violenza di massa

  • Un’enciclopedia sulla violenza di massa nella storia. Il sito web Mass Violence & Resistance

    di Antonio Prampolini

    Indice

    1. Il progetto di una Enciclopedia sulla violenza di massa

    2. Il sito web Mass Violence & Resistance

    3. Una selezione di articoli

    3.1 Studi di caso

    3.1.1 Il genocidio degli armeni e la pulizia etnica in Turchia

    3.1.2 Le violenze di massa del nazismo in Germania e nei territori occupati

    3.1.3 Le violenze di massa nella Russia di Stalin

    3.1.4 I civili vittime dei bombardamenti aerei nelle guerre del '900

    3.2 Contributi teorici: genocidio e pulizia etnica

     

    1. Il progetto di una Enciclopedia sulla violenza di massa

    Nel 2004, lo storico e politologo francese Jacques Semelin si era fatto promotore, presso il centro di ricerca e studi internazionali Sciences Po, con sede a Parigi, di un progetto per una Encyclopédie des violences de masse con l’obiettivo di indagare, in un’ottica globale, comparativa e multidisciplinare (storica, antropologica, psicologica), i massacri e i genocidi perpetrati nel corso del Novecento, spesso oggetto di negazionismi di varia natura.1
    Dopo un lungo lavoro preparatorio, nel 2008 il progetto si concretizzò in un sito web bilingue, francese e inglese, aperto ai contributi della ricerca internazionale e accessibile da tutti gli utenti della rete (Online Encyclopedia of Mass Violence - OEMV).2
    Da allora ad oggi, il sito ha visto crescere i propri contenuti, allargando sia il periodo storico di riferimento, non più limitato al secolo XX, che il campo d’indagine, esteso anche ai fenomeni di resistenza. Ha assunto, pertanto, la nuova denominazione di Mass Violence and Resistance - Research Network.3

     

    SCIENCES PO Mass Violence Resistance Immagine 1Fig.1: home page del sito MV&R Fonte

     

    2. Il sito web Mass Violence & Resistence (MV&R)

    Il sito MV&R si avvale di una rete accademica interdisciplinare con sede presso il Centre de Recherches Internationales (CERI) e il Centre d'histoire de Sciences Po (CHSP).4 Pubblica contributi, sottoposti a revisione paritaria, che coniugano ricerca empirica e riflessione concettuale. Tuttavia si rivolge, in modalità open access, non solo agli studiosi, ma al vasto pubblico di coloro che sono interessati ad approfondire la conoscenza dei fenomeni di violenza di massa nel mondo.

    Il sito si presenta con una home page (abbiamo qui scelto la versione in lingua inglese) dove vengono visualizzate in una mappa interattiva (Map of Online Contributions) le aree geografiche, gli stati o le località del mondo in cui si sono verificati gli eventi analizzati, ed è strutturato in quattro sezioni principali: Articles, Biographies, Glossary, Locations.

    La sezione Articles comprende tre sottosezioni: Studi di caso, Contributi teorici, Recensioni.Negli Indici cronologici gli articoli sono ordinati per data di pubblicazione, a partire da quella più recente.

    Nella sezione Biographies troviamo un indice alfabetico delle persone a cui il sito dedica delle schede informative sulle loro vite.

    La sezione Glossary contiene anch’essa un indice alfabetico per segnalare i principali termini/concetti utilizzati nei contributi pubblicati sul sito e per consultare le relative schede di approfondimento (si tratta di testi autoriali scritti da specialisti).

    La sezione Locations elenca gli stati e i territori in cui sono avvenute le violenze di massa e, per ogni stato/territorio, i contributi che lo riguardano.

     

    3. Una selezione di articoli

    3.1. Studi di caso

    SCIENCES PO Mass Violence Resistance Immagine 2Fig.2: Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, aprile 1915. Fonte3.1.1 Il genocidio degli armeni e la pulizia etnica in Turchia

    Diyarbekir (1915-1916): le uccisioni di massa degli armeni a livello provinciale
    di Ungor Ugur Umit, 25 marzo 2009.

    Il genocidio degli armeni ottomani fu la conseguenza dell'interazione dinamica di tre distinti eventi/processi storici: la profonda crisi politica che colpì l'Impero ottomano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la rivoluzione dei “Giovani Turchi” e la Prima guerra mondiale.
    Questo studio di caso esplora il genocidio così come si sviluppò nella provincia ottomana sud-orientale di Diyarbekir (Altopiano del Kurdistan), fornendo una panoramica del contesto e concentrandosi sulla memoria di quella tragedia.

