educazione civile

  • «La democrazia ha bisogno dell'educazione civica» La Politische Bildung in Germania.

    di Antonio Prampolini

     

     

    1. Principi, contesti e indirizzi dell’educazione civica

    La Politische Bildung (l’educazione civica) vanta una lunga tradizione in Germania (Repubblica Federale) dove ha svolto un ruolo importante, accompagnando e supportando la transizione alla democrazia dopo la tragica esperienza della dittatura nazista, negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, l’imponente crescita economica e sociale del paese nei decenni successivi, il processo di riunificazione dello Stato tedesco dopo la caduta del Muro di Berlino[1].

    01. POLITISCHE BILDUNG IMMAGINE 1Beutelsbacher Konsens: https://kita-global.de/blog/dokumentation-in-unserer-mitte-die-welt/beutelsbacher-konsens/

    Beutelsbacher Konsens(Consenso di Beutelsbach). I tre principi base dell’educazione civica.

    Nell’autunno del 1976, i diversi indirizzi/orientamenti (alcuni più conservatori ed altri più innovativi e critici) nell’ambito della Politische Bildungsi erano confrontati in una conferenza promossa dall’Agenzia per l'educazione civica del Baden-Württemberg, a cui avevano partecipato insegnanti, pedagogisti, educatori con differenti provenienze culturali, politiche e confessionali.La conferenza aveva prodotto un documento unitario, noto comeBeutelsbacher Konsens (Consenso di Beutelsbach),dal nome della località dove si era svolta. Il documento illustrava i principi base a cui doveva ispirarsi l’educazione civica in Germania e, conseguentemente, le linee guida che avrebbero dovuto seguire gli operatori del settore; principi e linee guida che ancora oggi costituiscono un imprescindibile punto di riferimento per la Politische Bildunge il suo insegnamento nelle scuole[2].

    Tre sono i principi base.

    Il primo Überwältigungsverbot(Divieto d’imposizione) richiede agli insegnanti di non imporre le proprie opinioni, idee, scelte politiche agli studenti. L’obiettivo dell’educazione civica non deve essere l’indottrinamento ma la sviluppo di un’autonoma capacità di giudizio da parte dei singoli. Il rispetto di questo principio non esige la “neutralità” ideologica o valoriale dei docenti ma la “trasparenza” e la “obiettività” nell’esercizio della loro attività formativa/educativa.

    Il secondo principio Kontroversität(Contrapposizione) invita ad affrontare gli argomenti attraverso il confronto, la “contrapposizione” delle idee/opinioni/scelte alternative come metodo irrinunciabile nell’insegnamento di una educazione civica che vuole essere informata, aperta e democratica (fondata sull’adesione ai valori e alle pratiche di un moderno sistema democratico). «Ciò che è controverso nella scienza e nella politica deve apparire controverso anche in classe. Se si ignorano i diversi punti di vista e le alternative rimangono indiscusse, è il percorso verso l'indottrinamento che viene intrapreso»[3].

    Il terzo principio Schülerorientierung (Orientamento dello studente) ricorda che una Politische Bildungefficace deve offrire ai giovani gli strumenti conoscitivi che consentano a loro di “orientarsi” nella società tedesca e di formarsi come cittadini in grado di partecipare in modo libero e consapevole alla vita politica ed economica del paese.

     


    02. POLITISCHE BILDUNG IMMAGINE 2Demokratie braucht politische Bildung: Schriftenreihe Bundeszentrale für Politische Bildung Band 454

    Münchner Manifest(Manifesto di Monaco). Democrazia e educazione civica

    “La democrazia ha bisogno dell'educazione civica” (Demokratie braucht politische Bildung) è il titolo del documento redatto nel maggio del 1997 dall’Agenzia Federale per l'Educazione Civica (Bundeszentrale für politische Bildung – BpB) in collaborazione con le Agenzie Statali dei singoli Länder (Landeszentralen für politische Bildung – LpB). Il documento, noto comeManifesto di Monaco(Münchner Manifest), prende in esame il nuovo contesto politico, economico, sociale e culturale in cui le agenzie pubbliche per l'educazione civica si trovavano ad operare in Germania alle soglie del 21° Secolo.

    Il Münchner Manifestsi articola in sette punti:

    1. «La Politische Bildung deve essere pluralista, imparziale e indipendente»;

    2. «Le agenzie per l'educazione civica promuovono la partecipazione politica dei cittadini»;

    3. «Le agenzie per l'educazione civica devono prepararsi ad affrontare i loro futuri compiti in un mondo globale»;

    4. «Le agenzie per l'educazione civica lavorano per la stabilità della democrazia anche in tempi di crisi economica»;

    5. «La Politische Bildungha una missione speciale nei nuovi ländern [ex DDR]»;

    6. «Compito centrale dell'educazione civica è rileggere in modo critico la storia della Germania»;

    7. «La Politische Bildung si avvale di diverse metodologie di lavoro».

     

    Contenuti, metodi e obiettivi dell’educazione civica nel Manifesto di Monaco

    Il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, il progresso tecnologico (in particolare la rivoluzione digitale) con il suo forte impatto sull’occupazione (riduzione di posti di lavoro nelle attività tradizionalie rapida obsolescenza delle professionalità), le interdipendenze sempre più strette e vincolanti dell’economia mondiale avevano innescato processi di cambiamento profondi ed estesi; processi che avevano prodotto (e minacciavano di produrre negli anni avvenire) un diffuso malessere sociale, un distacco dei cittadini dalle classiche forme di rappresentanza e mediazione politica  In questo contesto globale, nazionale e regionale la Politische Bildung veniva chiamata ad offrire un contributo importante nell’orientare le persone verso atteggiamenti e comportamenti autenticamente democratici, partecipativi e solidali.

    In particolare, nei ländern orientali (ex DDR), la Politische Bildungdoveva svolgerel’importante compito di «risvegliare e promuovere la volontà dei cittadini di intraprendere un'azione politica responsabile nel passaggio dalla dittatura alla democrazia e da un'economia pianificata centralizzata ad un'economia sociale di mercato».

    Per il Manifesto di Monaco la conoscenza della storia della Germania, e soprattutto della dittatura hitleriana, doveva costituire uno degli obiettivi principali delle politiche di educazione civica promosse dalle agenzie preposte (federale e regionali) sia verso i giovani che gli adulti, nelle scuole e nella società, «in modo che gli errori del passato possano essere evitati in futuro».

    Il Münchner Manifest, dopo avere sottolineato la necessità di valutare e implementare nuovi metodi didattici/divulgativi e nuove modalità di intervento da parte delle agenzie pubbliche e degli altri operatori del settore (dall’utilizzo delle tecnologie digitali allo sviluppo di iniziative partecipative rivolte in particolare ai giovani), concludeva la propria analisi con una riflessione ampiamente condivisibile: «Il “ritorno” dell’educazione civica non può essere calcolato usando categorie economiche di input e output. Allo stesso modo, le considerazioni sull'efficienza a breve termine non possono essere un criterio adatto per le attività di educazione civica. Tuttavia, una cosa è certa: l'educazione cambia il pensiero e il comportamento delle persone, fornisce orientamento ed è quindi un investimento per il futuro».

     

    03. POLITISCHE BILDUNG IMMAGINE 3fonte: https://m.bpb.de/mediathek/287073/was-uns-bewegt-emotionen-in-politik-und-gesellschaft

     

    Anni duemila: il dibattito sui contenuti e sugli obiettivi formativi dell’educazione civica. L’indirizzo analitico/didattico.

    Il dibattito sull’educazione civica nel corso degli anni duemila si è concentrato in Germania su quali discipline accademiche dovrebbero essere prese in considerazione nell’individuare e definire i contenuti della Politische Bildung (la sola scienza politica o le scienze sociali, nel loro insieme, come discipline di riferimento) e su quali impostazioni concettuali e pratiche/esperienze partecipative siano più adatte ad un insegnamento/apprendimento efficace[4].

     

    Di particolare interesse è l’indirizzo analitico/didattico alternativo che pone al centro dell’educazione civica «le conoscenze, le esperienze e le percezioni dei singoli studenti». Un indirizzo che si basa sulla «consapevolezza della cittadinanza» e che intende far emergere le «idee intuitive degli individui sul mondo sociale e politico», e che perciò si colloca agli antipodi degli approcci esclusivamente o prevalentemente normativi/precettistici all’insegnamento dell’educazione civica.

    Nel solco di questo indirizzo analitico/didattico la Bundeszentrale für politische Bildung (l’Agenzia federale per l’educazione civica) ha organizzato nel marzo del 2019 a Lipsia un congresso (il 14° Congresso federale) dal titolo significativo:Was uns bewegt. Emotionen in Politik und Gesellschaft(Cosa ci commuove. Emozioni nella politica e nella società). Il congresso ha discusso il ruolo delle emozioni nel dibattito politico, nei social media, negli affari, nell'arte, nell'istruzione e nella tecnologia, per dimostrare che «le emozioni possono guidare l'impegno politico e regolare le affiliazioni sociali» e che «i processi educativi senza emozioni sono impensabili». Il congresso era suddiviso in diverse sezioni tematiche, di cui alcune dedicate in particolare all’educazione civica: Emotionen in politischen Bildungsprozessen: Welchen Einfluss haben sie?(Emozioni nei processi di educazione civica: che influenza hanno?); Emotionalisierende Zugänge politischer Bildung (Approcci emotivi all'educazione civica); Wie reagiert politische Bildung auf emotionalisierte Verhältnisse? (In che modo l’educazione civica reagisce alle condizioni emotive).

