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Nel 2013 i siti web che ne parlavano erano un milione e 270 mila. Lo annotavo in un intervento di HL sulle foibe,  nel quale, sulla scorta di un lavoro di Luigi Cajani, raccontavo la dinamica di quel tragico fatto, la vicenda della sua memoria e le proposte didattiche che, al momento, erano state elaborate soprattutto (e quasi esclusivamente) dai colleghi degli Istituti Storici della Resistenza. Un lavoro che potrebbe essere letto e utilizzato in classe anche oggi: vi troverete, quasi inalterati, tutti i temi che agitano il dibattito odierno.


Nel frattempo le ricorrenze nel web sono aumentate. Oggi sono un milione e 520 mila. In sette anni se ne sono aggiunte ben 250 mila, a testimonianza di una crescente circolazione delle conoscenze su quei fatti. Molte di queste occorrenze, inoltre, riguardano interventi a sostegno o di critica di manifestazioni sulle foibe non scolastiche, ma aperte al pubblico. Nonostante ciò, la “composizione” di questa massa enorme non appare cambiata

. foiba

Federico Tenca Montini analizza il fumetto Foiba Rossa – Norma Cossetto storia di un’italiana, di Emanuele Merlino e Beniamino Del Vecchio (Ferrogallico 2018) http://www.novecento.org/author/federico-tenca-montini/

 

In testa c’è sempre Simone Cristicchi,  che sette anni fa esordiva con uno spettacolo che metteva in scena la tendenza all’oblio degli italiani e, sette anni dopo se ne continua a lamentare (con un’eco inalterata, come appare dalle graduatorie di Google). La differenza principale col passato è che, oggi, si avverte con chiarezza il contrasto fra chi vuole usare la Giornata del Ricordo come il pendant della Giornata della Memoria (“e allora le foibe”?) e interventi di storici e giornalisti, che – per quanto molto differenziati fra di loro: basti pensare alla distanza che intercorre fra Alessandra Kersevan e Raoul Pupo – tendono ad essere inclusi dagli avversari nella categoria dei “minimizzatori” se non dei “negazionisti”.


In questi sette anni, ancora, ci sono state tre ulteriori proposte di legge sul tema delle foibe e del “confine orientale”.
La prima, del 2014, venne avanzata dagli onorevoli Rampelli e Meloni.  Ripeteva il lamento sulla mancata memoria delle foibe, già contenuto nella Legge n. 92 del 2004, con la quale si istituiva la Giornata del Ricordo  e aggiungeva qualche richiesta, come il prolungamento dei finanziamenti allora stabiliti. La seconda, nel 2019, ancora dei deputati di Fratelli d’Italia, chiedeva di revocare la medaglia d’oro al Maresciallo Tito  ; la terza, del 2020, ad opera dell’onorevole Walter Rizzetto (sempre di FDL), , punta a modificare l’Art. 604-bis del Codice penale, aggiungendo al reato di apologia della Shoah anche quello “di apologia dei massacri e delle foibe” e, propone che a fare informazione e formazione su questo tema siano solo gli enti e le associazioni di esuli istriani e dalmati, escludendo da questo compito istituti storici, universitari e no. Un significativo cambiamento dalla legge originaria, che voleva favorire “da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende” (Art. 2).


Questa sequenza di leggi costituisce un autentico climax, iniziato nel 2004 con la volontà di recuperare la memoria delle foibe; proseguito dieci anni dopo con la denuncia della perdita di questa memoria e chiuso (per il momento) nel 2020 con la minaccia di mandare in galera quelli che ne ostacolano il ricordo. Come sa chiunque mastichi un po’ di storia, quando trovi una legge che viene ripetuta nel tempo, e ogni volta si fa più intimidatoria, si può stabilire tranquillamente che non funziona.


A che serve intestardirsi con queste leggi? Se lo sono chiesti in Francia, dove, in occasione del 90° anniversario della Prima guerra mondiale, il governo incaricò lo storico André Kaspi di svolgere un’inchiesta per valutare quale fosse l’impatto delle numerose leggi memoriali, varate in Francia dopo la prima e più celebre, contro il Negazionismo della Shoah. Scorrete il paragrafo sulle conseguenze di questa “inflazione memoriale” (p. 26). Vi troverete espressioni come “disinteresse generalizzato”, “autentica disaffezione”. E apprenderete che, nonostante il suo fallimento, quest’inflazione è una malattia destinata a peggiorare: “Questa moltiplicazione delle commemorazioni – denuncia il rapporto – non contribuisce affatto alla pace sociale. Al contrario, anzi, il “clientelismo” o il “comunitarismo” memoriale provocano rivendicazioni nuove e incessanti”.


