didattica storica

  • Insegnare la storia anche con i “se”

    di Luigi Cajani

    Fezzi Roma in bilico La storia controfattuale è stata a lungo irrisa dagli storici: Edward P. Thompson la definiva sbrigativamente “merda antistorica” (affiancandola in questa categoria anche ad altri approcci storiografici come l’econometria e la cliometria)1, mentre Edward Carr ne cercava anche le motivazioni, individuando in essa il gioco salottiero con cui i perdenti della storia, nel suo esempio gli antibolscevichi, si baloccano immaginando come le cose sarebbero potute andare diversamente2. Pertanto, la storia controfattuale è rimasta a lungo confinata nell’ambito della fantascienza, di cui costituisce un importante filone.

     

     
    Brunner Times Without Number Roberts Pavane Dick The Man in the High Castle Harris Fatherland Storia controfattuale e fantascienza

    Vi ricorrono questioni che colpiscono particolarmente l’immaginazione quando si pensa alla storia, come le conseguenze di una vittoria dell’Invencible Armada, oggetto dei romanzi di John Brunner, Times without Number3, del 1962, e di Keith Roberts, Pavane4, del 1968, oppure le conseguenze di una vittoria dell’Asse nella Seconda guerra mondiale, come nel romanzo The Man in the High Castle5 di Philip K. Dick, pubblicato nel 1962, e in Fatherland6 di Robert Harris, del 1992. Non di rado il tema della storia controfattuale si intreccia con quello dei viaggi nel tempo, che consentono cambiare la storia, e non solo di immaginarla diversa.

    Anderson The Time Patrol È il caso dei racconti raccolti nel 1991 da Poul Anderson in The Time Patrol7: con la macchina del tempo gruppi criminali di vario genere vanno nel passato per modificarlo in modo da creare una nuova catena di eventi che porti a un presente alternativo che sia sotto il loro controllo, mentre un corpo di polizia temporale li insegue nel passato per sventare i loro piani. Uno di questi racconti riguarda Annibale, la cui vittoria o sconfitta finale nella guerra contro Roma dipende dalla morte o dalla sopravvivenza dei due Scipioni nella battaglia del Ticino.

     

     

     

    Demandt Ungeschehene Geschichte Toynbee Problems Greek History Gli storici e la controfattualità

    Poi, a poco a poco, anche gli storici hanno cominciato a osare. Fra i primi, Alexander Demandt, che nel 1987 pubblicò Ungeschehene Geschichte8, in cui esamina le possibili conseguenze di un esito diverso di momenti cruciali nella storia, momenti di svolta le cui sorti sembrano essere state in bilico: fra di essi, la vittoria dei Greci a Maratona, la morte prematura di Alessandro Magno, la mancata marcia su Roma di Annibale dopo la battaglia di Canne e, ancora una volta, la sconfitta dell’Invencible Armada.

    Già Arnold J. Toynbee si era chiesto che cosa sarebbe successo se Alessandro Magno fosse vissuto fino alla vecchiaia: fra l’altro, il suo impero sarebbe rimasto unito, anzi si sarebbe allargato da un lato fino all’Atlantico e dall’altro fino all’India, consentendo la diffusione del buddhismo in occidente; e, quanto a Roma, sarebbe stata costretta con un trattato ad abbandonare le mire espansionistiche sull’Italia meridionale9. Poi la schiera degli storici aperti alla controfattualità si è infittita.

    Ferguson Virtual History Niall Ferguson, nel 1997, ha pubblicato un libro collettivo10 in cui si descrivono numerosi scenari controfattuali, come quello di un’Inghilterra in cui Carlo I evita la guerra civile, quello di una Germania nazista che invade l’Inghilterra nel 1940 e quello di un’Unione sovietica che non crolla nel 1989. E lui stesso anticipa lo scenario di una Gran Bretagna che rimane neutrale nella Prima guerra mondiale, che svilupperà in un libro successivo11.