     

     

    2. Strutture e risorse per l’educazione civica

     

    04. POLITISCHE BILDUNG IMMAGINE 4fonte: https://logos-download.com/40450-die-bundeszentrale-fur-politische-bildung-logo-download.html

    L'Agenzia federale: Bundeszentrale für politische Bildung. Settant’anni di governo dell’educazione civica.

    L’educazione civica in Germania ha il proprio fulcro organizzativo nellaBundeszentrale für politische Bildung.L’Agenzia federale è stata istituita nel novembre del 1952, come ente del Ministero degli Interni, e la sua attività è sottoposta al controllo del Parlamento (Bundestag). Dalla sua istituzione ad oggi si è occupata (con un'attività di orientamento, formazione, documentazione e divulgazione) di educazione civica sia nelle scuole che nella società affrontando di volta in volta i temi collegati alle principali problematiche che hanno caratterizzato i diversi momenti della storia della Germania negli ultimi settant’anni.

    Nell’immediato secondo dopoguerra, l’obiettivo principale dell’Agenzia federale è stato quello di educare il popolo tedesco ai principi e alle regole di un sistema democratico parlamentare, dopo l’esperienza della dittatura hitleriana, e di impedire la diffusione di ideologie totalitarie.

    Negli anni sessanta, l’opposizione al modello politico-sociale-economico comunista della Germania Orientale (DDR) occupa un posto centrale nell’attività dell’Agenzia. In quegli anni inizia (sia pur timidamente) ad essere affrontato lo spinoso problema delle colpe/responsabilità del popolo tedesco nella Seconda guerra mondiale e, in particolare, nella tragedia dell’Olocausto. Nel 1963 l’Agenzia organizza un viaggio di studio in Israele, due anni prima del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Germania e Israele. Nel decennio successivo, la Bundeszentraleè stata oggetto di una serie di riforme, riguardanti sia la struttura organizzativa che l’orientamento culturale, per adeguarla al nuovo contesto politico-sociale e alle nuove esigenze educative (il Beutelsbacher Konsensè del 1976). Il 1969 segna una svolta nella storia politica della Repubblica Federale, il Partito Socialdemocratico (SPD) assume la guida del governo con Willy Brandt cancelliere (nel 1974 sostituito da Helmut Schmidt che rimarrà in carica fino al 1982).

    Gli anni settanta sono per la Germania anni di nuovi indirizzi di politica estera verso i paesi del’Europa dell’Est (la Ostpolitik), di riforme sociali ma anche di crisi economica e di terrorismo. Negli anni ottanta l’Agenzia federale ha affrontato inparticolare le questioni collegate alla scarsa partecipazione dei cittadini tedeschi alla vita politica nelle sue forme tradizionali (la crisi dei partiti politici), alla nascita di movimenti alternativi e di iniziative civiche su temi come la corsa agli armamenti, l’uso dell’energia nucleare, la difesa dell’ambiente.

    Nell’ultimo decennio del Novecento, dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della Germania, l’attività dell’Agenzia federale si è concentrata sulla “ri-educazione civica” della popolazione dei territori della ex DDR dopo quarant’anni di regime comunista.

    Gli anni duemila hanno visto la Bundeszentraleimpegnata, nel contesto di una società e di una economia fortemente globalizzate, a sviluppare nuove iniziative e servizi per incoraggiare la partecipazione attiva dei giovani alla vita politica del paese, per favorire l’integrazione-inclusione sociale degli immigrati, per indagare e contrastare con adeguati interventi educativi i movimenti xenofobi e neonazisti nei Länder orientali.

    Questo rapido excursus mostra come, nel corso dei quasi settant’anni di vita dell’Agenzia federale, non sono cambiati solo i contenuti, le aree d’intervento, le finalità dell’educazione civica ma anche gli strumenti e le modalità operative di questa importante istituzione pubblica.

    Inizialmente, l’Agenzia si era servita, nello svolgimento della propria attività istituzionale, prevalentemente di pubblicazioni periodiche (bollettini, riviste, materiali didattici/divulgativi) rivolte sia al mondo della scuola che ai cittadini tedeschi, per poi affiancare a questi mezzi informativi tradizionali la produzione di filmati e audiovisivi, l’allestimento di esposizioni/mostre fisse o itineranti, l’organizzazione di viaggi della memoria, di convegni/conferenze per la formazione di insegnanti ed educatori. Negli anni ‘90 l’Agenzia federale ha sposato le nuove tecnologie digitali progettando database interattivi e giochi di simulazione per uso didattico ed entrando in rete con un proprio portale istituzionale, che rappresenta oggi il principale strumento d’informazione e di documentazione delle sue molteplici attività.

     

    Le Agenzie territoriali: Landeszentralen für politische Bildung

    L’organizzazione dell’educazione civica in Germania, oltre che sulla Bundeszentrale, si basa sulle Agenzie territoriali (Landeszentralen für politische Bildung) che operano, con diversi inquadramenti istituzionali, nei 16 Länder che costituiscono lo Stato federale (i Länder sono autonomi nella gestione della politica scolastica) Le attività didattico-divulgative delle Landeszentralenricalcano a livello locale, sia in ambito scolastico che extra-scolastico, quelle svolte a livello federale dalla Bundeszentrale,da cui però non dipendono in quanto enti pubblici emanazione dei singoli Länder (numerose sono però le iniziative promosse in collaborazione con la Bundeszentrale)[5]. Le Landeszentralensono tutte presenti in rete, dove, nei loro siti web, offrono informazioni, documenti, materiali didattici, realizzazioni multimediali a tutti coloro che operano a vari titolo nel settore dell’educazione civica.

     

    05. POLITISCHE BILDUNG IMMAGINE 5videata del sito web della Bundeszentrale für Politische Bildung, fonte: https://www.bpb.de/

     

     L’educazione civica e il Web: il portale dell’Agenzia federale

    La diffusione del Web a partire dalla seconda metà degli anni Novanta ha offerto all'educazione civica nuove e straordinarie opportunità. L'Agenzia federale (Bundeszentrale für politische Bildung) ha inaugurato nel settembre del 1997 la prima versione del suo portale istituzionale online.

    Ilportale (nella sua attuale versione) è suddiviso in sezioni che corrispondono alle aree tematiche e ai servizi in cui si articola l'attività dell'Agenzia federale.

    Le sezioniPolitica(Politik) eInternazionale (Internationales) comprendono dossier sulle principali questioni politiche ed economiche (interne e internazionali) all'ordine del giorno in Germania e nel mondo (i dossier si possono consultare oltre che in tedesco -la lingua originale- in italiano, utilizzando la traduzione automatica online di Google Chrome).

     

     La storia

    La sezione dedicata allaStoria(Geschichte) si caratterizza per l'ampiezza dei temi e la ricca documentazione che attestano il ruolo centrale della conoscenza del passato nella Politische Bildung. Tra i principali argomenti affrontati riguardanti la storia tedesca del Novecento: la Prima guerra mondiale, il Nazionalsocialismo, la Seconda guerra mondiale, il Genocidio degli ebrei, la Germania Occidentale - BRD e la Germania Orientale - DDR, la Caduta del muro di Berlino e l'Unificazione delle due Germanie. Per i secoli antecedenti il XX°, gli eventi caratterizzanti la storia nazionale vengono individuati nella Riforma Luterana(1517), nella Guerra dei Trent'anni(1618-1648), nella Nascita del Reich(1871). Con uno sguardo all'Europa e al mondo, completano il quadro storico del Novecento: la Rivoluzione bolscevica dell'ottobre 1917, il Genocidio degli Armeni, il Piano Marshall, la Guerra fredda, il Colonialismoe il Post-Colonialismo.

    I dossier della sezione Storia sono composti da schede redazionali e saggi autoriali, e sono corredati da fotografie, mappe/carte geografiche, audiovisivi, bibliografie/sitografie. La sezione propone unaDeutschland-Chronik, che fornisce dati e riflessioni sulla storia politica, economica e sociale della nazione tedesca dalla fine della Seconda guerra mondiale all'anno 2000, e indirizza verso la banca dati digitaleDeutschland Archiv Online, che offre testi, video, gallerie fotografiche sulla Germania nella seconda metà del Novecento.

     

    La storia e le scienze sociali

    La sezione dedicata allaSocietà(Gesellschaft) è strutturata in sei sottosezioni: Genere, Migrazioni, Ambiente, Educazione, Digitale, Media, che contengono numerosi dossier sui rispettivi argomenti. La sottosezioneEducazione propone una "storia dell'educazione civica" in Germania dal 1945 ad oggi (idee e orientamenti culturali, politiche e pratiche educative nelle scuole e nella società, verso i giovani e gli adulti). Nella sottosezioneDigitale vengono affrontate, in particolare, le questioni relative alla disinformazione in rete, alla tutela dei diritti personali sui social, al corretto utilizzo dei motori di ricerca e di Wikipedia. La sottosezioneMedia si concentra sulla circolazione di notizie false, sulle campagne diffamatorie e gli scandali mediatici per valutare la loro influenza politica/elettorale in un sistema democratico.

