»20. Si trascura un aspetto non secondario. Quelle comunità, quando spingevano per darsi un assetto istituzionale e per ottenere riconoscimenti documentati, non brillavano per altruismo21: lo scopo principale era ‘escludere’, escludere dai diritti contadini dei territori circostanti e anche, talora, espellere famiglie osteggiate dalla maggioranza.

    I saraceni onnipresenti

    Combattimento fra un saraceno e un soldato europeo.4. Combattimento fra un saraceno e un soldato europeo. Mosaico della basica di Santa Maria Maggiore a Vercelli, ora distrutta (secc. XI-XII).

    Una più fluida inclinazione politica di tutto l’occidente europeo si trova nella tendenza a trovare Saraceni dappertutto, sull’arco alpino e sulle coste marittime, e ad attribuire prevalentemente a essi saccheggi e devastazioni: questa proiezione delle brutture all’esterno preferisce ignorare ricerche degli ultimi trenta-quarant’anni che – a partire dalla constatazione archeologica che nel famoso «covo» di Frassineto non si sono trovati reperti arabi – dimostra che le bande di briganti erano miste, di origine composita, unite da provvisorie finalità di rapina22. Persino le fonti medievali hanno l’onestà di dire che certe scorrerie sono state compiute da «pagani» ma anche da «cattivi cristiani».

    La chiesa, fra stereotipi di destra e di sinistra

    La dialettica ideologica cambia segno nel campo della storia ecclesiastica, ma di nuovo si registra una convergenza. C’è un aspetto che integralisti cattolici, laici e atei, storici di ispirazione confessionale e studiosi anticlericali si sono spesso ostinati a ignorare: il fatto che prima della fine del secolo XI la chiesa non fosse monarchica, i vescovi non fossero funzionari papali, il pontefice fosse soltanto vescovo di Roma con un primato riconosciuto esclusivamente in campo teologico23. Con questa cancellazione di un pezzo di passato i credenti proiettano su tutto il medioevo l’idea successiva di una chiesa unitaria dal punto di vista organizzativo e istituzionale, e non solo da quello della comunanza di fede; gli anticlericali hanno buon gioco nel guardare a certi aspetti della chiesa moderna e contemporanea e nel definirli «residui medievali». I credenti cercano tutti i mali nelle fasi in cui la chiesa era «nelle mani dei laici»: trascurando che era normale che le maggiori famiglie aristocratiche avviassero alcuni figli alle carriere militari e altri alle carriere ecclesiastiche. I laici denunciano i poteri temporali dei vescovi come fossero tradimento della fede: ignorando la loro normalità in quel contesto, ma ignorando anche che la figura del «vescovo-conte», tanto cara alla manualistica scolastica, è stata da molti anni cancellata – almeno per l’aspetto tecnico-istituzionale – dalla migliore storiografia.

    Nuovi templari, catari e dolciniani

    Vescovo eretico che destituisce dei preti.5. Vescovo eretico che destituisce dei preti. “Decretum Gratiani”, Tours, BM, ms 0588, f. 244, circa 1288-1289.

    Le scarne considerazioni fin qui condotte lasciano volutamente da parte i casi di abuso del medioevo perpetrato da ambienti privi di qualsiasi credito. A destra c’è un profluvio di indocumentata propaganda che si richiama a princìpi di restaurazione di valori premoderni: nostalgici del Sacro romano impero a nord, neoborbonici a sud, templaristi ovunque. A sinistra ci sono pagine di adesione emotiva, inclini alla distorsione dei dati storici, di simpatizzanti di fra Dolcino, dei Tuchini e delle lotte autonomistiche delle comunità delfinali degli escartons. Non a caso può fare da ponte, fra due mondi così distanti, il neocatarismo: perché il denominatore comune è l’attrazione per la storia ‘misteriosa’, per la sopravvivenza sotto traccia di ispirazioni – elitarie o popolari – volutamente tenute nascoste dalla cosiddetta «storia ufficiale», che poi altro non è che la storia ben fatta24, fondata su quei dati incontrovertibili che non possono piacere alla trasmissione televisiva «Voyager». Sarebbe sbagliato imputare solo a internet l’ospitalità di queste opinioni, perché c’è sempre stato un sottobosco editoriale che è servito di sfogo ad autori non accreditati: anche se molti siti hanno aumentato la visibilità e la raggiungibilità di un medioevo falsificato e strumentalizzato.

    Stereotipi per turisti

    6 L'ospitalità dei pellegrini e dei poveri come opera di misericordia, Lleida.6. L'ospitalità dei pellegrini e dei poveri come opera di misericordia, Lleida.