     

     

     

    Lebow Archduke La storia controfattuale in Italia

    L’ineluttabilità o meno della Prima guerra mondiale è un altro dei temi che affascina e turba gli storici, e anche i politologi come Richard Ned Lebow, il quale immagina il fallimento dell’attentato di Sarajevo12. Anche fra gli storici italiani la storia controfattuale è diventata lecita, come mostra un forum su Italia e Germania durante la Seconda guerra mondiale, organizzato nel 2001 dalla rivista Reset, a cui parteciparono Simona Colarizi, Nicola Tranfaglia, Giovanni De Luna, Giovanni Sabbatucci. Quest’ultimo, riflettendo sul senso della controfattualità nell’analizzare le alternative realmente disponibili ai protagonisti di un evento storico e l’impatto di avvenimenti minimi su vicende enormi, citò l’esempio dello scoppio della Prima guerra mondiale:

     

    «Se mentre Gavrilo Princip, l’attentatore di Sarajevo, puntava la pistola contro l’arciduca Francesco Ferdinando, una mosca fosse passata davanti al suo naso e gli avesse fatto sbagliare mira, sono assolutamente convinto che la storia del mondo sarebbe cambiata»13.

     

    Una Roma controfattuale

    A questa schiera di storici si aggiunge ora l’antichista Luca Fezzi con un libro che, pur non essendo destinato all’insegnamento, ne rappresenta una stimolante risorsa: Roma in bilico. Svolte e scenari alternativi di una storia millenaria (Milano, Mondadori, 2022). Fezzi analizza alcuni momenti chiave in cui la storia di Roma sarebbe potuta cambiare, e quindi con essa la storia del mondo: si inizia con la fondazione della città, seguono poi la nascita della repubblica, le oche del Campidoglio, il mancato attacco da parte di Alessandro Magno (tema a cui già Tito Livio dedicò molta attenzione), le scelte di Annibale dopo Canne e di Cesare al Rubicone, le Idi di marzo, e le battaglie di Filippi, di Azio, della selva di Teutoburgo, di Ponte Milvio e di Adrianopoli. Fezzi ricostruisce gli eventi attraverso un confronto fra le fonti rigoroso e accurato ma presentato con uno stile vivace e scorrevole (il che già ne fa un’utile risorsa didattica), e presenta poi alcuni scenari controfattuali, in cui dialoga anche con autori classici. Ad esempio, egli ritiene che se Varo avesse evitato la sconfitta ciò non avrebbe comunque portato a una conquista militare della Germania, dati i caratteri del territorio e la bellicosità delle popolazioni; ma forse avrebbe avuto successo una penetrazione culturale graduale, come aveva già suggerito Cassio Dione, e ciò avrebbe cambiato lo scenario delle invasioni barbariche. Quanto a Costantino, se egli fosse stato sconfitto da Massenzio la storia del cristianesimo sarebbe stata diversa, data la forte impronta personale che egli le diede. Ma non sempre il futuro sarebbe stato radicalmente cambiato dal diverso esito di un evento: se Bruto e Cassio avessero vinto a Filippi, ritiene Fezzi, l’agonia della repubblica sarebbe stata solo prolungata.

     

    Fezzi Roma in bilico La Controfattualità tra realtà storica e conoscenza storica

    La riflessione controfattuale non mette necessariamente in discussione il determinismo, come qualcuno ama credere. Che la storia sia il regno della libertà o della necessità è una posizione filosofica a sé, che riguarda il piano della realtà. La riflessione controfattuale riguarda invece il piano della conoscenza. Infatti, le nostre informazioni sulla realtà del passato sono inevitabilmente molto limitate, in vario modo a seconda dei contesti, e quindi la loro interpretazione si basa sull’attribuire ipoteticamente un certo peso e certe connessioni causali ai vari fattori di cui si è a conoscenza. L’interesse storico della riflessione controfattuale non risiede dunque nella costruzione di scenari di lunga durata, propri della letteratura fantascientifica, scenari sempre più fantasiosi quanto più ci si allontana dall’evento chiave, ma nel restare vicini all’evento e valutare le conseguenze immediate che si possono attribuire a questa o quella variazione. A ben vedere, quindi, la controfattualità è implicita in ogni ragionamento causale: se si afferma che l’attentato di Sarajevo fu la causa della Prima guerra mondiale si sta anche affermando implicitamente che se quell’attentato fosse fallito la guerra non sarebbe scoppiata.

