fonti iconografiche

  • Fotografare la guerra. Mathew Brady e la Guerra civile americana

    di Antonio Prampolini

     

    Indice

    1. Alle origini della fotografia di guerra

    2. Immagini della Guerra civile americana

    3. Mathew Brady: The camera is the eye of history

    3.1. Da ritrattista a fotografo di guerra

    3.2. La Battaglia di Antietam

    3.3. L'eredità di Brady

    4. Sitografia

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 1Fig.1: il carro fotografico di Roger Fenton nella Guerra di Crimea Fonte1. Alle origini della fotografia di guerra

    Molto stretto è il rapporto tra la fotografia e la guerra. Fin dai primi anni dopo la sua invenzione (1839), la fotografia ha rappresentato un’importante fonte visiva della guerra, con finalità sia di documentazione/informazione degli eventi che di propaganda degli stati belligeranti1.

    È con la Guerra di Crimea (1853-1856) che nasce, come genere, la “fotografia di guerra”2. Su incarico del governo inglese, desideroso di fornire alle famiglie dei militari e al pubblico “immagini tranquillizzanti” di quel conflitto, Roger Fenton, avvocato londinese e appassionato fotografo di paesaggi, si recò nel 1855 in Crimea dove allestì un rudimentale laboratorio in un carro trainato da cavalli3.

     

     

     GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 2 AFig.2: Ufficiali e soldati del 13° Light Dragoons, Esercito britannico, Crimea, 1855 FonteFenton, malgrado l’ingombro della strumentazione necessaria e la macchinosità del procedimento fotografico, riuscì a produrre oltre trecento immagini che raffiguravano ufficiali ritratti nelle loro impeccabili divise, soldati acquartierati negli accampamenti, mute bocche di cannone, feriti amorevolmente assistiti da commilitoni e vivandiere in atteggiamento materno. I combattimenti non venivano ripresi per i limiti della tecnologia fotografica del tempo (troppo lunghi erano i tempi di preparazione e di esposizione alla luce delle lastre sensibili per potere fissare immagini in movimento) e i soldati morti non erano ritratti per una precisa scelta ideologico-propagandistica.

     

     

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 2 BFig.3: ferito assistito da una vivandiera e da un commilitone, Crimea, 1855 FonteCome ha osservato acutamente Susan Sontag: «Fenton si dedicò a rappresentare la guerra come una dignitosa scampagnata per soli uomini. […] Le sue fotografie [che sono messe in posa/in scena] sono tableaux di vita militare nelle retrovie; la guerra - che è movimento, disordine, dramma – resta al di fuori dell'inquadratura»4.

     

      

     

     

     

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 2 CFig.4: Accampamento dell'armata unionista del Potomac a Cumberland Landing sul fiume Pamunkey (Virginia, maggio 1862) Fonte2. Immagini della Guerra civile americana

    Cinque anni dopo la fine della Guerra di Crimea, è la Guerra civile americana (1861-1865) ad offrire alla fotografia personaggi ed eventi da immortalare in migliaia di immagini, facendo così nascere una sorta di “fotogiornalismo di guerra” ante litteram5.

    La Guerra civile (o Guerra di secessione) americana è passata alla storia come il primo grande conflitto ad essere ampiamente e sistematicamente fotografato. Per la prima volta era stata offerta a tutti, anche a coloro che vivevano lontani dai luoghi dei combattimenti, la possibilità di vedere la realtà della guerra condotta con armi moderne: migliaia di morti e feriti, grandi distruzioni materiali6.

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 3Fig.5: batterie dell’esercito unionista del Nord nell’assedio di Yorktown (5 aprile – 4 maggio 1862) FonteCatturare immagini sui campi di battaglia era un processo impegnativo e dispendioso. I fotografi dovevano portare con sé, solitamente tramite appositi carri, ingombranti fotocamere e obiettivi difficili da manovrare, posizionare e mettere a fuoco, ed erano costretti a manipolare sostanze chimiche assai pericolose. La tecnologia fotografica utilizzava allora lastre di vetro rivestite chimicamente e richiedeva lunghi tempi di esposizione che impedivano ai fotografi di riprendere le battaglie; le loro fotografie si limitavano perciò alle conseguenze dei combattimenti. Tuttavia, le immagini che riuscirono a realizzare contribuirono a superare la visione romantica dell’epoca vittoriana (a cui si ispiravano le fotografie di Roger Fenton sulla Guerra di Crimea), cambiando profondamente il discorso pubblico sulla natura della guerra.

     

    La guerra civile così come ha modernizzato l’economia, ha modernizzato la cultura. [...] Ha eroso il sentimentalismo vittoriano, [...] ha castigato la lingua americana, rendendola più tagliente, più concisa, più pungente. La guerra ha spazzato via le illusioni. Questa flagellazione fu accelerata da un nuovo mezzo fiorente: la fotografia. La fotografia si integrava e gareggiava con i vecchi metodi discorsivi di descrizione verbale portando un’immediatezza viscerale a un pubblico avido di immagini. Le immagini fotografiche divennero il tessuto connettivo che legava il fronte interno alle zone di combattimento. (David C. Ward and Frank H. Goodyear, Photography and War)7.

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 4Fig.6: fortificazioni dell’esercito confederato (Atlanta - Georgia, 1864) FonteLe fotografie della Guerra civile, che furono per la maggior parte frutto del lavoro di fotografi degli Stati dell’Unione (nella Confederazione degli Stati del Sud, in seguito al blocco navale a cui era stata sottoposta, scarseggiavano i materiali richiesti dalla tecnologia fotografica del tempo) venivano inviate ai giornali che le pubblicavano dopo averle trasformate in incisioni xilografiche (processo di stampa lungo e costoso) oppure esposte in mostre allestite in diverse città, o riprodotte in più copie su carta per essere vendute alle persone interessate.

     

     

     

     

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 5Fig.7: distruzioni della guerra civile a Charleston (Sud Carolaina, 1865) FonteLe fotografie, che documentavano la distruzione dei raccolti, delle case e, soprattutto, delle infrastrutture civili, dei trasporti ferroviari da parte dell’esercito dell’Unione nella sua avanzata negli Stati della Confederazione, svolsero un’importante funzione propagandistica, da un lato, per rafforzare lo spirito combattivo sia dei militari che della popolazione civile del Nord, dall’altro, per “aprire gli occhi” al nemico spaventandolo e umiliandolo in modo da spingerlo alla resa.

    Tuttavia, per una corretta utilizzazione di queste fonti, occorre tenere presente che i fotografi di allora ricorrevano spesso a “messe in scena” per rappresentare quadri di vita militare negli accampamenti, e, in alcuni casi, per esaltare la drammaticità degli eventi, non esitavano a ricollocare i cadaveri dei soldati nei luoghi in cui si erano svolti i combattimenti8.

     

     

     

     

    3. Mathew Brady: The camera is the eye of history

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 6Fig.8: Mathew Brady al suo ritorno dalla prima battaglia di Bull Run (22 luglio1861) Fonte3.1. Da ritrattista a fotografo di guerra

    Mathew Brady (1823-1896), dopo avere appreso e perfezionato il processo della dagherrotipia, aveva iniziato la carriera di fotografo a New York, concentrandosi in particolare sui ritratti di illustri americani (tra questi, Abraham Lincoln). In seguito, si era allontanato dal dagherrotipo per dedicarsi alla produzione di fotografie stampate su carta9.

    Allo scoppio della Guerra civile (12 aprile 1861), Brady si impegnò, investendo l’intero suo patrimonio, nella realizzazione di una documentazione fotografica, la più completa possibile, del conflitto. A tal fine, con l’autorizzazione del presidente Lincoln, inviò nelle zone di guerra una ventina di fotografi suoi collaboratori (tra questi, Alexander Gardner, James F. Gibson, Timothy O'Sullivan)10, per ritrarre ufficiali e soldati, i loro acquartieramenti, i campi di battaglia e le conseguenze dei combattimenti, pubblicando poi le relative immagini sia come stampe singole che raccolte in album. I negativi su lastra di vetro andarono poi a formare la principale collezione di immagini oggi esistente della Guerra civile americana.

     

    GUERRA CIVILE AMERICANA FOTOGRAFIE E FOTOGRAFI IMMAGINE 7Fig.9: caduti nella battaglia di Antietam (foto di Alexander Gardner, 1862) Fonte3.2. La Battaglia di Antietam

    La Battaglia di Antietam è stata una delle più sanguinose della Guerra di civile. Si svolse il 17 settembre 1862 a Sharpsburg, nella contea di Washington-Maryland, dove si scontrarono l’esercito confederato, sotto il comando del generale Robert E. Lee, e quello dell’Unione, agli ordini del generale George B. McClellan. La battaglia prende il nome dal fiume Antietam su le cui sponde erano schierati gli eserciti11. Questa cruenta battaglia, con migliaia di morti e di feriti per entrambi gli eserciti, per quanto non possa essere considerata una vera vittoria per l’Unione, bloccò il tentativo del generale Lee di spostare il fulcro dei combattimenti dal Sud al Nord, e offrì al presidente Lincoln l’occasione per emettere il Proclama preliminare per l’emancipazione della schiavitù (Preliminary Emancipation Proclamation), il 22 settembre del 1862 e con effetto dal 1° gennaio del 1863).

    Il medico e scrittore Oliver Wendel Holmes Sr, che si era recato sul campo di battaglia alla ricerca del figlio ferito, descrisse il paesaggio di morte e di dolore con queste parole:

     

    La lunga battaglia aveva viaggiato come uno di quei tornado che si fanno strada attraverso i nostri campi e villaggi. Gli uccisi di condizione più elevata, “imbalsamati” e rinchiusi in casse di ferro, scivolavano sulle ferrovie verso le loro case lontane; i morti della truppa venivano raccolti e gettati frettolosamente sulla terra; i feriti gravi venivano soccorsi sul luogo del conflitto, oppure spinti un po' lontano verso i villaggi vicini; mentre quelli che potevano camminare ci venivano incontro ad ogni passo della strada. Era uno spettacolo pietoso, veramente pietoso, eppure così vasto, così al di là di ogni possibilità di sollievo, che molti singoli dolori di piccole dimensioni hanno influito sui miei sentimenti più della vista di questa grande carovana di pellegrini mutilati12.

