insegnamento della storia contemporanea

  • Insegnare la storia del mondo contemporaneo

    di Daniele Boschi

    Atomiche su Hiroshima e Nagasaki1. Le nuvole a forma di fungo causate dal lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non è raro che i programmi di storia svolti nel quinto anno del Liceo si fermino alla fine della Seconda guerra mondiale e all’immediato dopoguerra.

    Sono passati più di quattro anni dall’appello che Cesare Grazioli rivolse ai docenti di storia delle scuole secondarie superiori affinché insegnassero la storia degli ultimi cento anni. Grazioli osservava che, vent’anni dopo l’emanazione del decreto Berlinguer, non era raro imbattersi in classi che arrivavano agli esami di Stato con programmi di storia che non andavano oltre la fine della Seconda guerra mondiale. Proprio a partire dalla constatazione che gran parte degli insegnanti non riesce ad inserire nel curricolo lo studio strutturato degli ultimi decenni, è nata l’iniziativa che ha portato alla creazione del Laboratorio del tempo presente e della rete LabSto21. Il Laboratorio e la rete mirano a promuovere un nuovo e diverso modo di affrontare la storia del ‘900 e degli inizi del nostro secolo, nel contesto di un generale ripensamento della struttura del curricolo, dalle scuole elementari alle superiori. Questo articolo vuole fornire un ulteriore contributo a questo itinerario di innovazione didattica, che coinvolge scuole e università. Mi riferirò esclusivamente all’insegnamento della storia nell’ultimo anno dei Licei, sia perché ho sempre insegnato nei Licei, sia perché tra le Indicazioni nazionali per i percorsi liceali e le Linee guida per gli Istituti tecnici e professionali vi sono notevoli differenze1.

    Lo svolgimento dei programmi di storia nell’ultimo anno dei Licei

    Qual è attualmente l’articolazione dei programmi di storia effettivamente svolti nell’ultimo anno dei Licei? L’esame di un piccolo campione dei documenti che i Consigli di classe preparano per le classi quinte in vista degli esami di Stato2 suggerisce che, anche se le classi che si fermano alla Seconda guerra mondiale rappresentano probabilmente un caso limite, gran parte delle energie e dell’attenzione dei docenti e degli studenti, nell’ultimo anno dei Licei, continuano ad essere focalizzati sulla storia della prima metà del ‘900, cosicché la storia davvero “contemporanea” – quella che comincia dagli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso - viene spesso trattata in modo superficiale e affrettato nelle ultime settimane dell’anno scolastico, oppure non viene trattata affatto.

      NUMERO DELLE CLASSI
    INDIRIZZOPrima metà dell'800Seconda metà dell'800Inizi del '900TOTALE CLASSI
    Classico 5 6 11
    Scientifico 1 16 12 29
    Linguistico 3 3 2 8
    Scienze umane 2 2 2 6
    Musicale 1 0 0 1
    TOTALE 7 26 22 55
    TABELLA 1
    Punto di partenza dei programmi di storia svolti nelle classi quinte di alcuni Licei romani nell’anno scolastico 2018-19

    Vale la pena analizzare più in dettaglio i dati del campione esaminato. Anzitutto, come si vede dalla Tabella 1, in gran parte delle classi il lavoro dell’ultimo anno non prende avvio dagli inizi del ‘900, come previsto dalle Indicazioni nazionali, ma dalla seconda metà dell’800, o addirittura dalla prima metà di questo secolo. C’è quindi, in molti casi, un “ritardo” che si verifica negli anni scolastici precedenti. Per studiarne i motivi bisognerebbe naturalmente esaminare i programmi di storia svolti nel primo e nel secondo biennio dei Licei, ma questo esula dalla ricerca che ho svolto. È interessante però notare che questo ritardo è presente, sebbene in minor misura, anche nel Liceo Classico, per il quale il piano di studi ministeriale prevede tre ore di lezione a settimana, sia nel secondo biennio che nell’ultimo anno, e non due ore soltanto come in tutti gli altri Licei.

    Per quanto riguarda invece il punto d’arrivo dei programmi, la Tabella 2 mostra che nella maggior parte dei casi non si va oltre gli anni Sessanta del ‘900. Soltanto 12 classi su 55 risultano essere arrivate agli anni Ottanta e al crollo del comunismo nei paesi dell’Europa orientale e nell’Urss, e 4 soltanto si sono spinte ancora oltre.

      NUMERO DELLE CLASSI
    INDIRIZZOFine della 2a guerra mondiale-
    immediato dopoguerra3
    Anni ‘50 del ‘900Anni ’60 del ‘900Anni ’70 del ‘900Anni ’80 del ‘900-
    inizio degli anni ’904
    Anni ’90 del ‘900 e oltre5
    Classico 0 2 3 0 4 2
    Scientifico 4 5 8 4 6 2
    Linguistico 6 0 0 1 1 0
    Scienze umane 4 0 1 0 1 0
    Musicale 1 0 0 0 0 0
    TOTALE 15 7 12 5 12 4
    TABELLA 2
    Punto di arrivo dei programmi di storia svolti nelle classi quinte di alcuni Licei romani nell’anno scolastico 2018-20196

    A ciò si deve aggiungere il fatto che, a prescindere dal “punto di arrivo” dei programmi, la storia della seconda metà del ‘900 viene spesso trattata in modo frammentario, lacunoso o molto sintetico nell’ultimissima parte dell’anno scolastico, a volte addirittura dopo il 15 maggio. Per esempio, il fatto che in alcune classi si arrivi a parlare dell’ultima fase della guerra fredda e della caduta del muro di Berlino non vuol dire affatto che siano stati trattati altri argomenti relativi alla storia degli anni Settanta e Ottanta del ‘900.