    Per concludere, è opportuno ricordare che la controfattualità, con il dibattito fra determinismo e libero arbitrio, offre – quasi impone - nei licei la possibilità di un dialogo interdisciplinare fra storia e filosofia. Il resoconto di uno di questi interventi didattici, che ha come tema l’inevitabilità o meno della Prima guerra mondiale, è stato pubblicato da Daniele Boschi su Historia Ludens.

     


    Note

    Edward P. Thompson, The Poverty of Theory: or an Orrery of Errors, London, Merlin Press, 1995 (ed. or. 1978), p. 145.

    2 Edward H. Carr, What is History?, London, Penguin book, 1964 (ed. or. 1961), p. 97 (trad. it. Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi, 1966).

    Traduzione italiana La società del tempo, Piacenza, La Tribuna, 1972.

    Traduzione italiana Pavana, Piacenza,La Tribuna, 1978.

    Tradotto in italiano dapprima con il titolo La svastica sul sole da varie case editrici, e poi con il titolo L’uomo nell’alto castello dalla Arnoldo Mondadori nel 2022.

    Traduzione italiana Fatherland, Milano, Arnoldo Mondadori, 1992.

    7 Traduzione italiana La pattuglia del tempo, Milano, Arnoldo Mondadori, 1994.

    Alexander Demandt, Ungeschehene Geschichte. Ein Traktat über die Frage: Was wäre geschehen, wenn..., Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1986.

    Arnold J. Toynbee, If Alexander the Great had lived on, in Idem, Some Problems in Greek History, London, Oxford University Press, 1969.

    10 Niall Ferguson (a cura di), Virtual History: Alternatives and Counterfactuals, London, Picador, 1997.

    11 Niall Ferguson, The Pity of War. Explaining World War I, New York (NY), Basic Books, 1998 (trad. it. Il grido dei morti, Milano, Arnoldo Mondadori, 2014).

    12 Richard Ned Lebow, Archduke Franz Ferdinand Lives! A World Without World War War I, New York (NY), Palgrave Macmillan, 2014.

    13 Simona Colarizi, Giovanni De Luna, Giovanni Sabbatucci, Nicola Tranfaglia, Forum / Il nostro "posto al sole" sotto Hitler, in “Reset”, n. 64 (gennaio-febbraio 2001). Questa rivista è tornata sul tema della controfattualità a proposito dell’unità d’Italia, promuovendo in occasione del centocinquantenario il volume collettivo curato da Pasquale Chessa, Se Garibaldi avesse perso. Storia controfattuale dell'Unità d'Italia, Venezia, Marsilio 2011, con contributi di Giuseppe Berta, Emilio Gentile, Giovanni Sabbatucci, Luciano Cafagna, Franco Cardini e Mario Isnenghi.

  • Le discipline umanistiche nella scuola di oggi

    Autore: Enrica Bricchetto

     


    Cosa insegnare a scuola. Qualche idea per le discipline umanistiche, a cura di C. Giunta e A. Savoia, Trento, Editore Provincia autonoma di Trento - Iprase, 2013, scaricabile gratuitamente in PDFqui, oppure  dal sito di Claudio Giunta 

     

    E’ diventata una necessità improrogabile quella di confrontare i propri ambiti disciplinari con i cambiamenti che viviamo. E’ ciò che si propongono gli autori di questo agile libro, dal quale ricaviamo riflessioni e proposte didatticheconcrete, soprattutto nel rapporto fra disciplina e tecnologie, ormai considerate parte integrante della vita e della scuola. Tutti gli autori, infatti, rilevano l’importanza del web come fattore di acculturazione e, contemporaneamente, segnalano che proprio la sua ricchezza richiede da parte della scuola un’assunzione di responsabilità. Ma le difficoltà non riguardano solo il versante tecnologico dell’apprendimento disciplinare.