     

    La didattica

    La sezione relativa allaDidattica (Lernen),affronta l'insegnamento/apprendimento dell'educazione civica sia nelle scuole elementari che in quelle superiori, fornendo  indicazioni di metodo (Tecniche di presentazione, Uso delle immagini come fonte storica, Giochi educativi, ecc.), materiali di supporto per le lezioni su diversi argomenti (Costituzione della Repubblica Federale Tedesca, Diritti fondamentali dei cittadini, Prima e Seconda Guerra Mondiale, Nazismo, ecc.), progetti di ricerca/indagine da svolgere in collaborazione con gli studenti su temi specifici (Bullismo, Decisionie Clima in classe, ecc.). Particolare attenzione viene dedicata all'uso didattico del Web 2.0, le cui pratiche partecipative e interattive sono considerate funzionali all'insegnamento dell'educazione civica (scrittura collettiva wiki, creazione di blog/siti, storytelling audiovisivi, condivisione di informazioni ed esperienze sui social, ricerche di gruppo in rete - webquest, ecc.). Un'educazione civica che ha come obiettivo la formazione di cittadini che, anche grazie ai servizi offerti da Internet, siano in grado di esercitare i lori diritti e di adempiere ai loro doveri in modo consapevole e collaborativo.

     

        [1]  Sulla storia dell'educazione civica in Germania:

          J. Detjen, Politische Bildung: Geschichte und Gegenwart in Deutschland,München, 2007;

         J. Detjen,Politische Bildung,Konrad Adenauer Stiftung;

          A. Kalina,Faktensammlung zum Stand der Politischen Bildung in Deutschland, Konrad Adenauer Stiftung, 2014;

          D. Lange,Citizenship Education in Germany,in The Making of Citizens in Europe -III. Perspectives on Citizenship Education: Country Profiles, BpB, 2015.

    [2]   B. Widmaier, P, Zorn, Brauchen wir den Beutelsbacher Konsens? Eine Debatte der politischen      Bildung, BpB, Bonn 2016;

        K. Ahlheim,Die weiße Flagge gehißt‘? Wirkung und Grenzen des Beutelsbacher Konsense,in: K. Ahlheim, J. Schillo, Politische Bildung zwischen Formierung und Aufklärung, Offizin Verlag,   Hannover, 2012.

    [3]    K. Pohl,Kontroversität: Wie weit geht das Kontroversitätsgebot für die politische Bildung?, BpB, 2015.

    [4]    J. Klatt,Partizipation: Ein erstrebenswertes Ziel politischer Bildung?, BpB, 2012.

    [5]   P. Massing,Bundes- und Landeszentralen für politische Bildung, BpB, 2015.

  • Guerre vecchie e guerre nuove. I concetti per capire le nuove guerre

    Autore: Antonio Brusa

     

    Appunti da Yves Michaud

     

    Indice

    Introduzione
    Le domande sulle nuove guerre
    I concetti tradizionali della guerra
    Un prontuario di nuovi concetti
    Uno scenario nuovo
    Uno scenario in movimento

    Introduzione
    Nell’ottica di un Laboratorio del tempo presente, avere un prontuario di concetti sulla guerra è essenziale. Lo ricavo da Yves Michaud, che  insegna filosofia presso l’Università di Rouen.  Negli anni ’80 pubblicò un libretto sulla violenza per la collana “Que sais-je?”, quell’eccezionale canale di cultura di massa che in Italia non si è mai riusciti a riprodurre, nonostante i molti tentativi di imitazione. L’ultima edizione è aggiornata al 2012. In questo testo seguo abbastanza fedelmente il brano di Michaud. Poche volte lo riassumo o lo integro. L’ho suddiviso e titolato in modo che sia un testo consultabile a scuola. Come sempre, invito il lettore volenteroso, o che volesse citarlo a leggere la fonte: Yves Michaud, La violence, Puf, Paris 2012, pp. 55-67. Dello stesso autore segnalo: Changement dans la violence. Essai sur la bienveillance universelle et la peur, Odile Jacob, Paris 2002. Inoltre, sulle vecchie e nuove guerre si veda la rapida messa a punto di Nicola Labanca, sullaTreccani online(Atlante-Geopolitico).  (HL)

      Carta mondiale dei conflitti

    Le domande sulle  nuove guerre

    Conflitti interni o esterni?
    In molte occasioni è difficile distinguerli. In Africa, per esempio, quando si scontrano etnie di confine, si mettono in moto subito attori internazionali e i paesi confinanti, col risultato immediato dell’internazionalizzazione del conflitto. Una mondializzazione che spesso è moltiplicata dallo stesso intervento internazionale per ristabilire la pace

    Quali sono i nuovi campi di battaglia?
    Questi spesso non sono più delimitati e identificabili. Si possono trovare nel cuore delle popolazioni civili, lontano dai luoghi dove risiedono i contendenti, nelle zone turistiche o in mezzo alle città. I contendenti, spesso, non sono degli stati, ma aspirano a divenirlo: palestinesi, minoranze dell’ex-Unione sovietica, movimenti autonomisti o indipendentisti, musulmani di Bosnia, macedoni, albanesi del Kosovo, curdi della Turchia o dell’Iran, tamil di Ceylon ecc. Altri, invece, non aspirano nemmeno a diventare stati: fra questi i movimenti terroristi, come al-Qaida o i movimenti altermondialisti.

    In quali regioni scoppiano questi conflitti?
    Sia che esplodano, sia che covino sotto la cenere, spesso questi conflitti nascono dalla decomposizione di antiche unità politiche, come l’Urss o la Jugoslavia. Altri nascono in zone conflittuali “congelate” dall’equilibrio della guerra fredda e suscettibili di nuove riorganizzazioni: gli Emirati arabi e il Quwait, il corno d’Africa, le coste del Mediterraneo, la Cina e Taiwan, la maggior parte dei confini territoriali della Cina.  Altri ancora risalgono ad antichi conflitti di civilizzazione.

    Perché si mondializzano?
    Tutti questi conflitti sono abbondantemente mediatizzati. Mettono in gioco le organizzazioni internazionali e le Ong che si occupano di assistenza umanitaria. I flussi migratori, infine, contribuiscono a internazionalizzare i conflitti, trasferendoli dalle regioni di partenza dei migranti a quelle di arrivo: un esempio è la ripresa dell’antisemitismo in Francia, dovuta in buona parte all’esportazione del conflitto israelo-palestinese.


    I concetti tradizionali della guerra

    Il sistema della guerra
    Nel corso dei millenni, le società umane hanno elaborato un complesso sistema per regolare la violenza fra gruppi, o per cercare di regolarla. Le basi di questo sistema sono:

    -    La dichiarazione di guerra o la guerra-sorpresa
    -    La pace solenne
    -    La distruzione totale dell’avversario
    -    Le leggi del combattimento
    -    I modi di soccorso dei feriti e il recupero dei caduti

    La razionalità della guerra
    Nel XIX secolo, questo sistema giunge ad una regolamentazione rigorosa, che viene sistematizzata daKarl von Clausewitz. Questa si riassume nella celebre affermazione: “la guerra è la continuazione della diplomazia con altri mezzi”. Questa affermazione suppone che i soggetti che fanno la guerra siano “razionali”. Come la diplomazia cerca di ottenere dei vantaggi o di minimizzare degli svantaggi, allo stesso modo la guerra cerca di ottenere vantaggi (un guadagno territoriale, economico, commerciale) o di limitare le perdite.

    E’ il sistema di regole o “il modo di considerare la guerra” al quale siamo abituati. Questo sistema presuppone che gli attori siano degli stati sovrani, con eserciti a comando centralizzato, in forte relazione col mondo politico e a forte inerzia: quando la macchina bellica si mette in moto, è difficile arrestarla. In questo mondo di regole si sono svolti i conflitti europei, e le guerre per la divisione del mondo fra stati europei e imperi americano e sovietico.

    Lo stato sovrano
    “Stato sovrano” vuol dire che ogni stato giudica la legittimità della violenza al proprio interno. Ma quando si tratta di uno scontro fra stati, non esiste un’autorità superiore, che possa imporre regole e il loro rispetto. Ci si deve accontentare del diritto internazionale: una “stabilizzazione relativa e sempre temporanea di regole fra stati”, fermo restando che ogni stato resta giudice della legittimità del proprio intervento. Lo stesso diritto, perciò, può diventare occasione di guerra, quando, ad esempio, si dichiara di far rispettare una frontiera violata, o un trattato precedentemente violato.

    Internazionalizzazione della guerra
    Il dispositivo giuridico, poi, deve fare i conti con l’enorme capacità di uccisione, raggiunta dalla macchina bellica negli ultimi due secoli. Questa ha condotto gli stati e le società a ragionare sulle alleanze, sulla cooperazione internazionale, a fare attenzione all’equilibrio fra le forze e ha portato, ancora, allo sviluppo di una coscienza umanitaria internazionale e al bisogno di pace, indispensabile per l’economia e per l’industria.
    Ai nostri giorni, i vecchi concetti di von Clausewitz non bastano più per capire il dispiegamento della violenza internazionale contemporanea. Occorrono nuovi concetti.

     

    Un prontuario di nuovi concetti

    Genocidio
    Lo potremmo intendere come una forma di guerra diretta contro uno o più gruppi umani, piuttosto che contro qualche stato, con l’intenzione di sterminarli. Conosciamo molti esempi di genocidio: da quello degli harare in sud africa, perpetrato dai tedeschi al principio del novecento, a quello degli armeni, condotto dai turchi (ben coadiuvati dai curdi) durante la prima guerra mondiale; nella seconda guerra conosciamo quello contro gli ebrei e i rom e, nel secondo dopoguerra sono ancora nella nostra memoria il genocidio del Rwanda, contro i tutzi, quello compiuto dai khmer rossi in Cambogia e quelli balcanici. A questi esempi potremmo aggiungerne molti altri.