    A questo proposito è un indicatore significativo, a mio avviso, il rapporto tra il numero delle unità didattiche o moduli dedicati alla seconda metà del ‘900 e il loro numero complessivo. Come risulta dalla Tabella 3, ben 20 delle 40 classi che hanno trattato argomenti della seconda metà del ‘900 hanno dedicato ad essi meno di un quinto delle unità didattiche complessive; e soltanto 9 classi hanno dedicato alla seconda metà del ‘900 almeno un terzo del programma. Nessuna classe ha riservato alla seconda metà del ‘900 la metà (o più) delle unità didattiche, fatta eccezione per una classe di Liceo Linguistico che ha seguito il piano di studi EsaBac, che prevede un programma di storia maggiormente orientato verso la contemporaneità.

      NUMERO DELLE CLASSI
    INDIRIZZONessuna unitàMeno di 1/5Tra 1/5 e 1/3Tra 1/3 e la metàLa metà o piùTOTALE CLASSI
    Classico 0 5 4 2 0 11
    Scientifico 4 13 6 6 0 29
    Linguistico 6 0 1 0 1 8
    Scienze umane 4 2 0 0 0 6
    Musicale 1 0 0 0 0 1
    TOTALE 15 20 11 8 1 55
    TABELLA 3
    Distribuzione delle classi a seconda del numero di unità didattiche o moduli dedicati alla seconda metà del '900 (rispetto al numero complessivo delle unità)

    Anche se il campione esaminato non può avere ovviamente, per la sua esiguità, alcun valore statistico rispetto alla totalità dei Licei italiani, ritengo tuttavia che esso indichi una situazione abbastanza diffusa di “ritardo” e di affanno nello svolgimento dei programmi di storia.

    Questa situazione, a mio avviso, non nasce tanto da inerzia o pigrizia intellettuale, quanto da difficoltà oggettive che dipendono da problemi connaturati alla struttura stessa del sistema su cui è imperniato l’insegnamento della storia nel triennio dei Licei.

    Tali difficoltà dipendono in primo luogo dalla sproporzione esistente tra la quantità di argomenti previsti come obbligatori nelle Indicazioni nazionali e il monte ore annuo destinato all’insegnamento della storia; in secondo luogo dalla struttura, a maglie molto strette, dei manuali in uso nei Licei; in terzo luogo, da una prassi didattica ormai consolidata, prevalentemente incardinata sull’uso di quei manuali e da essi fortemente condizionata.

    Il monte ore annuo

    mMnifestazione di operai e studenti nel 19682. Una manifestazione di operai e studenti nel 1968. Quanti studenti italiani a scuola imparano qualcosa sul ’68?

    Come è noto il monte ore annuo di storia negli ultimi tre anni dei Licei, con la sola eccezione del Liceo Classico, è di 66 ore. Prenderò per semplicità come riferimento la situazione dei Licei diversi dal Classico, sia perché hanno – nel loro insieme - un numero molto maggiore di iscritti, sia perché buona parte delle mie riflessioni potranno poi essere facilmente applicate, con piccole modifiche dei parametri quantitativi, anche ai piani di lavoro dei Licei classici. Cominciamo col dire che le 66 ore previste dal piano di studi ministeriale sono puramente teoriche. Come sanno tutti i docenti, molte delle ore ad essi spettanti in base al curricolo nazionale sono di fatto destinate ad altre attività previste dalla normativa scolastica – come le assemblee di classe o di istituto – o deliberate dagli organi collegiali: uscite didattiche, viaggi di istruzione, conferenze, interventi di esperti, ecc. Altre ore vengono sottratte da scioperi, occupazioni, autogestioni. Il monte ore annuo effettivo – nei Licei diversi dal Classico - è dunque alquanto più basso delle 66 ore previste dalle Indicazioni nazionali. In base alla mia personale esperienza ritengo che una stima ragionevole sarebbe di 56 ore.

    Le verifiche

    Occorre anche tenere presente che, di queste 56 ore, una parte consistente viene naturalmente dedicata alle verifiche. Immaginiamo una situazione standard in cui il docente di storia scelga di fare due giri di interrogazioni orali, uno nel primo quadrimestre e uno nel secondo, e due prove scritte di un’ora ciascuna, una per ciascuno dei due periodi dell’anno scolastico. Immaginiamo anche una classe standard di 24 studenti. Se stimiamo che in un’ora quel docente interrogherà in media tre studenti, occorreranno ben 16 ore per effettuare i due giri di interrogazioni orali. Considerando poi che le due prove scritte vanno anche riconsegnate e discusse con gli studenti e questo porta via in genere un’altra ora di lezione per ciascuna prova, si arriverà a un totale di 20 ore necessarie nell’arco dell’anno per effettuare tutte le verifiche. Sottraendo questa cifra al monte ore annuo effettivo di 56 ore, si ottengono 36 ore disponibili per le lezioni vere e proprie.

    Che cosa prescrivono le Indicazioni nazionali per il quinto anno dei Licei

    Immaginiamo ora, per semplicità di analisi, che i contenuti prescritti come irrinunciabili dalle Indicazioni nazionali per il terzo e il quarto anno siano stati effettivamente trattati nei tempi previsti e che quindi l’insegnamento della storia nel quinto anno del Liceo abbia inizio dal principio del ‘9007.

    Qual è l’estensione dei contenuti che devono essere svolti obbligatoriamente in queste 36 ore nel quinto anno?

    Le Indicazioni Nazionali per i Licei ci dicono che “nella costruzione dei percorsi didattici non potranno essere tralasciati i seguenti nuclei tematici”:

    1. l’inizio della società di massa in Occidente;
    2. l’età giolittiana;
    3. la prima guerra mondiale;
    4. la rivoluzione russa e l’URSS da Lenin a Stalin;
    5. la crisi del dopoguerra;
    6. il fascismo;
    7. la crisi del ‘29 e le sue conseguenze negli Stati Uniti e nel mondo;
    8. il nazismo;
    9. la shoah e gli altri genocidi del XX secolo;
    10. la seconda guerra mondiale;
    11. l’Italia dal Fascismo alla Resistenza e le tappe di costruzione della democrazia repubblicana.