    Nel caso particolare della storia, Marco Bellabarba, docente di Storia moderna presso l’Università di Trento (Sull’insegnamento della storia),rileva la difficoltà da parte degli studiosi di proporre nuovi modelli per  comprendere le questioni dell’oggi e per superare la crisi di quelli vecchi.

    “Qualsiasi cosa evochi il concetto di ‘modernità’, lo studio della storia si è prestato a spiegarlo, dentro un clima culturale largamente condiviso, in cui era sufficientemente chiaro che cosa fosse e a che cosa servisse la storia”. Era scontato, in passato, che la storia  avesse un rapporto strettissimo con l’identità di una comunità politica e contribuisse a fondarne la rappresentazione esterna. Ora non è più così o, quantomeno, la scuola non riesce più a comunicare questo messaggio. Questa nuova fase didattica, scrive Bellabarba, si caratterizza per la ricerca della testimonianza, la semplificazione delle narrazioni, lo studio dei periodi più vicini a noi, e con l’annacquamento progressivo del senso storico.

    Bellabarba suggerisce, come antidoto a questa deriva, l’attenzione alla profondità cronologica, l’ampliamento degli spazi (World History, Transnational History…) e anche una cura maggiore alla stesura e all’argomentazione di storia. Ottimi suggerimenti: per quanto si tratti, ancora una volta, di segnalazioni di problemi reali, mentre le possibili soluzioni didattiche restano implicite (come non accade, per esempio, nell’intervento sulla filosofia (M. Piras, La filosofia: dalla storia all’argomentazione), dove si propone esplicitamente la riorganizzazione dell’intero insegnamento).

    Tutti i saggi in realtà fanno riferimento a cambiamenti generali nel modo di insegnare. Se ne possono trarre, perciò, spunti validi anche per storia. Partire da domande personali e intercettare i consumi culturali degli studenti; fare lezioni laboratoriali che nascano da problemi; scrivere e argomentare.

    Da una lettura unitaria del volume emerge con chiarezza che lo sforzo della comunità docente dovrebbe essere quello di produrre materiali organizzati, se nondel tutto alternativi e nuovi - la pedagogia di  Freinet e Don Milani ha già indicato strade fondamentali, per quanto dal punto di vista della “macchina formativa” sia rimasta sostanzialmente inascoltata -, almeno di supporto alla lezione frontale. Non servono schede didattiche ma modelli che permettano di coinvolgere gli studenti in un discorso culturale profondo, fatto di memoria e di capacità di analisi, in cui linguaggi e attitudini di oggi giochino un ruolo formativo efficace.

  • Raccontare la storia oggi? Non è soltanto questione di comunicazione.

    Autore: Enrica Bricchetto

     


    Fig. 1 Il testo è acquistabile aquesto indirizzo

     

    Il problema di fondo

    Un giornalista-storico e due storici -  Paolo Rumiz, Carlo Greppi e David Bidussa 1 - si pongono di fronte a alcune questioni chiave relative a come comunicare i contenuti storici oggi, nella wiki-era, in un momento di transizione in cui tutto quello che tradizionalmente veniva proposto sembra  cambiare di segno. Anche nella storia.

    La domanda principale che accomuna tutte e tre  gli autori, in sintesi, è questa: se la storia viene raccontata in modo coinvolgente e adatto al tempo di oggi, è possibile dare più significato ai contenuti di storia, renderli più vivi, far sentire di più la relazione tra passato  e presente? La risposta è senza dubbio affermativa e vale in generale, per chiunque si avvicini ai contenuti storici. I tre autori, tuttavia, in alcuni punti  concentrano il ragionamento sui più giovani. Allora la questione si sposta dal piano della comunicazione  per diventare una questione didattica. Necessita quindi di più precisazioni. Dopo aver esposto e analizzato i punti fondamentali dei tre saggi, provo a guardarli dal punto di vista della didattica della storia il cui senso ultimo  è la mediazione dei significati e non  la comunicazione.  


