crisi del 1929

  • "The Migrant Mother". Le donne dell’America rurale nella Grande Depressione.

    Laboratorio con le fonti iconografiche

    (questo laboratorio segue l’articolo di Prampolini L'America della Grande Crisi e del New Deal nelle fotografie della collezione FSA della Library of Congress).

    di Antonio Brusa, Antonio Prampolini

     

    Indice

    A. Schede per l'insegnante

    B. Il percorso didattico

    C. Le Galleries

     

    A. Schede per l’insegnante (numerate per il percorso didattico)

    Immagine1Fig.1: Copertina del libro di Hariman e Lucaites, pubblicato nel 2007 per i tipi della University Chicago Press. Da quest’opera sono tratti i brani virgolettati qui riportati.a.1 La foto iconica

    “Non ha bisogno di didascalie”. È una foto che parla. Chi la guarda sa subito (o pensa di sapere) che cosa vuole comunicare. Così scrivono Robert Hariman e John Louis Lucaites, gli studiosi che per primi hanno studiato la foto iconica e hanno preso a modello lei, la “madre migrante”, la donna che riassume, per tutti gli americani, le sofferenze della Grande Depressione.

    La foto iconica è un’immagine che è familiare a molti, a volte a tutti. Il “bambino di Varsavia”, impaurito e con le mani levate, Mussolini a piazzale Loreto, Lenin che arringa la folla, il bonzo vietnamita in fiamme, i muratori che fanno colazione sulla trave di un grattacielo in costruzione, la ragazza che sorride sbucando dal foro di un giornale il giorno della Repubblica, i soldati che issano la bandiera americana a Iwo Jima… L’elenco delle foto iconiche è lungo due secoli e queste sono talmente note che il lettore le avrà riconosciute al solo citarle.

    Questa familiarità, e il fatto che siano “parlanti”, rendono queste foto dei documenti speciali per l’insegnamento. Catturano l’allievo e lo invitano a dialogare. Questo loro potere facilita l’avvio alla lettura critica dei documenti e, per di più, invita alla riflessione sui meccanismi della diffusione culturale nella nostra società.

    Historia Ludens ne ha già trattato, con la bibliografia di base necessaria, a proposito delle foto iconiche della guerra del Vietnam (cliccando The Saigon execution: "la foto che fece perdere la guerra" (Prima parte) e (Seconda parte), e The Saigon Execution. Il laboratorio a distanzasi troveranno i percorsi didattici relativi, anche digitali). Sono immagini talmente incisive che si scrisse che furono determinanti per la fine di quel conflitto.

     

    Immagine2Fig.2: Dorothea Lange, The Migrant Mother. Titolo originale: Raccoglitrice di piselli indigente in California. Madre di sette figli. Età: trentadue anni. Nipomo (California), marzo 1936, Scheda FSA: 2017762891 Fontea.2 Una foto che commuove

    Qui riprendiamo l’argomento con la foto di Florence Leona Thompson, la Migrant Mother, che Dorothea Lange scattò nel 1936, nel pieno della Grande Depressione. Era il tempo delle Dust Bowl, le “palle di polvere”, quei cespugli di rovi che rotolano nella pianura disseccata (li vediamo in tanti western) che dettero il nome alla catastrofe climatica delle pianure centrali americane. Dorothea Lange percorre la route 66, la strada della migrazione verso la California. Vede un cartello che indica un accampamento di raccoglitori di piselli. Non ci fa caso e prosegue. Poi ci ripensa. Marcia indietro, entra nel campo, nota la tenda con una donna e dei bambini. Scende dalla sua macchina e scatta alcune foto con la sua Graflex 4x5. Scambia qualche parola con la donna, le promette che non verranno pubblicate, e poi riparte per San Francisco.
    Appena arrivata, sviluppa le foto. Sono straordinarie. Le manda ai giornali e, una dopo l’altra, vengono pubblicate. Questa è quella che diventa “The Migrant Mother”.

    Queste scene di povertà suscitano la commozione generale. Lo stato della California interviene. Manda tonnellate di viveri ai migranti accampati. The Migrant Mother spopola su giornali e riviste. Continua a essere pubblicata anche quando la crisi finisce e scoppia la guerra. Diventa iconica. È il simbolo dell’America che soffre, ma sa resistere. E circola ancora nel dopoguerra, quando gli USA si affermano come la prima potenza economica (e non solo) del mondo. Nel cimitero di Modesto, la città dove Florence andò ad abitare e dove morì, la lapide la celebra come “La Madre Migrante, una leggenda della forza della maternità americana”.

     

    Immagine3Fig.3: Tomba di Florence Leona Thompson, Modesto (California) Fontea.3 Perché questa foto diventa iconica?

    La foto diventa “l’immagine dominante nella memoria collettiva della Grande Depressione. Questo ruolo è in gran parte istituzionale: sono i libri scolastici, le esposizioni museali, i francobolli, le pagine web didattiche e gli altri media che mettono a punto una narrazione nazionale per un pubblico popolare” […]

    L'icona sembra essere diventata un modello di gente che ha bisogno. Negli anni '70, fu fatta propria da un artista delle Pantere Nere, un movimento di protesta nato nel 1966, che la trasformò in un disegno che razzializzava la madre e i suoi figli, rendendoli afroamericani. Il disegno enfatizzava la razza, un tema tipicamente represso nella memoria collettiva statunitense della Grande Depressione, ma la didascalia richiamava l'attenzione sul rapporto tra razza e oppressione economica, un problema che persisteva per gli afroamericani dopo che i successi iniziali del movimento per i diritti civili iniziarono a passare in secondo piano: "La povertà è un crimine e il nostro popolo ne è la vittima" […]

    Questa variazione dell'immagine si estende a una vasta gamma di gruppi etnici e argomenti, come risulta evidente da una ricerca su Google per "Madre Migrante". Questa ricerca ci restituisce immagini di donne povere con figli che lottano contro povertà, dipendenza e migrazione forzata. Le madri vanno da ispaniche ad asiatiche, a volte i loro figli sono allattati (al seno sinistro, come stava facendo Florence prima di farsi fotografare) e a volte sono tenuti in braccio (come nell'icona) […]

    La diffusione della foto come icona genera anche ulteriori impieghi. L’immagine di Florence venne scollegata dalla realtà storica e diventò l’icona intemporale della resilienza delle donne americane, se non dell’America stessa. E così come accade a ogni icona, è stata continuamente modificata, perfino per ottenere un effetto comico (anche se meno di altre foto iconiche)” (Robert Hariman e John Louis Lucaites). (Queste foto sono nella Gallery C1)

     

    a.4 L’analisi della foto

    “Scattata nel contesto della Grande Depressione, non è difficile notare come la fotografia catturi simultaneamente un senso di valore individuale e di vittimismo di classe. Il ritratto ravvicinato crea un momento di ansia personale mentre questa donna specifica, senza nome, cova silenziosamente le sue paure per i figli, mentre gli abiti sporchi e laceri e l'ambiente desolato simboleggiano il duro lavoro e le prospettive limitate delle classi lavoratrici.

    La disposizione del suo corpo – e soprattutto il gesto involontario del braccio destro che si alza per toccarsi il mento – comunica tensioni correlate. Vediamo sia la forza fisica che una preoccupazione palpabile: una mano capace di lavoro produttivo e un movimento distratto che implica l'inutilità di qualsiasi azione in circostanze così povere.

    Il resto della composizione comunica sia un atteggiamento difensivo riflessivo, poiché i corpi dei due bambini in piedi sono rivolti verso l'interno e lontano dal fotografo (come per un colpo imminente), sia un senso di ineluttabile vulnerabilità, poiché il corpo e la testa sono leggermente inclinati in avanti per consentire a ciascuno dei tre bambini il comfort di cui hanno bisogno, la camicia è sbottonata e il neonato addormentato è in una posizione parzialmente esposta”. (Robert Hariman e John Louis Lucaites)

     

    Immagine5Fig. 4: William Adolphe Bougeureau, Carità (1865), Birmingham museum. Fontea.5 La foto e la madonna

    La Migrant Mother richiama l’immagine della Madonna. Nel dipinto di Bougerau, la donna/Madonna ha lo sguardo perso nel vuoto, i bambini distolgono lo sguardo. Sono cenciosi. Il quadro ispira disperazione.