     

    Nel 1862 Brady scioccò la nazione esponendo le fotografie della Battaglia di Antietam nella sua galleria di New York in una mostra intitolata "The Dead of Antietam"13. Queste fotografie (scattate da Alexander Gardner e James F. Gibson) erano le prime a rappresentare un campo di battaglia in cui i morti non erano stati ancora rimossi, e le prime ad essere distribuite ad un pubblico di massa. Esse furono oggetto di una grande attenzione da parte dei media al tempo della Guerra Civile. Un articolo del New York Times dell'ottobre 1862 illustrava bene l’impatto emotivo delle fotografie della Battaglia di Antietam sui cittadini americani:

     

    Il signor Brady ha fatto qualcosa per farci capire la terribile realtà e la gravità della guerra. Se non ha portato i corpi e non li ha deposti davanti alle nostre porte e lungo le strade, ha fatto qualcosa di molto simile. […] Queste immagini sono di una nettezza impressionante. Con l’ausilio di una lente di ingrandimento è possibile distinguere persino i lineamenti dei soldati uccisi. Non vorremmo certo trovarci nella galleria quando una delle donne china ad osservarle dovesse riconoscere il marito, il figlio o il fratello tra quei corpi immobili e privi di vita, pronti per le fosse che si spalancano per loro14.

     

    E sempre Oliver Wendel Holmes Sr, commentando nel luglio 1863 le crude immagini in bianco e nero dei morti della Battaglia di Antietam, così si esprimeva:

     

    Chi desidera sapere cos'è la guerra guardi questa serie di illustrazioni. Questi relitti della virilità gettati insieme in cumuli trascurati o disposti in orribili file per la sepoltura erano vivi solo ieri [e ci dicono] quanto sia ripugnante, brutale, disgustoso e orribile questo scontrarsi di due folle frenetiche a cui diamo il nome di eserciti15.

     

    3.3. L’eredità di Brady

    Durante la guerra, Brady spese oltre 100.000 dollari di allora per realizzare più di 10.000 fotografie. Terminato il conflitto, Brady si rivolse ripetutamente al Congresso degli Stati Uniti, chiedendo di acquistare i negativi delle sue fotografie. Solo nel 1875 il Congresso acconsentì pagando 25.000 dollari; somma che tuttavia non fu sufficiente ad evitare il fallimento del suo studio a New York. La collezione di negativi venne poi archiviata presso la Biblioteca del Congresso a Washington, dove è tuttora conservata.

    Pur avendo scattato personalmente solo una parte delle fotografie che portano il suo nome, per l’impegno organizzativo e per la consapevolezza del ruolo sociale della fotografia, Brady viene oggi considerato il padre del “fotogiornalismo di guerra”. Le immagini da lui prodotte sono il primo esempio di documentazione fotografica completa di una guerra combattuta con armi moderne16.

    Mathew Brady aveva infatti colto il significato storico della Guerra civile americana e l’urgente necessità di conservarne le immagini per le future generazioni, guardando con occhio attento e critico a quanto accadeva nella realtà, per fare conoscere i fatti, per fare memoria. La macchina fotografica doveva essere, per lui, “l’occhio della storia” (The camera is the eye of history)17.

     

    4. Sitografia

    - Il sito della Library of Congress permette di accedere ad una vasta collezione di immagini sulla Guerra Civile (Civil War Glass Negatives and Related Prints). Si tratta di circa 7.000 diverse vedute e ritratti realizzati durante la guerra (1861-1865) e nel periodo immediatamente successivo. Le immagini digitali sono ricavate dai negativi originali su lastra di vetro realizzati sotto la supervisione di Mathew Brady e Alexander Gardner, nonché dalle stampe fotografiche esposte nella Prints & Photographs Reading Room.

    - Nel sito dei National Archives (NARA) è possibile visionare una ampia selezione di fotografie della Guerra Civile (Civil War Photographs).

    - In Wikimedia Commons (l’archivio digitale open access di immagini, suoni e video, di pubblico dominio o con licenza libera, creato nel 2004 dalla Wikimedia Foundation, e che funge da repository di file multimediali per i vari progetti della fondazione, tra cui Wikipedia) segnaliamo le categorie:

    Category:The Photographic History of The Civil War;
    Category:American Civil War photographers.

    - Nell’Enciclopedia Britannica, il capitolo Picturing the war della voce Remembering the American Civil War.

    - L’ American Battlefield Trust propone interessanti lesson plans sulla Guerra Civile che utilizzano fotografie e altre fonti visive e testuali:

    Civil War Photography Inquiry Middle School Lesson Plan;

    6 Primary Sources from the American Civil War;

    Antietam 360: Natural and Man-made Features Middle School Lesson Plan;

    The Civil War Animated Map: Traditional Middle School Lesson Plan.

     


    Note

    1 La fotografia di guerrae La rappresentazione della guerra nell’Ottocento, Università degli Studi Roma Tre; Pierangelo Cavanna,Fogli d’album: la fotografia e la guerra prima del 1914, inGuerra e Mass Media, a cura di Peppino Ortoleva e Chiara Ottaviano, Liguori Editore, Napoli, 1994; Adolfo Mignemi,Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come documento storico, Bollati Boringhieri, Torino, 2003; si vedano anche gli articoli pubblicati dalla piattaforma digitalevisualhistorynella categoriaKriegsfotografie.

    2 Nella guerra di Crimea operarono come fotografi i britannici Roger Fenton (1819 – 1869) e James Robertson (1813 – 1888), l'italo-britannico Felice Beato (1832 – 1909) e l'austro-ungarico Carol Szathmari (1812 – 1887), i quali realizzarono quelle che la maggior parte degli storici considerano le prime fotografie di un conflitto militare; conflitto che vide coinvolte le grandi potenze del tempo e a cui partecipò con un corpo di spedizione il piccolo Regno di Sardegna.
    Sulla Guerra di Crimea: la voceCrimean War in Wikipedia edizione in lingua inglese; Antonello Battaglia,Europa contro Russia in Crimea, la prima volta, 13/04/2015 (aggiornato il 28/06/2018); Giulia Lami,La guerra di Crimea come fattore di modernizzazione Il caso dell’Impero ottomano e dell’Impero russo, 2017.

    3 Su Roger Fenton e sulle sue fotografie della Guerra di Crimea: Malcom Daniel,Roger Fenton (1819-1869), The Metropolitan Museum of Art, ottobre 2004; Gordon Baldwin, Malcolm Daniel, Sarah Greenough,All The Mighty World. The Photographs of Roger Fenton (1852-1860), The Metropolitan Museum of Art, New York, 2004; Elisabetta Hawksley,Shadows of War: Roger Fenton, War Photographer, 18/11/2018; Gherard Paul,Kriegsbilder – Bilderkriege, <bpb.de>, 16/07/2009; la voceRoger Fenton in Wikipedia edizione in lingua inglese e lacollezione di immagini del National Army Museum di Londra. Fenton organizzò la propria spedizione in Crimea con i«l preciso obiettivo politico di contrastare i resoconti di William Howard Russel [pubblicati suThe Time] e tranquillizzare l’opinione pubblica inglese col mezzo sicuro della documentazione fotografica, fidando sulla radicata convinzione - espressa daThe Time – che “qualunque cosa [la fotografia] rappresenti sul campo deve essere vera”» (Pierangelo Cavanna,Fogli d’album: la fotografia e la guerra prima del 1914, cit., p. 27). Sul giornalista irlandese William Howard Russel, lavoce di Wikipedia in lingua inglese.

    4 «Storicamente, i fotografi ci hanno offerto immagini piuttosto positive del mestiere delle armi, del piacere di intraprendere una guerra o di continuare a combatterla. Se i governi avessero mano libera, la fotografia di guerra, come gran parte della poesia di guerra, batterebbe la gran cassa a sostegno del sacrificio dei soldati. In effetti, la fotografia di guerra inizia proprio con una missione, un'ignominia, di questo genere. La guerra era quella di Crimea, e Roger Fenton, invariabilmente definito il primo fotografo di guerra, ne fu il vero e proprio fotografo 'ufficiale', essendo stato inviato in Crimea all'inizio del 1855 dal governo britannico [...] per fornire una diversa e più positiva versione di una guerra sempre più impopolare» (Susan Sontag,Davanti al dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2006, pp. 47-49).

    5 Sul fotogiornalismo di guerra e la sua storia:Origins of Photojournalism, American Battlefield Trust, 02/04/2020; Nina Ferrari,La nascita del fotogiornalismo, 28/12/2019; Ginevra Prelle,La storia raccontata attraverso l’occhio del fotografo di guerra; Franco Lever,Fotogiornalismo, in «La comunicazione. Il dizionario di scienze e tecniche»; Manuela Fugenzi,Fotogiornalismo di guerra, in «XXI Secolo – Treccani», 2009.

    6 Sulla Guerra civile (o Guerra di secessione) americana: Reid Mitchell,La guerra civile americana, il Mulino, Bologna, 2003; Raimondo Luraghi,Storia della guerra civile americana, Rizzoli, 2009; Bruce Levine,La Guerra civile americana, Einaudi, Torino, 2015; la voce dell’Enciclopedia BritannicaAmerican Civil War e la voceAmerican Civil Warin Wikipedia edizione in lingua inglese.

    7David C. Ward and Frank H. Goodyear,Photography and War, saggio pubblicato in «The Atlantic» per il centocinquantesimo anniversario della Guerra civile:The Civil War, SpecialCommemorative Issue, 02/2012.

    James J. Broomall,Photography during the Civil War, in «Encyclopedia Virginia», 07/12/2020. Serena Covkin,Photography and History. The American Civil War.