    È giusto ricordare che è politica non solo quella ideologica che attraversa i secoli, ma anche quella piccola e pratica della promozione turistica. Forse non è fuori luogo qualche ricordo personale. Negli anni Novanta del secolo scorso un comune piemontese voleva che dimostrassi che il cavolo era coltivato nelle sue terre sin dal medioevo, sulla base di un documento che diceva tutt’altro: rinunciò, onestamente, almeno all’uso di quel documento. Un altro comune, sempre in Piemonte, voleva che dimostrassi la presenza fra le sue mura di Ottone III, sulla base di un diploma imperiale che addirittura lo collocava, senza ombra di dubbio, in Lazio: in questo caso non rinunciò a una grottesca cerimonia di investitura in costume, ovviamente con la presenza dell’imperatore. Nel 2000, dopo aver assistito a una mia conferenza torinese, in cui smontavo il mito dello ius primae noctis (che è stato autorevolmente dimostrato come inesistente da oltre mezzo secolo), un responsabile del Carnevale di Ivrea mi avvicinò complimentandosi, si disse convinto, ma mi pregò di non dire mai le stesse cose a Ivrea, per non mettere in crisi uno dei momenti fondanti della loro rievocazione. Nel 2017 dovetti rinunciare al ruolo di coordinatore scientifico del gruppo che promuove la candidatura della Via Francigena come patrimonio UNESCO perché – in una prima riunione a Firenze in cui sottolineai il carattere inventato di molti percorsi – mi si fece notare che non si potevano deludere i comuni che avevano già sostenuto spese per la messa in sicurezza e per la segnaletica. Anche a scopi di questo tipo serve il medioevo immaginario, scopi che certamente non hanno alcun rapporto con il rigore e con l’etica della cultura (su questo si veda G. Sergi, Via Francigena. Uso pubblico e realtà storica.

    Progressi storiografici e lentezza degli stereotipi

    Concludo con un altro ricordo personale, di ben diverso livello, utile a illustrare come da parte di alcuni si possa creare una connessione fra la presunta «crisi della storia» e la consapevole rinuncia al suo uso politico. Nel 2001 nella presentazione del volume, curato da Angelo d’Orsi, La città, la storia, il secolo. Cento anni di storiografia a Torino, Lorenzo Ornaghi, allora rettore dell’Università Cattolica, lamentò una sopravvenuta irrilevanza delle scuole storiche torinesi perché non c’erano più storici in grado di ‘fare opinione’, come Luigi Salvatorelli e Arturo Carlo Jemolo. In qualità di altro presentatore, sostenni – e ribadisco qui – che quello non è affatto segno di crisi, richiamandomi alle tesi di due grandi medievisti: Girolamo Arnaldi e Mario Del Treppo che, parlando di «libertà della memoria»25, avevano dimostrato che l’eliminazione di responsabilità d’indirizzo dell’opinione pubblica aveva enormemente migliorato la qualità della ricerca storica italiana, portandola finalmente, a fine Novecento, al livello delle maggiori storiografie europee.

    In tema di storia medievale non c’è crisi della ricerca, ma appare inscardinabile una barriera che separa i progressi storiografici dalla cultura diffusa, anche a causa di una semplice realtà: per gli usi e gli abusi della storia il vecchio medioevo – immaginato, tramandato, frainteso26 – va bene così com’è: e questa è una delle cause del perdurare dei suoi luoghi comuni.

    Note

    * Pubblicato originariamente in «Lessico di Etica pubblica», 9 (2018), n. 2.

    1 Medioevo reale-Medioevo immaginario. Confronti e percorsi culturali tra regioni d’Europa (Convegno internazionale di Torino, 26-27 maggio 2000), Città di Torino, Torino 2002.

    2 G. Sergi (a cura di), Il medioevo, in «Mundus. Rivista di didattica della storia», 5-6 (2010), pp. 90-191 (gli autori sono W. Pohl, G. Gandino, L. Provero, G. Milani, A. Gamberini, G. Albertoni, R. Rao, C. Ciccopiedi, B. Garofani, M. Gallina, A. Brusa, E. Musci).

    3 L’atteggiamento romantico di rivalutazione si riscontrava piuttosto nel «neomedioevo» del secolo XIX: R. Bordone, Lo specchio di Shalott. L’invenzione del Medioevo nella cultura dell’Ottocento, Liguori, Napoli 1993; T. di Carpegna Falconieri, R. Facchini (a cura di), Medievalismi italiani (secoli XIX-XXI), Gangemi, Roma 2018.