     

    L'espulsione di gruppi etnici e religiosi non turchi dalla Turchia alla Siria negli anni '20 e all'inizio degli anni '30
    di Tachjian Vahe, 5 marzo 2009.

    Conclusasi la Prima guerra mondiale con il crollo dell’Impero ottomano e la sua frammentazione, il movimento guidato da Mustafa Kemal Pasha (Atatürk) si era posto come obiettivo principale la riconquista di tutte le regioni dell'Anatolia che erano ancora sotto la giurisdizione delle potenze vincitrici e l’espulsione delle minoranze non turche che vivevano nella regione di confine tra la Turchia e la Siria.
    Espulsione che, a partire dagli anni Venti, fu eseguita non per un ordine diretto del governo turco ma con metodi nel complesso più sottili. Molteplici vessazioni e pressioni furono esercitate contro le comunità prese di mira spingendo le popolazioni di etnia non turca a lasciare l’Anatolia e a trovare rifugio nella vicina Siria.
    Lo studio di caso affronta l’argomento in sei capitoli (Contesto, Decisori, Organizzatori e Attori, Vittime, Testimoni, Memoria, Interpretazioni generali), e gli dedica un’ampia Bibliografia.

     

    SCIENCES PO Mass Violence Resistance Immagine 3Fig.3: Manifesto della propaganda nazista a favore dell’eutanasia dei disabili e malati di mente Fonte3.1.2 Le violenze di massa del nazismo in Germania e nei territori occupati

    Lo sterminio dei malati di mente e dei disabili sotto il dominio nazionalsocialista
    di Gerrit Hohendorf, 6 maggio 2016.

    Tra il 1939 e il 1945, circa 300.000 malati mentali e handicappati (donne, uomini e bambini) furono assassinati dal regime nazista con il pretesto di praticare la "eutanasia". Morirono nelle camere a gas di centri di sterminio appositamente allestiti o, con la partecipazione di medici e personale infermieristico, in sanatori e case di cura attraverso privazioni alimentari e overdose di farmaci. Nei territori occupati della Polonia e dell'Unione Sovietica, furono fucilati, gasati o brutalmente uccisi dalle forze speciali delle SS. Anche se l'organizzazione e la responsabilità degli omicidi differivano, l'intenzione era comune: la distruzione più o meno pianificata della "vita indegna di essere vissuta" con il pretesto di alleviare le sofferenze dei presunti malati incurabili. In questa prospettiva, l’eliminazione di massa dei malati mentali e degli handicappati nel Reich tedesco e nelle zone occupate durante la Seconda guerra mondiale non può essere compresa senza tener conto del dibattito sulla "eutanasia" che si andava delineando in Europa dalla fine del XIX secolo.
    Sette sono i capitoli in cui si articola lo studio di caso: Contesto e storia: i dibattiti sulla "eutanasia" in Germania dal 1895; Il crimine: lo sterminio di massa; Gli autori del crimine; Le vittime; Le reazioni dei parenti, della società e della resistenza; La storia del dopoguerra: le reazioni della magistratura; Il ricordo delle vittime.

     

    Le marce della morte naziste, 1944-1945
    di Daniel Blatman, 28 agosto 2015.

    Oltre a costituire il capitolo conclusivo della storia dei campi di concentramento, le “marce della morte” rappresentano anche il capitolo conclusivo del genocidio nazista degli ebrei. Nelle “marce della morte” le vittime non erano più esclusivamente ebrei e, in molti casi, non erano nemmeno principalmente ebrei. Questo spiega perché è così difficile collocare questo capitolo nel contesto più ampio della “soluzione finale” della questione ebraica.
    Durante gli ultimi mesi del regime nazista, lo sterminio degli ebrei divenne un processo completamente decentralizzato, con l’intervento di una molteplicità di decisori. Mai prima di allora era stato messo nelle mani di così tanti individui il potere di decidere, a loro discrezione, della vita e della morte dei prigionieri.
    Lo studio di caso affronta l’argomento utilizzando una vasta documentazione costituita da studi, testimonianze e deposizioni.

     

    La violenza delle guardie nei campi di concentramento nazisti (1939-1945): riflessioni su dinamiche e logiche del potere
    di Elisa Milano, 5 febbraio 2015.