    Si aggiunge poi che “il quadro storico del secondo Novecento dovrà costruirsi attorno a tre linee fondamentali”:

    1. dalla “guerra fredda” alle svolte di fine Novecento:
      1. l’ONU,
      2. la questione tedesca,
      3. i due blocchi,
      4. l’età di Kruscev e Kennedy,
      5. il crollo del sistema sovietico,
      6. il processo di formazione dell’Unione Europea,
      7. i processi di globalizzazione,
      8. la rivoluzione informatica,
      9. le nuove conflittualità del mondo globale;
    2. la decolonizzazione e la lotta per lo sviluppo in Asia, Africa e America latina:
      1. la nascita dello stato d’ Israele e la questione palestinese,
      2. il movimento dei non-allineati,
      3. la rinascita della Cina e dell’India come potenze mondiali;
    3. la storia d’Italia nel secondo dopoguerra:
      1. la ricostruzione,
      2. il boom economico,
      3. le riforme degli anni Sessanta e Settanta,
      4. il terrorismo,
      5. Tangentopoli e la crisi del sistema politico all’inizio degli anni ‘90.

    È bene precisare che queste indicazioni valgono per tutti i Licei, indipendentemente dal loro indirizzo. In sintesi, esse prescrivono come obbligatori ben 11 nuclei tematici relativi alla storia della prima metà del Novecento e altri tre percorsi relativi alla seconda metà del secolo scorso, a loro volta articolati in ben 17 argomenti, alcuni dei quali (il crollo del sistema sovietico, il processo di formazione dell’Unione Europea, la globalizzazione, la nascita di Israele e la questione palestinese, Tangentopoli e la crisi del sistema politico italiano negli anni ‘90) sono talmente ampi e complessi da rappresentare in realtà altrettanti nuclei tematici a sé stanti. Accorpando tra loro, per quanto possibile, alcuni degli argomenti relativi al secondo Novecento, se ne potrebbero ricavare non meno di 11 nuclei tematici8, da aggiungere agli undici precedenti. I nuclei tematici sarebbero perciò in totale almeno 229.

    Una evidente sproporzione

    La caduta del muro di Berlino3. La caduta del muro di Berlino (novembre 1989). Il crollo del comunismo nei paesi dell’Europa orientale e nell’Urss è un elemento indispensabile alla comprensione del mondo di oggi.

    Avendo a disposizione per trattarli circa 36 ore di lezione effettive, noi dovremmo trattare ciascuno di essi in un’ora-due ore al massimo.

    Tralascio completamente, per ora, la questione dell’educazione civica perché al momento non è chiaro in quale misura se ne dovranno occupare i docenti di storia. È evidente comunque che l’obbligo di dedicare formalmente alcune ore di storia all’educazione civica (o di cederle ai colleghi di diritto) per un verso non fa che aggravare la situazione che sto illustrando, mentre, per un altro verso, potrebbe facilitare lo studio degli sviluppi storici del mondo contemporaneo. Infatti alcune delle tematiche indicate dalla legge che istituisce “l’insegnamento trasversale dell’educazione civica”, come ad esempio la Costituzione italiana e le istituzioni dello Stato italiano e dell'Unione europea, sono anche conoscenze storiche e concorrono indubbiamente ad una migliore comprensione del mondo contemporaneo.

    I manuali scolastici

    La difficoltà di affrontare in modo adeguato una gamma così ampia di contenuti in poche ore è accentuata inoltre dalle caratteristiche dei manuali in uso nei Licei, che in genere trattano tutti gli argomenti previsti dalle Indicazioni nazionali in modo assai analitico e uniforme. Di conseguenza è assai difficile per il docente trattare un argomento – poniamo la Prima guerra mondiale o il regime fascista – senza assegnare allo studente la lettura e lo studio di un cospicuo numero di pagine10.

    La prassi didattica

    L’attacco alle Torri Gemelle4. L’attacco alle Torri Gemelle (11 settembre 2001). Un evento di fondamentale importanza<br> nella storia degli anni Duemila.

    È comunque una prassi assai diffusa e radicata nei Licei quella di trattare tutti i principali argomenti relativi alla storia della prima metà del ‘900 in modo abbastanza analitico e omogeneo secondo un canone ormai consolidato, non di rado aggiungendo alla tradizionale lezione frontale anche la lettura e l’analisi di alcuni documenti.

    È quindi a causa di questo complesso insieme di fattori che la maggior parte dei docenti dei Licei conclude i programmi del quinto anno arrivando al massimo a trattare alcuni argomenti relativi agli anni Cinquanta e Sessanta del ‘900.

    Perché non si può omettere di trattare la storia contemporanea

    Questo modo di procedere, sebbene da una parte possa apparire giustificato dall’incoerenza, o dalla scarsa chiarezza (come vedremo più avanti), delle Indicazioni Nazionali, dall’altra parte è, a mio avviso, assai insoddisfacente e criticabile, per molte ragioni, tra le quali la principale è, secondo me, la seguente: se lo studio della storia, a livello scolastico (ma non solo), ha tra le sue finalità principali e non eludibili la comprensione del presente, non è assurdo che a scuola ci si soffermi (relativamente) così a lungo sulla storia antica, medioevale e moderna, e non si tratti per nulla (o quasi per nulla) la storia contemporanea? Dove per storia contemporanea si dovrebbe ormai intendere quella che va dagli anni Sessanta-Settanta fino a oggi, perché non ha alcun senso considerare come nostri contemporanei gli uomini vissuti all’epoca della prima guerra mondiale o durante il ventennio fascista; non tanto per il tempo trascorso, quanto per le enormi, profonde trasformazioni politiche, economiche, sociali e culturali sopravvenute negli ultimi cinquanta-sessant’anni.

    Lo studio della storia veramente contemporanea è poi fondamentale ai fini dell’educazione alla cittadinanza, o educazione civica, come ora dovremmo tornare a chiamarla dopo l’approvazione della legge 20 agosto 2019. Lo studio della storia contemporanea è già, in se stesso, una forma di educazione civica. Inoltre, quale disciplina, se non la storia, può aiutare a inquadrare in una adeguata prospettiva storica temi e problemi dell’educazione civica, come quelli connessi all’intelaiatura costituzionale e legislativa del nostro Stato, dell’Unione Europea e degli organismi internazionali?