     

    a.6 Chi era Florence Leona Thompson?

    Non era un’americana “bianca”. Era una donna cherokee, la cui famiglia era stata costretta dai bianchi ad abbandonare le terre d’origine e a migrare in Oklahoma. Florence si era sposata due volte e aveva avuto in tutto sette figli.

    Era già emigrata una prima volta in California. Ora, nel 1936, vi tornava con tutta la famiglia, per cercare lavoro. Si era fermata nell’accampamento per un guasto al motore. Il marito era andato in città per cercare i pezzi di ricambio. Lei lo aspettava quando arrivò Dorothea e le chiese se poteva scattare delle foto. Poco dopo, anche lei partì per la città e non seppe nulla dei soccorsi che il governo della California inviò ai lavoratori accampati.

    Una volta giunta in città, la sua famiglia riuscì a trovare una sistemazione. Col tempo, comprarono casa, ma lei volle continuare a vivere in un camper. Aveva visto, finalmente, la sua foto sulla stampa. Non le era piaciuto. Scrisse anche ai giornali perché non venisse più pubblicata. Quando la intervistarono, molti anni dopo, si lamentò perché non aveva guadagnato nulla da quella foto.

     

    a.7 Chi era Dorothea Lange e perché scattò quella foto?

    Lange raccontò, anni dopo, che la decisione di fermarsi al campo dei raccoglitori di piselli fu fortuita. Stava tornando a casa in auto dopo un mese di lavoro, quando si imbatté in un cartello che indicava un accampamento. Cercò di ignorare il cartello e proseguire, ma dopo trenta chilometri fu costretta a tornare al campo "seguendo l'istinto, non la ragione". Scattò rapidamente sei fotografie della donna e dei membri della sua famiglia, iniziando da lontano e avvicinandosi sempre di più, come fa un fotografo ritrattista. Le sue foto apparvero per la prima volta sul “San Francisco News” il 10 marzo 1936, come parte di un articolo che chiedeva aiuti per i raccoglitori di piselli affamati. L'articolo fu un successo: vennero organizzati soccorsi e non c'è traccia di morti per fame.

    Questa storia dell'origine e dell'impatto della foto è, ovviamente, artefatta.

    Ogni icona acquisisce una narrazione standard, e spesso anche altre. La narrazione standard include un mito dell'origine, un racconto dell'accettazione o dell'impatto pubblico e una ricerca delle persone reali nella foto per fornire una conclusione al più ampio dramma sociale catturato dall'immagine. In questo caso, l'origine della foto è dovuta alla serendipità, non alla routine o all'abilità.

    Non si fa menzione del fatto che Lange lavorava per incarico del governo, né del fatto che la foto sia stata ritoccata per rimuovere il pollice della donna nell'angolo in basso a destra. Ancora più significativo, si sorvola sul fatto che la foto iconica non fu mandata all’archivio dello stato (come era nel contratto di Lange) ma sia stata pubblicata: violando l’accordo che Lange aveva preso con la signora Thompson.

    Le foto iconiche si ammantano di narrazioni mitiche: Lange diventa un veicolo poetico per l'azione di forze storiche e politiche (il New Deal); mobilitando l'opinione pubblica, il fotografo fornisce l'impulso all'azione collettiva. "L'esempio principe di come spingere qualcuno a fare qualcosa è 'Madre Migrante'".(da Robert Hariman e John Louis Lucaites)

     

    a.8 L'agricoltura americana nella Grande Crisi

    Negli anni Trenta l'agricoltura americana si trovava in uno stato di profonda crisi economica e sociale a causa della combinazione di sovrapproduzione, prezzi in calo, difficoltà finanziarie e catastrofi ambientali.

    Durante la Prima guerra mondiale l'elevata domanda di generi alimentari e materie prime a livello globale aveva spinto gli agricoltori americani ad incrementare le loro coltivazioni beneficiando di prezzi crescenti. Con la fine del conflitto, e la conseguente ripresa dell'agricoltura in Europa, era iniziata la fase discendente dei prezzi; fase ulteriormente aggravata dal crollo della domanda e dalle conseguenze della Crisi del 1929: i prezzi dei prodotti agricoli erano scesi in America ai livelli più bassi dalla guerra civile.

    Molti agricoltori che si erano indebitati per acquistare nuovi terreni e macchinari, con il drastico calo dei loro redditi, non furono più in grado di pagare le rate dei mutui. Ciò portò al fallimento di numerose imprese e all'esproprio delle proprietà da parte delle banche.

    Le "Great Plains", le vaste pianure agricole degli Stati Uniti centro-occidentali (Montana, Dakota, Nebraska, Wyoming, Kansas, Colorado, Oklahoma, Texas, New Messico), il cuore della produzione cerealicola americana e dell'allevamento del bestiame, furono colpite nel corso degli anni Trenta da una prolungata siccità e da una erosione del suolo causata da decenni di pratiche agricole troppo intensive e non sostenibili. Il risultato fu il "Dust Bowl".

     

    a.9 Le donne nella Grande Crisi

    La povertà era dilagante. Centinaia di migliaia di contadini e braccianti, spesso chiamati in modo spregiativo "Okies" (poiché molti provenivano dall'Oklahoma), furono costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre. La maggior parte di questi migranti si diresse verso la California. Viaggiavano con mezzi di fortuna lungo la "Route 66" nella speranza di trovare lavoro nelle coltivazioni di frutta e verdura. Ma al loro arrivo in California la realtà si manifestava in tutta la sua durezza. I migranti venivano sfruttati come manodopera a basso costo; erano costretti a vivere in campi profughi improvvisati e dovevano affrontare una forte discriminazione e ostilità da parte delle popolazioni locali che li consideravano una minaccia economica e sociale.

    Nell'America rurale degli anni Trenta le donne svolsero un ruolo fondamentale per il mantenimento delle famiglie e per la sopravvivenza delle aziende agricole, dimostrando una notevole resilienza nell'affrontare sfide senza precedenti.

    Gestivano i magri bilanci familiari e le poche risorse alimentari a disposizione, svolgevano pesanti lavori manuali alla pari degli uomini, si accollavano un doppio fardello lavorando sia in casa che nei campi, partecipavano a reti di supporto comunitario per aiutare gli agricoltori nella lotta contro gli effetti della crisi economica e dei disastri ambientali del "Dust Bowl".

    Il loro contributo era stato decisivo nel mantenere unite le famiglie quando i mariti, in preda alla disperazione, si rifugiavano nell'alcolismo o cadevano in uno stato di apatia.

    Nelle migrazioni interne le donne diedero prova di grande coraggio nell'affrontare condizioni di vita umilianti in accampamenti improvvisati, senza acqua né elettricità. Per sopravvivere accettavano lavori agricoli faticosi e mal pagati (a salari nettamente inferiori a quelli degli uomini). E, tra le donne, quelle appartenenti a minoranze etniche (afroamericane o ispaniche) si trovavano in una situazione ancora più precaria poiché, oltre alla povertà e alla mancanza di protezione, dovevano subire le conseguenze della discriminazione razziale. (Le foto relative sono nella Gallery C.2)

     

    a.10 L’azione del governo

    La crisi agraria venne affrontata dal presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, fin dall'inizio del suo mandato (4 marzo 1933), come uno degli obiettivi principali del "New Deal". Due erano le finalità della politica agricola del governo federale: aumentare i prezzi dei prodotti favorendo un nuovo equilibrio tra offerta e domanda nel mercato, e sostenere economicamente con provvedimenti urgenti gli agricoltori in difficoltà e i disoccupati alla ricerca di un lavoro.