    Comprendere con la pelle

    Paolo Rumiz, attraverso efficaci  squarci autobiografici,  conduce il lettore in un mondo di esperienza e lo invita  a porsi di fronte al passato “non soltanto con la mente, ma anche con il cuore, la pancia, i piedi. Con la pelle”.  Questo può avvenire con un tipo di narrazione nuova, in cui si crei un cortocircuito tra le testimonianze dirette  di chi ha vissuto gli eventi e i luoghi.  Leggere a alta voce Le scarpe al sole di Paolo Monelli, nei valloni sotto il Monte Ortigara, secondo Rumiz, trasforma il luogo in cassa di risonanza delle parole dell’autore, le rende vive e mette tutti nelle condizioni di immaginare. L’oralità, la parola che narra, in un’azione del genere, è al centro: la voce, alta nella lettura e nell’affabulazione, aiuta a immedesimarsi e a immaginare, e quindi ad appropriarsi di senso storico. La storia esce dal libro, si incarna attraverso la voce, si riappropria del luogo e suscita emozioni. Per tutti.


    Narrazioni audiovisive

    Anche per Carlo Greppi la storia esce dal libro. Ma il suo discorso è rivolto soprattutto agli studenti il cui “senso del passato non è ancorato ai saggi ma si struttura saldamente intorno a narrazioni audiovisive di tipo finzionale”.

    Greppi considera che il consumo di storia da parte dei giovani ci sia, ma avvenga attraverso film o fiction tv costruite su archetipi e modellate secondo le caratteristiche della narrazione. “L’eroe - impegnato in una ricerca o vittima che tenta il riscatto - il falso eroe, l’antagonista, il mandante, l’aiutante”, insomma Propp docet, agiscono per risolvere un conflitto iniziale e in questo processo cambiano. Così chi guarda si immedesima e prende le parti di uno dei personaggi, venendo a contatto con i significati che la vicenda narrata presenta spesso in modo semplificato per ottenere un coinvolgimento sicuro. Molte fiction italiane di argomento storico hanno approfondito aspetti privati delle vicende dei personaggi, senza affrontare  in modo problematico il contesto.

    Greppi chiarisce infatti  che “ provare a insegnare – nel senso etimologico di lasciare un segno –il nostro passato, trasmettere anche con passione lo studio della storia, significa, al contrario, avventurarsi nella complessità delle vicende umane, senza circumnavigare i loro tratti più contraddittori”. Gli archetipi, per fare storia, secondo Greppi, devono essere messi in discussione.

     

    Fiction di storia?

    Questo è possibile anche nel formato della fiction tv, che in alcuni casi riesce non solo a coinvolgere lo spettatore ma anche a far sì che si ponga delle domande e, in questo passaggio acquisisca contenuti storici.

    Alcune fiction di storia come Peaky Blinders (Inghilterra, 2013), Narcos, non costrette nei 120 minuti della narrazione filmica ma dilatate in puntate, serie e stagioni, possono far riflettere, interpellare chi guarda, mettere in crisi le certezze dello spettatore.

     


    Fig. 2 Narcos è una serie televisiva statunitense creata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro,  per Netflix.

     

    Quindi, al termine di un discorso tutto da approfondire, si capisce che una fiction ben scritta  da autori di sceneggiature originali – non sceneggiatori -  con consulenti storici preparati, con un approfondimento dei personaggi consentito dal format, non solo può coinvolgere chi guarda ma può comunicare contenuti storici. Infatti una fiction con queste caratteristiche,  è in grado di sollevare problemi rispetto alla  questione centrale che sostanzia la storia : gli esseri umani agiscono nel tempo della loro vita e si mettono in relazione con la realtà esterna che, a seconda dei momenti, richiede di prendere una parte, richiede di scegliere. Di più o di meno, in modo più o meno agevole. Avere cultura storica, in ultima analisi, significa avere gli strumenti per agire nel proprio presente, perché si hanno chiare le condizioni in cui altri si sono trovati in passato.