    Che cosa dicono effettivamente le Indicazioni Nazionali

    Le Indicazioni Nazionali, a onore del vero, non dicono che si devono trattare in modo approfondito i nuclei tematici sopra elencati, ma solo che non si possono “tralasciare”. Questa espressione ambigua può essere variamente interpretata, ma a me sembra del tutto legittimo interpretarla anche in questo modo: gli studenti alla fine del quinto anno non possono non sapere nulla della prima guerra mondiale, della rivoluzione russa, del fascismo, ecc., mentre potrebbero non conoscere affatto eventi particolari come, ad esempio, la battaglia della Somme, la NEP o il delitto Matteotti. Gli studenti devono sapere qualcosa riguardo ai temi indicati come imprescindibili, ma sta poi alla singola scuola e/o al singolo docente stabilire quale debba essere il grado di approfondimento di ciascun tema e se, oltre ai temi indicati, sia opportuno trattarne anche altri; e, soprattutto, spetta ai docenti fornire agli studenti le griglie e gli strumenti interpretativi che, a partire dagli eventi del passato, aiutino a comprendere il presente, mostrando agli studenti in modo concreto e attraverso esempi significativi in che modo questa operazione può avvenire.

    Un pregiudizio cronologico-storicistico

    Mi pare inoltre che la prassi didattica in uso nei Licei derivi anche da un pregiudizio di origine storicistica, ovvero dalla radicata convinzione che solo dopo aver studiato a fondo una determinata epoca storica si possa comprendere quella successiva. Questa convinzione non è, ovviamente, priva di fondamento. Infatti, non c’è dubbio che uno studente che non sapesse assolutamente nulla del fascismo, della rivoluzione russa e della seconda guerra mondiale, avrebbe difficoltà a comprendere la guerra fredda. Ma può benissimo comprenderla anche se non ha studiato, o non ricorda bene, la legge Acerbo, la notte dei lunghi coltelli o la battaglia delle isole Midway. Inoltre alcune preconoscenze indispensabili allo studio di un determinato argomento possono essere fornite, o richiamate, quando si introduce quell’argomento o mentre lo si svolge.

    Come risolvere il problema: anzitutto dividere in tre periodi gli ultimi cento anni

    Shanghai5. Shanghai, città simbolo del boom economico cinese degli ultimi decenni. La rinascita della Cina e dell’India come potenze mondiali è uno degli argomenti prescritti come obbligatori nelle Indicazioni nazionali per i Licei.

    Fatte queste premesse, a me pare che sia possibile e opportuno dare maggiore spazio alla storia degli ultimi cinquanta - sessant’anni. A mio avviso si potrebbe procedere in questo modo. Occorre anzitutto dividere il monte ore annuo effettivo in modo da destinare più o meno lo stesso numero di ore ai tre principali periodi in cui larga parte della storiografia suddivide la storia del Novecento e del primo ventennio del nostro secolo11. Nelle parole di Cesare Grazioli «nella storia degli ultimi cent’anni ci sono state tre epoche distinte:

    1. il trentennio compreso tra le due guerre mondiali, che fu anche l’epoca del colonialismo, della Grande Depressione e dei totalitarismi;
    2. il trentennio post-bellico, fino ai primi anni ’70: quello della prima guerra fredda, della decolonizzazione e della “bomba demografica”, della “età dell’oro” per l’Occidente e del sistema di Bretton Woods;
    3. l’epoca attuale, cioè il mondo globalizzato, i cui tratti divennero ben visibili negli anni ’80 e alla cui formazione contribuirono fatti e processi diversi, distribuiti tra i primi anni ’70 e i primi ’90: la fine di Bretton Woods e le crisi petrolifere, le rivoluzioni tecnologiche della Silicon Valley, la deregulation, la finanziarizzazione e la delocalizzazione dell’economia, le “Quattro modernizzazioni” di Deng Xiaoping in Cina (e poi quelle indiane) e l’implosione del mondo sovietico, l’Unione europea …».12

    Considerando però che i primi due nuclei concettuali previsti dalle Indicazioni nazionali (l’inizio della società di massa in Occidente; l’età giolittiana) non rientrano nella storia degli ultimi cento anni e che essi posso essere trattati in modo abbastanza rapido all’inizio dell’anno scolastico, il monte ore annuo effettivo potrebbe essere suddiviso in questo modo:

    1. l’inizio della società di massa, l’età giolittiana: 3 ore;
    2. il periodo 1914-45: 11 ore;
    3. il periodo 1945-73: 11 ore;
    4. il periodo 1973-tempo presente: 11 ore.

    In pratica, questo equivale a dire che l’articolazione del piano di lavoro del docente nell’arco dell’anno dovrebbe essere più o meno la seguente:

    • settembre-dicembre: periodo 1900-1945;
    • gennaio-febbraio: periodo 1945-73;
    • marzo-aprile: periodo 1973-tempo presente (dando per scontato che il mese di maggio sarà dedicato prevalentemente alle verifiche di fine anno e al ripasso in vista degli esami).

    Se il piano di lavoro del docente avesse fin dall’inizio questi vincoli, e ad essi ci si attenesse in modo abbastanza rigoroso, vi sarebbero buone probabilità di poter offrire alla propria classe una soddisfacente ed equilibrata visione d’insieme della storia degli ultimi cento anni.

    Due (o tre) strategie possibili

    Naturalmente il problema è come riuscire a trattare in modo adeguato e significativo in poco tempo una mole di contenuti di per se stessi assai ampi, complessi e problematici. A mio avviso le strategie possibili, in linea teorica, sono due (o al massimo tre).

    La prima strategia

    Nulla vieta di svolgere un piano di lavoro, impostato come sopra si è detto, in modo abbastanza tradizionale, con lezioni frontali accompagnate da approfondimenti che gli studenti svolgerebbero in modo autonomo, a casa, utilizzando prevalentemente il libro di testo. Se le pagine del libro di testo sono troppe, è possibile saltarne alcune parti, o meglio ancora ricorrere per alcuni argomenti alle sintesi proposte alla fine di ogni capitolo o unità didattica, oppure a testi sintetici prodotti dal docente stesso. Se a questo lavoro aggiungessimo la lettura di qualche ulteriore testo di approfondimento, alla fine dell’anno scolastico avremmo probabilmente fornito agli studenti le conoscenze indispensabili per affrontare l’esame di Stato e per orientarsi in modo abbastanza adeguato rispetto alle problematiche e alle prospettive del mondo attuale.