    Per i sopravvissuti, ed anche per molti ricercatori, il campo di concentramento era un’istituzione in cui il terrore veniva organizzato dai nazisti in modo sistematico, nel rispetto di regole precise. I carcerieri non avevano, ufficialmente, il diritto di usare arbitrariamente la violenza sui prigionieri. Al contrario, dovevano seguire un rigido codice di punizioni. Ma, nonostante questi regolamenti, svolgevano i loro compiti quotidiani in modo brutale e sanguinario. C'era un notevole divario tra le regole e la prassi.
    Utilizzando un approccio microanalitico, questo studio di caso esplora la violenza fisica come esperienza quotidiana nel campo di concentramento e sterminio di Majdanek (località nei pressi di Lublino in Polonia), dove 28 donne delle SS hanno lavorato tra l'autunno del 1942 e la primavera del 1944.

     

    SCIENCES PO Mass Violence Resistance Immagine 4Fig.4: Ucraina: popolazione in cerca di cibo, 1932-1933 Fonte3.1.3 Le violenze di massa nella Russia di Stalin

    Dekulakizzazione come violenza di massa
    Werth Nicolas, 23 settembre 2011.

    La “dekulakizzazione” avviata da Stalin nel gennaio 1930 aveva in realtà un duplice obiettivo: “estrarre” (termine utilizzato nelle direttive della polizia segreta) elementi intenzionati a resistere alla politica di collettivizzazione delle campagne e “colonizzare” i vasti e inospitali territori della Siberia, degli Urali e del Kazakistan. Il primo obiettivo corrispondeva all'opinione, chiaramente espressa dai bolscevichi quando presero il potere, che la società contadina contenesse “elementi sfruttatori” irrimediabilmente ostili al regime comunista, e che, prima o poi, avrebbero dovuto essere liquidati come classe. La politica ufficiale di eliminazione dei kulaki, adottata da Stalin alla fine del 1929, non implicava, tuttavia, la liquidazione fisica di tutti i kulaki. La grande maggioranza di loro doveva essere espropriata e deportata, realizzando così il secondo obiettivo della “dekulakizzazione”: fornire manodopera a basso costo per la colonizzazione e lo sviluppo economico delle zone disabitate del paese, ricche di risorse naturali. In tre anni (1930-1932), più di 5 milioni di kulaki furono espropriati o ridotti in miseria dopo essere stati costretti a svendere le loro proprietà (le autorità chiamarono questo processo “autodekulakizzazione”); 2,3 milioni di uomini, donne e bambini furono deportati in condizioni terribili; oltre 300.000 le persone arrestate e internate; tra 20.000 e 30.000 i condannati a morte.
    Lo studio di caso ricostruisce il contesto storico e analizza i processi decisionali delle campagne staliniste di “dekulakizzazione” interrogandosi sulla natura genocidiaria di tale politica (un genocidio di classe?).

     

    La grande carestia ucraina del 1932-33
    di Werth Nicolas, 18 aprile 2008.

    Oltre quattro milioni di persone morirono di fame tra l'autunno del 1932 e l'estate del 1933 in Ucraina e nel Kuban (regione del Caucaso settentrionale popolata in gran parte da ucraini). Fino alla perestrojka di Gorbaciov di questa tragedia non si era mai parlato in URSS. La carestia del 1932-33 fu ufficialmente riconosciuta in Ucraina solo nel dicembre 1987 durante un discorso tenuto da Shcherbytskyi, il primo segretario del Partito comunista ucraino, nel 70° anniversario della fondazione della Repubblica ucraina. Da allora, l'apertura di archivi un tempo inaccessibili ha portato alla luce una serie di documenti che hanno permesso di analizzare e comprendere meglio i meccanismi politici dietro la genesi e l'aggravarsi della carestia in Ucraina e nel Kuban.
    Lo studio di caso, dopo avere esaminato le diverse fasi della carestia e le responsabilità del regime stalinista, si chiede se essa possa essere considerata una forma di genocidio.

     

    Kurapaty (1937-1941): uccisioni di massa dell'NKVD nella Bielorussia sovietica
    di Goujon Alexandra, 27 marzo 2008

    Kurapaty è il nome di una località alla periferia di Minsk (capitale della Bielorussia) dove ufficiali sovietici appartenenti al NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni) uccisero, tra il 1937 e il 1941, non meno di 30.000 civili bielorussi. Uccisioni che fanno parte della repressione su vasta scala del regime stalinista durante gli anni '30 in Bielorussia e negli altri territori dell’URSS.
    Il termine “genocidio” per qualificare i crimini stalinisti è apparso pubblicamente per la prima volta in Bielorussia durante la manifestazione promossa da organizzazioni giovanili non ufficiali il 1° novembre 1987. Un termine che nel linguaggio politico sovietico era stato usato esclusivamente per condannare i crimini commessi dai nazisti contro gli “eroici” popoli dell’URSS durante la Seconda guerra mondiale.
    Lo studio di caso si articola in sei capitoli (Contesto, Istigatori e autori dei massacri, Vittime, Testimoni, Memorie, Interpretazioni generali e giuridiche dei fatti) e segnala nella Bibliografia numerosi fonti sull’argomento.