    Al genocidio in quanto tale va assimilata la “pulizia etnica”, che consiste nell’impiego della violenza e del terrore al fine di eliminare la presenza di alcune minoranze, in un determinato territorio, uccidendole o costringendole alla fuga.

    I genocidi non sono una particolarità del XX secolo (e del nostro). La specificità, invece, consiste nella sistematicità della persecuzione. Il fatto che sia spesso uno stato ad essere l’autore del genocidio forse è legato alla difficoltà di conservare l’unità territoriale o al tentativo di superare una forte crisi. Gli iniziatori di un genocidio utilizzano il loro obiettivo come un capro espiatorio dei problemi nazionali.

    Iperterrorismo
    Fino alla seconda metà del XIX secolo, il terrorismo faceva parte di una politica mirante all’acquisizione del potere o a esercitare una pressione sul potere politico, attraverso assassini di personalità politiche o ad attentati mirati. Il cambiamento fondamentale è avvenuto quando il terrorismo è diventato internazionale e si è trasformato in “guerra durante la pace”. I fattori che hanno favorito questo cambiamento sono: la facilità dei trasporti, la copertura mediatica mondiale, la vulnerabilità degli obiettivi possibili (gruppi di turisti, ambasciate, rappresentanze commerciali, mezzi di trasporto ecc.), le armi potenti, facili da nascondere, spostare o montare, ma anche le armi facili da inventare, come dimostra l’attentato delle Torri gemelle, compiuto con due aerei di linea, trasformati in missili.

    La nozione di iperterrorismo fa riferimento al carattere mondiale dell’azione, sulla sua natura spettacolare, e sugli effetti militari e politici che questa raggiunge. E’ una nuova forma di guerra, a causa di una logistica nuova, della natura degli obiettivi e dei protagonisti. Un piccolo gruppo di terroristi può condurre una “guerra liquida”, imprevedibile, ottenere successi notevoli e obbligare l’avversario a adottare misure di precauzione, dalle conseguenze psicologiche, economiche e politiche numerose e costose.

    L’iperterrorismo rientra nel quadro razionale di von Clausewitz, se guardiamo i suoi effetti: in realtà si tratta di imporre la propria volontà a un soggetto nemico, a costringerlo, per esempio a modificare la sua politica. Lo si è visto con gli attentati di Atocha, in Spagna (2004), che influirono sui risultati elettorali al punto da far vincere gli avversari del governo in carica.

    Se guardiamo la natura dei soggetti, invece, l’iperterrorismo non rientra più nel canone di von Clausewitz, perché in genere non è condotto da stati (con alcune eccezioni degli anni ’90 dello scorso secolo, quando fu diretto da Libia, Siria e Iran). L’iperterrorismo è condotto piuttosto da una sorta di nebulosa, da una sorta di multinazionale (politica o religiosa) in guerra contro gli stati.

    L’efficacia di questa azione è notevole, dal momento che è una guerra condotta durante la pace, in un territorio retto da regole di pace, approfittando dei benefici dello stato di diritto.

    Guerra asimmetrica
    La guerra è asimmetrica quando è condotta da due protagonisti che rispettano regole diverse, usano armi diverse e hanno campi diversi di battaglia. Un esempio è la guerra che al-Qaida conduce contro gli Usa, a partire dall’attentato delle Torri Gemelle: il campo di battaglia è mobile e vario e la componente della comunicazione è essenziale. Anche la risposta americana rientra nel campo delle guerre asimmetriche: si svolge con un controllo della rete di comunicazione, uso di forze speciali e di materiali innovativi.

    Ci sono molti motivi per ritenere che una delle cause della guerra asimmetrica si trova nella superiorità assoluta raggiunta dagli Stati, sia nel campo della guerra convenzionale che in quello nucleare. Questa superiorità, spinge gli avversari a cercare altri terreni e altre forme di scontro. Si tratta di abbandonare quei terreni, nei quali la superiorità avversaria è insuperabile, e crearne altri, nei quali il nemico si trovi in difficoltà.

    Guerra preventiva
    Dopo gli attentati dell’11 settembre, diventa una forma di guerra sempre più invocata. Con un termine inglese è detta anche preemption war. Gli stati la invocano per difendersi da altri stati, definiti “canaglia” (in inglese rogue nations). Il pericolo rappresentato dalle armi nucleari della Corea del Nord o dell’Iran, o dalle armi biologiche, che si ipotizzava possedesse Saddam Hussein, dittatore irakeno, il sostegno che la Siria ha fornito all’iperterrorismo, hanno giustificato – agli occhi degli stati occidentali – il ricorso ad azioni preventive. Lo scopo dichiarato era quello di impedire che la capacità distruttrice di questi gruppi raggiungesse una soglia irreversibile, tale da minacciare gli stati più forti e da costringerli ad una logica di mutua dissuasione.

    L’idea della guerra preventiva si basa su questo schema: da una parte ci sono gli stati “imprevedibili”, dotati di armi potenzialmente di distruzione di massa (nucleari, biologiche, chimiche); dall’altra gli stati “razionali”, dotati di capacità di dissuasione. Questo schema impone che la guerra preventiva non possa essere dichiarata da un solo stato, dal momento che apparirebbe come un intervento imperialista, o un terrorismo di stato; essa necessita, dunque, l’intervento di una coalizione.

    Guerra umanitaria
    Oppure, eufemisticamente, “ingerenza umanitaria”. Si ha quando si interviene in un territorio per evitare dei disastri come la carestia, il genocidio, la pulizia etnica, le guerre civili lunghissime, le violazioni sistematiche dei Diritti dell’Umanità.

    La casistica di questa guerra è varia. Ci sono gli interventi per proteggere l’azione di organizzazioni non militari, come in Sierra Leone, Liberia, Rwanda; per separare i contendenti, come in Bosnia o in Costa d’Avorio; per reprimere una delle parti, considerata fomentatrice della guerra, come quando si è intervenuti contro la Serbia nella crisi del Kosovo, contro l’Irak, nella prima guerra del Golfo, contro la famiglia del colonnello Ghaddafi, in Libia.

    Anche in questo caso, è indispensabile che l’intervento sia approvato dalla comunità internazionale, altrimenti verrebbe interpretato come un’ingerenza imperiale o neocolonialista.

    Occorre, è appena il caso di dirlo, riconoscere che, al di là dei buoni sentimenti, la nozione di guerra umanitaria è ambigua. Sa una parte, gli agenti non governativi, come certe Ong, possono lucrare vantaggi dalla situazione di guerra, attirare simpatie o raccogliere finanziamenti. Dall’altra, l’intervento umanitario rischia di estendere e prolungare il conflitto, dal momento che immette sul campo di battaglia risorse che alimentano gli stessi contendenti (attraverso l’imposizione di tasse, o attraverso la loro rivendita). In questo modo, accade che chi vuole placare la crisi contribuisce a renderla cronica.

    Infine, i campi di rifugiati, sotto l’ombrello delle organizzazioni umanitarie, possono destabilizzare l’economia di una regione, introducendo una seconda economia artificiale.

    Guerra giusta
    Era una nozione di età medievale, quando ci si interrogava sulle cause che potevano giustificare un’azione violenta (ma non bisogna dimenticare che questo strumento giuridico era molto usato dai romani). In pratica, si invoca un principio di ordine superiore, in base al quale si giustifica l’intervento militare.
    E’ indubbio che questo appello al giudizio di dio, o a qualche altro valore trascendentale, apre la porta alla variante della guerra giusta, che è costituita dalla “guerra santa”, combattuta contro coloro che hanno una credenza religiosa (o politica) diversa.

    Società civile internazionale
    Alcuni autori, come Michael Ignatieff  o  Mary Kaldor, autrice di un testo fondamentale sulle nuove guerre, sostengono la tesi della nascita di una comunità di cittadini del mondo, che si sforzerebbero di pesare sulla gestione delle relazioni internazionali, sia quando ci sono dei conflitti, sia quando si tratta di sostenere cause umanitarie, sanitarie o ambientali. Ricavano questa idea dal fatto che esiste una comunità internazionale, che si sta sviluppando un diritto penale internazionale, che si moltiplicano le istituzioni internazionali che si battono per la cooperazione e per la pace, che ci sono organizzazioni non governative che vanno in soccorso di popolazioni in difficoltà.

    Fanno parte dei “cittadini del mondo”, coloro che si occupano professionalmente dei problemi umanitari, gli uomini dalla “grande coscienza”, le associazioni che rappresentano – dal canto loro – soggetti collettivi (Greenpeace, WWF, Attac, i gruppi altermondialisti ecc.). Questi soggetti agiscono per influire sulle decisioni degli organismi internazionali e sull’azione politica dei diversi stati.

    E’ importante notare che – contrariamente a quanto si pensa in Italia e in Francia – nozione di “società civile” non si oppone a quella di “mondo politico”. Nella sua idea originaria, nata dal pensiero di Locke e di Kant, la società civile implica, per contropartita (almeno come orizzonte finale) la costituzione di uno Stato mondiale cosmopolita. Quindi, al posto di opporsi al mondo politico, la società civile lo prefigura.

     

    Uno scenario nuovo

    Nessuna di queste nozioni è totalmente nuova. La novità consiste nel fatto che esse sono necessarie, tutte insieme, per comprendere lo scenario attuale. Uno scenario totalmente nuovo.