    La seconda strategia

    Se però volessimo sviluppare in modo più specifico e più sostanziale le abilità e le competenze legate all’acquisizione e all’utilizzo delle conoscenze storiche, potremmo anche seguire un approccio alternativo. Potremmo infatti, da un lato, trattare in modo estremamente sintetico tutti i nuclei tematici prescritti dalle Indicazioni Nazionali, e dall’altro lato approfondire - per ciascuno dei tre periodi principali sopra indicati - due o tre argomenti al massimo. Andremmo quindi a trattare in modo approfondito da sei a nove argomenti l’anno. Gli approfondimenti potrebbero comprendere attività laboratoriali, studio di fonti e documenti storici, visione di documentari, discussioni su problemi storiografici o legati all’attualità. Nei limiti del possibile, questi moduli di approfondimento dovrebbero essere organizzati in modo da dare spazio a ricerche autonome degli studenti, da svolgere sul libro di testo o eventualmente su altri materiali indicati o predisposti dal docente.

    Lo scopo di questo tipo di attività sarebbe naturalmente quello di indurre gli studenti a fare qualcosa di diverso dalla pura e semplice memorizzazione ed esposizione orale o scritta dei contenuti proposti dal libro di testo o dal docente. Gli studenti dovrebbero essere sollecitati a ragionare in modo autonomo sulle cose che leggono, creando collegamenti tra i fatti del passato e i problemi o i dibattiti attuali. Dovrebbero insomma essere educati a “pensare storicamente”.

    Ogni docente potrebbe scegliere e impostare i propri approfondimenti in totale autonomia, oppure in collaborazione col proprio Consiglio di classe, o con altri colleghi della stessa materia.

    Una strategia intermedia

    Nulla vieta naturalmente di seguire una strada intermedia tra le due che ho proposto come alternative, ad esempio inserendo una sola attività di approfondimento in ciascuno dei tre moduli di undici ore. Qualunque altra combinazione potrebbe andar bene se pensata dal docente all’interno di un piano di lavoro dotato di organicità e coerenza.

    Conclusione

    Il modello che propongo è estremamente aperto e flessibile. L’unico suo punto fermo è la divisione in tre porzioni uguali della parte del monte ore annuo dedicata agli ultimi cento anni, in modo tale che sia trattata adeguatamente anche la storia dell’ultima parte del Novecento e degli inizi del nostro secolo.

    Il principale ostacolo alla realizzazione di questo approccio sta nella difficoltà di progettare in anticipo un piano di lavoro alternativo a quello tradizionale e nella necessità di reperire o produrre materiali didattici diversi da quelli proposti dal libro di testo (specialmente se si adotta la seconda strategia o quella intermedia). Oltre alla collaborazione tra docenti, le suggestioni, i materiali, i percorsi didattici offerti dalle moltissime pubblicazioni, riviste e siti di didattica della storia fornirebbero senz’altro un valido supporto: a cominciare naturalmente dal contributo offerto da “Historia ludens” e dalla rete di scopo LabSto21. E non trascurerei il fatto che, come tutte le ricerche dimostrano, la storia contemporanea suscita di per se stessa maggiore interesse – e quindi anche maggiore collaborazione e partecipazione - da parte degli studenti. Varrebbe la pena almeno di provare …

    NOTE

    1. Infatti, mentre le Indicazioni Nazionali riguardanti gli Obiettivi Specifici di Apprendimento per i Licei indicano, e scandiscono cronologicamente, una serie di eventi e argomenti canonici della storia del Novecento da trattare obbligatoriamente, nulla di simile avviene nelle Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli Istituti Tecnici e Professionali, nelle quali si invitano i docenti a trattare la storia del Novecento con un approccio tematico del tutto svincolato dalla successione cronologica dei principali fatti storici (si vedano gli allegati al testo delle due Direttive emanate dal MIUR in data 16 gennaio 2012, rispettivamente per gli Istituti Tecnici e per gli Istituti Professionali).

    2. Ho esaminato i Documenti di presentazione delle classi quinte alle Commissioni d’esame per l’anno scolastico 2018-19 di sei diversi Licei romani per un totale di 55 classi, appartenenti a diversi indirizzi (classico, scientifico, linguistico, scienze umane, musicale).

    3. Per non complicare eccessivamente la presentazione dei dati, ho inserito in questa colonna anche due classi che si sono fermate al ventennio fascista, senza trattare la seconda guerra mondiale.

    4. Fino alla dissoluzione dell’Urss nel 1991.

    5. Dal 1992 in avanti.

    6. I dati della Tabella 2 si riferiscono agli argomenti trattati, in sequenza cronologica, nei programmi di storia. Non sono stati presi in considerazione gli argomenti trattati sotto la voce “Cittadinanza e costituzione”, sia perché facenti parte di un percorso che si aggiunge e si affianca a quello più propriamente storico e non è sempre affidato al docente di storia, sia perché in ogni caso tali argomenti non si possono agevolmente inserire nello schema proposto nella Tabella 2. È evidente infatti che l’aver trattato, ad esempio, le istituzioni dell’Unione Europea nell’ambito di “Cittadinanza e costituzione” non significa necessariamente che la classe è arrivata col suo programma di storia alla fine del ‘900.

    7. In realtà questa situazione ottimale, come abbiamo già visto, in parecchi casi non si verifica. Nel campione da me esaminato, oltre la metà delle classi (33 su 55) sono partite dalla prima o dalla seconda metà dell’800 piuttosto che dagli inizi del ‘900 (vedi la Tabella 1).

    8. Si potrebbero infatti accorpare tra loro gli argomenti alle lettere a-b, c-d, h-i del primo percorso, gli argomenti b-c del secondo percorso, e gli argomenti a-b, c-d del terzo percorso.