    9 Per maggiori informazioni biografiche su Mathew Brady, si vedano: la relativavoce enciclopedicain Wikipedia edizione in lingua inglese;Mathew Brady's Worldbiography, timeline and analysis of Brady's work at the Smithsonian Institution; ilsito a lui dedicato. Per un approfondimento sulla tecnologia fotografica da lui utilizzata negli anni della Guerra civile, che impiegava come negativi lastre di vetro al collodio e permetteva di stampare più copie su carta, segnaliamo l’interessante articolo del medico e letterato americano Oliver Wendel Holmes Sr,Doings of the Sunbeam, pubblicato nel luglio del 1863 su «The Atlantic». Affascinato dalle stereoscopie di Brady, Holmes scriveva: «Guardare queste immagini assomiglia così tanto al visitare direttamente il campo di battaglia che tutte le emozioni suscitate dall’effettiva vista della triste e sordida scena, cosparsa di brandelli e rovine, ritornano a noi e noi le seppelliamo nei recessi del nostro stipo così come avremmo sepolto i mutilati resti dei morti che esse rappresentano troppo vividamente».

    10 SuAlexander Gardner eTimothy O'Sullivan si vedano le relative voci enciclopediche in Wikipedia edizione in lingua inglese.

    11 Sulla Battaglia di Antietam: lavoce relativa in Wikipedia edizione in lingua inglese;Antietam in American Battlefield Trust. 

    12 Oliver Wendell Holmes, Sr. and the Aftermath of Antietam, National Museum of Civil War Medicine, 18/09/2018.

    13 Marty Jones,The Dead of Antietam, 17/08/2012; Terry L. Jones,The Dead of Antietam, The New York Times, 24/09/2012; Bob Zeller, How Photos from the Battle of Antietam Revealed the American Civil War’s Horrors, 14/09/2021.

    14 Pictures of the Dead at Antietam, The New York Times, 20/10/1862. Sull’esposizione delle fotografie della Battaglia di Antietam nella galleria di Brady a Manhattan e sull’articolo pubblicato sul «New York Times»: Susan Sontag,Davanti al dolore degli altri, Oscar Monadadori, 2006, pp. 61-63.

    15 Oliver Wendel Holmes Sr,Doings of the Sunbeam, in «The Atlantic», July 1863.

    16 Sul fotogiornalismo di guerra: Gerhard Paul,Die Geschichte der fotografischen Kriegsberichterstattung, in <bpb.de>, 28/12/2005.

    17 Don Nardo,Mathew Brady: The Camera Is the Eye of History, Enslow Pub Inc, 2008.

     

  • La guerra in rete. Come si fa ricerca utilizzando Google.

    di Antonio Prampolini

    ARTICOLO LA GUERRA IN RETE IMMAGINE 1Fig.1: “Allegoria della guerra” di Aleksander Mikhalchyk FonteLa guerra occupa una posizione centrale nella storia e nella memoria dell’umanità. Internet è lo specchio di questa centralità. Chi voglia studiarla oggi, in generale e in particolare i conflitti del secolo scorso e del tempo presente, non può esimersi dall’esplorare le sue innumerevoli risorse.

    Digitando la parola “guerra” nel campo di testo di Google, appare un lunghissimo ed eterogeneo elenco di pagine web (testi, immagini, video). Sono le pagine che contengono la parola “guerra”. Google le indicizza in modo automatico, impiegando algoritmi che determinano la loro posizione, sulla base del principio che le pagine che presentano un maggior numero di link esterni (di citazioni da parte di altre pagine/siti) sono da considerarsi come le più rilevanti. Questo meccanismo di selezione puramente quantitativo è integrato da Google con un criterio di valutazione, sempre automatico, che assegna ai link un peso diverso a seconda della loro provenienza.

    Avendo digitato la parola “guerra”, l’elenco segnala le pagine web in lingua italiana. Tra queste, troviamo ai primi posti le voci enciclopediche di Wikipedia e della Treccani. Ma, oltre a queste, potremo vedere immagini e altri tipi di documentazione.

     

    Voci enciclopediche

    ARTICOLO LA GUERRA IN RETE IMMAGINE 2Fig.2: logo di Wikipedia edizione in lingua italiana FonteWikipedia

    La voce Guerra dell’edizione italiana di Wikipedia, dopo averla definita come: «fenomeno sociale che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati», presenta al lettore-visitatore una descrizione sintetica delle varie tipologie di conflitti (in base all'estensione territoriale, ai soggetti coinvolti, ai mezzi impiegati, alla soggettività internazionale dei contendenti) ed una breve elencazione dei diversi aspetti (antropologici, etici, economici) che li caratterizzano.

    La voce Guerra permette di accedere alle voci delle principali edizioni linguistiche di Wikipedia. Tra queste, in particolare, quella inglese (War), francese (Guerre) e tedesca (Krieg); voci che esprimono tradizioni nazionali più ricche e consolidate di interessi e studi di storia militare rispetto a quella italiana.

    Tra gli Altri progetti, viene segnalato il grande archivio di immagini sulla guerra di Wikimedia Commons (Category:War)1.

    Al tema della guerra Wikipedia riserva anche uno specifico Portale che consiste in una pagina di accesso alle numerose voci dell'enciclopedia sui conflitti del passato e del presente. Il portale Guerra si rivolge, pertanto, ai lettori-visitatori con una duplice funzione. La prima è quella di indirizzarli, mediante un'opportuna evidenziazione grafica, verso quelle voci che i contributori dell’enciclopedia open access ritengono possano interessare maggiormente i lettori. La seconda è quella di favorire una consultazione più sistematica e consapevole, meno legata alla spontaneità della ricerca libera per parole e alla casualità del ritrovamento attraverso i rimandi ipertestuali. A tal fine, il Portale mostra la struttura ad albero delle categorie e sottocategorie che raggruppano le diverse voci enciclopediche attinenti al tema della guerra (eventi bellici, armamenti, militari, ecc.), grazie alle quali il lettore-visitatore del sito può selezionare quelle che più lo interessano (Categoria:Militari, Categoria:Scienze militari). Il portale Guerra segnala inoltre i portali tematici collegati; tra questi: Guerre napoleoniche, Grande Guerra, Seconda guerra mondiale, Guerra fredda.

     

    ARTICOLO LA GUERRA IN RETE IMMAGINE 3Fig.3: logo del portale della Treccani FonteTreccani

    Dal sito web della Treccani si può accedere alle voci sulla guerra nelle diverse pubblicazioni enciclopediche dell’istituto.

    L’Enciclopedia on line affronta il tema con una voce redazionale che sottolinea come la Guerra nel suo significato tradizionale di «conflitto armato tra due o più comunità politiche in vario modo strutturate e sovrane (città-Stato, imperi, Stati)» si distingue dalla guerra civile, che coinvolge gruppi appartenenti a una medesima entità politica, dalla guerra coloniale e dalla guerra di liberazione nazionale in cui si confrontano in modo asimmetrico attori politici e militari di diversa natura e forza.

     

    La voce si articola in quattro capitoli:

    1. La guerra fra stati

    2. La guerra nel diritto internazionale

    3. La guerra nelle società di interesse etnologico

    4. La guerra non convenzionale

    L’Enciclopedia del Novecento (III Supplemento, 2004) dedica alla Guerra una voce autoriale, scritta da Marco Cesa, che si focalizza sulle conseguenze dopo la Seconda guerra mondiale della “deterrenza nucleare” nei rapporti geopolitici internazionali tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, sui conflitti “convenzionali” e sulle guerre civili della seconda metà del Novecento. La voce è suddivisa in cinque capitoli:

    1.Le armi di distruzione di massa

    2. Le guerre convenzionali

    3. Le guerre civili e l'intervento umanitario

    4. L'obsolescenza della guerra?

    5. Le guerre del futuro

    Anche l’Enciclopedia dei Ragazzi (2005) contiene una voce sulla Guerra a firma Antonio Menniti Ippolito che prende in esame l’evoluzione dell’arte militare nel corso della lunga storia dell’umanità:

    1. Organizzazione militare

    2. La potenza persiana sconfitta dai Greci

    3. Alessandro il Grande

    4. Navi da guerra e altre innovazioni

    5. Nuovi grandi protagonisti

    6. L’esercito romano in età repubblicana e imperiale

    7. Invenzioni che rivoluzionano l’arte della guerra

    8. Un’altra rivoluzione: la polvere da sparo

    9. Cannoni e armi da fuoco

    10. La guerra dei Trent’anni e i nuovi equilibri

    11. Gli eserciti nazionali

    12. Un nuovo tipo di guerre

    13. Motivi di guerra

    14. Nomi nuovi per distruzioni già viste

    Nell’Enciclopedia Italiana (VII Appendice - 2007) la voce Guerraè stata scritta da Virgilio Ilari. L’autore evidenzia come il concetto tradizionale di guerra, intesa quale «conflitto armato tra Stati», è contraddetto dai conflitti interni o tra soggetti politici diversi dallo Stato, divenuti sempre più frequenti dopo il 1945, nonché dall'uso, virtuale o indiretto, della forza militare e di forze non militari, che ha caratterizzato la Guerra fredda. La voce è così articolata in capitoli:

    1. La fine della guerra fredda e la vittoria dell'Occidente

    2. Il fardello della vittoria

    3. La scomparsa della guerra

    4. La criminalizzazione della resistenza

    5. La supremazia militare americana

    6. Gli ausiliari europei

    7. I conflitti 'identitari' o di convivenza

    8. La guerra santa contro il Grande Satana americano

    9. La 'guerra al terrore'

    Il Lessico del XXI Secolo(2012), nel definire il concetto di Guerra, introduce la distinzione tra guerre a bassa intensità e guerre asimmetriche. Le prime sono associate alla fine della Guerra fredda e le seconde agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle e al Pentagono. Con la fine della Guerra fredda e la dissoluzione dell’assetto bipolare esplodono in diverse aree del mondo delle guerre locali che erano rimaste latenti nella logica della contrapposizione dei blocchi. Con gli attacchi terroristici dell’11 settembre la risposta militare degli Stati Uniti (caratterizzata dal ricorso a tecnologie molto avanzate, come sistemi satellitari e armi ad alta precisione) segna l’affermazione di una dinamica unipolare basata sulla indiscussa superiorità americana e sull’individuazione di un nemico comune: il terrorismo.