    Vennero create, in particolare, due agenzie: la Resettlement Administration (RA) e la Farm Security Administration (FSA). La RA, fondata nel 1935 con il compito di offrire opportunità di reinsediamento e assistenza finanziaria e tecnica agli agricoltori che vivevano su terreni marginali scarsamente produttivi, e la FSA, fondata nel 1937, in sostituzione della Resettlement Administration, per proseguirne l'attività concentrandosi sull'assistenza socio-sanitaria agli agricoltori più poveri e ai braccianti che alimentavano le migrazioni verso la California. In entrambe le agenzie operò l'unità fotografica, ideata, organizzata e diretta da Roy Stryker, la cui produzione è attualmente conservata presso la Library of Congress (collezione FSA). Dorothea Lange ne faceva parte.

     

    B. Il percorso didattico

    Le immagini raccolte in questo articolo, sia nel testo che nelle galleries (e unite a queste anche le foto dell’articolo precedente) possono essere usate in vari modi. Da quelli liberi, indicati per classi competenti (ordinate le foto e cercate di ricavarne un testo storico) a quelli che si trovano in rete, fra i quali segnalo Dorothea Lange + Migrant Mother Meet the artist through one of their most important works, a quello basato sulla “grammatica delle immagini” - e cioè sull’analisi e sull’interpretazione - che viene qui presentato.

    Questo modello è già conosciuto dai lettori di HL. Lo si è utilizzato a proposito del Vietnam (The Saigon execution: "la foto che fece perdere la guerra" (Prima parte) e (Seconda parte), ma se ne veda anche la versione digitale, elaborata da Lucia Boschetti durante la pandemia: The Saigon Execution. Il laboratorio a distanza) ed è particolarmente indicato per le foto iconiche. Si organizza in due momenti. Il primo è di analisi dell’immagine. Il secondo, introduce gli elementi critici per valutarla. Uno schema di lavoro potrebbe essere il seguente:

    Introduzione: breve contestualizzazione dell’evento rappresentato. La Grande Crisi, le migrazioni. Dorothea Lange che scatta una foto che ebbe un successo straordinario (testi di riferimento: a8 e a10).

    Si presenta la foto iconica. Breve spiegazione del concetto. Si invitano gli allievi ad analizzarla. Può essere di aiuto questo schema:

     

    Particolare da analizzare

    Analisi

    Che sentimenti o pensieri suscita questo particolare

    Postura della madre

    Postura dei bambini

    Volto della madre

    Sguardo della madre

    Mano della madre

    Indumenti

    Ambiente

     

    Una volta compilata la scheda (anche collettivamente), si leggono l’analisi e l’interpretazione professionali di Hariman e Lucaites (testi a4 e a5). Si confronta il lavoro della classe con quello professionale.

    Si pone la questione della foto iconica (a1). Si chiede alla classe perché questa foto lo divenne e si propongono, come fonti per rispondere, le foto nella Gallery C1. Si sintetizzano i risultati di questa breve indagine, e li si confrontano con i testi a2 e a3.

    La Migrant Mother, donna sola, che cura i bambini, rappresenta veramente le donne nella grande crisi? Per rispondere, occorre prendere in considerazione altre foto, come quelle riportate nella Gallery C2, e si legge il testo a.9.

    Il secondo momento, di lettura più interpretativa, inizia con l’analisi dei personaggi. Le vicende di Dorothea Lange e di Florence Leona Thompson strappano l’icona dalla sua idealizzazione e la riportano nella realtà storica e biografica (testi a2, a6 e a7). Questa fase può concludersi interrogandosi sulla definizione di Hariman e Lucaites: “è vero che le fonti iconiche non hanno bisogno di didascalie”? O ancora: “che succede quando le fonti iconiche non sono contestualizzate”?

    Infine, per i più appassionati, oltre alla lettura del primo articolo di Prampolini su HL, si suggerisce una breve sitografia:

    Kris Belden-Adams, Dorothea Lange, Migrant Mother;

    Federico Emmi, Migrant Mother. Un caso di manipolazione.

    Inoltre, la ricerca sulle donne nella Grande Crisi può proseguire sulla piattaforma photogrammar.org sia per le biografie dei fotografi/fotografe che per accedere alle schede di archiviazione delle fotografie nella collezione FSA della Library of Congress; o consultando le voci dell'enciclopedia online encyclopedia.com per approfondimenti sull'agricoltura americana degli anni '30.

     

    C. Galleries

    c.1 The Migrant Mother come foto iconica

      1Fig.1 “La povertà è un crimine, e il nostro popolo ne è vittima”: manifesto del Black Panther Party, movimento di protesta dei neri americani fondato nel 1966.

      2Fig. 2 Copertina della rivista “The Nation”, del 2005, con l’articolo di Liza Featherstone nel quale si dice che sono i poveri a decretare il successo della catena di supermercati Wal-Mart, dove si vendono prodotti a prezzo basso. Fonte

      3Fig. 3: Francobollo commemorativo della Grande Depressione, 1998.

    4Fig. 4: T-shirt da Amazon. La didascalia recita: “Il design vintage dell'immagine "Madre Migrante" è pensato per madri, sorelle, figlie, femministe e tutti coloro che sostengono i diritti delle donne e dei migranti. Il design accattivante permette agli utenti di mostrare il proprio sostegno alle popolazioni rurali povere d'America”.

    5Fig. 5: Con fotoshop l’icona si trasforma e gira nei social.

     

    6Fig.6: Madre migrante che allatta, riprodotta su una mascherina chirurgica del 1936. Fonte

     

    c.2 Le donne durante la Grande Crisi

     

    1

    Fig.1: Dorothea Lange, Zappare i campi nel sud del Mississippi, Mississippi, luglio 1936, Scheda 2017762999, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa.

     

    2

    Fig. 2: Ben Shahn, Raccolta del cotone, Contea di Pulaski (Arkansas), ottobre 1935, Scheda 2017730832, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa.

     

    3

    Fig. 3: Dorothea Lange, Raccoglitrici di ciliegie vicino a Millville (Il raccolto di ciliegie viene effettuato da famiglie locali, uomini, donne e bambini), Millville (New Jersey), giugno 1936, Scheda 2017762943, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa.

     

    4

    Fig. 4: Carl Mydans, Donne che lavano i vestiti, Raleigh (Carolina del Nord), marzo 1936, Scheda 2017715240, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa.

     

    5

    Fig. 5: Arthur Rothstein, Moglie di un contadino con figlia (la famiglia ha beneficiato degli aiuti della Resettlement Administration (RA)), Coos County (New Hampshire), febbraio 1936, Scheda 2017759808, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa.

     

    6

    Fig. 6: John Vachon, La famiglia MacDuffey (fa parte di una delle comunità agricole create dalla Farm Security Administration FSA), Irwinville Farms (Georgia), maggio 1938, Scheda 2017762475, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa.

     

    7

    Fig. 7: Arthur Rothstein, Moglie di un contadino reinsediato (grazie all'intervento della Resettlement Administration (RA)) che suona l'organo alla riunione della Falls City Farmsteads Cooperative, Nebraska, maggio1936, Scheda 2017760464, Fonte: photogrammar.org/photo/fsa

     

    * In corsivo rosso: i link alle biografie dei fotografi, alle schede di archiviazione della collezione FSA, alla piattaforma Photogrammar e ad altre fonti.

    {jcomments off}

  • E’ l’economia, stupido!

    Autore: Antonio Brusa

    Le crisi economiche: un argomento ideale per il Laboratorio del Tempo Presente*

     

    It’s the economy, stupid!” fu la frase vincente che Clinton disse a Bush, quando lo sbaragliò alle elezioni del 1992. Bush aveva appena finito di strapazzare l’esercito irakeno, ma, non sapendo nulla di economia, fu colto in castagna, e perse.Oggi ce la potremmo rimpallare a vicenda quella frase, noi – docenti di storia – che in trent’anni di post-modernismo abbiamo fatto di tutto per rimuovere la sbornia di economia politica degli anni ’70, guadagnandone un analfabetismo che ci impedisce di capire le vicende nelle quali ci sembra di precipitare. Non capiamo noi e non capiscono i nostri allievi. Tempi angosciosi, concludiamo scuotendo la testa. Mi piacerebbe adottare quella frase per la Summer School, “Laboratorio del Tempo presente” di quest’anno, la prima dell’Insmli, che ha avuto come tema “Il Novecento attraverso le crisi”.