    Certamente se una fiction porta a queste riflessioni lascia tracce di storia e ottempera anche alla questione che non può esistere la riflessione senza conoscenza. Un fiction ben fatta può, allora  lasciare tracce di storia, anche nei più giovani. In fondo, può arrivare a ottenere quello che dovrebbe essere l’obiettivo di  un saggio sufficientemente problematico e narrativamente efficace. Il panorama storiografico italiano non ne ha offerto molti perché gli storici di rado si pongono la questione di come comunicare i loro contenuti ma si limitano  a cosa comunicare.


    Sì, alcuni libri sì

    Allora, Greppi precisa che se il saggio tradizionale di storia è in crisi, ci sono alcuni esempi letterari che rappresentano la possibilità di narrare in modo efficace.  In effetti una narrativa non fiction, problematica e coivolgente esiste. Qui Greppi cita Laurent Binet HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich  o Limonov di Carrère, in cui la narrazione diventa strumento per interrogare la realtà. L’effetto è simile a quello delle fiction ben fatte: suscitano domande e fanno emergere la complessità che sta dietro la storia.

    Fig. 3 Il libro di Binet, recensito da Wuming

    Fig. 4 e qui, Stefano de Luca, Alan di Forte e Chiara Palmisciano analizzano il caso editoriale di Limonov


    Anche la saggistica autobiografica o biografica in cui chi scrive si svela e conduce il lettore in una vicenda narrativa ambientata in una preciso periodo storico ha una sua forza. Qui l’esempio più interessante citato è quello diUnastoriadi Gipi, ilGraphic novel che racconta la vicenda del bisnonno dell’autore. In modo antiretorico Gipi riesce, meglio di tanti saggi accademici, a restituire le caratteristiche e il senso della Grande guerra.
    Su questo punto il lettore delIl passato al presente, il libro del quale stiamo parlando, avrebbe voglia di un approfondimento ulteriore.


    Fig. 5. Il Graphic novel di Gipi

     

    Historytellers

    Invece Greppi passa a un’altra questione, molto importante, quando  afferma che  “i ragazzi  - e non solo loro - nella storia cercano fondamentalmente emozioni”, che le emozioni sono un “varco irrinunciabile per poter costruire conoscenza e coscienza”.

    Questo vale per tutti, ma ancor più per una generazione in overload di informazioni. Dove scatta il coinvolgimento emotivo - non solo ma senza dubbio - c’è uno spazio di conoscenza.

    Le emozioni che danno le testimonianze dirette o letterarie di chi è stato presente a un evento importante per la collettività, portano alla conoscenza storica così come trovarsi nei luoghi in cui si sono realizzati eventi drammatici  del secolo appena concluso.

    Nel romanzo Non restare indietro (cfr recensione  in HL) Greppi racconta l’effetto sui giovani dei viaggi di memoria verso i luoghi di sterminio in Europa che in questo saggio in parte riprende.

    Tuttavia l’osservazione più interessante è quella relativa alla necessità di intermediari  tra i luoghi in cui sono avvenuti i fatti storici, le emozioni che vengono disordinatamente a galla in chi li visita  e la riflessione che connette il passato con il presente: i luoghi diventano significativi se qualcuno ne racconta la storia, li fa vivere con la parola.  In sostanza è necessaria una mediazione che aiuti l’acquisizione di fatti storici sui quali poi si possa fare una riflessione per diventare il patrimonio di memoria.


    Il libro di storia non è morto

    David Bidussa, nella terza parte del libro, apre molte piste, ma il cuore del suo  discorso è che molti sono i formati con i quali si può raccontare di storia: non solo i libri di storia tradizionali, i saggi accademici. I film, la fotografia, gli oggetti, i diari, i libri, le lettere, i cippi memoriali e, si può aggiungere, i Graphic novel, le fiction tv, i film d’animazione veicolano contenuti storici,   non  conoscenza storica tout-court.
    Dietro ogni forma di narrazione c’è un’idea di passato e una proposta di interpretazione.