     

    SCIENCES PO Mass Violence Resistance Immagine 5Fig.5: Conseguenze di un massiccio bombardamento alleato sulla città di Amburgo nel corso della Seconda guerra mondiale Fonte3.1.4 I civili vittime dei bombardamenti aerei nelle guerre del ‘900

    Difendere i civili contro i bombardamenti aerei: una storia comparativa/transnazionale dei fronti interni giapponese, tedesco e britannico, 1918-1945
    di Sheldon Garon, 10 dicembre 2016.

    Negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale era diventato "normale" distruggere intere città. Il modo in cui ciò era avvenuto rientra in una storia transnazionale, che coinvolge la circolazione globale dell’idea di "bombardamento strategico". Altrettanto transnazionale era stato il processo attraverso il quale molte nazioni avevano riconosciuto la necessità di proteggere città, fabbriche e case dai bombardamenti aerei. Riflettendo sugli insegnamenti della Prima guerra mondiale, gli strateghi di tutto il mondo avevano insistito sul fatto che la prossima guerra sarebbe stata vinta o persa non solo sul campo di battaglia, ma anche sul fronte interno. I civili dovevano continuare a produrre nelle fabbriche e nelle campagne; avevano la necessità di essere nutriti con l’adozione di opportune politiche annonarie; il loro morale non doveva crollare.
    Questo studio di caso vuole evidenziare l’importanza di un approccio transnazionale nell’indagare la mobilitazione del fronte interno per la difesa aerea in Giappone, Germania e Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale. Sorprendentemente, le operazioni di protezione civile nel Giappone imperiale, nella Germania nazista e nella Gran Bretagna democratica si assomigliavano pur con differenze che derivavano dalla diversa natura dei regimi politici.

     

    Bombe che esplodono in aria: risposte dello Stato e dei cittadini al bombardamento statunitense e al bombardamento atomico del Giappone
    di Marco Seden, 1 ottobre 2014.

    La Seconda guerra mondiale è stata una pietra miliare nello sviluppo e nel dispiegamento di tecnologie di distruzione di massa associate alle forze aeree, in particolare: il bombardiere B-29, il napalm, i bombardamenti incendiari e la bomba atomica. In Giappone, la guerra aerea statunitense raggiunse il suo culmine con il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945.
    Questo studio di caso valuta e confronta l'impatto e il significato storico dei bombardamenti incendiari e del bombardamento atomico delle città giapponesi nel corso della Seconda guerra mondiale. Particolare attenzione viene rivolta alla presenza di tali eventi distruttivi nella memoria storica sia giapponese che americana.

     

    Napalm nella dottrina e nella pratica dei bombardamenti statunitensi, 1942-1975
    di Marino Guillaume, 10 dicembre 2016.

    Se negli studi di storia militare la dottrina del “bombardamento strategico” è stata oggetto di molta attenzione, non altrettanto è avvenuto per i mezzi impiegati nei bombardamenti. Tuttavia, questi mezzi sono cruciali per comprendere tre aspetti decisivi della dottrina e della pratica del “bombardamento strategico”: come sono stati approntati; come sono stati utilizzati dai militari, percepiti dall’opinione pubblica e dalle istituzioni internazionali; come sono cambiati nel tempo.
    Questo studio di caso analizza le problematiche collegate all'impiego del napalm da parte delle forze armate statunitensi, evidenziando come l'uso massiccio di quest'arma, dalla sua creazione nel 1942 alla guerra del Vietnam, sia al centro di un cambiamento nella dottrina e nella pratica del “bombardamento strategico” americano.

     

    SCIENCES PO Mass Violence Resistance Immagine 6Fig.6: Monumento alla memoria delle vittime dell’Olocausto a Berlino Fonte3.2 Contributi teorici: genocidio e pulizia etnica

    Una teoria del genocidio: alla ricerca del significato
    di Huttenbach Henry R., 4 novembre 2007.