    Dall’indice generale delle enciclopedie Treccani, digitando la parola Guerra, è possibile accedere a numerose voci sulle diverse tipologie di conflitti, su specifici aspetti della guerra o su singoli eventi bellici2. Tra queste segnaliamo: Guerra mondiale, Prima guerra mondiale, Seconda guerra mondiale, Guerra fredda, Guerra nucleare, Guerra civile, Economia di guerra, Arte della guerra.

     

    Fonti iconografiche

    ARTICOLO LA GUERRA IN RETE IMMAGINE 4Fig.4: logo di Google Images FonteLe fotografie

    Nella categoria Immagini le fotografie vengono mostrate da Google affiancate le une alle altre, senza rispettare alcun criterio ordinativo, cronologico o tematico, e prive di adeguate didascalie. Esse formano, così, un unico grande mosaico le cui tessere sono costituite dalle immagini delle guerre che hanno attraversato la storia dell'umanità negli ultimi centosettant’anni. Un mosaico inquietante, capace però di suscitare l'interesse degli internauti, di catturarne l'attenzione, e dove è possibile trovare:

    • le fotografie della sistematica distruzione delle città ucraine da parte delle forze armate della Russia di Putin accanto a quelle scattate in Crimea nel 1855 da Roger Fenton, dove la guerra veniva rappresentata, per rassicurare il pubblico inglese del tempo, come «una dignitosa scampagnata per soli uomini»3;
    • le immagini delle violenze subite dai civili nell'interminabile guerra che ha insanguinato il Vietnam dal 1960 al 1975 accostate a quelle “eroiche” dello sbarco alleato in Normandia nel giugno del 1944 (famose le istantanee di Robert Capa sul “D-day”);
    • le fotografie dell'orrore scattate al momento della liberazione, tra il gennaio e il maggio del 1945, nei campi di concentramento nazisti di Auschwitz, Bergen-Belsen, Buchenwald e Dachau, inframezzate a quelle festanti delle sfilate degli eserciti vincitori al termine della Seconda guerra mondiale, a Parigi come a Londra, a Mosca come a New York;
    • le vedute “lunari” dei campi di battaglia della Prima guerra mondiale, solcati da trincee, disseminati di crateri e cadaveri, mescolate alle immagini ufficiali della guerra tecnologica (dell'applicazione su vasta scala, in ambito militare, dell'elettronica, dell'impiego delle armi cosiddette “intelligenti”), apparentemente senza vittime, condotta dagli Stati Uniti d’America e dall'Occidente industrializzato contro l'Iraq di Saddam Hussein nella prima e nella seconda Guerra del Golfo (1990-1991, 2003-2011).

    È interessante notare come tra le immagini delle guerre più recenti, che circolano innumerevoli in rete, prevalgono le fotografie prodotte non da fotografi professionisti accreditati ma da soldati semplici che partecipano ai conflitti armati e da civili, testimoni loro malgrado delle terribili conseguenze delle azioni belliche.
    Con il terzo millennio l'iconografia della guerra è entrata, a pieno titolo, nell'era digitale. Oggi, l'occhio fotografico della guerra coincide con «l'occhio comune digitale», quello del videofonino e di Internet4.

    ARTICOLO LA GUERRA IN RETE IMMAGINE 5Fig.6: logo di Google Video FonteI video

    La categoria Video di Google, al pari di quella delle Immagini, ha conosciuto e conosce un'inarrestabile espansione, misurata sia in termini di pubblicazioni (caricamenti) in Rete che di accessi (visualizzazioni) da parte degli utenti. Sempre con la parola Guerra, il motore di ricerca segnala, in questa categoria: brani di trasmissioni televisive dedicate ai conflitti di ieri e di oggi; registrazioni audiovisive (che riguardano il nostro presente) di operazioni militari, di scontri a fuoco, di atti di violenza fisica e morale verso i “nemici”; montaggi di immagini varie di argomento bellico; spezzoni di film di genere (sia fiction che documentari); giochi di guerra basati su fatti storici o con ambientazioni di pura fantasia.

    Google mostra i Video, distribuiti in pagine successive (ciascuna ne contiene, di regola, dieci), mediante immagini copertina estratte dai video a cui si riferiscono, accompagnate da alcune note informative che comprendono: il titolo, l'indirizzo del sito web, la data di pubblicazione, la durata del video. Dopo averne selezionato uno, l'internauta può leggere i testi associati alle immagini. Per ogni video, Google ne propone molti altri di contenuto similare (o che tali dovrebbero essere), agevolando così, attraverso i link di collegamento, una interessante navigazione reticolare in cui è però facile perdersi.

     

    Qualche doverosa avvertenza finale

    Come si vede, c’è una gran messe di dati e immagini da sfruttare. Ma con giudizio. Nel Web, le guerre di ieri e quelle di oggi vengono per lo più affrontate allo stesso modo e messe sullo stesso piano. Gli “eventi del giorno” trovano un'immediata trattazione ed entrano così, all'istante, nella storia. Una “storia attualizzata”, che la Rete, nella maggior parte dei casi, riduce ad una semplice cronaca dei fatti, ad un flusso continuo di immagini e notizie giornalistiche, ad un esercizio frammentario di memorie, testimonianze, interessi e passioni, a cui difficilmente corrisponde una ricostruzione analitica degli accadimenti e meno che mai una riflessione critica sugli stessi e una loro interpretazione unitaria alla luce dei grandi processi della storia. Gli eventi del passato sono assimilati a quelli del presente; un presente “atomizzato” che s'impone come paradigma esistenziale e modello euristico5.

    Ci mette in guardia Giancarlo Mola:

    «La guerra vista dalla rete è soprattutto un trionfo della multimedialità e dell'interattività […]. Il ragno digitale ha ormai esteso la tela grande quanto il mondo intorno [agli eventi bellici]. Il navigante ci si arrampica sempre più freneticamente. Ha voglia di vedere, sentire, leggere, capire. A fine giornata è però pervaso da una sensazione strana. Che tutto sia rimasto un gioco di colori, suoni, immagini, codici html, una specie di videogame a cui ha assistito per una giornata intera. Che lui stesso sia rimasto impigliato nella ragnatela come una mosca. La guerra, quella vera, è un'altra cosa. Maledettamente più seria»6.

     


    Note

    Per un approfondimento su Wikimedia Commons: Antonio Prampolini, Le guerre del Novecento nelle foto. L’uso didattico di Wikimedia Commons, in «Historia Ludens», 11/11/2021.

    Per un approfondimento sulle voci della Treccani dedicate alla Prima guerra mondiale: Antonio Prampolini, Il portale “treccani.it” e la storia online: una ricerca sulla Prima guerra mondiale, in «Historia Ludens», 18/05/2021.

    Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2006, pp. 47-49.

    Giovanni Fiorentino, L'occhio che uccide. La fotografia e la guerra: immaginario, torture, orrori, Roma, Meltemi, 2004.

    5 Giancarlo Monina, La storia irretita. “Crisi della storia” e tecnologie di rete, in «Parole chiave», 2005, n. 34, pp. 127-146.

    Giancarlo Mola, La guerra vista dalla rete, articolo pubblicato il 02/04/1999 sul sito
    http://www.caffeeuropa.it/attualita/27guerra.html

  • Lo studio in classe delle fonti storiche

    Autore: Francesca Vinciotti


    Cosa ci può insegnare “Teaching History”

     

    Indice

    Introduzione
    L’insegnamento tradizionale
    Le novità degli anni ‘70
    I primi problemi in classe sulle fonti
    Strane proposte su Boadicea
    Lavori forse troppo difficili per gli studenti
    Un esempio ben fatto sulla prima guerra mondiale
    Le fonti su internet
    Le fonti letterarie
    Le fonti visive
    La cartografia come fonte storica
    La fotografia come fonte storica
    Un modello di lavoro su fonti fotografiche
    Le vignette satiriche

     

    Introduzione
    Il tema dello studio delle fonti storiche e di come proporle in classe è uno tra i più presenti diTeaching History, la rivista didattica che è il punto di riferimento degli insegnanti inglesi, a partire dagli anni ‘90. La modalità di azione didattica privilegiata è quella della ricerca/inchiesta su uno specifico tema, partendo dall’analisi di un gruppo di fonti. Questo tipo di attività viene solitamente posto al termine di un ciclo di lezioni su un dato periodo o argomento storico. In questo articolo, vengono presentati in ordine i problemi didattici relativi alle principali categorie di fonti, da quelle letterarie a quelle visive: le fonti maggiormente trattate dalla rivista.
    La centralità dell’uso delle fonti storiche nella didattica e la sua importanza nella formazione del docente, traspare sia dagli avvisi pubblicitari riportati dalla rivista, sia dai corsi di formazione, organizzati daiNational Archives  (Accredited Master Module, Transatlantic Teachers Programme, eContinuing Professional Development with the Historical Association).
    Questo articolo è ricavato dalla tesi di laurea in Storia moderna, discussa alla Sapienza nel 2014, con relatore Luigi Cajani. Historia Ludens ringrazia il prof. Cajani e la prof. Vinciotti per aver acconsentito a questa pubblicazione. (HL)


    Manchette pubblicitaria di tre corsi di formazione sull’uso didattico delle fonti, promossi dai National Archives      


    L’insegnamento tradizionale

    Per comprendere i cambiamenti avvenuti nello studio della storia ed in particolare nell’uso delle fonti a scuola si rivela molto utile la lettura dell’articolo1  del 1995 “Stories or Sources” (Storie o fonti) di Clare Hake e Terry Hayden2 . Gli autori presentano in primo luogo una rapida descrizione dei cambiamenti avvenuti nella didattica della storia negli ultimi decenni. Fino agli anni ’70 la tipica lezione era costruita su una prima mezz’ora di lezione frontale, nella quale l’insegnante raccontava un fatto o evento storico e una seconda mezz’ora in cui gli studenti scrivevano un breve testo su quanto ascoltato oppure rispondevano alle domande: “questo era il lavoro dello storico accademico stabilire il ricordo storico ed il lavoro dell’insegnante di scuola era ricevere tale scienza e presentarla in forma semplificata agli studenti3. L’abilità richiesta al docente era principalmente quella di saper “raccontare storie” e spiegarle in modo chiaro, mentre gli studenti dovevano ricordare le informazioni e saperle esporle in forma orale e scritta.