    La presenza della rete ha moltiplicato esponenzialmente questi contenuti: si trova tantissimo ma perché i racconti di storia si trasformino in conoscenza storica sono necessarie competenze di interpretazione e disciplinari. Con gli strumenti dello storico bisogna capire quali fonti ha utilizzato l’autore di una sceneggiatura o di una storia; è necessario conoscere le caratteristiche delle fonti e le caratteristiche precise del mezzo: un film racconta in modo diverso da una fotografia o da una lettera.


    Cosa fanno ora gli storici?

    Bidussa segnala il fatto che la narrazione storica sia in buona salute, oggi, nel senso che circolano tanti contenuti storici, per quanto gli storici siano piuttosto marginali, in questa esplosione comunicativa, perché scrivono saggi per addetti ai lavori che non si trasformano in cultura diffusa.

    Un tempo il saggio di storia parlava a tutti. perché era il veicolo principale di comunicazione storica. Oggi si trova accanto a altri la cui fruizione è più agevole, e verso i quali si orienta il lettore.

    Allora bisognerebbe che gli storici accettassero il fatto che il loro saggio è per i professionisti, ma che, per far circolare le proprie scoperte nella società, dovrebbero percorrere altre strade.

    Anche Bidussa insiste sull’efficacia del racconto di Gipi come esempio di come si narra la storia. Poi cita Vajont di Marco Paolini che “non è uno storico, è andato in cerca di fonti e ha chiesto informazioni a chi sapeva come e dove trovarle. Quel testo teatrale nasce dunque sulle fonti, ma la sua narrazione non precipita in un libro di storia. Tuttavia meglio di un libro di storia, quel testo è capace di parlare a noi ora”.

    Fig. 6 Il racconto di Marco Paolini, nella suaversione integrale

     

    Questi esempi dimostrano – così sostiene Bidussa - che il modo di costruire la narrazione storica ha subito una profonda trasformazione. Gli storici dovrebbero considerare questa come un’opportunità, e entrare anche loro nell’arena sociale della storia.


    Il progetto della memoria

    L’ultima parte del suo saggio Bidussa la dedica alla “generazione doppio zero”. Osserva che, qualunque sia la modalità di accesso alla storia, questa dovrebbe avere una carica educativa, che porti i giovani ad allargare l’orizzonte della memoria. Il discorso pubblico si è concentrato su alcune questioni, che sono diventate simboliche – come la Shoah o la Resistenza - , ma ne ha trascurate altre. Ne deriva il rischio di una memoria incompleta, a buchi. Bidussa coglie nel segno quando spiega che avvicinarsi alla storia implica che si abbiano delle domande che c’entrano con il presente. Significa avere un’inquietudine nei confronti del presente che porti a farsi delle domande su quello che è successo in passato. In questo gioco si costruisce la memoria.

    Bidussa affronta questo discorso attraverso l'analisi di alcune fotografie al centro di questioni fondamentali del Novecento, dando un interessante esempio di metodo (da non perdere).


    Ma la didattica non si esaurisce nella comunicazione

    I tre autori a volte si rivolgono in generale a chi legge la storia per suo interesse ma il più delle volte  hanno in  mente i più giovani. Allora, se  il campo si restringe alla comunicazione dei contenuti storici nei luoghi deputati - cioè la scuola e l’università -  si apre   una questione didattica che non può esaurirsi nell’atto di comunicare.  

    Innanzitutto, insegnare storia significa mediare significati, creare processi di riflessione e di conoscenza che conducano al cambiamento del modo di pensare (magari con la speranza che suggeriscano anche modi di comportarsi). Il processo della trasposizione didattica impone che i nuclei fondanti della disciplina vadano rielaborati e predisposti per essere “lavorati” a scuola; ma anche individuati in prodotti che circolano e che i giovani consumano.  Quindi tutti i formati citati dai tre autori, per acquisire un valore didattico, necessitano della mediazione di un esperto. In questo consiste la cultura e il saper fare. propri della figura professionale del docente. Un saper fare poco diffuso, come sappiamo: la mancanza di formazione didattica, cronica del mondo accademico italiano, ancora oggi, rende sempre più debole il docente, proprio paradossalmente di fronte a questo aumento di format comunicativi. Infatti, se il docente ha costruito (spesso a sue spese) un saper fare che gli permette di gestire il manuale, si deve chiedere quando, e come, e dove riuscirà a dotarsi delle capacità di usare a scopo formativo i nuovi canali di informazione.