Questo in Francia, dove almeno hanno cercato di valutare l’impatto sociale di questi investimenti memoriali. In Italia dobbiamo accontentarci di qualche segnale. Come l’inchiesta dell’Eurispes che ci informa – a proposito della Shoah - che i negazionisti nostrani sono passati dal 2,7 del 2004 al 15,6% di oggi, nonostante tutte le Giornate della memoria, i film, gli spettacoli e le manifestazioni che si sono susseguiti in questo scorcio di secolo, o come qualche caso sporadico ed estremo, tipo quello denunciato dallo storico Luigi Mascilli Migliorini di un suo allievo che non aveva mai sentito parlare di Auschwitz. 


Segnali parziali, ma non per questo meno sconfortanti. Del tutto fuori luogo incolpare le scuole di incompetenza (come fa Mascilli Migliorini, quasi cedendo a un riflesso condizionato, ahimè frequente nei colleghi universitari), perché è evidente che il peso della storia pubblica eccede di gran lunga quello della scuola, sia nel caso delle foibe, sia in quello della Shoah (oltre 17 milioni di ricorrenze su Google!). Ed è un peso in crescita esponenziale, dal momento che il passato è diventato un terreno di lotta politica, nella quale il primo interesse è quello di iscrivere nel calendario nazionale una propria giornata memoriale, e – successo politico straordinario! – imporla nei piani formativi delle scuole.


La contesa memoriale sembra essere una caratteristica strutturale delle società del XXI secolo. Forse questo mutamento era già avvenuto al tempo della promulgazione della prima di queste giornate il 20 luglio del 2000. In ogni caso, oggi è lampante, sotto gli occhi di tutti, cittadini comuni e studiosi. Ci impone una pausa di riflessione. Che cosa vogliamo? Che lo scontro memoriale si trasferisca nelle scuole? Che queste diventino uno dei tanti teatri, dove soggetti politici e gruppi di pressione di vario genere (etnico, religioso, politico) lottano per imporre la loro monumentalizzazione del passato? Oppure vogliamo che le scuole siano il luogo dove i cittadini imparano a studiare questa nuova forma della nostra società? Vogliamo che nelle nostre aule i cittadini vengano “educati alla memoria” di questo o di quello? Oppure che imparino a muoversi, liberamente e consapevolmente, in una società che sta trasformando il passato in un terreno – politico, economico e culturale - concretissimo e scottante?


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Historia Ludens è una associazione che si occupa di didattica della storia.

Fondata a Bari nell'estate del 1995 da docenti e laureati in Didattica della Storia e in discipline storiche.

Oggi è questo sito che si propone di raccogliere professori, studenti e ricercatori per discutere di didattica, scambiarsi materiali, comunicare soluzioni didattiche e analisi sull'insegnamento della storia.

 

HISTORIA LUDENS

Direttore: Antonio Brusa

Redazione: Antonio Brusa, Beniamino Caputo, Valentina Ventura

Comitato Scientifico: Luigi Cajani, Alessandra Ferraresi, Romana Scandolari, Rafael Valls, Andrea Zannini

André Leroy Gourhan (1911-1986)

 

 

Il Gesto e la parola

Dopo Evolution et Techniques, nei cui due volumi venivano ricercate le origini del lungo cammino che avrebbe portato, nel secolo scorso, alla civiltà delle macchine, Andre Leroi-Gourhan ci ha dato, con II gesto e la parola, (Torino, Einaudi 1077), anch'esso suddiviso in due parti, una eccezionale sintesi paleontologica ed etnologica (Tecnica e linguaggio), da un lato, sociologica ed estetica (La memoria e i ritmi), dall'altro, della progressiva «liberazione» della specie umana attraverso il suo comportamento materiale nello spazio e nel tempo (dalla liberazione della mano, dell'utensile, della forza, fino a quella della memoria). Una sintesi in cui il passato più remoto entra in rapporto diretto con il futuro più vicino, al di là della situazione dell'«uomo immediato» (quello del nostro fugace presente), ancora situato entro i confini dell'homo sapiens, quando il mito di un trasferimento cosmico ha già preso consistenza. «A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti - scrive l'Autore all'inizio del primo volume - una delle preoccupazioni fondamentali dell'uomo è stata la ricerca delle sue origini. Ancora oggi tutti gli uomini di cultura, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono». E, al termine del secondo volume, dopo avere respinto l'ipotesi apocalittica di una distruzione atomica, afferma fiduciosamente: «È meglio puntare sull'uomo. Possiamo immaginare l'uomo di un avvenire prossimo deciso, in seguito a una presa di coscienza, a restare sapiens. La specie è ancora troppo legata alle sue radici per non cercare spontaneamente quell'equilibrio che l'ha portata a diventare umana». È un'affermazione che può essere condivisa, anche se, liberato grazie alla sua stessa evoluzione, l'uomo della zoologia si trova «probabilmente al termine della sua carriera».