    Le novità degli anni ‘70

    Tra gli anni ’70 e ’80 del XX secolo si diffusero le idee legate alla “New History”, che enfatizzavano l’aspetto dell’interpretazione storica e l’analisi critica delle fonti storiche. Questi concetti si consolidarono e divennero operativi quando anche l’analisi delle fonti venne inserita nel National Curriculum ed all’interno dell’esame GCSE (General Certificate of Secondary Education). A seguito di tali cambiamenti il modello più comune di lezione è divenuto quello nel quale si presenta agli studenti un certo numero di fonti su un dato tema con delle domande che aiutino ad analizzarle. A metà degli anni ’90, quando scrivono Hake e Hayden, la maggior parte dei libri di testo è costituita quasi esclusivamente da una coppia di pagine su un dato argomento con una breve introduzione e poi dalle quattro alle sei brevi fonti, con alcune domande. Dove non sia disponibile un libro di testo, i docenti utilizzano comunque questa stessa formula, predisponendo loro stessi il materiale.

    Tuttavia questo modello, se da un lato ha aiutato a sviluppare il senso critico degli studenti, dall’altro ha spesso avuto come conseguenza che gli alunni perdessero di vista “il quadro generale” a livello logico e cronologico degli avvenimenti storici. Gli autori si inseriscono dunque nel dibattito in corso sui due modelli didattici, facendo presente che la storia è costituita da entrambi gli elementi “il racconto” e “le fonti”. I due aspetti si dovrebbero dunque bilanciare nella lezione di storia. Per cui è senz’altro compito del docente presentare la storia anche in modo problematico, ma senza pretendere di utilizzare gli stessi metodi adottati nello studio della disciplina accademica.

    In sostanza, dicono i due autori, è bene ricordarsi che ci si trova sempre di fronte a bambini e ragazzi, per cui anche la metodologia della ricerca storica deve essere presentata in modo adeguato alla fascia d’età, tenendo presente che molti studenti si sentono confusi e frustrati e non stimolati dalla presentazione di un fatto in modo problematico e con molte variabili. Si dovrebbe quindi tornare ad una spiegazione degli eventi, fornire un quadro d’insieme e poi analizzare in modo critico le fonti solo su un particolare aspetto o sulla micro storia. In tal senso gli autori auspicano un cambiamento dei libri di testo, con l’inserimento di un’ampia sezione di testo, intervallata dalla presentazione di alcune fonti. Suggeriscono inoltre di ritornare ad inserire, oltre alle domande, anche esercizi di sintesi ed esercizi volti alla scrittura di temi e relazioni. Spetta però soprattutto al docente, concludono, tornare a farsi “narratore”, spiegare il passato e creare i collegamenti tra la storia e le fonti, inserirle nel contesto storico, “dovrebbe anche essere dedicato più tempo alla spiegazione della relazione tra fonti e storia, in modo che gli alunni abbiano sempre in mente che dalle stesse fonti possono essere ricostruite diverse interpretazioni storiche4 .


    I primi problemi in classe sulle fonti

    I problemi descritti da Hake ed Hyden sembrano però persistere ancora negli anni successivi. Se da un lato infatti, sia nelNational Curriculum (1999 e 2005) che nei libri di testo, si cerca di porre rimedio alla difficoltà degli studenti di legare gli eventi in un quadro organico, al fine di ricostruire “un quadro generale” dei vari periodi storici, dalla lettura di molti degli articoli nella rivista emerge ancora grande difficoltà nell’uso delle fonti in classe da parte sia degli studenti che degli stessi docenti. Emblematico il caso presentato nella rubricaME MOVE ON, nella quale insegnanti tirocinanti o alle prime armi o che comunque abbiano delle difficoltà, presentano i loro problemi nella didattica e ricevono consigli da un mentore.

    In questo caso5 a porre la questione è Josie, una PGCE (Postgraduate Certificate in Education)history student, che ha notato una notevole difficoltà da parte dei suoi studenti ad utilizzare gli esercizi sulle fonti predisposti dal dipartimento di storia della scuola. Josie racconta di aver proposto ai suoi alunni dello Year 8 (corrispondente alla nostra seconda media) due immagini sull’Inghilterra del 1500, chiedendo loro di descriverle e provare quindi a raccontare come era l’Inghilterra in quel periodo. Il 95% degli studenti è riuscito a descrivere le immagini, ma solo il 50% è riuscito a fare delle inferenze e pochissimi sono poi riusciti ad inserire le fonti all’interno dei testi scritti su quel periodo. Josie si è domandata come migliorare le abilità dei suoi studenti nel trarre inferenze dalle fonti e poi ricollegarle con il quadro complessivo delle loro conoscenze e come porsi nei confronti del dipartimento di storia e del tutor, per evitare che le sue osservazioni potessero sembrare delle forti critiche al loro operato. Se le domande sono chiare, le risposte fornite dal redattore della rubrica sono invece molto vaghe, suggeriscono a Josie di leggersi alcuni articoli sul tema e di essere molto diplomatica.


    Strane proposte su Boadicea

    Piuttosto sconcertante il modello proposto in un articolo6 del 2011 da Robert Guyer7 per analizzare e problematizzare l’uso delle fonti storiche per gli studenti dallo Year 7 al 13 (cioè dagli 11 ai 16  anni). L’autore sottolinea infatti come desideri analizzare più a fondo le fonti proposte. Sceglie dunque per la sua attività di trattare la storia di Boadicea (senz’altro una scelta accattivante, per inglesi, dal momento che si tratta della regina che riuscì a opporsi fermamente alle legioni romane). Le fonti utilizzate sono state: gli Annali di Tacito, di Cassio Dione, il capitolo Queen of the Iceniin People in History (1957) di R.J. Unstead e “Boadicea”, il cap. 1 di Michael Wood, in In Search of the Dark Ages (1981). Ogni testo è stato quindi diviso in quattro parti, corrispondenti più o meno a quattro parti della storia e gli alunni, divisi in gruppi di sei, dopo aver letto dalle quattro fonti il loro pezzo di storia, dovevano presentarlo attraverso una breve recita o in altro modo. Naturalmente nelle rappresentazioni vi sono stati molti anacronismi, ma l’esercizio era essenzialmente finalizzato a ricordare e comprendere la storia nell’insieme. La fase successiva è stata invece destinata all’analisi critica delle fonti seguendo una griglia di domande e comparando prima le due antiche e poi le due moderne, per ricostruire infine come gli scrittori moderni avevano utilizzato le fonti antiche. Si tratta, per la seconda parte dell’attività proposta, di un lavoro veramente complesso rispetto alla fascia di età per la quale è presentata ed infatti non è chiaro con quali classi e di che abilità l’autore abbia svolto queste lezione, né sono riferiti in alcun modo i risultati del lavoro degli studenti.


    Lavori forse troppo difficili per gli studenti

    Similmente anche nell’articolo8, Equiano-voice of silent slaves di Andrew Wrenn9 del 2002 (Oulaudah Equiano è uno dei pochissimi schiavi neri che riuscì a scrivere le sue memorie), le attività descritte sembrano pretendere forse troppo dalle capacità di analisi critica degli studenti. L’idea di Wrenn è quella di mettere in relazione “a little story” con “the big picture”. L’attività si colloca nel contesto dello studio del commercio triangolare nel key Stage 3, nell’ambito di un progetto intitolato Slave, Subject and citizen; a thinking citizen’s project (Schiavo suddito e cittadino, un progetto dedicato alla cittadinanza) realizzato da studenti ed insegnanti della Chesterton Community College (11-16 comprehensive school) di Cambridge. Il progetto era focalizzato non solo sul commercio degli schiavi e la sua abolizione nell’Impero Inglese, ma anche sulle diverse forme di schiavitù presenti ancora oggi nel mondo.

    Wrenn fa presente come nello studio del commercio degli schiavi sia spesso assente proprio la voce degli africani che ne erano protagonisti, per questo il docente ha voluto sottoporre agli studenti come fonte l’autobiografia di Olaudah Equiano, un africano rapito nella zona dell’attuale Nigeria, fatto schiavo da bambino e poi divenuto un importante esponente dell’abolizionismo in Inghilterra. Il racconto della descrizione del Middle Passage sulla nave negriera è spesso presente in molti libri di testo inglesi (purtroppo è introvabile in quelli italiani), ma il docente ha proposto agli alunni più ampi stralci della biografia di Equiano, in particolare sulla sua giovinezza. Agli studenti è stata quindi proposta la visione di alcune parti di un documentario della BBC su Equiano, nell’ambito di una serie di puntate chiamate “Hidden Empire” e dedicate a fare luce su particolari esempi di orrore ed oppressione durante l’Impero Inglese.