    4 V. Loré, R. Rao, Medioevo da manuale. Una ricognizione della storia medievale nei manuali scolastici italiani, in «Reti medievali. Rivista», 18/2 (2017), pp. 305-340.

    5 G. Sergi, La divulgazione storica alla prova del medioevo, in «Il Bollettino di Clio», nuova serie, 10 (2019), pp. 11-16.

    6 Id., Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori 2010 (dove, insistendo sulla necessità di tener conto dei destinatari, si conia la definizione di «storiografia percettiva») e Id., Soglie del medioevo. Le grandi questioni, i grandi maestri, Donzelli, Roma 2016: le parti non annotate del presente articolo fanno riferimento a temi sviluppati in questi due libri.

    7 Individuazione e analisi dettagliata in A. Brusa, Un prontuario degli stereotipi sul medioevo, in «Cartable de Clio. Revue romande et tessinoise sur les didactiques de l’histoire», 5 (2004), pp. 119-129.

    8 P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, tr. it. Einaudi, Torino 1995, pp. 267-299.

    9 P. Cammarosano, Nobili e re. L’Italia politica dell’alto medioevo, Bari Roma 1998.

    10 G. Vissio, Marc Bloch e le Fake News. Storia e verità all’epoca dei social network, in «Lessico di etica pubblica», IX (2018), pp. 107-119.

    11 Il pregiudizio universale. Un catalogo d’autore di pregiudizi e luoghi comuni, Laterza, Bari-Roma, 2016.

    12 E. Hobsbawm, T. Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, tr. it. Einaudi, Torino 1987; E. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, tr. it. Einaudi, Torino 1991.

    13 W. Pohl, Razze, etnie, nazioni, Torino, Aragno 2010; sulla scuola H. Wolfram, Origo. Ricerca dell'origine e identità in età altomedioevale, a cura di G. Albertoni, Università degli studi, Trento 2008. 14 P. Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, tr. it. Carocci, Roma 2009, p. 25.

    14 P. Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, tr. it. Carocci, Roma 2009, p. 25.

    15A. Brusa, Cronaca dell'invenzione di una tradizione: i miti di fondazione dell'Ucraina dalla preistoria al medioevo, in «Historia magistra», 23 (2017), pp. 33-52; Id., Miti di trasformazione. Morte e risurrezione dell’Ucraina: mitopoiesi storica dall’età moderna a quella contemporanea, in «Historia magistra», 24 (2017), pp. 41-59; D. Dani, Storia funzionale. Costruzioni storiografiche in Albania, in «Historia magistra», 27 (2018), pp. 36-58.

    16G. G. Merlo (a cura di), Alberto da Giussano: una leggenda nella storia, s. e., Giussano 2001; G. Sergi (a cura di), Arduino fra storia e mito, Il Mulino, Bologna 2018.

    17 R. Bordone, G. Sergi, Dieci secoli di medioevo, Einaudi, Torino 2009, pp. 335-351.

    18 H. Keller, Il laboratorio politico del comune medievale, tr. it. Liguori, Napoli 2014.

    19 J.-C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Il Mulino, Bologna 2004.

    20 Per il primo caso si rinvia a un ampio studio, pur egregio nella ricerca, in cui si percepisce quell’ispirazione: M. Della Misericordia, Divenire comunità. Comuni rurali, poteri locali, identità sociali e territoriali in Valtellina e nella montagna lombarda nel tardo Medioevo, Unicopli, Milano 2006; per il secondo U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, Bari-Roma 2011 (cfr. Sergi, Soglie del medioevocit., p. 87).

    21 L. Provero, Le parole dei sudditi. Azioni e scritture della politica contadina nel Duecento, CISAM, Spoleto 2012.

    22 P. Sénac, L'image de l'autre.Histoire de l'Occident médiéval face à l'Islam, Flammarion, Paris 1983; A.A. Settia, Barbari e infedeli nell’alto medioevo italiano. Storia e miti storiografici, CISAM, Spoleto 2011.

    23 C. Ciccopiedi, Governare le diocesi. Assestamenti riformatori in Italia settentrionale fra linee guida conciliari e pratiche vescovili (secoli XI e XII), CISAM, Spoleto 2016.

    24 G. G. Merlo, A difesa della storia. L’insopprimibile realtà del passato, conferenza tenuta alla Casa della Cultura di Milano, 10 marzo 2015.

    25 G. Arnaldi, Impegno dello storico e libertà della memoria, in Incontro con gli storici, Laterza, Bari-Roma 1986; M. Del Treppo, La libertà della memoria. Scritti di storiografia, Viella, Roma 2006, pp. 25-108.

    26 T. di Carpegna Falconieri, Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati, Einaudi, Torino 2011.

     

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