     

    Manuali e didattica

    Per quanto riguarda i manuali, il docente li confronta, li sceglie,  li utilizza come base per le sue lezioni o, in molti casi, come oggetto delle sue lezioni. Dal punto di vista degli studenti, invece, i manuali diventano l’unica scrittura di storia con la quale vengono a contatto. Di rado, a meno di un interesse personale, si trovano ad avere per le mani dei saggi scientifici.

    Se, da un lato, il manuale rimane ancora centrale, dall'altro l’offerta manualistica attuale  mortifica la narrazione storica. Escono ogni anno  nuove edizioni di vecchi manuali, con apparati che spesso aumentano il volume delle pagine ma non intaccano una narrazione uniforme, spesso data, infarcita di notizie, destinate ad essere rapidamente dimenticate. Tutto per uno studente è meglio del manuale, a patto che il docente non lo trasformi in una “palestra”. Non  insegni al proprio allievo, che il manuale va consultarlo, utilizzato come serbatoio di informazioni di base, sulle quali costruire poi attività che mettano al centro il ragionamento storico.

    Un unico manuale, nella mia esperienza, corrisponde a queste attese complesse. Che sia l’unico – almeno a mio modo di vedere - non è  comunque un buona notizia. Si tratta del testo di Antonio Brusa, di storia antica e medievale (per il biennio), edito da Palumbo, in cui i principi della didattica della storia sono rispettati assieme all’aggiornamento dei contenuti storici 2. Il docente vi trova fonti e spunti per  attivare gli studenti su problemi di storia. Qui, il manuale diventa una guida per mettere in atto un  processo di costruzione di contenuti  e  riflessioni storiche. Ma è desolante che sia un testo “a parte”, rispetto alla grande quantità di manuali, progettati unicamente per essere delle sintesi da ricordare.


    E le narrazioni “altre”?

    Le proposte di narrazione “altra” di storia presentate in questo saggio da Rumiz, Greppi e Bidussa hanno un potenziale didattico profondo. Ma perché diventino strumenti di insegnamento, andrebbero immaginate in versione operativa, cioè tradotte in esempi di lezioni. E, dal punto di vista del docente, questi dovrebbe conoscere delle strategie di uso un po’ meno elementari della consegna “leggete e poi ne parliamo”.

    Infatti la comunicazione di una storia non risolve in sé la questione didattica.

    La generazione doppiozero è abituata a ingurgitare informazioni. Ha la testa e gli occhi pieni di narrazioni di storia che provengono dal complesso dei formati citati e anche dai videogames. Il problema è che così come accade agli storici, nemmeno gli insegnanti riescono a intercettare e a incanalare le conoscenze che gli studenti si formano a partire dai loro consumi culturali.

    Utilizzare parti di fiction, fotografie o video implica avere competenze di analisi e di interpretazione che il docente medio non ha perché  l’università non lo ha dotato di simili strumenti. Per questo il docente è costretto a ricorrere, quasi esclusivamente, al libro scolastico. Certamente la rete consente di costruire lezioni digitali molto ricche e efficaci ma ci vuole formazione e lavoro di équipe. Forse  per i docenti di là da venire.

     

    Note

    1. Il passato al presente. Raccontare le storia oggi di Paolo Rumiz, Carlo Greppi e David Bidussa è il Quaderno n. 6 della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, uscito a gennaio 2016 in formato ebook. Nel sito della Fondazione è possibile scaricare la prima parte dell’ebook e un articolo di approfondimento dal titolo Come narrare la storia.

    2. Il manuale è uscito nel 2010 con il titolo L'atlante della storia; nel 2011 è uscita la seconda edizione dal titolo L'alfabeto delle storia; nel 2014 la  terza Mappe del tempo.

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