    Wrenn ha quindi fatto notare ai suoi allievi come alcune parti meno edificanti della vita di Equiano fossero state lasciate in ombra ed alcune clip del documentario sono state comparate con i corrispondenti passi dell’autobiografia. Gli alunni dovevano quindi discutere delle differenze individuate e provare a stabilire cosa avrebbero invece incluso o escluso loro, se avessero dovuto realizzare il documentario. Secondo l’autore è infatti essenziale promuovere negli studenti lo studio delle “interpretazioni della storia”. Peccato che Wrenn non riporti quali siano stati i risultati di questo lavoro con gli studenti. Senz’altro più semplice l’attività collegata alla cittadinanza, destinata a far riflettere gli studenti, sempre attraverso la lettura di passi dell’autobiografia, sulla complessità dell’identità di Equiano: da un lato orgoglioso di essere africano e dall’altro di essere inglese (pur avendolo gli inglesi reso schiavo), devoto metodista, ma desideroso di difendere le pagane credenze africane, una vita iniziata come figlio di un capo africano e conclusa come un gentlemen sposato con una moglie inglese e bianca.

    Particolarmente indicativo delle difficoltà non risolte nell’uso delle fonti in classe è la riflessione di Christen Counsell10 nell’editoriale del n. 113 della rivista pubblicato nel 2003. La Counsell critica la tendenza di docenti e libri di testo a fornire come fonti storiche dei testi molto brevi, ritenendo che essi siano più semplici da comprendere per gli studenti, mentre spesso è proprio vero il contrario, un testo più ampio con maggiori dettagli, una più lunga narrazione, sebbene più faticoso da leggere risulta alla fine più chiaro agli studenti. Forse i testi più brevi sono più semplici per gli insegnanti, suggerisce con un po’ di malignità la Counsell, perché richiedono meno impegno per preparare la lezione? E’ evidente che il metodo utilizzato per selezionare, presentare ed analizzare le fonti storiche continua ad essere motivo di ampio dibattito nella comunità degli insegnanti.


    Un esempio ben fatto sulla prima guerra mondiale

    Un bell’esempio di lavoro sulle fonti è descritto in modo accurato da Sally Evans, Chris Grier, Jemma Philips e Sara Colton11 nell’articolo Please send socks. How much can Reg Wilkes tell us about the Great War (Per favore speditemi calzini. Quanto può raccontarci Reg Wilkes sulla Grande Guerra), pubblicato nel 200412 .
    Gli autori raccontano come nel corso del loro PGCE (Postgraduate Certificate in Educadion) course abbiano avuto modo di studiare i materiali originali e le lettere di un soldato, Reg Wilkes, che aveva combattuto nella prima guerra mondiale. Questo materiale, in originale almeno per alcuni oggetti o fotocopiato a colori, è stato portato in classe ed ha fornito la base per un ciclo di sei lezioni, per consentire di comprendere un episodio storico tramite gli occhi di un individuo. Reg è un soldato che descrive la sua vita in trincea, scrive alla famiglia ed agli amici, annota per sé quello che gli accade giornalmente in un diario. La parte attiva nella guerra per Reg termina nel luglio 1916 a Somme durante la battaglia di Delville Wood, nella quale viene ferito. Ricoverato nell’ospedale di Ipswich, viene poi congedato nel 1917 e ritornerà dalla sua famiglia a Bloxwich, dove vivrà fino al 1980. Agli studenti è stata fatta una breve presentazione di Reg Wilkes ed è stata presentata una doppia linea del tempo parallela, su una linea erano indicati gli eventi della vita di Reg e sull’altra quella della storia della guerra. Le lezioni sono state costruite per consentire di passare gradualmente dalla microstoria alla macrostoria secondo il seguente schema:

    Lezione 1    Chi era Reg e perché era così impegnato nel 1914?
    Lezione 2    Quanto può raccontarci Reg sulla vita in trincea?
    Lezione 3    Quanto può raccontarci Reg sulla battaglia di Somme?
    Lezione 4    Quanto può raccontarci Reg sulle relazioni con gli altri durante la guerra?
    Lezione 5    Le lettere di Reg ci raccontano tutto quanto è necessario sapere dell’esperienza di un soldato durante la Grande Guerra?
    Lezione 6    Quanto può dirci Reg Wilkes sulla Grande Guerra?

    Gli alunni hanno affrontato i temi delle differenti lezioni sempre partendo dalle fonti. Inizialmente hanno fatto fatica a leggere la grafia di Reg, ma in breve tempo si sono abituati. I dettagli presenti nelle lettere ed in particolare sulla vita in trincea hanno molto colpito gli studenti, dalla richiesta di calzini ai familiari, alla descrizione del cibo e della monotonia delle giornate. La prima attività di studio delle fonti, quella della lezione 2, è stata maggiormente guidata attraverso la stesura di una griglia nella quale vi erano alcune affermazioni sulla vita in trincea e gli studenti dovevano dire se erano d’accordo o meno.

    Nella terza lezione, sulla battaglia di Somme, sono state introdotte anche altre fonti, quali video clip, cartoline ecc, e la storia della battaglia è stata seguita dal punto di vista di Reg usando il suo diario. La lezione si è conclusa con la pagina bianca del diario del 27 luglio, per creare una certa aspettativa su quello che poteva essere avvenuto. Naturalmente nella lezione successiva sono stati presentati i brevi appunti scarabocchiati sul suo ferimento. Nell’ultima lezione agli studenti è stato chiesto di utilizzare tutto quello che sapevano su Reg e l’idea che si erano fatti di lui per scrivere un testo di 250 parole di accompagnamento ad una sua foto per una mostra in un museo. La limitazione nel numero di parole ha incoraggiato gli studenti a pensare attentamente a come strutturare il testo e ad utilizzare un linguaggio molto conciso. Anche qui mancano delle considerazioni finali sulla risposta degli alunni a questa attività, ancor più se, come si può arguire dal testo, ognuno dei docenti ha presentato l’attività in classi e scuole diverse, per cui sarebbe stato possibile anche un confronto.


    Le fonti su internet

    Ancora molto attuale il tema presentato da Ben Walsh13 in un articolo14 del 2008 intitolato Stories and sources: the need for historical thinking in an information age (Storie e fonti: la necessità del pensiero storico nell’epoca dell’informazione) sui problemi degli studenti (e non solo) nel ricercare informazioni e fonti tramite Internet. In particolare Walsh sottolinea che uno strumento come Wikipedia viene spesso sopravvalutato ed utilizzato con scarsa consapevolezza e, con non poca malignità, riporta parte di un discorso del 10 aprile 2007 dell’allora segretario all’educazione Alan Johnson: “Internet è stata una forza incredibilmente positiva nell’istruzione. Internet consente a chiunque di accedere ad informazioni che una volta erano riservate a chi poteva permettersi di abbonarsi all’Enciclopedia Britannica ed era preparato a muoversi nel suo dedalo di indici e contenuti. La moderna tecnologia consente a tutti di ampliare gli strumenti usati da studenti, insegnanti e scuole”.

    Evidentemente commenta Walsh, Johnson non ha chiaro il concetto che informazione ed educazione non sono la stessa cosa, che la tecnologia di per sé non è un valore ed il paragone tra Enciclopedia Britannica e Wikipedia è a tal punto fuori luogo, che persino Larry Sanger, cofondatore di Wikipedia, si è sentito in dovere di intervenire il giorno dopo, dalle pagine del Times, per replicare al segretario dell’istruzione15. Walsh prosegue quindi riportando la sua esperienza, svolta nel marzo del 2006 presso la Open University nell’ambito del progetto “The Arguing in History”.

    A 18 alunni dello Year 9 (corrispondente alla nostra terza media) coinvolti nel progetto era stato chiesto di svolgere una ricerca su un particolare argomento utilizzando Internet. Una volta svolta la ricerca, tutti potevano ricordare il contenuto di quello che avevano letto e di aver utilizzato Google come motore di ricerca. Solo tre ricordavano vagamente quale era il sito che avevano consultato e ritenevano potesse essere Wikipedia.

    Si tratta di un’esperienza che in realtà tutti gli insegnanti vivono quotidianamente, ciò che conta per gli studenti è la velocità nel trovare le informazioni; da dove vengano e l’autorità della fonte sono domande che neppure li sfiorano. Ci si limita a cliccare sul primo sito della lista e nella maggior parte dei casi gli studenti non hanno neppure coscienza del fatto che Google non è una fonte, ma semplicemente un motore di ricerca. Il docente deve quindi guidare lo studente all’uso del metodo storico anche quando si utilizzano fonti informatiche. Non vi è altra soluzione che quella di svolgere delle ricerche usando internet insieme ai propri studenti, magari dando prima loro un tema e facendogli svolgere la loro ricerca usando Google e Wikipedia e poi guidandoli a ricercare informazioni sullo stesso tema, usando siti di musei ed archivi, comparando quindi la qualità delle informazioni reperite e le loro fonti. Alla fine questa attività darà grande soddisfazione agli studenti e fornirà loro uno strumento per l’uso critico di Internet, non solo per lo studio della storia, ma per la vita in genere.


    Le fonti letterarie

    Tra le fonti letterarie, le meno utilizzate sono sicuramente quelle poetiche, per più che ovvie ragioni, prime fra tutte le maggiori difficoltà di comprensione e decodifica di questi testi. Quando si decide di presentare una fonte letteraria di tipo poetico, essa è il più delle volte abbinata ad un’altra fonte in prosa o visiva.

    Molto interessante, proprio perché molto rara, l’idea di mettere al centro di un ciclo di lezioni delle poesie tradotte dal Nahuatl del Messico Atzeco del docente Nicolas Kinloch16. L’insegnante ha svolto questa attività17 in una classe di studenti dello Year 8 (corrispondente alla nostra seconda media) di abilità miste, presso la Netherhall School di Cambridge. Kinloch ha scelto la poesie “Flower-songs”, una fonte poco nota e poco utilizzata, per offrire un’immagine della società Atzeca meno stereotipata rispetto a quella fornita dalle fonti occidentali, soprattutto spagnole. L’attività si è articolata in tre lezioni ed in un esercizio da svolgere a casa.