     


    Indice

    • Un progetto di lavoro originale
    • Accordiamoci sul concetto di crisi
    • Due argomenti importanti: finanza e governo dell’economia internazionale
    • Una nuova vulgata del Novecento
    • Uno schema per la programmazione
    • Fatti e concetti da rivedere
    • Considerazioni finali

     

    Un progetto di lavoro originale

    Una scuola per essere meno stupidi in tempo di crisi? La nostra è durata tre giorni, di lezioni e discussioni, guidate da Scipione Guarracino, Carlo Fumian, Marcello Flores e Giovanni Gozzini (al quale debbo la citazione di Clinton). Io, in particolare, digiuno come sono di storia contemporanea e da sempre ignorantissimo di economia, vi ho imparato un sacco. Ho capito che devo rivedere molti concetti e fatti, che davo per scontati e che la ricerca attuale ha stravolto. Mi sono sottolineato alcuni concetti, nodali per capire la crisi, ma anche per orientarsi nelle discussioni pubbliche intorno a questa. Mi sembra di aver individuato un filo rosso, una sorta di narrazione che, facendo perno sulle grandi crisi, mi permette di riorganizzare, rapidamente e in modo efficace, quello che so sul Novecento e, poi, mi sono venute tante idee, su film, romanzi, casi di vita che potrebbero rendere vivo un percorso scolastico, ricco di laboratori, approfondimenti e di intrecci interdisciplinari.

     

    Mi sembra che l’argomento “crisi” possa fornire questi strumenti di insegnamento:

    1. Una visione sintetica e molto compatta del Novecento, utilissima per inquadrare il programma
    2. Un fiume di suggerimenti per unità didattiche interdisciplinari, fra storia, letteratura, arte, cinema, musica e anche geografia (per esempio i problemi della mondializzazione)
    3. Un’altrettanto vasta possibilità di laboratori di storia locale/nazionale
    4. Un nuovo orizzonte per l’uso delle fonti orali in classe: avete mai pensato che un prof o un genitore sono fonti per la conoscenza della crisi del 1973? E che gli allievi stessi sono fonti per quella del 2008?

    Fortunatamente non sono solo. A questa scuola hanno partecipato oltre 70, fra docenti e comandati degli Istituti Storici della Resistenza. Ci siamo appassionati al problema e siamo decisi a mettere a punto qualcuno di quegli strumenti. Fra cinque mesi dovrei avere sul mio schermo questi materiali. Li metteremo, con le relazioni dei colleghi storici, in “Novecento.org”, la rivista didattica degli Istituti. Questi sono solo i miei appunti, giusto per mettere a fuoco alcune idee didattiche e per sollecitare il lettore di HL a partecipare a questa opera collettiva.

     

    Accordiamoci sul concetto di crisi

    In questa Scuola è stato adoperato in diverse accezioni, non necessariamente in conflitto fra di loro. Carlo Fumian, riprendendolo dal dibattito delle scienze politiche, lo definisce come un “periodo di malessere violento e breve”. Un febbrone, per riprendere le sue parole, dal quale il paziente può uscire male (la recessione), oppure immunizzato dalla malattia. Nel ’29 la crisi dura pochi mesi, poi si entra in recessione. Se è così – mi viene da pensare - quando sento che “stiamo uscendo dalla crisi”, ascolto una cosa imprecisa o falsa. La crisi è esplosa nel 2008. Poi alcuni l’hanno superata e altri sono entrati in recessione. Oggi, nel 2013, dovrebbero dirmi se noi italiani stiamo ancora in recessione o se ne stiamo uscendo.

     

    Questi “colpi violenti” a volte esplodono a ripetizione. Per esempio, alla crisi del ‘29 seguirono altre fibrillazioni, come quella del ’37, con effetti ugualmente terribili.

    Fumian ha utilizzato questa accezione del concetto per inquadrare il ’29. Per analizzare gli anni ’70, Marcello Flores, invece, ha utilizzato il termine “crisi” in un’accezione più sistemica. Non si trattò, ha sostenuto, di un “febbrone” solo economico. Anzi, da questo punto di vista non fu peggiore di tanti altri. In realtà, si trattò di un travaglio che colpì molti aspetti della società: culturali, politici, comportamentali, ecologici, di politica internazionale (ricordiamo, solo per fare un esempio, il terrorismo), militari.

    In questa accezione, forse più largamente usata in ambito storico, la crisi è sempre un fatto molto complesso (cosa che piace tantissimo agli storici), con molte cause, tante sfaccettature e tanti motivi. Questa immagine si presta, perciò, alla definizione classica di crisi, alla latina - da cribrum - il setaccio che passa al vaglio la storia. La crisi, in questa nuova accezione, fa sempre male, ma si tratta di un parto oppure di un “tornante storico”, per dirla alla francese.

    Questo concetto potrebbe essere applicabile anche alla crisi del 1880 e seguenti, che (secondo Fumian, questa volta) fu un periodo di crescita, una “non-crisi”, dal momento che fu il momento di gestazione di quello che noi consideriamo il mondo contemporaneo. Analogamente, il 1973 e seguenti, fu il periodo di gestazione del nostro mondo.

    Riassumo con questo specchietto le quattro crisi delle quali normalmente si parla nei manuali e che scandiscono il “lungo Novecento”, distinguendo per comodità “crisi internazionale” da “crisi sistemica”.

     

    1880 Crisi sistemica/Periodo di crescita economica Nascita mondo contemporaneo
    1929 Crisi internazionale Recessione globale
    1973 Crisi sistemica/Grandi cambiamenti Nascita del mondo attuale
    2008 Crisi internazionale e “finanziaria” Recessione parziale


    Fumian e Flores usano definizioni di crisi molto “storiche”. Gozzini, che ha parlato della crisi del 2008, mi sembra più propenso a usare la definizione di “crisi finanziaria”: questa crisi inizia per ragioni finanziarie negli Usa, e travolge molte economie, fra le quali quella italiana. Per questa rinvio ai tre pezzi sulle crisi, scritti su HL da Massimiliano Lepratti, con riferimento speciale  a quella del 2008, e ai due argomenti che seguono.

     

              

     

    Due concetti importanti: finanza e governo dell’economia internazionale

    Il concetto di Finanza, con la sua grande famiglia di futures, subprime, spread, broker, rating ecc., ci opprime quasi quotidianamente. E’ decisivo per capire la crisi del 2008, ma ha radici lontane. Risale alle origini del mondo contemporaneo. In principio – nella seconda metà del 1800 - i futures erano forme di assicurazione, che l’imprenditore inventava per garantirsi da eventuali disastri. Ad esempio, un imprenditore agricolo, che non sa se l’anno prossimo il suo raccolto andrà a buon fine, “fa una scommessa contro la sua riuscita”. Se il raccolto va bene, guadagna vendendo il grano. Se va male, vince la scommessa e non ci rimette. Una trovata intelligente. Solo che, una volta che comincia a circolare l’idea, si scommette su tutto e i broker inventano ogni giorno nuove occasioni per scommettere e guadagnare. Negli ultimi decenni del 1900, questa massa di scommesse non ha più un rapporto stretto con il mondo della produzione. Anzi: il suo valore è eccezionalmente più alto. Ogni giorno, ormai da una ventina d’anni, la finanza fa circolare un paio di migliaia di miliardi di dollari. Una cifra immensa. Come se ogni giorno qualcuno gettasse sul tavolo da gioco tutto il debito italiano di un anno. Per avere un’idea di quanto valgano mille miliardi di dollari, pensiamo a quanto ci fa piangere una manovra fiscale di appena cinquanta miliardi di bigliettoni.

     

    Ilgoverno internazionale dell’economia. Prima dell’avvento dell’internazionalizzazione (e poi dell’esplosione della globalizzazione, alla fine del XX secolo), ogni Stato aveva gli strumenti per governare i processi economici che si svolgevano nel suo territorio e, attraverso patti bilaterali, riusciva a dialogare in forme più o meno conflittuali, con gli altri stati.