 

La “catena operativa” o l’algoritmo per la produzione degli strumenti litici

 

 

La “catena operativa” è l'insieme dei passi concatenati (sequenza dinamica) che si verificano nella produzione di artefatti litici, dalla raccolta delle materie prime fino al loro abbandono, passando attraverso le diverse fasi di fabbricazione, il loro utilizzo e la loro ricostruzione (affilatura, ravvivamento...) e il loro riutilizzo, se era il caso. Le catene operative permettono di stabilire diversi stili e strategie culturali, quindi sono uno strumento concettuale di inestimabile valore in preistoria e archeologia (da Wikipedia, sv)

 

Il rapporto “mano cervello” nelle parole di Leroy Gourhan

 

“La mano, in origine, era una pinza per tenere sassi; il trionfo dell’uomo è stato di trasformarla nell’esecutrice sempre più abile delle sue idee di fabbricatore. Dal Paleolitico superiore al secolo XIX, essa ha attraversato un interminabile apogeo.

Nell’industria svolge ancora una funzione essenziale, grazie a pochi artigiani che fabbricano pezzi utensili delle macchine davanti alle quali la massa operaia avrà solo una pinza a cinque dita per distribuire la materia o un indice per schiacciare un bottone. Si tratta però di uno stadio di transizione, perchè è chiaro che le fasi non meccaniche della fabbricazione delle macchine verranno eliminate a poco a poco. Poca importanza avrebbe che diminuisse la funzione di questo organo di fortuna che è la mano, se tutto non stesse a dimostrare che la sua attività è in stretto rapporto con l’equilibrio delle zone cerebrali che l’interessano.

Non saper fare nulla con le proprie dita non è una cosa preoccupante a livello della specie perchè passeranno molti millenni prima che regredisca un sistema neuromotorio così antico, ma sul piano individuale è ben diverso: non avere da pensare con le proprie dita equivale a fare a meno di una parte del pensiero normalmente, filogeneticamente umano. Esiste quindi fin da ora, a livello degli individui se non della specie, il problema della regressione della mano.”

Lewis Binford (1930-2011)

“L. Binford è stato un pioniere del movimento degli anni ’60, detto ‘New Archaeology”. La sua visione dell’approccio scientifico all’archeologia ha finalmente allontanato questa disciplina dalla semplice catalogazione delle storie culturali, avvicinandola all’uso dei metodi scientific, con lo scopo di spiegare i processi culturali e contestualizzarli nello spazio”


La New Archaeology può essere definita anche “archeologia processuale”: caratteristica di questo modo di fare archeologia è il ruolo centrale riconosciuto ai “processi culturali”, intesi come comportamenti umani fondamentali. Nella pratica archeologica questo si esprime in una crescente attenzione per i fattori ambientali e per i modelli di insediamento, a partire dal presupposto teorico secondo il quale le culture archeologicamente testimoniate vanno viste come sistemi da analizzare complessivamente. 

In Italia la New Archaeology ha trovato un seguito, peraltro limitato, esclusivamente fra gli studiosi di preistoria. La pretesa neutralità assoluta del ricercatore, il rifiuto della storia vista come ricostruzione di avvenimenti unici e irripetibili in grado di offuscare le grandi tendenze generali, il meccanicismo riduttivo delle interpretazioni hanno prodotto nell'archeologia italiana e, in genere, in quella mediterranea un vero rigetto culturale, che spiega la generalizzata scarsa adesione alle idee di Binford e dei suoi seguaci. Questo rifiuto ha però avuto anche un effetto negativo: la New Archaeology, nei Paesi in cui si è affermata, ha infatti avuto il merito storico di far entrare stabilmente nel bagaglio delle discipline archeologiche procedimenti e metodi nuovi, spesso derivati da altre scienze, oltre a costituire uno dei presupposti essenziali dello sviluppo della etnoarcheologia. Tali competenze restano invece ancora troppo poco diffuse in ambito mediterraneo, con un conseguente ritardo metodologico e tecnologico.

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