    Le guerriglie, un tempo nazionali o confinate in determinati territori, sono diventate internazionali. Si può dire che esiste un terrorismo globalizzato, che trova le sue radici nella diffusione degli armamenti nucleari, e nel quale gli stessi genocidi si sono banalizzati.

    Il mondo non è più governato da una o due superpotenze. E’ multipolare. Localmente ci sono superpotenze in grado di esercitare una forte influenza sulla porzione di mondo circostante (India, Cina, Nigeria, Sud Africa, Australia ecc).

    Aumentano gli stati che non sono in grado di gestire con efficacia i conflitti interni (come la Russia), gli stati nei quali si diffondono movimenti autonomistici o indipendentisti (Italia, Spagna).

    Si diffonde l’aspirazione alla “sovranità nazionale”, ma, al tempo stesso, questa si svuota progressivamente, a causa di trattati internazionali, o a causa dell’impossibilità di una sola nazione di gestire un conflitto, dal momento che questo si internazionalizza rapidamente.

     

    Uno scenario in movimento

    Certamente, la proliferazione delle organizzazioni internazionali, per quanto esse non riescano ad essere sempre efficaci come si vorrebbe, testimonia quanto sia diffusa la volontà di non ripetere l’incubo della seconda guerra mondiale.

    Questo desiderio nasce in uno scenario che vede lo sviluppo di due tendenze opposte: da una parte, la frammentazione del mondo, che sempre di più sembra costituito da stati sovrani, in una situazione potenziale di guerra; dall’altra l’incremento della solidarietà internazionale e dell’interdipendenza.

    A questa seconda tendenza fanno riferimento due nuovi processi. Il primo è la diffusione dell’idea dei “diritti umani”, accettati da moltissimi (anche se l’accettazione è spesso solo di facciata); dall’altra, la lenta costituzione di un diritto internazionale, di un sistema di pene che valga per tutti, esercitato da comunità internazionali. Indubbiamente non si tratta della comunità cosmopolita vagheggiata da Kant. E’ un codice di leggi in progress, fatto di aggiustamenti, di decisioni parziali, spesso stipulate fra singoli soggetti. Tuttavia progredisce, e lascia sperare che si stia costruendo un nuovo ordine internazionale.

  • L'educazione alla cittadinanza in Europa

    di Antonio Prampolini

      EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA IN EUROPA IMMAGINE 1 A completamento delle sitografie sull’educazione civica già pubblicate in precedenza su HL (Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Organizzazioni/reti europee) si propone di seguito una sitografia riepilogativa per autori al fine di facilitare la consultazione delle numerose fonti segnalate.

    Tutti i links sono stati controllati alla data del 26/09/2020

     

     

    INDICE AUTORI

    A

    Adernò Giuseppe,Educazione civica, storia della “Cenerentola” della scuola, in «Tecnica della Scuola», 13 maggio 2019.

    Advisory Group on Citizenship, Final report: Education for citizenship and the teaching of democracy in schools,Great Britain. 22 September 1998.

    Anbar Maram, Citizenship Education in Spain,26/10/2015.

    Apitzsch Ursula,Citizenship and Gender,inThe Making of Citizens in Europe - II. Dimensions of Citizenship Education, 11/05/2015.

    Association des Professeurs d’Histoire et de Géographie,education civique”, links ai numerosiarticoli presenti sul sito dell’associazione riguardanti i rapporti tra l’insegnamento della storia/geografia e l’educazione civica.

    Association for Citizenship Teaching (ACT), citizenship education, progetti, risorse didattiche, pubblicazioni sul tema nel sito dell’associazione fondata nel 2001 da Bernard Crick.

    Brusa Antonio,Del pasticcio dell’Educazione civica e dei suoi legami ambigui con la storia,in «Historia Ludens», 17 giugno 2019.

    Bundesarbeitsgemeinschaft Politische Bildung Online,Politische Bildung in Schule und JugendArbeit,portale per insegnanti e studenti dedicato all'educazione alla cittadinanza che propone Dossier sulle principali questioni del tempo presente.

    Bundeszentrale für politisce Bildung, sito bilingue (tedesco e inglese) dell’Agenzia federale per l'educazione civica. Il sito affronta il tema dell'educazione alla cittadinanza in una prospettiva nazionale, europea e internazionale, offrendo agli interessati una vasta gamma di risorse riguardanti sia il mondo scolastico che extrascolastico.

    C

    Cameron-Curry Leslie, Pozzi Marco, Troia Sandra,Dalla competenza digitale alla cittadinanza digitale: esperienze di apprendimento,Didamatica (AICA), 2014.

    Chiosso Giorgio,Educazione e cittadinanza. Il punto di vista pedagogico,2009.

    Cimò Erica,Educazione alla cittadinanza: una disciplina per formare cittadini consapevoli di una Europa multiculturale,INDIRE, 14/11/2017;L’educazione alla cittadinanza in Europa nel nuovo quaderno di Eurydice Italia, 04/03/2019.

    Citizenship Education Longitudinal Study – CELS,Citizenship education in England 2001-2010: young people’s practices and prospects for the future, final report, Department for Education, November 2010.

    Consiglio d’Europa,Carta sull’Educazione per la Cittadinanza Democratica e l’Educazione ai Diritti Umani, 11/05/2010;Approcci contemporanei all’educazione alla cittadinanza europea.

    ► Corradini Luciano,Educazione civica e Costituzione. Il legame necessario, in «Scuola e Formazione», n. 5/8, maggio-agosto 2019.

    ► Council of Europe,Charter on Education for Democratic Citizenship and Human Rights Education,11/05/2010;Edu4Europe: Education for European democratic citizenship,Forum – 1st edition “Future visions of Europe”,19-21/11/2019; citizenship education,education civique,risorse in lingua  inglese e francese presenti nel sito del Consiglio d’Europa.

    ► Crespo Garay Cristina,España suspende en Europa en educación cívica, 26/02/2018.

    D

    Decreto del Presidente della Repubblica 14 giugno 1955, n. 503,Programmi didattici per la scuola primaria.

    Decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 1958 n. 585,Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica.

    Decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1985 n.104,Approvazione dei nuovi programmi didattici per la scuola primaria.

    ► Democratic Life,citizenship education, risorse presenti nel sito dell’omonima associazione inglese che ha come compito istituzionale il rafforzamento e l'estensione dell’educazione civica tra i giovani.

    Department for Education, "citizenship education",links alla documentazione sull’educazione civicanel sistema scolastico inglese presenti nel sito del dipartimento.

    ►  Detjen Joachim,Politische Bildung,Konrad Adenauer Stiftung, 2007.

    ►  Di Cesare Rosella (a cura di),Dossier del Sevizio Studi del Senato in materia di insegnamento scolastico dell'educazione civica,n.130, giugno 2019.

    E

    Éduscol,"education civique",links alla vasta documentazione in materia del sito pedagogico del Ministère de l'Éducation nationale et de la Jeunesse.

    ► EPALE – Electronic Platform for Adult Learning in Europe (European Commission), "citizenship education", risultati della ricerca sulla piattaforma digitale.

    ► European Association for the Education of Adults – EAEA,"citizenship education",risultati della ricerca sul sito dell’associazione.

    ► European Association of History Educators (EUROCLIO),"citizenship education",risultati della ricerca sul sito dell’associazione.

    ► European Union,citizenship education, linksa documenti e iniziative sull’educazione civica nei paesi europei sul sito ufficiale dell’Unione.

    ► Eurydice,"citizenship education","education civique","educazione civica", le risorse digitali segnalate dalla rete d’informazione della Commissione Europea per la conoscenza dei sistemi e delle politiche nel settore educativo degli stati dell’Unione;Mission and Activities;Citizenship Education at School in Europe,Report 2017;Annexes: National Information and Websites, Report 2017;Eurydice Brief Citizenship Education at School in Europe 2017.

    Eurydice Italia,L’educazione alla cittadinanza a scuola in Europa, Report 2017;Eurydice in breve. L'educazione alla cittadinanza a scuola in Europa 2017.

    F

    Fondation Res Publica"education civique", links sull’argomento nel sito della fondazione francese, riconosciuta di pubblica utilità, creata nel 2005 e presieduta da Jean-Pierre Chevènement.

    Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,"educazione civica", articoli e iniziative nel sito della fondazione.

    Frevert Ute,How to Become a Good European Citizen: Present Challenges and Past Experiences,in The Making of Citizens in Europe - I. Citizenship and European Citizenship, 11/05/2015.

    ► Friedrich-Ebert-Stiftung"politische bildung", ampia documentazione sull’educazione civica offerta dal sito della fondazione collegata al Partito socialdemocratico tedesco (SPD).

    EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA IN EUROPA IMMAGINE 2

    G

    ►  Galichet François, L’éducation à la citoyenneté dans les programmes d’enseignement français nécessairement laïcs et leur mise en œuvre,Colloque international salésien de Lyon, 20-24 août 2005.

    ►  Georgi Viola B.,New Perspectives on Citizenship Education in Europe, inThe Making of Citizens in Europe - Introduction, 11/05/2015;Citizenship and Diversity,in The Making of Citizens in Europe - II. Dimensions of Citizenship Education,11/05/2015.

    ► González Pérez Teresa,La educación cívica en españa: retrospectiva y perspectiva, in «História da Educação», vol.18 n.42, Jan./Apr. 2014.

    ► Gosewinkel Dieter,Historical Reflections on Citizenship in Europe, inThe Making of Citizens in Europe - I. Citizenship and European Citizenship,11/05/2015.