    Nel corso della prima lezione il professore ha incoraggiato gli studenti, che non avevano ancora studiato questo argomento, a stendere una lista18 di informazioni su quello che sapevano già del popolo azteco ed una sugli europei dl XVI secolo19. Per quanto riguarda gli aztechi la maggior parte degli studenti si è focalizzata sui sacrifici umani. Anche il cannibalismo è stato spesso menzionato. Gli studenti tendevano a leggere questi riti nei termini di vero e proprio sadismo, più che di obblighi religiosi, riecheggiando le cronache dell’epoca della conquista spagnola. L’aggettivo utilizzato più spesso dagli allievi per descrivere questa cultura è stato “primitivo”. Al contrario l’immagine degli europei del 1500 risultava abbastanza positiva.

    Nel corso della seconda lezione Kinloch ha fornito ai suoi studenti un breve quadro sulla poesia azteca, spiegando che questi testi non erano scritti, ma trasmessi oralmente e furono raccolti dai conquistatori spagnoli ed ha quindi proposto loro alcune poesie20 da leggere e sulle quali riflettere sulla base di una griglia di domande. La terza lezione è consistita in un dibattito, nel quale gli alunni dovevano motivare le loro risposte al questionario e spiegare che cosa avevano appreso della cultura azteca dalle poesie. Infine il professore ha chiesto loro se la lettura delle poesie aveva in qualche modo modificato le loro idee sul popolo azteco. L’esercizio per casa consisteva nello scrivere un’ampia risposta alla seguente domanda: “gli aztechi erano vittime consenzienti di sacrifici umani?”.

    In generale Kinloch ha notato, sia nel corso del dibattito che poi leggendo le risposte scritte, che gli allievi erano rimasti impressionati dalla complessità e raffinatezza della poesia azteca e gli aggettivi usati per descrivere questo popolo non erano più solo primitivo e triste, ma anche coraggioso, amante della bellezza, felice. Anche sui sacrifici umani, molti studenti avevano rivisto le loro precedenti idee, scrive ad esempio uno di loro: “questa poesia dimostra che la gente azteca riteneva un fatto positivo morire in un sacrificio. Essi credevano anche che essere le vittime di un sacrificio fosse la stessa cosa che essere uccisi in guerra o nel campo di battaglia. Così, forse essi ritenevano che fosse giusto morire per il proprio paese e la propria gente nel modo in cui era possibile. Ciò non doveva essere motivo di paura21.


    Le fonti visive

    Dal 2004 iniziano ad apparire nella rivista in modo abbastanza regolare anche degli articoli dedicati all’uso ed all’analisi delle fonti visive nelle classi di storia.

    In particolare Jane Card22 nel suo articolo23 Picturing place: what you get may be more than what you see (Rappresentare un luogo: quello che si ottiene può essere più di quello che si vede) mette in evidenza come ormai nei libri di testo di storia via sia una grande abbondanza di immagini, ma come assai raramente esse siano trattate dagli stessi insegnanti come fonti da analizzare in modo critico. Più spesso sono semplicemente considerate un modo per “dare colore al passato”. Erroneamente ritenute di più semplice comprensione per lo studente rispetto a quelle scritte, tali fonti visive sono spesso utilizzate come stimolo iniziale della lezione, per catturare l’interesse degli studenti. Spesso avviene invece il contrario: le immagini possono infatti essere lette a più livelli, ma un’analisi approfondita richiede sofisticate abilità di decodifica che debbono essere prima insegnate allo studente ed ancor prima apprese dal docente stesso. La Card sottolinea come gli alunni, quando prendono confidenza con il lavoro di lettura e analisi delle immagini, si appassionino con entusiasmo a questa “ricerca di significati nascosti” presenti nelle fonti visive.

    Secondo l’autrice occorre preparare accuratamente gli studenti a questa attività, non è sufficiente che gli alunni diano una rapida occhiata all’immagine. Devono invece essere in grado di descriverla in modo dettagliato e sistematico e saper dare un nome preciso agli oggetti ed alle persone rappresentati. Il che vuol dire padroneggiare da un lato l’abilità linguistica (scritta e orale) della descrizione e dall’altro disporre di un ampio bagaglio di informazioni sull’immagine che deve essere “letta” e sul contesto storico. Solo a questo punto si può provare a decodificare con una certa profondità l’immagine, stimolando poi in classe eventuali discussioni.

    Jane Card propone alcuni esempi di attività di studio relative ad illustrazioni anti puritane del periodo di Carlo I, ad incisioni del XVIII secolo (Beer Street and Gin Lane) per esplorare gli aspetti della società e del crimine in questo periodo ed il ritratto di Mr and Mrs Andrews (1749) per analizzare gli effetti economici e sociali dell’introduzione dei campi chiusi. In tutti i casi le immagini sono corredate di un box contenente informazioni utili sull’immagine e su particolari aspetti rilevanti del periodo storico in esame e di un altro riquadro contenete una scaletta dettagliata di domande che guidano in modo progressivo prima alla descrizione e poi all’ interpretazione dei vari significati dell’immagine.

    Il ritratto di due signori inglesi diventa la fonte da cui ricavare informazioni sulle recinzioni nelle campagne


    La cartografia come fonte storica

    Sempre nel numero 116 di Teaching History24, Evelyn Sweerts e Marie-Claire Cavanagh25 si occupano di un’altra tipologia di fonti visive spesso trascurate nella scuola: le mappe e carte geografiche antiche. Si tratta di fonti molto complesse che richiedono l’uso contemporaneo di abilità sia storiche che geografiche, che spesso mettono in difficoltà gli stessi docenti. Per questo la Sweertes e la Cavanagh, rispettivamente docenti di storia e geografia, hanno predisposto un progetto trasversale storico-geografico per gli studenti dello Year 7 (corrispondente alla nostra prima media) della London Comprehensive School, dove insegnavano, organizzato in 5 lezioni (una geografica e quattro storiche) incentrate sulla Mappa Mundi e The Travels of Sir John Mandeville.

    Le autrici si rendono conto che l’utilità delle mappe antiche come fonte storica possa non risultare immediatamente evidente in tutti i suoi aspetti, per cui dedicano un ampio spazio alle finalità del loro progetto. Solitamente infatti nell’insegnamento della storia si tende ad utilizzare soprattutto carte tematiche o a confrontare carte geografiche di epoche diverse per evidenziare i cambiamenti politici avvenuti. In realtà se si utilizzano carte e mappe antiche esse contengono ben più che una semplice informazione su luoghi allora conosciuti, città e confini tra gli stati, ma sono una fonte secondaria molto importante per comprendere la visione del mondo di chi ha redatto la carta, ciò che era importante inserire e perché, in sostanza “Essi hanno disegnato una carta del loro mondo: noi possiamo disegnare una carte della loro mente”. In particolare la Mappa Mundi prodotta nel 1290 ed il testo medievale di viaggio The Travels of Sir John Mandeville si prestano molto bene ad analizzare il concetto di “sé” e di “altro” dell’epoca medievale.
    Mappa mundi del 1290


    Tutto ciò richiede però un lavoro piuttosto complesso. La lezione geografica è stata volta a sviluppare in primo luogo il senso dell’orientamento dei ragazzi sulle mappe e quindi ad analizzare le differenze nella rappresentazione tra la Mappa Mundi e le altre rappresentate con la MC Arthur’s Universal Corrective, la proiezione di Peters e la proiezione di Mercatore.
    Le lezioni di storia invece sono state organizzate con lavori a coppie e brainstorming per analizzare i due documenti seguendo una griglia di domande. Tuttavia nell’articolo ne vengono solo suggerite alcune (perché la mappa è orientata ad est? Cosa rappresentano le creature ai bordi della mappa?), ma non viene fornito alcuno schema preciso che invece sarebbe stato utile, visto che, soprattutto la Mappa Mundi, non è un documento ordinariamente presente nei libri di testo di storia inglesi, né viene fornita in proposito una bibliografia ampia. Per questo nel complesso l’articolo pur essendo interessante come spunto, richiede poi una grande mole di lavoro di ricerca per sviluppare effettivamente una lezione in classe.


    La fotografia come fonte storica

    L’importanza ai fini didattici dell’uso delle fonti visive ed in particolare delle fotografie è attestato come sempre anche dal rilievo con il quale viene ad esempio pubblicizzato sulla rivista il sito HERITAGE EXPLORER IMAGES FOR LEARNING, una banca dati ricchissima di fotografie, con chiavi di ricerca per luogo, tema o parola chiave e con attività già predisposte basate sul National Curriculum.
     

    Tra i lavori su questo genere di fonti, interessante, per quanto di difficile attuazione, l’uso delle fotografie proposto da Caille Sugarman-Banaszak26 nel suo articolo27 Stepping into the past: use images to travel through time (Camminando nel passato: usare le immagini per viaggiare nel tempo).

    L’autore ha proposto ai suoi alunni come preparazione del viaggio in Polonia e ad Auschwitz una serie di foto degli stessi luoghi risalenti agli anni intorno al 1920 e 1930 e durante la seconda guerra mondiale. E’ stata quindi svolta una prima attività di confronto in classe, poi le stesse foto sono state riutilizzate nel corso del viaggio di studio per orientarsi, ritrovare quegli stessi luoghi e fotografarli. Una volta ritornati a scuola, è stato fatto un ulteriore confronto. Gli studenti si sono naturalmente appassionati alla ricerca, ma soprattutto hanno riscoperto realmente la “memoria dei luoghi”.

    A margine dell’articolo l’autore presenta anche una sua riflessione su come proporre agli studenti le immagini della Shoah. Nel corso della sua esperienza si è infatti reso conto che presentare immagini di cadaveri, di persone torturate ed uccise, spesso suscita un effetto opposto a quello desiderato, contribuendo a disumanizzare le vittime. Per cui è preferibile usare immagini di vita, ritratti individuali e di famiglia, ma soprattutto si è rivelato utile presentare agli studenti i disegni e le poesie (fortunosamente scampati alla distruzione) di alcuni dei 15000 bambini che hanno vissuto nel ghetto di Terezin.