    Dopo una iniziale esitazione ad esplorare l'Olocausto nell’immediato dopoguerra, e’ durante gli anni '60 e '70 che gli studi sul genocidio degli ebrei presero slancio, lasciando però nell’ombra gli altri genocidi. l'Olocausto divenne automaticamente il paradigma di tutti i genocidi nell’errata convinzione che bastasse sondare quel fenomeno per comprendere le altre violenze di massa del Novecento. Dopo il doppio shock della disintegrazione della Jugoslavia e dello spargimento di sangue in Ruanda negli anni '90, gli studi sul genocidio sono usciti dall'ombra inibente dell'Olocausto.
    L’autore offre in questo articolo un importante contributo alla conoscenza del fenomeno genocidiario nel secolo scorso e nel tempo presente.

     

    Guerra e genocidio: un approccio sociologico
    di Shaw Martin, 4 novembre 2007.

    Strette sono le connessioni tra genocidio e guerra. Prendendo in esame il nazismo, è evidente come questo movimento genocidiario sia stato influenzato dall'ideologia militarista e dall'esperienza della guerra. Se è vero che le politiche genocidiarie erano iniziate già negli anni '30, quando il regime nazista aveva consolidato il proprio controllo sulla società tedesca, il passaggio agli omicidi di massa si ebbe solo con l’avvio del conflitto mondiale. Durante la Prima guerra mondiale, nell'Impero ottomano, il regime dei “Giovani Turchi” aveva preso di mira gli armeni, massacrandoli o costringendoli a lunghe “marce della morte” verso il deserto siriano, in quanto considerati potenziali alleati del nemico russo ed anche un ostacolo alla creazione di una nazione turca etnicamente omogenea. I ceceni e i tedeschi del Volga erano stati deportati in massa dal regime sovietico durante la Seconda guerra mondiale, nella convinzione che avrebbero potuto allearsi con il nemico nazista.
    Il genocidio può quindi essere considerato una variante della guerra, diretta contro determinati gruppi sociali o etnici piuttosto che contro i nemici armati. Per cui, a parere dell’autore dell’articolo, le sole politiche potenzialmente efficaci per prevenire il genocidio necessitano di essere collegate alle più generali politiche per evitare le guerre nella società globale.

     

    Pulizia etnica
    di Naimarca Normanno, 4 novembre 2007.

    Lo scopo della pulizia etnica è l'allontanamento forzato di una popolazione da un determinato territorio. Sebbene le campagne di pulizia etnica si traducono spesso in un genocidio, esse costituiscono un tipo fondamentalmente diverso di azione criminale. Il genocidio e la pulizia etnica occupano posizioni adiacenti in uno spettro di attacchi contro nazioni o gruppi religiosi ed etnici. Ad un estremo, la pulizia etnica è più vicina alla deportazione forzata e a quello che è stato chiamato “trasferimento di popolazione”. All'estremo opposto, la pulizia etnica e il genocidio sono distinguibili solo dall'intento ultimo. In questo caso, la pulizia etnica sfocia nel genocidio, poiché vengono commessi omicidi di massa per liberare un territorio da una popolazione che non vuole lasciare le proprie case e i luoghi delle proprie tradizioni, della propria identità. A complicare ulteriormente la distinzione tra pulizia etnica e genocidio è il fatto che la deportazione forzata spesso avviene nel contesto violento di una guerra (civile o di aggressione).
    Chiarita sul piano teorico la distinzione tra pulizia etnica e genocidio, l’autore prende in esame alcuni recenti casi di pulizia etnica e i tentativi di pacificazione della comunità internazionale, constatando come sia molto difficile separare pacificamente popolazioni contrapposte quando hanno sperimentato le devastazioni della pulizia etnica, e che uno degli errori fondamentali di coloro che giustificano la pulizia etnica è la convinzione che la pace viene promossa creando con la forza stati-nazione etnicamente omogenei.

     


    Note

    1 Su Jacques Semelin:fr.wikipedia.org/wiki/Jacques_Semelin.

    2 Sul progetto dell’enciclopedia:sciencespo.fr/ceri/en/ouvrage/oemv.

    3 Sulla nuova versione del sito:sciencespo.fr/mass-violence-war-massacre-resistance/fr/content/propos.html.

    4 Sull’organizzazione e sulle attività del Centre de Recherches Internationales (CERI):sciencespo.fr/ceri; sul Centre d'histoire de Sciences Po (CHSP):sciencespo.fr/histoire.

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