     

    Con l’avvento dell’internazionalizzazione si è inaugurata l’epoca del “malgoverno dell’economia”. Ma non per “colpa” dell’internazionalizzazione. Questo malgoverno dipende principalmente da una sorta di coazione a comportarsi male, da parte degli Stati. Questi, infatti, cercano di intervenire  su un terreno che è fuori dalla loro portata (perché è internazionale) con una logica nazionale. E’ quello che accade negli anni ‘30, quando gli Stati fecero fronte alla recessione, seguita alla crisi, attraverso politiche protezionistiche (a cominciare proprio da Roosevelt). Governarono con la testa rivolta all’indietro, come se si fosse ancora ai giorni della guerra franco-prussiana, e peggiorano la situazione.

     

    Infatti, la conseguenza delle loro politiche, nel 1929, fu quella di cronicizzare la recessione. Questa durò ancora dieci anni. Poi, nel secondo dopoguerra, gli Stati sembrarono finalmente aver appreso la lezione, e inaugurarono politiche di controllo internazionale degli scambi, che contribuirono a costruire il famoso “trentennio d’oro”. Ma sembra che quello fu l’unico momento nel quale gli Stati tennero conto della storia. Verso gli anni ’70, infatti, la rottura dell’equilibrio di Bretton Wood e della parità fra dollaro e oro (1944), e, poi, la deregolamentazione dei mercati, del duo Reagan-Thatcher crearono le premesse per la situazione attuale.

     

    Una nuova vulgata del Novecento

    Sarà un mio pallino, ma resto convinto del fatto che non basta, quando si fa didattica (o comunicazione), aprire questioni e dubbi, e terminare il proprio intervento avvertendo che “il problema è più complesso”. Occorre “sporcarsi le mani” con sintesi, immagini, carte che, per quanto provvisorie, facciano il punto e permettano all’interlocutore (ma anche a noi) di orientarsi. Se non lo facciamo noi storici, ragazzi e gente comune adotteranno mappe e racconti, prodotti dalle nuove agenzie di rassicurazione della politica o del mercato. Meglio, allora, che lo facciamo noi, con tutte le avvertenze e le precauzioni: quelle che chi mi legge deve tenere presente, scorrendo questa rapidissima sintesi.

    Il racconto del Novecento, dunque, può iniziare con la prima esplosione dell’internazionalizzazione. Siamo alla fine del XIX secolo. L’abbattimento dei costi, che i grandi battelli a vapore consentono, permette al grano, al mais, al vino di fare viaggi che fino a pochi anni prima erano impensabili. Gli Stati restano interdetti. Un po’ ne approfittano, un altro po’ cercano di bloccare questo flusso. Ma le loro politiche protezionistiche sono deboli e, tutto sommato, non riescono a fermarne lo sviluppo. Le crisi che si aprono in questo periodo dipendono spesso dall’incapacità di settori economici locali di far fronte alla nuova competizione internazionale. E’ una scrematura, non una recessione.

    Terminata la prima guerra mondiale, il decennio ‘19-‘29 vede di nuovo il mondo crescere. Al suo centro gli Usa e la loro folla di investitori, che scorgono nella ricostruzione europea (e tedesca) una buona fonte di guadagno. Quando, però, si profila l’esplosione della finanza (i soldi facili delle scommesse di cui sopra), questi immensi capitali lasciano precipitosamente il vecchio continente, e si riversano nella borsa di New York. E’ un periodo che alcuni storici chiamano di euforia incontrollata.

    1929. La bolla finanziaria esplode e innesca la crisi, che si abbatte su un’economia (quella europea) già colpita dall’abbandono dei capitali americani. Tutti (regimi fascisti, comunisti e liberaldemocratici) reagiscono alla recessione degli anni trenta attivando politiche protezionistiche, chiamate in vario modo  a seconda dell’ideologia di riferimento.

    Per uscire dalla crisi, occorsero quattro elementi. Il primo fu il pieno impiego. Fu garantito dalla guerra (ahimè). Il secondo: le politiche pianificatrici, che non furono attuate solo nel mondo comunista (anzi: il termine “planismo” fu coniato da W. Lippmann, il celebre giornalista americano). Terzo: il governo internazionale dell’economia, inauguratosi alla fine della guerra e del quale gli accordi di Bretton Wood sono il simbolo; e, finalmente, il Welfare europeo e poi americano.

    Di conseguenza, nel 1943 inizia il periodo dei “trenta gloriosi”, durante il quale si registra un incremento economico un po’ dappertutto, il miracolo economico italiano e giapponese e altri fatti interessanti da raccontare, fra i quali, in primo piano, la decolonizzazione.

    La crisi degli anni ‘70 ha certamente diversi aspetti “critici”: il petrolio, i mercati che si fermano, la Guerra  dei Sei giorni. Non fu ininfluente, per il suo scatenarsi, la decisione degli Usa di abbandonare gli accordi di Bretton Wood (1971). E, come nel 1929, anche questa crisi fu mal governata, ad esempio attraverso l’abuso dell’inflazione (che permette a uno Stato di vendere di più a danno degli altri). Tuttavia, i suoi aspetti decisivi, per quanto “critici” anch’essi, costituiscono le fondamenta del mondo attuale: la nascita della sensibilità ecologica, del femminismo, i nuovi comportamenti, la planetarizzazione della cultura, la rivoluzione digitale.

     

     

    E’ quest’ultima, probabilmente, che – insieme con la deregolamentazione dei mercati internazionali promossa da Reagan e da Thatcher - innesca le condizioni della crisi successiva. La telematica, infatti, esaspera la velocità della finanza. Non è più necessario recarsi in Borsa, per scommettere. Lo si può fare da casa, dal proprio terminale. E’ il momento in cui diventano indispensabili efficaci istituzioni di controllo e un buon governo di questo traffico caotico. Invece, come abbiamo visto, la nostra è l’età della de-regolamentazione, nei confronti della quale poco possono fare i vari organismi (G8, G20, WTO ecc), dal momento che ogni Stato persegue ottusamente il proprio tornaconto. Le bolle diventano pericolose e incontrollate, esplodono a ripetizione, a partire dall’inizio del XXI secolo. Quella del 2008 innesca la recessione, nella quale noi italiani ci siamo impantanati e dalla quale altri sembrano essersi salvati.

     

    Uno schema per la programmazione

     

    1880/1929 Avvio del processo di internazionalizzazione
    La seconda industrializzazione
    La prima guerra mondiale
    Il primo dopoguerra
    L’industrializzazione italiana
    Giolitti e la società di massa
    La guerra di Libia
    Il Fascismo
    1929/1945 Crisi e recessione
    Le risposte alla crisi: Roosevelt, Stalin, Hitler
    La II Guerra
    Il fascismo. L’Italia entra in crisi prima del 1929, a causa della quota ’90.
    1945/1973 I “Trenta gloriosi”
    La fine della decolonizzazione
    La Repubblica italiana
    L’industrializzazione italiana
    1973/2008 Il mondo attuale
    La globalizzazione
    La planetarizzazione della cultura
    La rivoluzione digitale
    La rivoluzione sociale: femminismo e ecologismo
    La rivoluzione antropica: le migrazioni
    La riconversione produttiva dell’Italia
    Italia e Ue
    I cambiamenti sociali
    I rapporti fra politica e società

     

    Fatti e concetti da rivedere

    Mi sono reso conto, in tanti anni di lavoro con i docenti, che spesso non basta mostrare uno schema, un’interpretazione nuova. E’ sempre utile elencare anche le idee e i racconti che, secondo questa interpretazione, dovrebbero essere messi nel cassetto. Eccone alcuni.