    A ciascun alunno è stata proposta una selezione di immagini e poesie realizzate dai bambini del ghetto, con una serie di domande alle quali rispondere per riflettere sui simboli e sui materiali (pochi e poveri) utilizzati per realizzare i disegni. Queste testimonianze di vita sono potenti e immediatamente consonanti con quelle dei ragazzi, ma necessitano comunque di un lavoro di indagine ed analisi per analizzarle in profondità. Infine a ciascuno studente è stato chiesto sia di elaborare una riflessione o un lavoro creativo (disegno, musica ecc) per commemorare la Shoa, sia di progettare un museo virtuale sulla Shoa.


    Un modello di lavoro su fonti fotografiche

    Sempre incentrato sull’uso di fotografie come fonte storica è l’articolo28 di Morgan Baynham29 pubblicato nel 2010 nella rubrica triumphs Show ed intitolato Headteachers, Hungarians and Hats: using family photos to bring the diversity of Jewish lives to life (Presidi, ungheresi e cappelli: utilizzare le foto di famiglia per mostrare la diversità delle vite degli ebrei).

    Baynham desiderava mostrare ai suoi studenti dello Year 9 un quadro della vita degli ebrei prima, durante e dopo la Shoah. La lezione cui fa riferimento nell’articolo è la prima del ciclo dedicata a come vivevano gli ebrei negli anni ‘20 e ‘30 del 1900. In particolare il concetto chiave della lezione era quello della “diversità”, far vedere come fossero diverse le vite degli ebrei nelle tante nazioni in cui vivevano all’epoca, al fine di cercare di scardinare quei luoghi comuni che vennero poi fatti propri dal regime nazista nella rappresentazione degli ebrei.

    Il docente per preparare la lezione si è servito del database interattivo sulla Memoria Ebraica, che dispone di un vasto archivio fotografico in cui spesso le immagini sono accompagnate da una breve descrizione della storia della famiglia cui si riferiscono. Baynham ha scelto le foto più sorprendenti che è riuscito a trovare: ne ha selezionate sei riferite a nazioni diverse (Francia, Germania, Romania, Turchia).

    La lezione è stata introdotta rapidamente con l’analisi di una carta tematica relativa alla distribuzione della popolazione ebrea in Europa nel 1933. Quindi il docente ha invitato gli alunni a lavorare a coppie ed ha consegnato ad ogni coppia una busta sigillata, nella quale vi erano le sei immagini sopra menzionate. Gli studenti dovevano quindi scegliere l’immagine che li interessava di più e svolgere degli esercizi scanditi secondo una precisa sequenza temporale. I primi due minuti dovevano essere dedicati alla descrizione di tutti i dettagli possibili della foto, il secondo lasso di tempo era dedicato a formulare delle domande sulle immagini (Chi possono essere queste persone? Da dove vengono? Cosa stanno facendo?). Il terzo intervallo di tempo è stato utilizzato per fare delle ipotesi e rispondere alle domande prima formulate.

    Una volta terminato questo lavoro, il professore ha consegnato agli studenti un’altra busta chiusa, in cui vi era la descrizione delle immagini e la storia delle persone ritratte nella foto. E’ stato poi avviato un dibattito, nel quale è stato possibile confrontare le ipotesi fatte dagli studenti e la reale storia delle fotografie e provare a trarre delle conclusioni sull’attività svolta. Al termine del lavoro Baynham è rimasto molto sorpreso dalla mole di informazioni che i ragazzi erano riusciti scoprire in una singola immagine e dall’impegno che avevano mostrato “nel fare gli storici”. Inoltre la maggior parte degli studenti aveva colto quello che era il concetto centrale della lezione, osservando che gli ebrei conducevano “ordinary lives” e che l’essere ebreo costituiva solo un singolo aspetto della loro identità. Svolgere una lezione di questo tipo, per introdurre inseguito il tema dell’Olocausto, è stato funzionale, secondo il docente, a presentare agli alunni gli ebrei come persone, come loro, e non come vittime o dati statistici.


    Le vignette satiriche

    L'articolo30 intitolato Developing multiperspectivity trough cartoon analysis: strategies for analysing different views of three watersheds in modern German history (Sviluppare la capacità di osservare da diversi punti di vista attraverso le vignette umoristiche: strategie per analizzare visioni differenti nella storia moderna della Germania), apparso nel 2010, è dedicato all’analisi di una particolare fonte visiva, cioè le vignette satiriche. In esso l’autore, Ulrich Schnakenberg31, propone in maniera chiara e semplice un modello di analisi di questo tipo di fonte da utilizzare in classe ed anche alcune significative esemplificazioni. Schankenberg fornisce subito un quadro generale in cui evidenzia quali sono i pro ed i contro all’uso delle vignette in classe: se da un lato infatti esse sono molto amate dagli studenti, come del resto le immagini in genere ed i film, e sicuramente costituiscono un ottimo stimolo iniziale per catturare la loro attenzione, di contro spesso si rivelano immagini difficili da decodificare in quanto ricche di simboli e personificazioni. Il dettaglio di questa analisi è fornito in tre distinti box di differente colore dedicati rispettivamente alle ragioni per cui utilizzare questa tipologia di fonte in classe, alle difficoltà che possono sorgere nell’uso di questa fonte ed alle caratteristiche stilistiche tipiche delle vignette. 

    Note

    [1] Teaching History 1995 n. 78, Stories or Sources, pp. 20-22.

    [2] Terry Hyden nel 1995 lavorava all’Institute of Education, University of London; Clare Hake alla Oxford University nel dipartimento di Educational Studies.

    [3] Aldrich R.E., Class and gender in the study and teaching of history in England in the twentieth century, in Historical Studies in Education,vol 1n. 1, 1989.

    [4] Teaching History 1995 n. 78, pp. 22.

    [5] Teaching History 2001 n. 103, Move me on. This issue’s problem: Josie, PGCE history student, is finding that her use of department’s exercises on sources is not improving pupil’s understanding of evidence, pp. 42-45

    [6] Teaching History 2001 n. 103, Working with Boudicca Texts, pp. 32-36.

    [7] Robert Guyver è Senior lecturer alla Faculty of Education, Sport and Technology in the College of St mark and ST Jhon, Plymouth.E’ stato membro del DES National Curriculum History Working Group che ha scritto il National Curriculum per la Storia.

    [8] Teaching History 2002 n. 107, pp. 13-19.

    [9] Andrew Wrenn è General Adviser for History, Cambridgeshire LEA.

    [10] Teaching History 2003 n. 111, p. 3.

    [11] Sally Evans, Chris Grier, Jemma Philiphs e Sarah Colton erano tutti insegnanti tirocinanti alla Warwik University nel 2003, dal 2004 insegnano in differenti comprensive school nel Midlands.

    [12] Teaching History 2004 n. 114, pp. 7-16.

    [13] Ben Whalsh ha molti anni di esperienza nel settore dell’educazione e dell’insegnamento, è stato capo dipartimento ed è ora scrittore di libri di testo per la scuola secondaria. Tiene corsi sull’uso dell’ICT nella storia ed è membro dell’Historical Association Secondary Education Commitee.

    [14] Teaching History 2008 n. 133, pp. 4-9.

    [15] The Time , 11 April 2007.

    [16] Nicolas Kinloch è capo del dipartimento di storia e di russo alla Netherhall School (11-18 comprehensive), Cambridge.

    [17]Teaching History 2003 n. 112, Confounding expectation at key stage 3: flower songs from an indigenous empire, pp, 38-43

    [18] Ecco un esempio di risposte tipiche alla domanda “what kind of people were the Mexica?”.: “cut people’s hearts out, worshipped the sun, were good at building, like going to war, wore costumes with feathers and stuff, liked eating people, were very gloomy”.

    [19] Ecco un esempio di risposte tipiche alla domanda “what kind of people were 16 th-century Europeans?”: “were very religious, were good at painting, believed in justice, had a good technology (ships, guns), were not very clean, sometimes went to war, liked watching plays”.

    [20] Riporto alcuni dei testi poetici presentati da Kinloch (TH 2003 n. 112, p. 41) nel suo articolo come esempio (naturalmente in traduzione inglese):

    1) Flowers have come!/To refresh/And delight you, princess./You see them briefly/As they dress themselves,/ Spread their petals/Perfect only in spring/Countless golden flowers!//The flowers have come/to the skirt of the mountain.

    2) Could it be true we live on earth?/ On earth forever?// Just one brief instant here.// Even the fines stones begin to split,/ even gold is tarnished,/Even precious bird-plumes/ Shrivel like a cough./ Just on brief instant here.

    3) Heart, have no fright./There on the battlefield/ I cannot wait to die/by the blade of sharp obsidian./ Our hearts want nothing more than a war/death.// You who are in the struggle:/ I am anxious for a death/from sharp obsidian./ our hearts want nothing but a war/death.

    [21] Teaching History 2003 n. 112, pp. 42-43.

    [22] Jane Card è Head of History alla Didcot Girl’s School (11-18 comprehensive), Didcot, Oxfordshire e ricercatrice e scrittrice sull’uso delle fonti visive nell’insegnamento della storia.

    [23] Teaching History 2004 n. 116, pp. 16-20.

    [24] Teaching History 2004 n. 116, pp. 21-26.

    [25] Evelyn Sweerts e Marie-Claire Cavanagh insegnano alla European School Brussels II, Belgium, ma il progetto presentato fa riferimento all’attività di insegnamento da loro svolta in passato presso la London Copprhensive School.

    [26] Caille Sugarman-Banaszak insegna storia presso il Parkside Community College (11-16 comprehensive) di Cambridge ed è Holocaust Education Fellow all’Imperial War Museum.

    [27] Teaching History 2008 n. 130, pp. 24-29.

    [28] Teaching History 2010 n. 141, pp. 18-19.

    [29] Morgan Baynam è NQT ed insegna alla Compton School. La lezione cui si riferisce e stata svolta nel corso del suo PGCE alla Highgate Wood School.

    [30] Teaching History 2010 n. 139, pp. 32-39.

    [31] Ulrich Schnakenberg è direttore del dipartimento di storia a Filder Benden, un 10-19 Gymnasium in Moers, Germania.

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