    ►   Grüne Petra,NECE – Networking European Citizenship Education – International exchange to encourage the advancement of civic education,26/04/2017.

    H

    ► Holford Naomi and Venables Tony,Dimensions and Challenges of European Citizenship Today, inThe Making of Citizens in Europe - I. Citizenship and European Citizenship, 11/05/2015.

    I

    Instituto Nacional Electoral – INE,"educación para la ciudadanía", links a documenti propri e di terzi sull’educazione civica proposti nel sito dell’istituto.

    Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa (INDIRE), articolisulla"educazione civica" e su temi collegati presenti nel sito dell’istituto.

    ►  Istituto Regionale Ricerca Educativa dell’Emilia Romagna (IRREER),programmi/direttive scolastiche e articoli di approfondimento sull'insegnamento dell’educazione civica nel sito dell’istituto.

    J

    ► Jackson Ben,Thomas Humphrey Marshall,in «Encyclopaedia Britannica».

    K

    ► Kahn Pierre,Education civique: nouveaux programmes, vieille morale, «Libération», 11 juillet 2018.

    ► Kalina Andreas,Faktensammlung zum Stand der Politischen Bildung in Deutschland,Konrad Adenauer Stiftung, 2014.

    ► Kerr David,Citizenship Education in England: The Making of a New Subject,November 2003;Research on Citizenship Education in Europe: A Survey,inThe Making of Citizens in Europe -V. Quality Assurance and the Implementation of Citizenship Education,11/05/2015;Citizenship Education in the UK,20/10/2015.

    Konrad-Adenauer-Stiftung,"politische bildung", fonti sull’educazione civica nel sito della fondazione tedesca collegata all'Unione Cristiano Democratica (CDU).

    ► Krek Janez,Quality Assurance in (Citizenship) Education,inThe Making of Citizens in Europe -V. Quality Assurance and the Implementation of Citizenship Education,11/05/2015.

     

    EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA IN EUROPA IMMAGINE 3

    L

    Lange Dirk,Citizenship Education in Germany,in The Making of Citizens in Europe-III. Perspectives on Citizenship Education: Country Profiles, 11/05/2015.

    Lange Valerie,Politische Bildung in der Schule – ein Statusbericht, Friedrich Ebert Stiftung,2018.

    Legge 28 marzo 2003, n. 53,Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale.

    Legge 30 ottobre 2008, n. 169,Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (Italia).

    ► Legge 20 agosto 2019, n. 92,Introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica.

    Lifelong Learning Platform,"citizenship education",risultati della ricerca sulla piattaforma digitale di apprendimento permanente che riunisce 42 organizzazioni europee attive nel campo dell'istruzione, della formazione e della gioventù.

    Liga Española de la Educación y la Cultura Popular,la ciudadanía a través de la educación,una ONG laica e indipendente che promuove la cittadinanza attraverso un’educazione democratica e solidale.

    Loeffel Laurence, Instruction civique et éducation morale: entre discipline et «métadiscipline»,2003.

    Lohrenscheit Claudia,Citizenship and Human Rights, inThe Making of Citizens in Europe - II. Dimensions of Citizenship Education, 11/05/2015.

    ► López Facal Ramon, Educación para la ciudadanía hoy (disponibile online anche in lingua italiana), 2016.

    M

    Marschall Stefan,The Online Making of Citizens: Wahl-O-Mat,inThe Making of Citizens in Europe -IV. New Approaches to Citizenship Education,11/05/2015.

    Massing Peter,Bundes-und Landeszentralen für politische Bildung,2015.

    Ministère de l'Éducation nationale et de la Jeunesse,"éducation civique",vasta documentazione in materia sul sito ministeriale comprendente: normative, programmi scolastici, politiche e pratiche educative, seminari e conferenze, studi e ricerche.

    Ministerio de Educación y Ciencia,Real Decreto 1513/2006, de 7 de diciembre, por el que se establecen las enseñanzas mínimas de la Educación primaria;Real Decreto 1631/2006, de 29 de diciembre, por el que se establecen las enseñanzas mínimas correspondientes a la Educación Secundaria Obligatoria.

    ► Ministerio de Educación y Formación Profesional,"educación para la ciudadanía",ampia documentazione in materia (leggi, regolamenti, programmi scolastici, riflessioni, studi e ricerche) sul sito del ministero.

    Ministero dell'Istruzione - Ministero dell'Università e della Ricerca,"educazione civica", norme, regolamenti, iniziative sul sito ministeriale.

    Musée Aubois d'Histoire de l'Éducation,L’enseignement de la morale dans les écoles communales à l’époque de Jules Ferry.

    N

    ► NECE (Networking European Citizenship Education), "citizenship education", informazioni e approfondimenti sull’educazione civica in Europa nel sito della rete transnazionale creata e gestita dall’Agenzia federale tedesca per l’educazione civica (Bundeszentrale für Politische Bildung – BpB).

    O

    Olafsdottir Olof, Education for Democratic Citizenship and Human Rights: A Project by the Council of Europe,inThe Making of Citizens in Europe -IV. New Approaches to Citizenship Education,11/05/2015.

    Osler Audrey, Starkey Hugh, Citizenship Education in France and England: contrasting approaches to national identity and diversity,2009.

    P

    ► Papisca Antonio,Il Consiglio d’Europa definisce e aggiorna contenuti e metodi dell’educazione civica,Centro diritti umani - Università di Padova, 2010.

    ► Parasote Martin, Randt Paull,The Role of Éducation Civique in the Creation of French Citoyens, Humanity in Action, January 2009.

    ► Peron Elise,Citizenship Education in France,inThe Making of Citizens in Europe - III. Perspectives on Citizenship Education: Country Profiles,2015.

    R

    Richard Jonathan, L’enseignement moral et civique de 1944 à 2014, Science politique. École pratique des hautes études - EPHE PARIS, 2015.

    ►  Rus Calin, Intercultural and Citizenship Education through the Use of Information Technologies,inThe Making of Citizens in Europe -IV. New Approaches to Citizenship Education,11/05/2015.

    S

    Sale Mirella,Cittadinanza digitale a Scuola, un’ora preziosa: tutte le novità,19/09/2019.

    W

    Wikipedia,edizione in lingua italiana:Consiglio d’Europa,Eurydice;edizione in lingua francese:Lois Jules Ferry, Jean-Pierre Chevènement; edizione in lingua tedesca:Politische Bildung, Bundeszentrale für politische Bildung (BpB),Landeszentralen für politische Bildung; edizione in lingua inglese:Denazification,Beveridge Report,Thomas Humphrey Marshall, Bernard Crick,Andrew Phillips,European Association of History Educators (EUROCLIO); edizione in lingua spagnola:Educación para la Ciudadanía y los Derechos Humanos (EpC),Ley orgánica para la mejora de la calidad educativa (LOMCE).

    Y

      Young Citizens,"citizenship education",materiali vari presenti nel sito dell’omonima fondazione inglese creata da Andrew Phillips con lo scopo di favorire la diffusione dell’educazione civica tra i giovani.

  • Le migrazioni fra dibattito pubblico e didattica in classe

    Autore: Antonio Brusa

     

    Introduzione

    Abbiamo lavorato un anno intero, ad Alessandria, sul tema delle migrazioni. Un bel gruppo di scuole, organizzate dall’Isral (Istituto per la storia della resistenza di Alessandria), guidato da Luciana Ziruolo. Il materiale, composto da alcune riflessioni storico-pedagogiche, dallo studio di caso, provato in decine di classi, e dalle valutazioni sulla sua efficacia, è stato pubblicato in volumetto: Didattica. Storia. Intercultura. Una sperimentazione nella provincia di Alessandria (Falsopiano, Alessandria 2015). Qui ne riporto il mio contributo, con alcune modifiche, in modo che – insieme agli altri articoli su questo argomento pubblicati su HL – il docente abbia a sua disposizione un panorama ampio della questione, dagli aspetti teorici, come in questo caso, alle applicazioni pratiche come nei lavori didattici che troverete nel sito.


    Indice

    La migrazione diventa un tema centrale del dibattito pubblico
    Il dibattito pubblico elimina la complessità del fenomeno
    La sottovalutazione politica del fenomeno migratorio
    La sottovalutazione didattica
    La migrazione odierna e la “fine dei territori”
    Un dilemma che attraversa la scuola
    La mobilità non è un’eccezione della storia
    La migrazione odierna e l’educazione civile

     

    La migrazione diventa un tema centrale del dibattito pubblico

    Barconi gremiti di uomini scivolano davanti ai nostri occhi, quando parliamo di migrazione. Impossibile fermarli nel pensiero, come impossibile è arrestarne in mare la flotta. Sono l'icona di un fenomeno le cui proporzioni angosciano tutti. Noi, come il resto del mondo. Appena una quindicina di anni fa si sosteneva che il disorientamento degli italiani fosse dovuto al fatto che, da paese di emigranti quale fu e aveva ormai dimenticato di essere stato, era improvvisamente diventato una meta di immigranti. Era una società impreparata, si disse, a differenza delle popolazioni dell'Europa del nord che, al contrario, avevano avuto il tempo di approntare strutture sociali, economiche e mentali per fronteggiare il flusso degli stranieri, fra i quali centinaia di migliaia di nostri connazionali. Le reazioni odierne mostrano che la paura di essere sommersi da uno tzunami umano coinvolge senza distinzione paesi di vecchia e di nuova immigrazione.