    1. La crisi del 1880. C’è su tutti i manuali, ma non fu una crisi. Al contrario, si trattò di un periodo di crescita impetuosa, favorita dal processo di internazionalizzazione dell’economia, avviatosi nella seconda metà dell’Ottocento. Localmente, come accadde in alcuni settori dell’economia italiana, produsse degli scompensi. In generale quel periodo vide un aumento di tutti i parametri dell’economia.
    2. La fallacia del locale. Molti esempi adottati per spiegare la particolarità italiana in realtà non sono significativi di una specificità nazionale. La crisi della Banca di Roma fu solo una delle crisi bancarie mondiali. Le città operaie (Schio, Crespi d’Adda) che testimonierebbero il particolare slancio paternalistico di capitalisti italiani, impallidiscono di fronte alle centinaia di città operaie analoghe americane.
    3. La sovrapproduzione del 1929. E’ spesso invocata come causa fondamentale di quella crisi. In realtà fu poco influente, in una crisi che fu innescata dallo spostamento massiccio di capitali americani dai settori produttivi europei agli appetitosi investimenti finanziari americani.
    4. Il ruolo salvifico del New Deal. C’è su tutti i manuali. Tutto il mondo andò in malora, ma Roosevelt salvò l’America con il suo piano di aiuti e la svalutazione del dollaro, si dice. In realtà, il New Deal alleviò solo gli effetti della crisi, ma nessuna delle politiche attuate da Roosevelt riuscì a invertire l’andamento recessivo dell’economia
    5. Il welfare, politica di sinistra? Questa fa parte anche delle cose che si dicono in politica. In realtà, fu proposto da un conservatore, Lord Beverage nel 1942, nel suo rapporto al Parlamento inglese.
    6. Lo choc petrolifero fu la causa della crisi del ‘73. In realtà, fu scarsamente influente. Il prezzo del petrolio si ristabilizzò rapidamente.
    7. La sovrapproduzione del 1973: in realtà, le politiche monetariste, che trovavano nelle teorie di Milton Friedman (la famosa “scuola di Chicago”) il loro fondamento, si basavano sul fatto che esisteva troppa moneta per troppo poche merci.
    8. La crisi del 2008. Ha effetti negativi solo in alcune regioni del mondo. Altre ne sembrano esenti; altre ancora sembrano andare meglio.

     

    Considerazioni finali

    Tre punti conclusivi. Interessano questo tema, ma investono questioni molto più generali e decisive per la formazione storica. Il primo riguarda i tempi del progetto didattico. Se riprendete lo schema della programmazione che ho proposto, noterete che divide l’annualità in quattro parti. Supponiamo di assegnare a tutte un tempo equivalente. Significa che a metà anno si dovrebbe arrivare alla seconda guerra mondiale, e che la seconda metà dell’anno dovrebbe essere dedicata ai tempi più recenti, fino ai nostri giorni. Significa – lo sappiamo tutti benissimo – che questa programmazione va contro le abitudini maggioritarie degli insegnanti. Spero siate d’accordo sulla necessità di ridiscutere questa norma non scritta. Non dal punto di vista formale, che si tratti di una violazione dei programmi, quanto da quello sostanziale: a che serve investire cinque anni per imparare a leggere le mappe del tempo passato, se poi non ci dotiamo di quelle per capire il tempo presente?

    Il secondo riguarda i tempi a disposizione. Protesta immediata: non abbiamo tempo. E’ vero. E, peraltro, quando il duo Moratti-Gelmini ne ha sottratto gran parte soprattutto nella scuola di base, nessuno ha fiatato. In ogni caso, oggi è così. Cinquanta ore l’anno nella maggior parte dei corsi, sperando che Educazione alla Cittadinanza o la guerra fra poveri con Geografia non aggravi questo disastro. Al momento, non vedo che due soluzioni:

    1. Dotarsi di racconti sintetici e potenti (non di bignamini, quindi) del periodo da spiegare. E da questo punto di vista le crisi sono un bel fil rouge del Novecento.
    2. Costruire sistemi concreti ed efficaci di collaborazione fra discipline. Senza perdere tempo su liste interminabili di competenze, quanto piuttosto mettendosi d’accordo nella cooperazione fra italiano, storia, storia dell’arte, geografia ecc, intorno a temi nodali. Anche da questo punto di vista, le quattro crisi suggeriscono magnifici incroci pluridisciplinari.

    Il terzo infine, riguarda il Laboratorio del tempo presente. Questa struttura potrebbe essere aperta in qualsiasi momento del curricolo, in qualsiasi grado e ordine di scuola, quando se ne presenta la necessità. Un problema sociale si impone in tutta la sua urgenza? Discutiamone in classe. Ma non per fare la “ricerca”, peggio ancora la “ricerca su internet” o “la lettura del quotidiano”. Quanto, piuttosto, per mostrare come le capacità di ragionamento storico (nel nostro caso) messe a punto fin a quel momento in classe, danno una mano per capire quel fenomeno e per dire, magari, qualcosa di diverso di quello che gli allievi sentono in classe o ai talk show. Insomma, Il laboratorio è un modo per sottolineare che la scuola deve recuperare il suo senso di “presidio culturale” nella società.

     

     

     

    * La Summer School “Il Novecento attraverso le crisi” si è tenuta a San Marino il 9-10-11 settembre 2014. Vedila su www.Novecento.org.

  • L'America della Grande Crisi e del New Deal nelle fotografie della collezione FSA della Library of Congress*

    *Su queste fonti HL propone a breve un laboratorio per le scuole superiori di primo e secondo grado

    di Antonio Prampolini

     

    Indice 

    1. La "fotografia documentaria" e il movimento per le riforme sociali

    2. Il progetto fotografico di Roy Stryker e la Farm Security Administration
    (FSA)

    3. La collezione FSA della Library of Congress e la piattaforma digitale
    per l'uso didattico delle fotografie

     

    NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 1Fig.1: famiglia boema impegnata nella produzione di sigarette in un quartiere di NewYork - fotografia di Jacob Riis (1890). Fonte1. La "fotografia documentaria" e il movimento per le riforme sociali

    In America (Stati Uniti), già prima degli Anni Trenta e del New Deal roosveltiano, la "fotografia documentaria" (Documentary Photography) aveva affrontato, a cavallo tra '800 e '900, tematiche sociali contribuendo a promuovere interventi normativi a favore delle classi più disagiate1.

    La rapida industrializzazione dell'economia americana, accompagnata da una immigrazione di massa e da una crescente urbanizzazione, aveva prodotto nelle fabbriche un allungamento degli orari di lavoro e salari infimi, e nelle città aveva costretto gli immigrati a vivere in abitazioni sovraffollate e malsane2. Il conseguente disagio sociale aveva favorito la nascita e la diffusione di un movimento riformatore e progressista che chiedeva alla politica locale e nazionale interventi normativi3.

    La "fotografia documentaria" (unitamente alle moderne tecnologie di stampa) fornì a questo movimento un potente linguaggio visivo che, con prove tangibili, fece conoscere all'opinione pubblica i gravi problemi che affliggevano la società americana in un'epoca di grande sviluppo economico e di iniqua concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.

    Nell'ambito del movimento riformatore e progressista, Jacob Riis e Lewis W. Hine si servirono della fotografia per documentare il malessere sociale nell'America opulenta tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.

     

    NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 2Fig.2: bambini al lavoro in un cotonificio a Newton NC - fotografia di Lewis W. Hine (1908). FonteJacob Riis e Lewis W. Hine

    Jacob Riis (1849 - 1914) indagò in particolare le condizioni abitative degli immigrati a New York4. L'uso del flash negli scatti fotografici gli permise di catturare immagini realistiche e drammatiche degli interni dei tuguri dove vivevano con le loro famiglie. Fotografò i bambini delle baraccopoli, costretti a lavorare in ambienti malsani per lunghe ore, e i senza tetto, verso i quali egli si sentiva solidale avendo sperimentato come immigrato la loro condizione.

    Riis svolse un'intensa attività informativo-propagandistica per proporre soluzioni pratiche e normative ai problemi sociali oggetto delle sue indagini. Organizzò conferenze, pubblicò articoli e libri dove le immagini fotografiche rendevano più incisive le sue parole di denuncia5.

    Lewis W. Hine (1874-1940) era un sociologo e pedagogista che credeva nella "fotografia documentaria" come mezzo per promuovere le riforme sociali in una America che sfruttava gli immigrati e i più deboli6. Partecipò come fotografo allo studio sociologico sulle condizioni di lavoro e di vita degli operai delle acciaierie di Pittsburgh (The Pittsburgh Survey, 1907-1908)7.