    9. Anzi probabilmente sarebbero anche di più, perché non si capisce come si possa affrontare un tema complesso e importante come quello della decolonizzazione facendo riferimento soltanto alla nascita di Israele, alla questione palestinese e al movimento dei non-allineati, senza trattare l’argomento anche in termini generali e senza menzionare affatto vicende come la conquista dell’indipendenza da parte dell’India, del Vietnam, o dell’Algeria. La stessa cosa si potrebbe dire riguardo alla “lotta per lo sviluppo in Asia, Africa e America latina” che non riguarda soltanto l’India e la Cina.

    10. Sui manuali recenti si vedano gli articoli ad hoc pubblicati in Pensare storicamente. Didattica, laboratori e formazione, a cura di Salvatore Adorno, Luigi Ambrosi e Margherita Angelini, Franco Angeli, 2020.

    11 Sono molti ormai gli studi storici che insistono sull’importanza degli anni Settanta-Ottanta del Novecento come momento di svolta fondamentale nella storia contemporanea. Oltre che nel Secolo breve di Eric Hobsbawm, questa linea di pensiero è presente anche in Tommaso Detti-Giovanni Gozzini, L’età del disordine. Storia del mondo attuale. 1968-2017, Bari-Roma, Laterza, 2018; Fulvio Cammarano – Giulia Guazzaloca – Maria Serena Piretti, Storia contemporanea. Dal XIX al XXI secolo, Milano, Mondadori, 2015; Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Milano, Bompiani, 2014 (ed. orig.: Le capital au XXIesiècle, Editions du Seuil, 2013).

     

    12. Questa suddivisione è abbastanza simile a quella proposta recentemente da Antonio Brusa, che però è inserita in una più generale rimodulazione del curricolo delle scuole superiori e prevede un quarto modulo dedicato al tempo presente.

    Fonti fotografie

    Foto 1   Foto 2   Foto 3   Foto 4   Foto 5

  • Uno su cento. Il tema storico alla prova della maturità

    di Antonio Brusa

    Il tema di storia sparisce o no?

    «Ragazzi, so che state aspettando le indicazioni sul nuovo esame di #maturità2019 e posso finalmente dirvi che ci siamo! Qui trovate tutte le informazioni», cinguettò il ministro Marco Bussetti, il 4 ottobre 2018, annunciando i risultati della Commissione sulla riforma degli esami di Stato, presieduta da Luca Serianni, nella quale, fra i tanti provvedimenti, c’è quello dell’eliminazione di una delle due prove di storia, quella denominata “tipologia C”. Era la prova esclusivamente dedicata a questa disciplina. Ma non l’unica. Nella “tipologia B”, quella del saggio breve, era prevista un’altra prova di storia: questa dovrebbe rimanere, per quanto nella nuova configurazione del “commento a un testo argomentativo”. Uso il condizionale, perché occorrerà attendere ulteriori ordinanze applicative per sapere come andrà a finire (qui si trova il documento di lavoro della Commissione e qui le prime indicazioni operative)

    Tanto più che, reagendo con prontezza alle proteste, il ministro ha lasciato intendere che, addirittura, tutte e tre le prove del testo argomentativo potranno riguardare la prova di storia. Tre prove al posto di due, sembra rispondere agli storici, direttamente dalle colonne di Facebook, come ormai usa nelle comunicazioni politiche. Dai microfoni di Fahrenheit, un Serianni più prudente tenta di rassicurare la storica Simona Colarizi, promettendole che certamente la storia non mancherà fra le tracce a scelta, dal momento che è una materia troppo importante, e, con ogni probabilità, sarà presente anche negli altri ambiti.

    La polemica nei media

    Marco Bussetti ministro dell'IstruzioneIl ministro dell'Istruzione Marco Bussetti

    A fare notizia, tuttavia, è la sparizione della “tipologia C”. Fra i primi a commentare, Vittorio Zucconi, di “Repubblica”: che twitta: «Ottima idea quella di eliminare il tema storico alla Maturità. Anzi, aboliamo del tutto l'insegnamento della Storia così sarà più facile ripeterla».

    La protesta delle Associazioni degli storici italiani giunge a stretto giro di posta. È stata eliminata una prova tradizionale, che non era mai stata messa in discussione, scrivono gli studiosi. E accusano: il governo accelera, «forse senza rendersene conto, un processo già in atto di riduzione del significato dell’esperienza del passato come patrimonio di conoscenze per la costruzione del futuro». Prende decisioni che riguardano la storia senza sentire il bisogno di «consultare storici, insegnanti, studenti». Così concludono gli studiosi, invitando il ministro a tornare sulle sue decisioni.

    Gli interventi in rete in difesa della storia si moltiplicano. Sono professori, storici e intellettuali – Fulvio Cammarano, Andrea Giardina, Liliana Segre fra questi – cittadini comuni, come quel signore di Laveno Mombello che invia al capo del governo una lettera accorata a sostegno della disciplina, in nome di Sepùlveda, Dante e Le Goff. Tutti condividono il timore che l’eliminazione della prova specifica di storia porti al declassamento di una materia, da sempre considerata centrale nella formazione. È, scrivono in molti, assestare un duro colpo a una disciplina necessaria per capire la nostra società e per attivare le capacità critiche degli individui. Forse è per questo motivo, qualcuno commenta, che la storia fa paura.

    Non mancano, però, gli interventi a favore, a cominciare dai 229 cuoricini che palpitano al cinguettio del ministro. Spiega Katia Russo, studentessa di lettere moderne: «Se da una parte si può ammettere che per un bel numero di studenti la storia rappresenti una delle materie, se non la materia più noiosa, dall’altra parte c’è però un punto a vantaggio dei ragazzi. Infatti, molto spesso accade che i ragazzi conservino la traccia di storia qualora fossero in difficoltà, ma quando poi si presentano all’esame e leggono cosa il tema di storia richiede loro, si sentono ancor di più in svantaggio. Questo perché è sempre capitato che il tema di storia trattasse argomenti relativi alla seconda metà del Novecento, spesso non affrontati in classe per mancanza di tempo e presentato comunque con documenti di difficile interpretazione, spesso non alla portata degli studenti».