    La dimensione del fenomeno è tale che ha spiazzato il repertorio argomentativo, elaborato nel  dibattito pubblico novecentesco, in Europa come in Italia. Me ne accorgo leggendo il manualetto di Pierre-Yves Bulteau, En finir avec les idées fausses propagées par l'extrême droite (Les éditions de l'Atelier, 2014), una raccolta di argomentazioni di sinistra, sollecitata dalla grande avanzata dell'estrema destra in Francia. Questo libro mostra come l'intero fronte dell’opposizione fra "reazionari" e "progressisti" si sia dislocato pienamente nel campo della migrazione. I temi tradizionali della polemica fra destra e sinistra (libertà/autorità, estensione dei diritti civili, femminismo o diritti dei lavoratori) occupano poche pagine. La quasi totalità del nuovo "prontuario per la discussione pubblica" è focalizzata sul tema della migrazione: l'accoglienza, l'incidenza degli stranieri sul lavoro, sull'identità nazionale, le difficoltà di convivenza civile, ecc.


    Il dibattito pubblico elimina la complessità del fenomeno

    La destra coglie un'angoscia diffusa delle popolazioni europee. La sinistra risponde con una batteria analitica di argomenti: smonta qualche preoccupazione come quella della concorrenza sul posto di lavoro, ne attenua altre, come nel caso dell'ordine pubblico, alcune le rovescia (come per esempio quella sul razzismo degli stranieri nei confronti dei locali), di altre ne sposta le cause (non è colpa dell'emigrazione, ma delle politiche internazionali neoliberali). Fa largo uso di cifre e largo appello ai valori della solidarietà, in un contrasto speculare con i valori dell'identità, sostenuti dalla destra. Al dunque, le due tesi si attestano su azioni politiche elementari: respingere o accogliere. Una contrapposizione che riflette le antinomie primordiali fra bontà e cattiveria; fra egoismo e altruismo. Così rozze nella loro elementarità, da metterci in guardia: lungo questo fronte non si costruisce nessuna politica e, per quanto riguarda i compiti della scuola, nessuna didattica.

    Quando si parla di migrazione, dunque, sembra instaurarsi una sorta di parallelismo fra le scissioni dell'opinione pubblica e le pratiche dell'insegnamento. Ciò avviene sia perché il fenomeno migratorio è uno dei temi caldi, una delle "questioni sensibili", al centro delle attenzioni degli studiosi di didattica della storia ormai da tempo; sia perché le strutture dell'argomentazione transitano con grande facilità dal campo del quotidiano a quello dello studio. Ne deriva la sensazione spiacevole di non riuscire a scorgere una differenza apprezzabile fra un lavoro sull'emigrazione, svolto in classe, e una discussione in famiglia o al bar, in un talk show o nella contesa politica. L'alternativa secca e inevitabilmente tendente al moraleggiante, fra accoglienza e respingimento, ne è, a mio parere, una delle prove più evidenti. Ma forse proprio questo problema, uno dei più insidiosi nei processi di formazione, ci permette di intuire una strada didattica capace di aggredire in profondità il fenomeno, perché attraverso la messa a fuoco delle le analogie e delle differenze fra discorso pubblico e scientifico si riescono a intravvedere strategie di formazione più aggressive ed efficaci.


    Stereotipi diffusi sulla migrazione

    Una riprova della osmosi fra discorso pubblico e pratica didattica può essere verificata dal docente con un semplice lavoro di ricognizione delle preconoscenze (quello che nella vulgata didattica si chiama ormai brainstorming). Si vedrà, quasi certamente, l’emergere di qualcuno di questi stereotipi diffusi, che qui riporto nella versione di Cesare Grazioli. Su Novecento.org e su Historia Ludens


    1.    “Le migrazioni sono un fenomeno anomalo, la regola dovrebbe essere che ognuno stia a casa propria!”

    2.    “Siccome gli immigrati arrivano a causa della povertà e del sottosviluppo dei loro paesi, il rimedio è di favorire lo sviluppo interno dei paesi del Sud, cioè aiutarli a non avere bisogno di emigrazione”

    3.    “Qui in Italia si fanno pochi figli, mentre gli immigrati vengono da paesi dove ne fanno tanti, come l’Africa, perciò ci sommergeranno, l’Italia perderà la sua identità e in poche generazioni saremo tutti neri!”

    4.    “Con tutta la disoccupazione, soprattutto giovanile, che c’è in Italia (e nei paesi europei mediterranei),non è possibile accettare l’immigrazione, che toglie il lavoro a noi italiani”

    5.    “Qui in Italia (o in Europa) siamo già in troppi: non solo non c’è spazio per accogliere altra immigrazione, ma anzi, sarebbe meglio che la popolazione calasse; ne guadagnerebbe anche la qualità dell’ambiente.”


    La sottovalutazione politica del fenomeno migratorio

    La sottovalutazione mi sembra una caratteristica che accomuna discorso didattico e pubblico. E' una consapevolezza, questa, che comincia a farsi largo anche nei media: se ne fa interprete, ad esempio, Ernesto Galli della Loggia in un suo editoriale nel "Corriere della Sera". Nel pubblico, la sottovalutazione si mostra laddove si lascia intendere che esista un numero ristretto di soluzioni immediatamente efficaci (leviamo di mezzo i barconi; costruiamo più campi di accoglienza all'estero;  e, per contro, mettiamo a punto un'accoglienza più umana...). Questa sottovalutazione è consolatoria, perché autorizza la speranza che si tratti di un fenomeno episodico o tutt'al più contingente. Quindi risolvibile – per la destra come per la sinistra - con provvedimenti puntuali e limitati nel tempo, il che vuol dire con risorse contenute, rispetto a quelle che vanno, invece, destinate ai problemi di fondo delle nostre società.  


    La sottovalutazione didattica

    A questa sottovalutazione pubblica corrisponde, nel discorso scolastico, l'abitudine a ridurre il tema della migrazione ad un'apposita unità didattica; oppure a risolverlo nella questione dell'accoglienza dell'eventuale immigrato; oppure, ancora, ad confinarlo nel curricolo parallelo dei progetti a latere del curricolo formale, in una delle tante “educazioni” che stanno progressivamente spogliando le discipline tradizionali della loro capacità di mettere in discussione gli aspetti più inquietanti della realtà.

    La sottovalutazione trae origine, anche, da un errore intellettuale: quello di considerare il fatto migratorio come un accidente spiacevole dei nostri tempi. Una valutazione corretta, invece, dovrebbe muovere dalla constatazione che si tratta di un fatto strutturale. Al fondo del fenomeno migratorio, infatti, ci sono rivoluzioni straordinarie, che riguardano le coordinate storiche fondamentali: lo spazio e il tempo. Dal punto di vista dello spazio, vediamo che i “territori” si connettono in un continuum mondiale, e che sempre più gli individui fanno coincidere l'orizzonte di risoluzione dei propri problemi con quello planetario. A questa rivoluzione spaziale corrisponde un'altrettanto violenta rivoluzione temporale, che genera un tempo diverso, talmente ben delineato, da imporsi come una delle chiavi di volta della costruzione didattica del passato e della definizione del presente.

    In estrema sintesi, potremmo descrivere questa rivoluzione con queste parole:

    "Nel corso dell'età moderna gli europei appresero a risolvere i loro problemi all'interno di territori ben definiti: gli Stati. Fra Ottocento e Novecento questi territori hanno cominciato ad rivelarsi insufficienti. Milioni di europei hanno deciso di affrontare la questione della propria sopravvivenza negli spazi mondiali. Non fu una necessità unicamente europea. Contemporaneamente, infatti, si attivavano altri due focolai migratori: l’India e la Cina. Negli ultimi decenni del Novecento, questi tre focolai tradizionali di migrazione si sono sfrangiati e moltiplicati, diffusi nel mondo. Oggi, al principio del secolo XXI, la "mobilità nel pianeta" si propone come un'opzione per sette miliardi di persone".


    La migrazione odierna e la “fine dei territori”

    Per quanto essenziale, questo racconto mette in risalto alcuni problemi storico-didattici di grande rilevanza, non solo per la formazione storica ma anche per quella alla cittadinanza. Il prima, "il mondo che abbiamo perduto", per riprendere il titolo di un vecchio libro di Peter Laslett (Jaka book, 1973), fu caratterizzato da quel processo che molti storici chiamano "la formazione dei territori".

    E' un processo che prende le mosse dal cuore del Medioevo, intorno al X-XI secolo, quando i multiformi centri di potere riuscirono ad affermare il loro controllo su terre, che fino ad allora erano state semplicemente in loro possesso.  Si definì nell'età moderna, a partire dal XVI secolo, con la creazione dei territori europei (gli Stati moderni) e delle loro componenti: strutturali (istituzioni, governo, leggi) e umane, il cittadino con il suo corredo di diritti e doveri. All’interno degli Stati si elaborarono i dispositivi ideologici per la comprensione del mondo ma anche per la produzione scientifica e per la formazione dei cittadini. E, per quello che riguarda da vicino gli insegnanti, è dentro questo processo che nasce la storia, nel suo doppio ruolo di disciplina scientifica e formativa.

    E' dunque, ai "territori" che noi leghiamo l'insieme dei problemi connessi con il tema dell'emigrazione e che, potremmo dire, sono il succo di ogni educazione civile: chi ha diritto a vivere in un determinato territorio? Quali sono le norme per trasferisi da un territorio all'altro? Quali sono i costrutti culturali, necessari per vivere in un determinato territorio e quali le norme e le abitudini che ne regolano la convivenza degli abitanti?