    Per conto del "National Child Labor Committee" Hine svolse un'indagine sul lavoro minorile nell'industria americana (nelle fabbriche tessili in particolare). Fotografò diverse realtà dove i bambini e le bambine lavoravano in condizioni inaccettabili8.
    Le sue fotografie contribuirono alla formazione di una opinione pubblica favorevole all'approvazione di una legislazione sociale per la tutela dei minori9.

    Per Hine, la "fotografia documentaria" non era solo un metodo scientifico di indagine, ma anche, e soprattutto, un mezzo per comunicare in modo nuovo ed efficace i problemi della società. Non doveva limitarsi alla semplice registrazione-informazione di fatti/eventi, ma creare una relazione empatica con la gente in grado di coinvolgerla emotivamente.

    Tra i periodici del movimento riformista, "The Survey" (una rivista incentrata sulle questioni sociali e civiche della Charity Organization Society di New York10) si distinse all'inizio Novecento per un uso sistematico della fotografia documentaria.

    Il primo numero uscì nel 1909 e, a partire dal 1921, la rivista fu arricchita da un supplemento mensile "Survey Graphic" che dava maggiore importanza alla combinazione di testo e immagini per affrontare gli argomenti trattati11.

    Sotto la direzione di Paul U. Kellogg12, la rivista utilizzò fotografie di grande impatto, per promuovere cambiamenti in senso progressista della società, avvalendosi in particolare della collaborazione di Lewis Hine. Negli anni Trenta la rivista pubblicherà molte delle fotografie della Farm Security Administration (FSA) sulla povertà del mondo rurale americano e sulla politica sociale del New Deal13.

     

    NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 3Fig. 3: Roy Striker (a destra) insieme ai fotografi della Farm Security Administration (FSA). Fonte2. Il progetto fotografico di Roy Stryker e la Farm Security Administration (FSA)

    Roy Emerson Stryker (1893–1975) era un docente di economia alla Columbia University quando, nel 1935, accettò l'offerta di Rexford Guy Tugwell, sottosegretario all'Agricoltura e membro del "Brain Trust" del presidente Franklin Delano Roosvelt, di dirigere la sezione fotografica (Historical Section) della Resettlement Administration (RA)14.

    La RA era una agenzia governativa del "New Deal" creata per aiutare le famiglie rurali impoverite a causa della crisi economica e climatica ("Dust Bowl", tempeste di polvere) e spesso costrette ad abbandonare le loro terre e le loro case15. L'aiuto consisteva nel trasferimento-reinsediamento (resettlement) degli agricoltori in zone agricole più fertili e produttive di quelle di provenienza (colpite dalla siccità e da un eccessivo sfruttamento dei terreni), nell'assistenza tecnica e finanziaria alle loro imprese, nella realizzazione di progetti di conservazione del territorio.

     NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 4Fig. 4: Dorothea Lange, autoritratto, febbraio 1936 (California). FonteStryker era un convinto sostenitore dell'utilità della "fotografia documentaria" negli studi e nelle indagini economico-sociali. Come i pionieri Jacob Riis e Lewis Hine, credeva nella capacità della fotografia di influire sull'opinione pubblica e sulla classe politica per realizzare riforme. Dal 1935 al 1937 lavorò intensamente all'organizzazione e poi alla gestione della sezione fotografica della Resettlement Administration; sezione che, sempre sotto la sua direzione, continuò ad operare dal 1937 al 1942, ampliando e potenziando la sua attività di documentazione (non limitata solo alle zone agricole ma estesa anche ai centri urbani), nella Farm Security Administration (FSA). La FSA aveva ereditato le finalità della Resettlement Administration dedicandosi in particolare all'erogazione di prestiti, per consentire ai contadini privi di mezzi economici l'acquisto di piccole proprietà produttive, di macchinari agricoli e di bestiame per l'allevamento, e all'assistenza socio-sanitaria delle famiglie rurali16.

    Stryker selezionò i fotografi scegliendo, tra i professionisti americani, quelli che erano dotati di una particolare sensibilità verso i temi sociali. Era solito organizzare periodiche riunioni in cui forniva ai fotografi dettagliate informazioni geografiche e storiche sui territori da visitare, insieme a "sceneggiature di ripresa" in cui delineava il tipo di immagini che riteneva potessero essere più significative per rappresentare una determinata realtà.

    Alla realizzazione di quello che è doveroso chiamare "progetto Stryker" parteciparono fotografi della statura professionale di Dorothea Lange, Arthur Rothstein, Walker Evans.

     

    NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 5Fig. 5: Arthur Rothstein, autoritratto, 1938. FonteDorothea Lange, Arthur Rothstein e Walker Evans

    Dorothea Lange svolse un ruolo importante nel documentare le condizioni di vita dei contadini che avevano perso la proprietà delle loro terre e delle loro case e dei braccianti, costretti ad emigrare da uno stato all'altro dell'Unione alla disperata ricerca di un lavoro e di un ricovero17. Una sua fotografia, Migrant Mother, che ritraeva una povera bracciante in un accampamento di fortuna con i suoi figli a Nipomo in California, divenne una icona della Grande Crisi18.

    Primo fotografo assunto da Stryker, Arthur Rothstein aveva fotografato dal 1935 al 1940 gli effetti devastanti della perdurante siccità che aveva colpito in particolare le "Great Plains". A lui si devono immagini iconiche come le due fotografie scattate nel 1936: "In fuga da una tempesta di polvere" (Fleeing a Dust Storm) , che ritraeva un contadino e i suoi due figli mentre correvano in cerca di un riparo durante una tempesta di polvere nella contea di Cimarron in Oklahoma, e "Teschio di bue" (Steer Skull), che simboleggiava la siccità nelle Badlands del South Dakota19.

    Walker Evans si distinse dagli altri fotografi per un approccio documentario "poetico", meno drammatico e allo stesso tempo meticoloso nel ritrarre soggetti concreti20. Nutriva un particolare interesse per la "architettura vernacolare" nei territori che visitava. Le sue fotografie sui fittavoli dell'Alabama furono utilizzate dallo scrittore James Agee nel libro Let Us Now Praise Famous Men pubblicato nel 194121.

    NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 6Fig. 6: Walker Evans, autoritratto, 1937. Fonte.I fotografi diretti da Stryker nelle due agenzie governative (Resettlement Administration e Farm Security Administration) scattarono tra il 1935 e il 1942 migliaia di fotografie che andarono a formare una grande collezione di immagini utilizzata per scopi sia informativi che propagandistici: documentare, da un lato, il malessere e la povertà degli agricoltori (piccoli proprietari, fittavoli e braccianti) negli anni della Grande Crisi e, dall'altro, mostrare gli interventi economico-sociali del governo federale per affrontare il problema22. Le fotografie, diffuse attraverso i giornali, le riviste, le mostre itineranti, contribuirono a creare un'opinione pubblica favorevole alle politiche del New Deal roosveltiano23.

    Stryker organizzò le fotografie in un archivio e, consapevole della sua importanza anche a fini storici, si impegnò perché fosse trasferito presso la Library of Congress24.

     

    NEW DEAL ARTICOLO HL IMMAGINE 7Fig. 7: Cataloghi della collezione fotografica FSA della Library of Congress (1941). Fonte3. La collezione FSA della Library of Congress e la piattaforma digitale per l'uso didattico delle fotografie

    La Library of Congress ha provveduto a scansionare il patrimonio fotografico della Farm Security Administration - FSA (1935-1942), a cui era stato aggiunto anche quello dell'Office of War Information - OWI (1942-1944)25, creando una vasta collezione digitale di circa 175.000 immagini che ritraggono l'America dagli anni della Grande Crisi e del New Deal a quelli della Seconda Guerra Mondiale26.

    Il sito web della Library of Congress permette di accedere liberamente alla Collezione FSA/OWI.