    Così stanno le cose, conclude la studentessa, anche se si premura di aggiungere, «sappiamo che la storia è una materia importante», facendo eco, forse inconsapevolmente, alle parole di Luca Serianni che, intervistato – prima della comunicazione dei risultati del lavoro della sua Commissione – sul disamore per la prova di storia, ammette anche lui sconsolato: «È un vero peccato, perché la storia è molto formativa».

    Un passo indietro

    Che cosa c’è che non va in questi temi? Per avere un’idea un po’ più chiara, diamo una scorsa alle tracce, dal 1999 al 2017, come le ricavo da www.studenti.it.

    Di quelle che mi ricordano i miei anni, trovo appena un Mazzini (2006) e un Giolitti che, un tempo best seller della maturità, si dilegua dopo la sua ultima apparizione giusto agli inizi di questo secolo. Poi leggo tracce che riguardano il Novecento, anzi – con decisione - la parte più recente del Novecento, dalla Seconda Guerra mondiale fino ai giorni nostri.

    Scorrendole tutte e 38 – metto insieme quelle delle due tipologie di prove – trovo argomenti generali, come la cittadinanza mondiale (2003) o il Mediterraneo (2015) e fatti specifici, come la Guerra Fredda (2005) o il miracolo economico (2017). Temi caldi, come l’Olocausto (2000 e 2012), le foibe (2010), il terrorismo di stato e no (2003 e 2013). Non mancano temi di geopolitica quali il confronto fra Europa e Usa (2005) e quello fra Onu, Nato e Ue, dell’anno successivo; aperture alla storia sociale e economica, come il rapporto fra Stato e Mercato (2013) e il Welfare del 2002, o il problema dei beni comuni (2012). I ragazzi vengono invitati a parlare di loro stessi per ben due volte (2010 e 2011), oppure delle donne (2001, 2008), mentre l’Europa primeggia in questa classifica, con almeno cinque nomination (2001, 2004, 2005, 2006, 2014).

    Ecco l’elenco completo degli argomenti. Nudi e crudi in modo che si possa valutare la loro distribuzione cronologica (sul sito potrete recuperare le tracce complete, differenziate per tipologia di prova).

    1999 Primo dopoguerra Resistenza al Nazismo
    2000 Olocausto Giolitti
    2001 Emancipazione femminile UE
    2002 Giovanni XXIII Welfare
    2003 Cittadinanza mondale Terrore e totalitarismi
    2004 Il Novecento UE
    2005 Guerra fredda Europa e Usa
    2006 Mazzini ONU, Nato, UE
    2007 Costituzione Decolonizzazione e emigrazione
    2008 Costituzione Cittadinanza femminile
    2009 Storia d'Italia Muro di Berlino
    2010 Giovani Foibe
    2011 Giovani Secolo breve
    2012 Bene comune Olocausto
    2013 Stato e mercato Terrorismo
    2014 UE Confronto tra 1914 e 2014
    2015 Mediterraneo Resistenza
    2016 Femminismo Paesaggio
    2017 Ecologia Miracolo economico

    Questi argomenti, per quanto accuratamente variati nelle scelte e, naturalmente, di diverso valore e grado di difficoltà, sono accomunati da due caratteristiche. La prima, che ho già anticipato, è che oltre 30 tracce riguardano una storia vicina ai nostri giorni. Una storia “molto contemporanea”, dovremmo dire. La seconda, meno evidente - perché bisogna leggere i commenti, e scoprirla con sgomento anno dopo anno -, è che queste tracce sono svolte da una esigua pattuglia di ragazzi. Qualcuna un po’ più fortunata, altre di meno: ma la storia, sia nella tipologia del saggio breve, sia in quella più tradizionale del tema, occupa gli ultimi posti delle settanta prove proposte.

    Non è che gli studenti si precipitassero a svolgere il tema di storia ai tempi in cui trionfava Giolitti (ci si attestava, se ricordo bene, intorno al 5%), ma stazionare fra il tre e l’uno per cento, e andarci anche sotto – come appare da questo elenco - significa che la storia è scomparsa, di fatto, dall’orizzonte dei ragazzi che sostengono la maturità.

    D’altra parte, basta andare indietro di qualche mese, al momento dell’esame (2018), per trovare proprio «Repubblica» che picchia duro sull’esame di storia: Tracce da incubo, titolava chiedendosi quale sarebbe stato lo spauracchio che il ministro aveva in serbo per terrorizzare i candidati. E, per dare corpo alle paure, ricordava i tristi exploit degli anni passati, da quello della ministra Mariastella Gelmini che toccò il fondo con le foibe (tema scelto dallo 0,6% degli studenti), alla performance della ministra Maria Chiara Carrozza, che col suo 1,4% si piazzò fra i campioni di questa classifica sconfortante.

    Il problema del tema di storia

    A scanso di equivoci: le proteste restano giuste. L’eliminazione della prova di storia ha uno straordinario valore simbolico, che gli storici iscrivono a ragione in quel percorso di emarginazione della disciplina iniziato con la decimazione oraria, ordinata dalla ministra Gelmini ai danni della storia (ne pubblicai i dati disastrosi nell’Editoriale di «Mundus», 5-6, 2010). E, se quella passò nel silenzio assoluto della stampa e degli stessi storici, ben vengano le proteste attuali, segno di una nuova attenzione ai temi della scuola.