    Per converso, il dopo potremmo definirlo, sulla falsariga di Bertrand Badie, "La fine dei territori" (Asterios, 1996). E' il momento storico, lungamente preparato nel Novecento, nel quale il potere degli Stati sugli elementi costitutivi del proprio territorio viene meno o comincia a indebolirsi, dal dominio sull'ambiente, al controllo dei flussi di ricchezza e di uomini, alla costruzione della "famiglia nazionale" dei sudditi prima e dei cittadini poi. E' questo insieme di dispositivi che entra in crisi, nel corso del Novecento, lasciando a noi l'immane compito di rivederli e aggiornarli. Un compito che dobbiamo affrontare comunque (migrazione o no) e il cui costo è enorme, sia se lo osserviamo dal punto di vista dei conservatori sia da quello dei progressisti.
     
    Perciò, il cambiamento investe prepotente anche il campo della formazione, soprattutto quello della formazione storica. Pone domande stringenti alle sue strutture di base (scopi, contenuti e metodi), per come furono elaborate nel corso della formazione degli stati ottocenteschi, sulla loro reale efficacia nella situazione odierna. Questa considerazione, apparentemente teorica e lontana da quelle che il docente considera le urgenze del quotidiano, è talmente pressante che si manifesta ogni volta che si tenta di sperimentare qualche innovazione, come, in questo caso, “il tema della migrazione”. Ogni volta, infatti, dietro la denuncia del tempo che manca e che è sempre troppo poco, si intuisce una sorta di rigetto, messo in atto dal dispositivo didattico vigente.


    Un dilemma che attraversa la scuola

    Non si tratta di peculiarità italiane, né di casi locali. Pressocché in tutte le nazioni è ormai di prassi il dibattito fra i sostenitori della conservazione e i ricercatori di nuovi assetti didattici. In Italia, poi, l'alternanza dei governi di centro-destra e di centro sinistra ha mostrato magnificamente la diversità e la distanza fra le due opzioni. La destra (Moratti-Gelmini), infatti, ha prodotto un programma dalla chiara matrice nazionale (2003) finalizzato alla costruzione diffusa di un' "identità giudaico-cristiana", evidentemente da far assimilare a tutti, nativi italiani e stranieri. La sinistra ha elaborato un' ipotesi di programma di storia mondiale (De Mauro 2001) e programmi di storia multiscalari per la scuola di base (Fioroni-Profumo 2007 e 2011), con una parte di storia mondiale obbligatoria per tutti, e quadri di storia a scale più ridotte, da scegliersi a seconda delle programmazioni locali, con l'invito a un largo uso di strutture di insegnamento diverse dalla lezione (dai laboratori, agli studi di caso, alle indagini sul territorio ecc).  La constatazione che un'oscillazione così marcata sia pressocché ignota agli insegnanti è la palese dimostrazione del fatto che la messa in opera dei due programmi è talmente costosa, che non è stata presa in seria considerazione dall'Amministrazione, che si è limitata, nel corso dell’ultimo quindicennio, a progetti di aggiornamento limitati e tutto sommato ininfluenti.


    La mobilità non è un’eccezione della storia

    Nella visione storica dei programmi tradizionali  - ancora largamente, per quanto inconsapevolmente, condivisa dai docenti – la vicenda italo-europea è "la storia normale". Tutto ciò che si propone di diverso, come in questo caso la migrazione, costituisce una sorta di "interruzione di percorso".

    Ora, proprio il caso della mobilità umana dimostra la fallacia di questa convinzione. Ciò  che noi pensiamo come "modello normale" (l'Europa degli Stati e dei cittadini), in realtà, è un eccezione, una sorta di luogo esotico, nell’ “enciclopedia delle storie”. La traiettoria della cronologia ci mostra che questa "normalità" ebbe un prima, costituito dall'Europa medievale, un'area di intensa mobilità, i cui centri di sedentarietà (città e villaggi) furono caratterizzati da una forte inclusività, certamente fino al XIII secolo. Anzi: secondo i teorici del Global Middle Age, fino a tutto il XVI secolo . Ed ebbe un dopo, nel quale l'Europa degli Stati cedette il passo a un doppio territorio, uno – l'Unione Europea - caratterizzato da una quasi totale mobilità interna, che costituisce una frazione notevole dell'attuale movimento migratorio; l'altro frammentato in una pluralità di stati contrassegnati da una forte mobilità in uscita.

    L'identica sensazione di estrema particolarità della "normalità europea" la otteniamo, ancora, se inseriamo il nostro subcontinente in un quadro mondiale. Non solo perché, come abbiamo accennato sopra, per tutta l'Età moderna furono tre i centri di espansione demografica planetaria (e l’Europa fra questi); ma perché l'intera vicenda della specie umana mostra come il suo evolversi sia caratterizzato dal gioco continuo fra mobilità e sedentarietà; fra i processi di deriva genetica e culturale, connessi con la separazione dei gruppi umani, e quelli inversi del meticciato, connessi con le diverse modalità dell’interazione umana (su questo si veda Manning, Migration in World History, Routledge 2013). La ricerca storica, dunque, ribalta il senso comune: la   "normalità" è un mondo nel quale la migrazione è contemplata fra le possibilità dell'esistenza. L'Europa degli Stati, con il disciplinamento rigoroso degli spostamenti, è una autentica interruzione di questa "normalità".

    Trasferiti nella concretezza del curricolo, questi ragionamenti ci inducono a pensare che la migrazione non può essere trattata come un incidente saltuario (se ne parla a proposito di indoeuropei, barbari medievali, migranti italiani e extracomunitari). Essa è un elemento strutturale della vicenda umana sul pianeta terra. Quando giunge una crisi (alimentare, demografica, politica o ambientale), l'alternativa di fondo si ripresenta inderogabile: morire o spostarsi. Questa alternativa si articola sia all'interno delle aree definite dalla politica o dalla cultura (per esempio all'interno dell'Impero romano, o nel mondo ellenico), sia fra regioni vicendevolmente esotiche (per esempio, fra Europa e America). Ad ogni spostamento, ai gruppi umani si pone la questione della convivenza fra diversi che, a sua volta, ci consegna una gamma pressocché infinita di soluzioni, pacifiche o conflittuali: dalle città doppie dell'antichità mediorientale, a quelle aperte del medioevo europeo, a imperi tolleranti e no, alle città munite di ghetti, inaugurate nella nostra modernità, alla strage dei nativi, come nel caso della Conquista dell’America, al melting pot delle città americane del Novecento.


    La migrazione odierna e l’educazione civile

    Tuttavia, proprio il confronto dei fatti che viviamo con la strutturalità del fenomeno migratorio, mette in evidenza le caratteristiche peculiari dei nostri giorni. Queste emergono in un forte intreccio con gli altri elementi costitutivi della storia mondiale novecentesca, quali: la sbalorditiva crescita demografica, che in un secolo ha portato gli umani da una parte a moltiplicarsi per sette, dall'altra a occcupare la terra in modo totalmente squilibrato (su questo rinvio al lavoro che Cesare Grazioli ha ricavato dalle ricerche fondamentali di Livi Bacci, citato sopra); l'inedito rapporto con l'ambiente che questa massa umana instaura col mondo globalizzato; l’abbattimento dei costi del trasporto;  la distribuzione tragicamente ineguale delle ricchezze e il retaggio del colonialismo europeo; fino a portati della storia più recente, fra i quali la proliferazione delle "nuove guerre" e la debolezza politica delle Organizzazioni internazionali.

    Comprendere il fenomeno migratorio, dunque, consisterà nella capacità di ricostruire questo intreccio di fattori, di breve e lungo periodo. Di capire che l’attuale processo migratorio fa parte del faticoso tornante storico, attraverso il quale stiamo entrando nel mondo del XXI secolo.

    Questa consapevolezza non porterà i docenti, né tantomeno gli allievi, a elaborare soluzioni miracolose. Potrebbe metterli entrambi, invece, in grado di valutare la credibilità di quelle circolanti, di destra o di sinistra. Di capire se costituiscono degli impegni di prospettiva lunga, delle soluzioni limitate, oppure delle operazioni di propaganda. La percezione viva della novità del nostro mondo, e in questo del tema della migrazione, sarà il miglior antidoto contro i luoghi comuni del dibattito pubblico.

    A loro volta, gli insegnanti dovrebbero cominciare a formulare strategie articolate nella cosiddetta educazione interculturale. Lo sconvolgimento provocato da questi fenomeni è tale da aver favorito la rapidissima comparsa di una enciclopedia di stereotipi, con la quale la società tenta di comprendere un fenomeno che le appare nuovo e distruttivo. E’ dunque illusorio pensare di modificare questi costrutti con “l’unità didattica interculturale”. Si tratta di un lavoro difficile e lungo, perché, da una parte, come abbiamo visto, implica una buona revisione del modo con il quale guardiamo il passato in genere; dall’altra mette in crisi degli strumenti di vita quotidiana, quali in definitiva sono gli stereotipi sulla migrazione, ai quali gli allievi sono tenacemente attaccati.

    Il sentirsi, infine, dentro un processo comune - gli allievi come gli insegnanti, gli stranieri come gli italiani - potrebbe far capire a tutti che in gioco non è soltanto la convivenza ordinata nel presente (un bene che dovrebbe essere condiviso), quanto piuttosto la progettazione di un futuro che già richiede la compartecipazione di tutti.

    In questa somma di consapevolezze, probabilmente, consiste l'apporto all'educazione civile che la conoscenza storica può offrire.

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