    Con lo scopo di agevolare la ricerca delle fotografie della collezione e, soprattutto, il loro utilizzo didattico per lo studio della storia americana, è stata creata la piattaforma web Photogrammar27. Gestita dal Digital Scholarship Lab e dal Distant Viewing Lab dell'Università di Richmond, la piattaforma permette di visualizzare le immagini mediante mappe geografiche e tematiche interattive e di esplorare la collezione per data o per singolo fotografo, fornendo accesso a biografie e storie orali. Dalla homepage gli utenti possono attivare le diverse funzioni offerte dalla piattaforma: Themes(The Land, Work, People,...); Maps: Counties; Maps: Cities & Towns; Photographers. È sempre possibile effettuare ricerche con parole chiave. La funzione Search propone un campo di testo assistito da liste (Fotografi, Stati/Contee, Temi).

    La piattaforma è collegata a un atlante della storia degli Stati Uniti, American Panorama, che propone innovative tecniche di mappatura interattiva.

    Grazie a Photogrammar gli insegnati, gli studenti e tutti gli interessati alla storia americana possono oggi esplorare e utilizzare in modo agevole e proficuo la collezione FSA/OWI, frutto del più grande e importante progetto di "fotografia documentaria" del Novecento (il progetto diretto da Roy Stryker). Un ricco patrimonio visivo che, data la sua dimensione e complessità, era destinato ad essere consultato solo dagli specialisti.

     


    Note

    1 Sulla fotografia documentaria: Documentary Photography; Paiva Susana, Documentary Photography; Szto Peter (2008), Documentary Photography in American Social Welfare History: 1897-1943, in «The Journal of Sociology & Social Welfare», Vol. 35, Iss. 2, Article 6.

    2 Sull'economia e sulla società in America a cavallo tra Ottocento e Novecento: le schede riassuntive con le relative risorse didattiche della Library of Congress: Rise of Industrial America, 1876-1900; Progressive Era to New Era, 1900-1929.

    Sul movimento riformatore e progressista in America tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento: Progressivism. Political and Social-Reform Movemente The Progressive Era Key Facts.

    4 Su Jacob Riis e le sue fotografie: Jacob Riis. Danish-American Photographer; Halpern Rick (2021), The Birth of Documentary Photography: Jacob Riis and Lewis Hine; la voce Riis Jacob nell'enciclopedia online https://www.encyclopedia.com/ e la voce dell'edizione inglese di Wikipedia, Jacob Riis; le fotografie in Wikimedia Commons: Category: Jacob Riis.

    5 Tra le pubblicazioni di Jacob Riis segnaliamo, digitalizzate dal Progetto Gutemberg EBook: How the Other Half Lives (1890) e The Children of the Poor (1892); The Battle with the Slums (1902). È sempre possibile tradurre automaticamente i testi in lingua italiana con Google Translate.

    6 Per un approfondimento sulla vita e la produzione fotografica di Lewis W. Hine: la voce dell'edizione inglese di Wikipedia Lewis Wickes Hine e la voce Hine Lewis dell'enciclopedia online encyclopedia.com; la biografia, corredata da numerose fotografie, Lewis Wickes Hine, University of Illinois; le fotografie in Wikimedia Commons: Category:Photographs by Lewis Hine.

    Cfr. The Pittsburgh Survey; The Pittsburgh Survey.

    8 Cfr. Teaching With Documents: Photographs of Lewis Hine: Documentation of Child Labor.

    9 Schuman Michael (2017), History of child labor in the United States - part 1: little children working e part 2: the reform movement, in «Monthly Labor Review», U.S. Bureau of Labor Statistics, January 2017.

    10 Cfr. Charity Organization Society of New York City: A Brief History.

    11 Cfr. The Survey. Archives 1909-1952.

    12 Cfr. Paul U. Kellogg (1879-1958) — Journalist, Editor, and Social Reformer.

    13 Finnegan Cara (2000), Social Engineering, Visual Politics and the New Deal: FSA Photography in Survey Graphic, in «Rhetoric & Public Affairs», Vol. 3, No. 3, pp. 333-362.

    14 Per informazioni biografiche su Roy Emerson Stryker: The Photographers: Roy E. Stryker; Roy Stryker; Roy Stryker and the photographers of the New Deal. Su Rexford Guy Tugwell: la voce relativa in Wikipedia edizione in lingua inglese.

    15 Sull'attività della Resettlement Administration (RA): la voce relativa in Wikipedia edizione in lingua inglese. Per un quadro sintetico della Grande Crisi, dei suoi effetti sull'agricoltura americana e delle politiche assistenziali del New Deal: le voci dell'Enciclopedia Britannica: Great Depression e New Deal; le voci On The Farm e Farm Relief 1929-1941. Sul fenomeno delle tempeste di polvere che avevano colpito negli anni Trenta le "Great Plains" meridionali degli Stati Uniti, rendendo incoltivabili vaste aree agricole: la voce Dust Bowl 1931-1939.

    16 Sulla Farm Security Adminstration (FSA): le voci relative in Wikipedia edizione in lingua inglese.

    17 Su Dorothea Lange (1895-1965) e le sue fotografie: la voce relativa di Wikipedia edizione in lingua inglese; Guide to the Lange (Dorothea) Collection 1919-1965, Online Archive of California (OAC). Lo scrittore John Steinbeck utilizzò le fotografie della Lange per illustrare i suoi articoli sui lavoratori migranti nella Central Valley della California, pubblicati nell'ottobre del 1936 dal The San Francisco News (The Harvest Gypsies). Nel 1939 Dorothea Lange realizzò, con la collaborazione dell'economista Schuster Taylor, un importante libro fotografico sui movimenti migratori nell'America rurale degli anni '30: An American exodus: a record of human erosion (Reynal & Hitchcock, 1939, New York).

    18 Sulla fotografia "Migrant Mother": la voce relativa in Wikipedia edizione in lingua inglese; Dorothea Lange's "Migrant Mother" Photographs in the Farm Security Administration Collection, Library of Congress

    19 Su Arthur Rothstein (1915-1985) e la sua produzione fotografica: la voce relativa in Wikipedia edizione in lingua inglese e le immagini in Wikimedia Commons (in particolare. Farmer and Sons Walking in the Face of a Dust Storm e The bleached skull of a steer on the dry sun-baked earth of the South Dakota Badlands).

    20 Su Walker Evans (1903–1975) e la voce relativa in Wikipedia edizione in lingua inglese.

    21  Cfr. Let Us Now Praise Famous Men ("Sia lode ora a uomini di fama"); Walker Evans: photographs from the let us now praise famous men project.

    22 Meyer Chris (2009), The FSA Photographs: Information, or Propaganda?, Boston University; Carlebach Michael L. (1988), Documentary and Propaganda: The Photographs of the Farm Security Administration, in «The Journal of Decorative and Propaganda Arts»; Szto Peter (2008), Documentary Photography in American Social Welfare History: 1897-1943, cit., in particolare i capitoli "The New Deal and the Documentary Approach" e "The Documentary Approach: Propaganda or Persuasion?" pp. 103-108.

    23 Le fotografie venivano pubblicate da quotidiani come il New York Times, da riviste di scienze sociali come Survey Graphic e da riviste illustrate come Life. Apparvero persino alla Esposizione Universale del 1939 a New York.

    24 Sull'organizzazione e classificazione delle fotografie dell'archivio FSA: Sears Elisabetta (2014), American Iconography: Assessing FSA Photographs, 1945, in «Visual Resources» 30/3, pp. 239-254.

    25 Anche la sezione fotografica dell'Office of War Information era stata organizzata e diretta da Roy Stryker.

    26 Digitizing the Collection.

    27 «Perché "Photogrammar"? Il nome unisce due parole, fotografia e grammatica, per indicare come il progetto offra nuovi modi di leggere, vedere e osservare la fotografia. Il nome è stato ispirato da opere come quelle di Roland Barthes, noto per la semiotica e la teorizzazione della fotografia, insieme a quelle di Jacque Bertrand e Leland Wilkinson, noti per aver sviluppato un linguaggio che spiega come la visualizzazione dei dati crea significato, spesso definito "grammatica della grafica". Il nome sottolinea la combinazione di teoria della fotografia e visualizzazione dei dati».

     

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