    Tuttavia, se è giusto preoccuparsi della perdita di simboli sacrosanti, è almeno altrettanto inquietante il fatto che la storia – ormai tradizionalmente, come ci dice la serie dei temi – non faccia parte delle scelte di esame della quasi totalità degli allievi. L’emarginazione, paventata nel documento delle associazioni storiche, è già avvenuta dentro la scuola, prima ancora che nelle stanze ministeriali. Nei fatti, la storia sparisce dagli esami ben prima della attuale falcidie di cattedre universitarie, che Simona Colarizi invoca come causa di questo sfacelo. Gli studenti non hanno aspettato Bussetti, per eliminarla. «I buoi sono scappati dalla stalla», commenta amaramente Paolo Ceccoli, vice presidente di Euroclio, scrivendo alla lista dell’Associazione di Public History. Esame di maturitàEsame di maturità Oscillare fra il tre e l’uno per cento: a guardare le cose con un pizzico di cinismo, che differenza fa avere due prove di storia o una soltanto, se poi in pochi si danno la pena di prenderle in considerazione? E, se avessero successo le proteste, che senso avrebbe riportare in vita la prova di tipologia C, se poi questa continuasse a essere evitata come la peste?

    «Non stiamo parlando di fenomeni commerciali – sbotta Andrea Giardina, presidente della Giunta centrale per gli studi storici – Non è che se il prodotto non tira, allora lo ritiro dal mercato. La risposta corretta non sarebbe togliere il tema di storia, ma chiedersi perché viene scelta poco, aumentare il numero di ore di storia dalle elementari, incentivare i ragazzi a studiarla. Ad esempio puntando sulla public history, la divulgazione fuori dagli ambienti accademici. Tanto più che gli spazi vuoti lasciati dalla storia sono sempre più riempiti dalle storie, quelle false, inventate da dilettanti: fenomeno inquietante».

    I siti degli studenti non contestano l’importanza della storia, ma ci forniscono un’altra diagnosi della sua crisi. I ragazzi non svolgono questi temi, perché i loro professori non li spiegano. Ne scriverebbero pure, del voto alle donne e della legislazione sulla famiglia, o del miracolo economico (e paradossalmente lo fanno, se, ad esempio, quell’argomento viene presentato come tema sociologico o di attualità) solo che – dicono gli studenti – poi all’orale ti interrogano sul tema, e sono guai. Non è solo la difficoltà della traccia di storia in quanto tale (sulla quale i siti per gli studenti si dilungano con presumibili effetti terroristici), o la noia per la disciplina (come ci capita di leggere nei commenti dei ragazzi).

    Ciò che questa sequenza di débacle ci sbatte sotto gli occhi non è una disaffezione generica alla storia (che pure esiste e andrà discussa), ma il fatto che nelle scuole italiane non si studia la storia del Secondo Dopoguerra; che la conoscenza della Repubblica italiana non fa parte delle incombenze sentite dai professori; che viviamo un periodo di straordinari cambiamenti, che i ragazzi conoscono solo attraverso i media e i social, senza poterne fare oggetto di indagine strutturata in classe. E questo disastro apparirà ancora più grave se si tiene conto di due fatti. Il primo, che la storia del Novecento è già quella più praticata dalla public history nostrana (basta scorrere l’elenco delle puntate delle trasmissioni televisive); il secondo è che l’unica inchiesta a nostra disposizione sulle preferenze storiche dei ragazzi ci dice che questi amerebbero studiare la storia presente e quella vissuta dai propri genitori, se solo qualcuno gliela spiegasse. (L. Cajani, Le nuove generazioni italiane e il senso della storia, “il Mulino”, 2001)

    Un problema di tempo o di ricerca didattica?

    Questo elenco di temi mostra che si tratta di un fenomeno ormai di lunga durata. È pertinente, quindi, la domanda che Mirco Dondi, storico bolognese, rivolge al ministro: che cosa ha fatto il Miur per contrastare questa tendenza? È lampante, infatti, che insistere sulla sola leva delle tracce non è bastato a spingere gli insegnanti a inoltrarsi nella spiegazione della storia più recente.

    Ma se il ministro rivolgesse la stessa domanda agli storici e alle loro associazioni?

    La storia contemporanea recente è una terra incognita, nella quale i docenti si muovono con diffidenza. Sanno di non disporre di una preparazione adeguata, sia dal punto di vista storiografico, sia da quello didattico. Come si trattano in classe argomenti caldissimi – dall’assassinio di Moro, a Berlusconi, alla crisi del 2008, all’esplosione del populismo, all’emigrazione e all’Islam odierni – sui quali spesso gli allievi si sono formati giudizi già consolidati? Come far capire argomenti, difficili quanto incombenti, quali la globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, la crisi dei territori, senza avere la spiacevole sensazione di ripetere, in fin dei conti, quello che si è ascoltato alla tv?

    Non è facile. Sei anni di lavoro con i colleghi di «Novecento.org» mi hanno reso consapevole, e lo avranno chiaro tutti i lettori della rivista, della grande quantità di problemi che la trattazione didattica di questi argomenti pone a un docente, e della necessità che questi venga assistito e “accompagnato” nell’affrontarli.

    Manca il tempo, suggerisce Emilio Gentile, commentando il tema del 2018, su De Gasperi e Moro (quello dell’ “incubo” di «Repubblica»). In moltissimi sarebbero d’accordo con lui . Ma il tempo mancava nel 1960, quando il ministro Manfredi Bosco portò la storia “ai nostri giorni”, e gli insegnanti si fermavano alla Marcia su Roma; mancava nel 1996, quando il ministro Luigi Berlinguer firmò il decreto sul Novecento, e gli insegnanti riuscirono a superare la Seconda guerra mondiale. Non è questione di tempo, ci dice con forza la storia della scuola, ma di nuove concettualizzazione, che permettano sguardi sintetici sul passato; di nuove gerarchie di fatti, che rassicurino il docente su ciò che è veramente importante e su cosa si potrebbe scartare, guardando il passato dal nuovo osservatorio del XXI secolo. Si tratta della revisione di una periodizzazione della storia scolastica, impostata nel 1800, e che non si può più aggiustare col cacciavite dell’esperienza professionale.

    Tutto questo – in termini di ricerca didattica e di formazione professionale – chiama in causa l’Università. Forse, la nutrita serie di convegni sull’insegnamento della storia che le Associazioni storiche hanno dispiegato negli ultimi due anni, rompendo un silenzio pluridecennale, e lo stesso documento di protesta, ci fanno sperare che, finalmente, si sta prendendo consapevolezza di questo dovere.

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